Cofanetti Autunno-Inverno 11. Dopo Quasi 50 Anni Le Due Strepitose Serate Della “Banda Degli Zingari” Al Completo. Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children The Fillmore East Concerts

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Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children The Fillmore East Concerts – 5 CD Sony Legacy Boxset

La storia di questi quattro concerti è una delle più travagliate del percorso musicale di Jimi Hendrix. I Band Of Gypsys sono in un certo senso la prosecuzione dei Gypsy Sun and Rainbows, la band che Jimi aveva assemblato per partecipare al Festival di Woodstock, dopo lo scioglimento degli Experience, reso effettivo nei primi mesi del 1969. Nel gruppo che suonò a Woodstock c’era il vecchio amico Billy Cox al basso: una amicizia nata durante il servizio militare e poi coltivata anche con saltuarie collaborazioni musicali, che approdano, dopo Woodstock, nell’idea di formare un nuovo ensemble, i Band Of Gypsys, che avrebbe permesso a Hendrix di coltivare anche la sua passione per la musica “nera” senza abbandonare l’idea di sperimentare, sempre presente nella sua visione della musica, e quindi viene approcciato Buddy Miles, già batterista degli Electric Flag e leader di un proprio gruppo Buddy Miles Express, che nel 1968 aveva pubblicato un disco Expressway To Your Skull, che nelle note di copertina riportava un breve poema di Jimi, che poi produsse il disco successivo Electric Church, in entrambi gli album Miles era anche il cantante.

Quindi sia affinità elettive, tutti e tre erano neri, che musicali, l’amore per  il soul, il funky, ma anche il rock, come anche di amicizia: un altro fattore importante nella nascita di questa nuova formazione era anche il fatto che Jimi Hendrix doveva un disco alla Capitol per quel contratto incautamente firmato ad inizio carriera, e quindi decise di organizzare una serie di concerti al Fillmore East di New York, registrarli e poi estrarre dai risultati un disco dal vivo da presentare alla Capitol per soddisfare le clausole del contratto. Cosa che venne fatta, ma essendo Hendrix un grande perfezionista, il tutto venne organizzato in pompa magna, anche per presentare una serie di nuove canzoni che stava creando in quel periodo, oltre a tre canzoni previste per Buddy, e alcune cover e vecchi cavalli di battaglia rivisti nella nuova ottica black della formazione, il tutto venne forgiato in una lunga serie di prove che durarono dalle 12 alle 18 ore ogni giorno nella settimana che precedette i concerti.

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Quindi il 31 dicembre 1969 e il 1° gennaio del 1970 si tennero quattro concerti al Fillmore East di New York, da cui venne estrapolato un LP singolo con 6 canzoni, pubblicato il 25 marzo del 1970, quando la band si era peraltro già sciolta, anche a seguito del concerto del 28 gennaio al Madison Square Garden, quando Hendrix litigò con una donna nel pubblico e il gruppo dopo due sole canzoni lasciò il palco. Comunque di  questi concerti nel corso degli anni sono uscite varie edizioni: il primo Band Of Gypsys aveva 6 canzoni (9 nella edizione in CD), Band Of Gypsys 2 altre sei, Live At the Fillmore East il doppio CD pubblicato nel 1999, un totale di 16 brani, e infine Machine Gun The Fillmore East First Show, uscito nel 2016, ne riportava 11. Questo nuovo cofanetto Songs For Groovy Children contiene un totale di 43 pezzi, nella sequenza originale dei 4 concerti, con 26 tracce “inedite”; alcune apparse nella versione video, altre eliminate da precedenti versioni, e rimixate per la nuova edizione da Eddie Kramer, l’ingegnere del suono del disco originale, altre ancora da cui erano state tolte nell’editing le presentazioni oppure versioni più lunghe e ancora altre già apparse in box e ristampe varie più recenti, e infine 7 brani mai pubblicati prima in nessun formato. Forse è la ristampa migliore delle tantissime uscite nel corso degli anni a cura della Famiglia Hendrix, e comunque la testimonianza di un artista ancora al culmine del suo periodo più ispirato, colto in uno degli aspetti che preferiva, quello dei concerti dal vivo. Vediamo il contenuto, ricordando che nella recensione del CD di Machine Gun del 2016 così scrivevo: “Però quel First Show nel titolo fa presupporre che nel tempo ci saranno sicuramente dei seguiti, prima che fra qualche anno esca un cofanetto The Complete Fillmore Shows che conterrà l’integrale delle due serate, garantito!” Meglio di Nostradamus o facile profeta?

