Jimmy Ragazzon Intervista E Concerto: Una Valigia Piena Di Canzoni!

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Una veloce premessa, questa è una intervista che ho realizzato insieme a Jimmy per il Buscadero, e quindi la potete leggere anche sul numero di Febbraio della rivista, in edicola e nei punti vendita in questi giorni. Aggiungo anche che in virtù dell’amicizia (spero) che mi lega al musicista di Voghera gli ho chiesto se avrà voglia in futuro, tra un impegno e l’altro, di tornare a scrivere qualcosa per il Blog. Considerando che proprio per le sue collaborazioni avevo aperto una categoria specifica di Post sul Blog, ovvero “Da Musicista A Musicista”, mi ha dato la sua disponibilità senza impegno, per cui quando avrò qualche parto del suo inegegno ve la proporrò sul Blog ( e scrivendolo qui lo inchiodo alle sue responsabilità, scherzo!). Alla fine dell’intervista trovate anche il resoconto del concerto di Milano del 13 gennaio scorso. Quindi buona lettura!

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Quasi sul finire dell’anno scorso un paio di musicisti italiani dell’area pavese (l’altro è Ed Abbiati) hanno dato alle stampe dei dischi di musica chiaramente ispirati dalle loro passioni per il suono che siamo soliti definire Americana, roots music, ma anche i più tradizionali folk e country, senza dimenticare il blues ed il bluegrass, soprattutto nel caso del primo disco solista di Jimmy Ragazzon, quel Songbag che esce dopo oltre 35 anni (diciamo 37, quasi 38) di onorata carriera con la sua band dei Mandolin’ Brothers (ecco la recensione http://discoclub.myblog.it/2016/12/01/come-i-suoi-amati-bluesmen-un-pavese-americano-finalmente-esordisce-con-una-valigetta-piena-di-belle-canzoni-jimmy-ragazzon-songbag/. Visto che il prima lo conosciamo bene, siamo andati a chiedergli con alcune domande la genesi del disco e i futuri eventuali sviluppi.

Allora, Jimmy, immagino che il disco, molto bello, uno dei migliori di questo scorcio finale di anno, non sia nato come una improvvisa Epifania, ma venga da un desiderio di esplorare anche cammini contigui a quelli della musica del gruppo, cercando di usare un suono “più austero” ma sempre ricco di sonorità brillanti e ben definito nei particolari. Quale è stato , se c’è stato, il fattore scatenante, oppure si è trattato di un processo lento e ponderato? Insomma ti sei svegliato una mattina, e invece di farti una shampoo (come diceva Gaber) hai deciso di lanciarti in un disco solista o è stato un desiderio covato per anni e portato a compimento?

Pensavo ad un album totalmente acustico da molto tempo, che contenesse alcune canzoni nate per essere suonate in quel modo, senza troppe elucubrazioni ed arrangiate in modo scarno ma spontaneo. La mia idea era quella di suonare i pezzi, correggere eventuali pecche e poi registrare, senza pensarci troppo e senza rivedere gli arrangiamenti più volte. Volevo anche registrare ogni singolo brano con tutti, o quasi, i musicisti contemporaneamente in studio, per ottenere un feeling unico e seguire il flusso del momento. Il risultato finale è molto vicino a questa mia idea di base e ne sono contento.

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 Della “tua” band appare solo Marco Rovino, che peraltro ha un ruolo decisivo, sia come autore che musicista nell’album. Gli altri ottimi musicisti italiani come li hai scelti?

Ho conosciuto Paolo Ercoli, Rino Garzia e Luca Bartolini, cioè i musicisti con cui suono dal vivo Songbag, nel corso degli anni. Conoscendo le loro indubbie qualità tecniche e la loro predilezione per la musica acustica, li ho coinvolti nel progetto, lasciando che ognuno di loro si esprimesse e portasse idee e suggerimenti. Il loro apporto è stato fondamentale, anche nei rapporti interpersonali, basati sull’amicizia ed il rispetto reciproco. Comunque in un paio di brani ci sono altri due Mandolins, cioè Joe Barreca e Riccardo Maccabruni. Senza dimenticare Chiara Giacobbe, Roberto Diana, Maurizio Gnola e tutti quelli che hanno collaborato, non ultimo Stefano Bertolotti, della Ultra Suond, che mi ha offerto la possibilità di realizzare questo mio progetto.

