Quando Fertilità Non Fa Rima Con Qualità! Bruce Hornsby – Non-Secure Connection

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Bruce Hornsby – Non-Secure Connection – Zappo/Thirty Tigers CD

Lo scorso anno Bruce Hornsby con Absolute Zero era tornato a pubblicare un album come solista a ben 21 anni da Spirit Trail (ma in mezzo c’erano stati i sei lavori, quattro in studio e due dal vivo, con i Noisemakers, e pure le due collaborazioni con Ricky Skaggs in cui il songwriter e pianista della Virginia aveva dato sfogo alla sua passione per il bluegrass), ma evidentemente il nostro si trova in un periodo creativamente fertile dal momento che ha deciso di pubblicare un nuovo full length intitolato Non-Secure Connection. Musicista dalla grande preparazione tecnica che lo ha portato soprattutto ad inizio carriera ad essere richiestissimo sugli album di colleghi illustri come Bob Dylan, Don Henley (con cui scrisse la splendida The End Of Innocence), Bonnie Raitt, Willie Nelson, Robbie Robertson e The Nitty Gritty Dirt Band (e che lo aveva fatto entrare dopo la morte di Brent Mydland a far parte di una band solitamente “chiusa” come i Grateful Dead).

Hornsby negli anni non ha più bissato il successo dei primi tre album incisi con la sua prima band The Range, pur consegnandoci lavori di tutto rispetto come il bellissimo Harbor Lights del 1993 ed il valido Halcyon Days del 2004, ma bisogna dire che Bruce non ha mai fatto canzonette pop da tre minuti “usa e getta”, ma ha sempre costruito brani eleganti e raffinati anche nei momenti più radiofonici, facendo leva su una tecnica pianistica non comune e su un background di chiaro stampo jazz. Dopo un attento ascolto di Non-Secure Connection devo però affermare che il nostro non ha del tutto centrato il bersaglio, in quanto ha messo a punto un lavoro alla lunga un po’ involuto, con una serie di ballate non sempre di prima scelta ed in più con soluzioni sonore a volte cerebrali e discutibili, il tutto proposto in maniera un tantino freddina e con un suono in certi momenti troppo spersonalizzato. Non è un brutto disco, ma neppure così bello, ed in più si fa fatica ad arrivare fino in fondo senza qualche sbadiglio.

Bruce suona quasi tutti gli strumenti facendosi aiutare qua e là da alcuni membri dei Noisemakers, con l’aggiunta di diversi ospiti noti (Vernon Reid, il grande Leon Russell) e meno noti (Rob Moose, James Mercer, Jamila Woods) che però non alterano né in negativo né in positivo il risultato finale. Cleopatra Drones apre il CD in un’atmosfera rarefatta, note di piano sparse ed una melodia corale che mi ricorda più Peter Gabriel che lo stesso Hornsby, con la batteria che inizia a scandire il tempo dopo un paio di minuti: il brano ha un’andatura circolare e quasi ipnotica, non di facile assimilazione ma che per il momento riesco a definire comunque affascinante. Time, The Thief è più aperta e caratterizzata da una suggestiva orchestrazione di fondo che fa un po’ The Band (si sente distintamente un “french horn”), nonostante il carattere intimista del pezzo che vede Bruce centellinare le parole e l’accompagnamento sui tasti del pianoforte: un uno-due spiazzante, soprattutto per chi ha in testa i primi album del musicista americano. La title track prosegue sulla stessa falsariga (voce, piano ed un synth che crea il tappeto sonoro di fondo), ma qui il brano ha una melodia dissonante con risvolti perfino inquietanti, e sinceramente il gioco inizia un po’ a stancarmi (e le chitarre dove sono?); almeno The Rat King, che rispetta l’andamento cupo del lavoro, ha un motivo riconoscibile e non va tanto per le lunghe.

Finalmente con My Resolve il disco ci presenta una canzone più strumentata (diciamo pure full band), con una linea melodica piacevole ed elementi californiani, un pezzo non distante da certe cose di CSN: non per niente è il primo singolo. Bright Star Cast è pop-errebi che potrebbe avere qualche potenzialità (il motivo di fondo è orecchiabile), ma secondo me è rovinata da un arrangiamento troppo moderno e tecnologico, mentre con Shit’s Crazy Out There torniamo a tempi lenti ed atmosfere francamente angoscianti, anche se nel finale strumentale ascoltiamo finalmente un assolo chitarristico. E veniamo al brano migliore, cioè la collaborazione con Russell (uno degli eroi del nostro), una registrazione che risale a quasi trenta anni fa della già nota Anything Can Happen (era la title track di un album del 1994 di Leon prodotto proprio da Bruce): qui Hornsby ha preso la traccia vocale di Russell dal demo originale e le ha cucito intorno un vestito sonoro moderno ma non disprezzabile (con il sitar come strumento guida), anche se fa specie che la canzone più riuscita del CD risalga a quasi tre decadi fa. L’album si chiude con la cervellotica Porn Hour, voce, piano ed archi ma anche una certa freddezza, e con la vivace e discreta No Limits, un buon brano che però non risolleva le sorti di un disco troppo difficile ed introverso, che non metterei di certo tra i più riusciti di Bruce Hornsby.

Marco Verdi

Quando Fertilità Non Fa Rima Con Qualità! Bruce Hornsby – Non-Secure Connectionultima modifica: 2020-08-27T10:17:29+02:00da bruno_conti
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