Un Cofanetto “Vorrei Ma Non Posso” Per Una Band Dal Glorioso Passato (E Dal Solido Presente). Uriah Heep – 50 Years In Rock

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Uriah Heep – 50 Years In Rock – Sanctuary/BMG 23CD/LP Box Set

Tra le varie celebrazioni del 2020 c’è stata anche quella, passata un po’ in sordina, dei 50 anni di carriera degli Uriah Heep, storica band hard rock londinese che nei primi anni 70 era considerata una delle quattro pietre angolari del genere insieme a Led Zeppelin, Deep Purple e Black Sabbath, anche se sia come successo che come popolarità sono sempre stati uno o due gradini sotto i tre gruppi appena citati. Almeno nei loro primi anni però gli Uriah Heep (che hanno preso il nome da un personaggio del David Copperfield di Charles Dickens) hanno sfornato alcuni album di grande levatura, con uno stile che fondeva mirabilmente hard rock e prog grazie all’uso marcato delle tastiere, che nell’economia del gruppo hanno sempre avuto quasi la stessa importanza della chitarra: il nucleo iniziale era formato dal tastierista e principale songwriter Ken Hensley, rimasto per tutta la prima decade (e morto lo scorso 4 novembre a seguito di una grave malattia), il chitarrista Mick Box, unico presente in tutti gli album della band, ed il cantante David Byron, possessore di un’ugola potente che lo faceva rientrare nella stessa categoria di “screamers” come Ian Gillan e Bruce Dickinson, mentre la sezione ritmica è quella che negli anni ha subito più avvicendamenti.

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Lo scorso ottobre la BMG per celebrare il mezzo secolo dei nostri (attivi ancora oggi), ha pubblicato 50 Years In Rock, un monumentale cofanetto di ben 23 CD (ed un LP, contenente il classico album The Magician’s Birthday con la copertina ridisegnata da Roger Dean – famoso per gli artwork dei dischi degli Yes – autore anche della cover originale): il box, che contiene (quasi) tutta la discografia degli Heep più quattro CD extra, presenta però diverse magagne non di poco conto, la cui gravità è secondo me amplificata dall’alto costo richiesto (tra i 165 ed i 200 euro a seconda dei vari siti), e che vi vado ad elencare brevemente prima di addentrarmi nei contenuti. 1: intanto non è vero che ci sono tutti i dischi, dato che l’unico live incluso è quello famoso del 1973, e poi mancano i due album del corrente millennio nei quali la formazione attuale ha reinciso i vecchi classici, cioè Remasters: The Official Anthology del 2001 (poi ristampato nel 2015 con il titolo Totally Driven) e Celebration del 2009. 2: i dischetti non sono stati rimasterizzati per l’occasione, e non contengono neppure mezza bonus track, cosa che rende il cofanetto appetibile solo per chi, come il sottoscritto, non possiede tutta la discografia completa, dato che i neofiti si accontenteranno di una delle mille antologie sul mercato.

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3: il consueto libro incluso è pieno al 90% di foto e come testi si limita alle varie lineup del gruppo oltre a quattro brevi introduzioni dei curatori del progetto (Box, Hensley, il primo bassista Paul Newton ed il batterista di lungo corso Lee Kerslake, anch’egli scomparso nel 2020); inoltre, la grafica delle copertine dei CD è davvero pessima, in quanto sembrano fotocopie di bassa qualità degli originali. 4: alcuni album sono stati accoppiati con la formula “due LP in un CD”, e fin qui nulla di male, peccato che si sia scelto di “fondere” insieme le due copertine creando degli ibridi abbastanza inguardabili, e non, come è stato correttamente fatto solo per Demons And Wizards e The Magician’s Birthday, metterne una sul fronte e l’altra sul retro. 5: la magagna più grave: i quattro CD finali sono in realtà quattro compilation “esclusive” con la scelta delle canzoni preferite dei quattro curatori, ma non in versioni alternate o live ma nelle stesse già sentite nei primi 19 dischetti! In pratica quattro aggiunte totalmente inutili (e pure con diverse ripetizioni tra uno e l’altro), quando sarebbe bastato inserire b-sides, rarità e magari un paio di concerti inediti.