Ed al tuo fianco, anche questa volta c’è l’immancabile Jono Manson. Quale è stata questa volta la sua funzione nell’economia del disco?

Jono ha mixato e masterizzato l’album, dando anche preziosi suggerimenti, con tutta la sua esperienza e la sua cultura musicale. Ha evidenziato al meglio il suono del legno degli strumenti, che era quello che cercavo, rendendolo il più caldo e naturale possibile. Inoltre mi ha ancora una volta stupito, inserendo un banjo tenore in 24 Weeks, che trovo molto bello e diverso rispetto al suono del resto delle canzoni.

E ancora, come sei arrivato alla scelta delle due cover inserite nell’album? Due dei tuoi preferiti assoluti: Dylan quasi inevitabile, ma perché quella canzone e Guy Clark, immagino altro punto di riferimento anche nei tuoi ascolti come appassionato di musica?

Ho sempre amato Dylan, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Ho pensato a come avrebbe potuto suonare Spanish Is The Loving Tongue, diciamo nel periodo inizio anni ‘70 e di conseguenza ho creato un arrangiamento che si potesse avvicinare a questa mia fantasticheria. Anche per Guy Clark ho sempre avuto una grande ammirazione e The Cape è una delle sue perfect songs, in cui testo e linea melodica si coniugano magistralmente. E poi che il ragazzino con il suo logoro mantello riuscisse finalmente a volare, malgrado la dura realtà e contro il parere di tutti…beh… è una gran bella storia.

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Torniamo alla creazione delle canzoni contenute nel disco. Sono tutte nuove, scritte in tempi recenti o ce ne sono alcune che “covavi” da tempo e non avevi mai utilizzato negli album dei Mandolin’ Brothers perché non le ritenevi adatte allo stile del gruppo?

Sono tutti brani nati nel corso di questi ultimi anni, diciamo post Far Out. Come MB abbiamo suonato parecchie volte con la line up acustica e certe sonorità, la rilassatezza delle esecuzioni, il loro soft mood, mi hanno definitivamente convinto ad iniziare il progetto Songbag, visti anche gli impegni personali del resto della band, che avrebbero comportato poco tempo a disposizione per pensare ad un nuovo disco dei MB. Comunque penso che certe canzoni e soprattutto certi testi, dovessero essere proposti in maniera più personale e diretta anche per i temi trattati, spesso autobiografici.

E, domanda collaterale, che si aggancia agli eventuali futuri sviluppi citati all’inizio: ne avete incise altre poi non usate nel disco, magari ci sono state altre cover papabili che poi non sono state utilizzate?

 Sono rimasti fuori sostanzialmente solo un paio di pezzo miei ed altrettante cover, come Friend Of The Devil dei Grateful Dead, che comunque eseguiamo in concerto.

 L’idea di fare un disco acustico era prevista fin dall’inizio oppure era solo una delle opzioni a disposizione? Magari un bel disco di blues elettrico o da cantautore “impegnato” non sarebbero stati male?

 No, doveva essere fin dall’inizio un disco acustico con le mie canzoni. Credo che Dirty Dark Hands, Sold (ispirata da una poesia di P. B. Shelley) e Evening Rain, si possano considerare canzoni impegnate a sfondo sociale e/o quantomeno piuttosto esplicite del mio modo di pensare, almeno nel testo. Di certo mi piacerebbe molto fare un album di blues elettrico rigorosamente old style, come il bellissimo ultimo Stones, con suoni sporchi e ruvidi. Non è detto che prima o poi non si riesca a realizzare anche questo progetto.