Il primo CD riporta esattamente le 11 canzoni appunto del primo concerto del 31 dicembre: all’epoca  tutte mai pubblicate prima in nessuno disco di Jimi Hendrix: Power Of Soul è subito una esplosione di funky-rock-soul spaziale con Jimi impegnato ad estrarre dal  wah-wah le sue solite sonorità impossibili, mentre le parti vocali sono affidate alla accoppiata Hendrix e Buddy Miles, che ha anche un gran daffare alla batteria, mentre Cox con il suo stile impeccabile al basso tiene ancorato il ritmo, ottima anche la guizzante Lover Man, ancora con wah-wah a manetta, poi le cose si fanno serie con una lunga e potentissima Hear My Train A Comin’, ovvero il blues secondo Hendrix, inarrivabile ed inarrestabile con la sua chitarra sempre impegnata in traiettorie quasi impossibili per gli altri axemen dell’epoca: l’assolo, manco a dirlo è formidabile. Changes il primo brano di Buddy Miles, è la futura Them Changes (celebre anche nella versione dal vivo con Santana del 1972), introduce il funky-rock più carnale ed immediato del batterista vicino alla soul music, ma ovviamente con Hendrix in formazione che imperversa con la sua Fender tra un verso e l’altro e poi parte per la tangente, comunque mai scontato.

Izabella è uno dei brani di Hendrix contro la guerra, futuro singolo per la Reprise nell’aprile 1970, classico brano rock del canone hendrixiano, mentre Machine Gun, canzone che nasce come appendice delle improvvisazioni sullo Star Spangled Banner a Woodstock, diventa uno dei classici assoluti di Jimi, con la chitarra in modalità wah-wah che parte subito per l’iperspazio sostenuta dalle scariche ferine della batteria di Buddy Miles, anche questa con un testo di protesta contro la guerra del Vietnam, brano che veniva già eseguito dall’estate 1969, per la prima volta a Berkeley, presente in tutti i quattro set delle due giornate, con la canzone che si dipana in un crescendo inarrestabile, quasi lavico, della magica solista del mancino di Seattle.

Stop, scritta da Ragovoy e Shuman, era apparsa per la prima volta in un disco di Howard Tate (uno dei grandi “incompresi” della soul music) in un disco del 1967, veicolo ideale per l’accoppiata Buddy Miles e uno stranamente infervorato Hendrix che in un call and response vigoroso  la prendono di petto con una veemenza che l’originale di Tate non aveva, mentre Parliament/Funkadelic,Eddie Hazel, Isley Brothers futuri e molti altri prendono nota. Ezy Rider uscirà solo l’anno dopo nel postumo The Cry of Love, un altro brano dall’andatura vorticosa, con un eccellente lavoro anche di Miles alla batteria e la furiosa scarica di chitarra di un ispiratissimo Jimi, alla faccia di alcune critiche dell’epoca che non parlarono particolarmente bene del LP (uscito però solo con sei brani), anche se poi nel corso degli anni è stato giustamente considerato uno dei migliori concerti live all-time. Come ribadisce il primo slow blues della serata, una sinuosa e raffinatissima cover del brano di Elmore James Bleeding Heart, che Hendrix aveva già inciso nell’era pre-Experience con Curtis Knight, e poi eseguita nel concerto alla Royal Albert del febbraio 1969, e registrata in alcune versioni di studio pubblicate in diversi CD postumi; anche Earth Blues rimarrà inedita per moltissimi anni, prima di venire pubblicata negli anni 2000, un gagliardo brano tra R&B e rock psichedelico nella migliore tradizione delle canzoni di Hendrix, che chiude il primo set con Burning Desire, altro brano inedito che avrebbe dovuto forse apparire nel disco di studio mai completato dei Band Of Gypsys, Jimi saluta, ringrazia e augura Buon Anno al pubblico presente con questa ulteriore perla del suo songbook, quasi 10 minuti di un brano che ricorda molto il suono degli Experience dei primi due dischi, vibrante e sempre pronto a trasformarsi in jam furiose e ricche di continui cambi di tempo ed improvvisazioni  da lasciare senza fiato.