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Ma veniamo ad un breve excursus sulla discografia contenuta nel box, un percorso di alti e bassi che ha però nel periodo 1970-73 una striscia di album di grande profilo, a partire dall’esordio …Very ‘Eavy…Very ‘Umble del 1970, disco con una delle copertine più orrorifiche dell’epoca (che ritrae un irriconoscibile Byron agonizzante e coperto di ragnatele) ma con pezzi hard rock di altissimo livello come Gypsy, la potente e riffata Walking In Your Shadow, il blues afterhours Lucy’s Blues, con Hensley strepitoso all’organo, la saltellante Dreammare e la suggestiva ballata Come Away Melinda, primo classico della band https://www.youtube.com/watch?v=KzylV7LpDyM . Salisbury del 1971 si apre alla grande con l’epica Bird Of Prey e si chiude con la maestosa suite di sedici minuti che intitola il disco (con l’accompagnamento di un’orchestra di 24 elementi); in mezzo, la nota Lady In Black che mostra il lato soft, romantico e folkeggiante dei nostri, bissata dall’affascinante The Park, nella quale Byron fornisce una prova vocale notevole https://www.youtube.com/watch?v=C3C8HnBT_lg . Look At Yourself, ancora del ’71, è un altro album eccelso, che vede in pratica Hensley unico compositore: la trascinante title track, tra i pezzi migliori di sempre del gruppo, e la straordinaria rock ballad July Morning sono classici assodati, ma non vanno trascurate le roboanti I Wanna Be Free e Love Machine e la “leggera” What Should Be Done https://www.youtube.com/watch?v=kk5K6L2OPj4 .

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Demons And Wizards (1972, anche questo con la copertina di Roger Dean) è forse insieme al seguente il lavoro più famoso di Box e compagni, con la galoppante Easy Livin’ che è uno dei loro brani più conosciuti. Ottime anche la fascinosa The Wizard, Traveller In Time, Circle Of Hands, Rainbow Demon ed il boogie The Spell, ma non c’è un solo momento sottotono https://www.youtube.com/watch?v=hBAZLERYy7M . The Magician’s Birthday, sempre del 1972, ha in Sweet Lorraine un’altra canzone decisamente popolare, ma anche rock songs potenti ed epiche come Sunrise, Echoes In The Dark e la title track https://www.youtube.com/watch?v=A6mK7HKC8lI . La prima fase della carriera dei nostri si chiude nel 1973 con il noto Uriah Heep Live, registrato alla Town Hall di Birmingham ed uno dei grandi dischi dal vivo degli anni 70, con magnifiche riletture di Sweet Lorraine, Traveller In Time, Easy Livin’, July Morning, Tears In My Eyes e Look At Yourself, oltre ad un trascinante rock’n’roll medley di otto minuti che comprende Roll Over Beethoven, Blue Suede Shoes, Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, Mean Woman Blues, Hound Dog e At The Hop https://www.youtube.com/watch?v=2NlqM8FPT1Y&list=PLO2DpnSLxoYXnY7Et3EvUw2ac1pBGwrgz .