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Dicevi che alcuni testi dei brani contenuti nel disco hanno anche connotati autobiografici, vuoi elaborare questo tuo pensiero e raccontare di quali canzoni si tratta?

D Tox Song, che parla di un periodo oscuro e pesante della mia vita. 24 Weeks ovvero “della risoluzione del caso” cura & salute…In A Better Life, su quello che ci rimane verso la fine, nel mio caso la musica, la strada percorsa e le persone importanti che non posso assolutamente dimenticare. Ci sono comunque altri riferimenti in altri pezzi, ma sarebbero troppi da spiegare. Credo comunque che sia sempre meglio scrivere di quello che conosci, che provi o che pensi.

Ho visto una delle date del tuo tour solista a Milano e devo dire che suonate veramente in modo splendido, questo può voler dire che ci saranno altri sviluppi futuri anche in questa tua carriera come solista o i Mandolin’ Brothers rimangono comunque il progetto primario?

I MB rimangono ovviamente il mio progetto principale, con l’apertura del cantiere per il nuovo album a breve, anche se ci vorrà un bel po di tempo prima di chiuderlo. Per quanto riguarda Songbag e la collaborazione con The Rebels, intendo portarla avanti diciamo in parallelo, visti i riscontri molto positivi dell’album, dei primi concerti ed il fatto che stiamo bene insieme e ci divertiamo, soprattutto quando ci lanciamo in “inusuali” idee di arrangiamenti per brani nuovi o per cover non proprio ortodosse nel nostro genere musicale.

Tra l’altro chiacchierando fra di noi ad un certo punto era saltata fuori anche la faccenda che una canzone di Songbag “Evening Rain” era stata scelta come Track Of The Week della versione on line della rivista Classic Rock UK, in lizza anche contro i Rolling Stones. E poi la settimana successiva è stata scelta come prima classificata dal voto dei lettori. Quando hai visto che avevi battuto gli amati Stones cosa hai pensato?

Che c’era qualcosa che non andava, che non aveva alcun senso. Siamo sinceri: ma quando mai? Di certo molti amici mi avranno aiutato votandomi dall’Italia e diciamo che gli Stones o Iggy Pop non avessero tutto quell’interesse per questa classifica settimanale…per usare un eufemismo… Rimane comunque il piacere e la grande soddisfazione di aver vinto un contest di una delle riviste musicali più prestigiose d’Europa, non solo con un mio brano, ma anche tratto dal mio primo album solo.

E infine domanda classica: quali sono i tuoi dischi da isola deserta. Almeno quelli di oggi, perché poi si sa che le preferenze cambiano di continuo?

Eccone alcuni, ed è molto difficile che io possa cambiare idea su questi capolavori…

Bob Dylan: Highway 61 Revisited. Rolling Stones: Exile On Main Street

David Crosby: If I Could Only Remember My Name. The Beatles: White Album

The Clash: London Calling. Bob Dylan: The Freewheelin’. Muddy Waters: Hard Again.

Tom Waits: Rain Dogs. Mississippi John Hurt: The Best Of. Little Feat: Waiting For Columbus. Neil Young: Tonight’s The Night and so on…