Per il secondo set, quello destinato a portarli nel nuovo anno, ci sono molte aggiunte al menu della serata: si parte con il conto alla rovescia del pubblico, e poi con una versione di Auld Lang Syne, il celebre brano che si eseguiva nelle festività, fatto ovviamente alla Jimi Hendrix, poi arriva subito Who Knows, un altro dei brani nuovi, forse il più tipizzante di quella fusione tra soul e rock, destinato ad aprire la prima facciata del vinile del 1970, con il tipico interscambio vocale tra i due e un ritmo scandito che lo rende quasi irresistibile nel suo dipanarsi, grazie al lavoro eccellente del basso di Cox che alza la quota funky alle stelle, mentre Hendrix maltratta la sua Telecaster come solo lui sapeva fare in un flusso solista di grande intensità, poi ribadito in una tiratissima Fire, uno dei riff più devastanti della storia del rock, e grande empatia tra Miles, Cox e Hendrix che timbra un altro assolo di quelli da sballo, segue Ezy Rider e poi una versione eccelsa di Machine Gun, se non sbaglio l’unico brano, insieme a Changes, presente in tutti i quattro set delle due serate, quasi 14 minuti devastanti che rendono ancora più acido e sperimentale il pezzo,  e che precede una versione colossale e pantagruelica di Stone Free, riconosciuta dal pubblico alla prima nota, parte forte subito e poi accelera in maniera quasi parossistica, prima di entrare nei regni della pura improvvisazione con una lunghissima sezione strumentale che prevede anche assoli di basso e batteria, forse appena prolissa a tratti, ma è sempre un bel sentire. Poi arriva una nuova versione di Them Changes, come la presenta Jimi, più lunga e con gli elementi soul più evidenti, anche se Hendrix si prende i giusti spazi da par suo; Message To Love è un altro dei brani nuovi che andrà sull’album in uscita a marzo, altro brano dal riff circolare molto marcato, non particolarmente memorabile, decisamente migliore la seconda versione di Stop, ancora più grintosa di quella del primo set e a chiudere la nottata una veemente ed impetuosa Foxey Lady, sempre uno dei brani più amati ed eseguiti dal mancino.

Nel terzo set, datato 1° gennaio 1970, dopo la presentazione dei protagonisti, si riparte con una eccellente Who Knows sempre scandita dal favoloso groove del basso di Billy Cox e poi lasciata all’estro di Jimi, sempre inesauribile nelle sue continue improvvisazioni alla chitarra, con wah-wah in grande spolvero e la band saldamente legata, come conferma un’altra versione formidabile di Machine Gun, che è un poco la Voodoo Chile della serata con la sua atmosfera tesa e quasi inquietante. Changes e Power Of Soul precedono Stepping Stone, un altro brano presentato per la prima volta nel corso del concerto e poi uscito come singolo ad aprile, un’altra delle tipiche canzoni ascendenti del canone hendrixiano, veloce e frenetica, benché non tra le sue migliori. Tornano anche Foxey Lady più psichedelica che mai, Stop, Earth Blues e Burning Desire, che chiude il terzo set. Per nel quarto e ultimo set, il più lungo con i suoi 13 brani, Jimi Hendrix regala al pubblico presente molti dei suoi cavalli di battaglia: si parte con Stone Free, più breve ma decisamente più fremente di quella del giorno prima, poi quasi tutte le canzoni vengono presentate in versioni più lunghe ed improvvisate, da una solidissima Power Of Soul a Changes che si allunga ad ogni nuova apparizione nei concerti, una Message To Love più convinta, stranamente la sola Machine Gun appare in una versione più breve, “appena” 11 minuti e 52 secondi, comunque sempre viscerali e quasi disperati nella loro efficacia. Anche Lover Man, dedicata al pubblico femminile presente, fa il suo debutto, altro brano breve e compatto, che precede Steal Away, altra canzone “inedita” del soulman Jimmy Hughes, affidata alla voce di Buddy Miles, si trasforma in un blues lento ed appassionato che precede Earth Blues, altra canzone molto eseguita nei quattro concerti:

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Poi partono i bis e qui iniziano i fuochi di artificio (ma nel corso dei concerti Jimi aveva anche inserito brevi citazioni di Third Stone From the Sun e The Wind Cries Mary, a voi scoprirle): in sequenza appaiono Voodoo Child (Slight Return) quella vera, presentata come il loro inno nazionale, una orgia di wah-wah impazziti, magnifica come al solito, We Gotta Live Together, è l’ultimo brano inedito affidato alla voce di Buddy Miles, che ne è anche l’autore e cerca il singalong del pubblico presente, in questo ulteriore esempio del psychedelic soul  che avrebbe dovuto essere la cifra stilistica della band, se avesse proseguito nella propria avventura. Altro riff memorabile, che ci riporta ai fasti dell’inizio di carriera di Hendrix a Monterey, è una poderosa Wild Thing, come non potevano neppure mancare il primo singolo Hey Joe, altra canzone epocale e per finire in gloria, una impetuosa Purple Haze, con il suo verso che illustra in poche parole una intera carriera “Excuse me while I kiss the sky”.

Cofanetto magnifico, una delle più belle ristampe in un anno ricco di uscite importanti.

Bruno Conti

Cofanetti Autunno-Inverno 11. Dopo Quasi 50 Anni Le Due Strepitose Serate Della “Banda Degli Zingari” Al Completo. Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children The Fillmore East Concertsultima modifica: 2019-12-02T19:44:33+01:00da bruno_conti
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