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Con Sweet Freedom del 1973 gli Heep iniziano ad esplorare sonorità leggermente più radiofoniche che ne faranno l’album il più venduto della loro discografia https://www.youtube.com/watch?v=znmgVKSBnXc , e lo stesso sound proseguirà in Wonderworld del 1974, un gradino sotto come qualità, e nel riuscito Return To Fantasy del 1975: in questi tre album trovano posto canzoni piacevoli e molto poco hard come Dreamer, Stealin’, One Day, Sweet Freedom, So Tired, Prima Donna, la pop ballad The Easy Road e la “californiana” Your Turn To Remember, in cui più che gli Uriah Heep sembra di ascoltare gli Eagles https://www.youtube.com/watch?v=2o-CSc0j3dE . Ma comunque i cinque non hanno perso il tono epico, riscontrabile in Pilgrim, Return To Fantasy e nella bluesata I Won’t Mind. I restanti album della decade vedono un ulteriore ammorbidimento dei toni, con la comparsa del synth ed un suono a metà tra Toto e Boston: High And Mighty del 1976 sarà anche l’ultimo album con Byron, che verrà sostituito nei seguenti Firefly, Innocent Victim (entrambi del 1977) e Fallen Angel del ’78 da John Lawton, un buon vocalist dall’impostazione più teatrale. Non mancano anche in questi lavori i brani ottimi, come Can’t Keep A Good Band Down, Make A Little Love, Keep On Ridin’, Do You Know, la maestosa Choices, in cui Lawton sembra Ronnie James Dio, e Free Me, che sarà anche soft rock ma è indubbiamente splendida https://www.youtube.com/watch?v=lK45E6zfJeA .

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A quel punto però nel gruppo iniziano i tumulti seri: Lawton se ne va ed anche Hensley non è più tanto felice di stare ancora nella band, e quindi l’album Conquest del 1980 (con il tastierista che ha già un piede fuori) si rivela il più debole dei nostri fino a quel momento, a causa anche del nuovo cantante John Sloman, non esattamente un fuoriclasse. A questo punto Box decide di rifondare il gruppo e si affida al ritorno di Kerslake dietro i tamburi e ad un altro vocalist, Peter Goalby, che resta per tre album. Il problema di Abominog (1982), Head First (1983) e Equator (1985, anno in cui muore Byron) è che seguono al 100% il trend pop metal (o hair metal) tipico della decade, con canzoni piene di sintetizzatori e big drum sound, una veste sonora che si addice ben poco agli Heep specie se paragonata a quella di inizio carriera. E pure come band hair metal in giro c’è di meglio, e quindi i vecchi fans, dopo aver relativamente premiato Abominog che ha vendite discrete, li abbandonano senza essere rimpiazzati da nuovi estimatori. Raging Silence del 1989 è importante solo perché introduce il nuovo cantante Bernie Shaw (una sorta di clone di Byron) ed il tastierista Phil Lanzon, entrambi in sella ancora oggi, ma il disco prosegue il trend sonoro dei suoi predecessori, ed ancora più pop è Different World del 1991, dove in parecchi brani il quintetto suona meno rock di Sting (e ho detto tutto).

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Sea Of Light del 1995 (terzo disco con la copertina disegnata da Dean) segna un sorprendente ritorno ad atmosfere più classiche, con la chitarra di Box più in evidenza e canzoni migliori https://www.youtube.com/watch?v=jnNghFBupVg , e lo stesso fa Sonic Origami del 1998 seppur piazzandosi un gradino sotto. A questo punto gli Heep si prendono una pausa discografica di ben dieci anni, ripresentandosi nel 2008 con Wake The Sleeper, finalmente un album di rock duro e puro che rimanda direttamente all’età d’oro della band, anche se sembra quasi che si sia dato più spazio ai muscoli che alla scrittura delle canzoni. Molto meglio saranno i seguenti tre lavori (Into The Wild, 2011, Outsider, 2014, e Living The Dream, 2018), ottimi album di puro hard rock classico ben bilanciati tra energia e fruibilità, nonostante il suono più che gli Heep ricordi i Deep Purple, anche per la voce “gillaniana” di Shaw. 50 Years In Rock, a parte le contraddizioni di un progetto “vorrei ma non posso” o forse ancora meglio “potrei ma non voglio”, contiene quindi al suo interno diversa ottima musica specie nei primi otto-dieci CD e negli ultimi tre (se vi piace il genere, ovvio), ed è un modo seppur costoso di rievocare l’epopea degli Uriah Heep, una grande band oggi un po’ dimenticata.

Marco Verdi

Un Cofanetto “Vorrei Ma Non Posso” Per Una Band Dal Glorioso Passato (E Dal Solido Presente). Uriah Heep – 50 Years In Rockultima modifica: 2021-01-28T10:19:52+01:00da bruno_conti
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