Il Concerto

La sera del 13 gennaio al Nidaba di Via Gola 12 a Milano (un piccolo accogliente locale dove si ascolta musica gratis, spesso ottima, a due passi dai Navigli, di recente è stato insignito dell’Ambrogino D’Oro, benemerenza civica milanese, per vent’anni di onorata carriera nelle serate musicali della città meneghina) si tiene la prima data del 2017 del tour di Jimmy Ragazzon & The Rebels: per presentare l’album Songbag di cui si parla diffusamente nell’intervista. Gran bel concerto con una serie di ottimi “pickers” italiani che non hanno da invidiare ai migliori musicisti americani: a guidare le danze Jimmy Ragazzon, voce solista e armonica, con Marco Rovino, anche lui dei Mandolin’ Brothers, chitarra acustica, mandolino e armonie vocali (molto funzionali all’atmosfera musicale che si viene a creare), Paolo Ercoli al dobro, un vero virtuoso dello strumento che non ha nulla da invidiare (secondo me) a Mike Auldridge dei Seldom Scene o a Jerry Douglas, alla chitarra acustica e voce Luca Bartolini, al contrabbasso, con e senza archetto, Rino Garzia Ospiti speciali della serata Edward Abbiati dei Lowlands che duetta con Jimmy in una bellissima versione a due voci di Don’t Think Twice Is Alright dell’amato Bob Dylan e al mandolino aggiunto Paolo Monesi, vero protagonista, con gli altri, di una versione fantastica, lunga e molto improvvisata, di E.M.D. del David Grisman Quintet.

Tra le altre chicche della serata, in apertura, una rilettura acustica eccellente di Friend Of The Devil, che genera la gag del “presunto zio” di Garzia, Jerry Garcia, autore del pezzo, una Fortunate Son dei Creedence che diventa quasi un pezzo dei Dillards o dei Country Gazette, a tutto bluegrass. E ancora, sul lato blues, Bye Bye Blackbird di Sonny Boy Williamson II, solo voce, armonica e contrabbasso, una When I Paint My Masterpiece, il pezzo di Dylan interpretato dalla Band su Cahoots. Non mancano nei bis finali anche Swing ’42 di Django Reinhardt via David Grisman, ancora bluegrass “progressivo” o Dawg Music se preferite, con Monesi di nuovo aggiunto al mandolino, e un altro gagliardo blues Key To Highway di Big Bill Broonzy, che molti ricordano nelle versioni ripetute di Eric Clapton. In mezzo molte, forse tutte, meno una, le canzoni di Songbag, in eccellenti versioni, e anche riletture in questa veste brillante acustica di alcuni brani del repertorio dei Mandolin’ Brothers. Più di due ore di ottima musica eseguita con classe, nonchalance, sense of humor e grande partecipazione del pubblico, tra cui si aggiravano anche Mandolin’ Brothers assortiti, mogli e fidanzate. Se riuscite ad andare a vederli in concerto non fatevi sfuggire l’occasione, ci saranno ulteriori date dal vivo anche a febbraio, marzo ed aprile, inframmezzate a quelle con il gruppo.

Bruno Conti

Come I Suoi Amati Bluesmen, Un Pavese Americano “Finalmente Esordisce” Con Una Valigetta Piena Di Belle Canzoni! Jimmy Ragazzon – Songbag

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Jimmy Ragazzon – Songbag – Ultra Sound Records/Ird

Quando ho saputo, quasi un anno fa, che sarebbe uscito un disco solista di “Alessandro” Jimmy Ragazzon, mi era stato anche riferito che sarebbe stato un album “acustico”, quindi ovviamente diverso dalle recenti prove di gruppo con la sua band, i Mandolin’ Brothers, come era ovvio che fosse. Devo dire che mi aspettavo un disco legato alle sue passioni: quindi il Blues (e almeno nell’età matura in cui “esordisce” come cantautore, ci sono agganci con la tradizione dei musicisti blues di esordire appunto, diciamo avanti negli anni, però esordio è una parola forte, con oltre 35 anni di carriera e gavetta alle spalle), altra passione Mister Premio Nobel Bob Dylan, e una cover, più o meno, di un brano del Vate c’è, poi i cantautori americani, texani nello specifico, e troviamo un brano di Guy Clark, ma quello  che non mi aspettavo è la presenza massiccia di brani di derivazione country, anzi bluegrass, credo che in questo disco (esagero) si senta il suono del mandolino più che in tutta la produzione precedente della band, che prende il nome peraltro da questo strumento. Non vi racconterò per l’ennesima volta vita, morte e miracoli dei Mandolin’ Brothers (cercateli nel Blog), sappiamo che sono una delle migliori band della zona pavese, Voghera nello specifico, ma anche in generale della scena roots-rock italiana, per cui tuffiamoci nei contenuti del CD e nei musicisti che vi hanno suonato, anzi partiamo proprio da questi, quasi sempre impegnati in presa diretta, in una sorta di live in studio.

Tutti musicisti italiani, con l’esclusione di Jono Manson al banjo (un quasi naturalizzato comunque), spesso loro compagno di avventura e produttore, in questo caso impegnato a mixaggio e mastering. Il principale “Accomplice”, per mantenere questo spirito internazionale, o complice se preferite, è Marco Rovino, chitarra acustica, co-autore di due brani e degli arrangiamenti del disco, nonché alle armonie vocali (molto presenti) e soprattutto impegnato al fatidico mandolino, forse lo strumento principe dell’album. Luca Bartolini è l’altro chitarrista acustico, o picker se vogliamo continuare con queste analogie “Americane” (con la A maiuscola), molto bravo, come pure Paolo Ercoli, bravissimo al dobro in vari brani, Rino Garzia al contrabbasso in alcune tracce, e, sparsi nelle diverse canzoni: Roberto Diana alla Weissenborn guitar, Chiara Giacobbe al violino e Joe Barreca al contrabbasso, nella cover di Dylan, Maurizio “Gnola” Glielmo nel pezzo più blues del disco (e non poteva essere diversamente, in virtù anche del fatto che Jimmy Ragazzon Gnola avevano già registrato un disco in coppia nel 2009, l’ottimo Blues, Ballads And Songs, che se non lo avessero già usato sarebbe stato un ottimo titolo anche per questo nuovo album), Isha, tanpura e Franco Rivoira, tabla, nel brano che più profuma di “folk progressivo” e delle band inglesi dei primi anni ’70 (per chi scrive), Stefano Bertolotti titolare della Ultra Sound alle percussioni e, last but not least, l’altro “Mandolin” Riccardo Maccabruni alla fisarmonica e chitarra acustica. Sarà una mia mania, ma mi piace sempre ricordare chi suona in un album, per rispetto del loro lavoro, ma anche perché, a dispetto di chi pensa il contrario, sapere i nomi non è solo didascalico ma anche importante per capire cosa stiamo per ascoltare. Se poi il disco è pure bello, e questo lo è, tanto per chiarirlo subito, tanto di guadagnato.

I testi spesso oscillano tra il personale e l’autobiografico,sia pure velato e volutamente oscuro, il sociale, come in Dirty Dark Hands sull’immigrazione e Evening Rain, sull’emarginazione. Proprio questo brano, il cosiddetto singolo e video dell’album, a conferma dello status internazionale del disco, è stato, prima scelto, e poi premiato, da Classic Rock Uk versione on line, come http://teamrock.com/feature/2016-11-11/rolling-stones-steven-wilson-hotei-more-vote-for-your-track-of-the-week, facendoci esclamare, al sottoscritto, a Asterix e anche a Jimmy SPQI! (Sono Pazzi Questi Inglesi), battendo anche i beneamati Rolling Stones. Tornando ai brani il disco si apre con D Tox Song, e vi assicuro che se non sapessi che sto ascoltando questo disco avrei giurato di avere inserito nel lettore, per errore, un qualche vecchio album degli Old In The Way, dei Country Gazette o dei Dillards, perfetto bluegrass con meravigliosi intrecci sonori tra chitarre acustiche, dobro, mandolino e finissime armonie vocali, con un suono limpido e ben delineato, tutto da godere, testo scuro ma atmosfere musicali solari e avvolgenti, e pure un tocco di armonica che non guasta mai. Old Blues Man (che sia lui?) “E’ solo un vecchio bluesman Che si dimentica gli accordi”, per citare la traduzione presente nel libretto, insieme ai testi originali (senza dimenticare che all’interno sono presenti anche gli autografi di alcuni degli eroi di Jimmy), mentre l’approccio sonoro è sempre simile a quello del brano precedente, magari la voce è più vissuta, meno solare, c’è più di un tocco blues, ma il picking è sempre impeccabile e vorticoso, con il mandolino e il dobro sugli scudi. Poi arriva il prediletto Bob Dylan, con una bellissima canzone che però non è firmata dal buon Zimmerman, ma è un adattamento di un poema di Charles Badger Clark, poeta americano della prima metà del secolo scorso, a cui sono state aggiunte nuove liriche e musiche da Dylan stesso e che appariva su uno dei dischi più brutti del nostro, quel Dylan del 1973, creato dalla casa discografica senza alcun input del vecchio Bob: però nello specifico, la canzone, Spanish Is The Loving Tongue, rimane splendida (per la precisione era uscita anche come B-side di Watching The River Flow), anche in questa versione, con armonica d’ordinanza, Barreca al contrabbasso che segna il ritmo, e un paio di chitarre acustiche a colorare il tutto, più l’intervento struggente del violino di Chiara Giacobbe, che è la classica ciliegina su una torta riuscita alla perfezione.

Torna il country-bluegrass in 24 Weeks, scritta con Rovino, altro fulgido esempio di questo suono rurale che mi ricorda, anche grazie alle belle armonie vocali, un altro grande gruppo come i Seldom Scene, non li avevo ancora citati (ma sicuramente ai tempi rientravano tra gli ascolti del buon Jimmy, spero)! Sold, sta a quel crocevia tra Ry Cooder (la Weissenborn del bravissimo Roberto Diana dei Lowlands), folk e misticismo orientale, in un riuscito intreccio tra esotico e musica occidentale, grazie alla bella melodia gentile della canzone, interpretata con grande intensità da Jimmy, che la estrae con colpo da maestro dalla sua nutrita valigetta (dove riposava tra armoniche, dischi, libri e chissà quali altre misteriose diavolerie). Evening Rain, di cui vedete il video qui sopra, è un altro tripudio di strumenti acustici a corda (e l’immancabile armonica, come la sigaretta di Yanez non può mancare) accarezzati con passione dai vari musicisti impegnati in studio: se è piaciuta agli inglesi, può non piacere a noi? The Cape viene da Dublin Blues, uno dei dischi del “tardo” Guy Clark, ma visto che il musicista texano non ha mai scritto brutte canzoni, è solo meno conosciuta di altre, ma comunque splendida, l’arte del cantautore acustico distillata in 3:23 minuti, tanto basta. Dirty Dark Hands, con un riff acustico ricorrente, è incalzante nella sua denuncia, e al solito si dipana in un crescendo strumentale e vocale (cori alla CSN?) affascinante, poi entra la fisa di Maccabruni e il suono allarga il suo spettro in quello che è il pezzo più lungo del disco. Al nono brano si presenta Maurizio “Gnola” Glielmo e alla fine in Going Down arriva anche il blues, un’altra delle grandi passioni di Jimmy Ragazzon, sia musicalmente che vocalmente, per definizione, il blues non dovrebbe essere allegro, e infatti non lo è (se posso, il lavoro delle chitarre mi ha ricordato i duetti tra Jansch e Renbourn, non credo sia un’offesa) https://www.youtube.com/watch?v=1QkMuBudykM . In A Better Life è la catarsi finale, si soffre ma alla fine da qualche parte ci deve essere una “vita migliore”, per forza!

Disco del giorno! Come dite, oggi ho parlato solo di questo? Appunto!

Bruno Conti

P.s Con i video inclusi mi sono arrangiato con quello c’era in rete, in attesa dei nuovi brani.

E queste, per il momento, sono le date del breve tour:

AZ Blues presenta:
Jimmy Ragazzon and The Rebels
SongBag Tour

09/12 da TRAPANI (PV)
16/12 ALL’ UNA E TRENTACINQUE CIRCA – Cantù (CO)
13/01/17 NIDABA – Milano
16/01/17 TEATRO di RIVANAZZANO (PV)

Da Musicista A Musicista: Questa Volta Jimmy Ragazzon “Incontra” Marcello Milanese – Leave The Time That Finds

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MARCELLO MILANESE – Leaves The Time That Finds (Kitchen Session Vol. 2) – Ultra Sound Records – 2014

Scena Prima:

Brusìo (indistinto, in sottofondo – rumore di bicchieri)

“eh già, Jimmy è amico di Marcello, stessa casa discografica, bevono la Guinness, hanno suonato insieme…ne parlerà per forza bene di sto cd…è la solita storia…”

Scena Seconda:

Notte fonda (silenzio – solo lo sfrigolio della legna nel caminetto)

l’autore seduto davanti ad un vetusto pc – pinta di Guinness posata sulla scrivania, a portata di mano – lampada da tavolo che illumina fievolmente la scena – l’autore inizia a pigiare sulla tastiera, dopo aver agitato il dito medio della mano sinistra verso la notte…

Ci vuole coraggio, tanto coraggio e passione di questi tempi, per fare un album di blues & ballate da solo, praticamente autoprodotto, senza il minimo inutile fronzolo o qualche trovata  furbesca, che strizzi l’occhio alla commercialità.

E Marcello Milanese di coraggio ne ha sempre avuto, misto ad una buona dose di incoscienza, dato che con cadenza quasi annuale, registra e pubblica album, che sono il frutto di un particolare momento, di canzoni scritte di getto e di riletture di brani a lui cari. Il tutto molto rough certo, ma sincero e diretto come il Blues dovrebbe essere quasi sempre. Ci sono periodi in cui non puoi staccare le mani dallo strumento, in cui sei totalmente estraniato da tutto il resto che ti circonda. Suoni, prendi qualche appunto, modifichi un testo, annusi il legno della chitarra, registri sul telefono o sul Geloso a cassette per non scordarti un passaggio, rifai una strofa,  insomma componi musica. Perché la cosa più importante, più urgente e necessaria, è dire quello che senti in quel momento, esprimerti e buttare fuori tutto con i testi e con la musica.

Credo che questo Leaves The Time That Finds sia il frutto di quanto detto, sarcastico fin dal titolo, ma pieno di  umori notturni, riflessioni, sentimento, belle canzoni ed ovviamente anche di puro divertimento.

Costituito principalmente da brani originali e qualche cover non banale, inizia subito con un blues tirato e catramoso come Rumble In The Jungle Town, firmato da Marcello, tra le cose migliori dell’album. Da segnalare poi due belle e personali versioni di Damage Is Done di Zack Wylde lenta e pensosa e con il solo di Marshall Miller (unico ospite dell’album) e della tradizionale Dirty Old Town, come una pagina spersa del Irish Times che galleggia sull’acqua nel delta del Grande Fiume. Long Gone è tra le mie preferite, strumentale ed evocativa, seguita da un brano di Walter Trout che andrebbe ascoltato, tradotto ed insegnato nelle scuole, per la sua triste ma importante attualità. La chiusura è riservata a 2 pezzi di Marcello, tra cui spicca la splendida Hard Times.

Un difetto? A mio parere la rilettura di Jesus On The Mainline, bella ma un poco scontata.

Quindi, come dicevo all’inizio, coraggio, passione ed amore per il Blues e la musica in generale, sono le doti di Marcello Milanese che, in attesa dell’album in studio del trio Milanese Re & Bertolotti, ci consegna un altro piccolo e grezzo pezzo della sua anima…e non è poco.

Jimmy Ragazzon

*NDB Nel Blog avevo recensito un paio di anni fa l’ottimo disco dei Chemako http://discoclub.myblog.it/2012/03/14/americani-di-lombardia-chemako/

Torna “Da Musicista A Musicista”. Jimmy Ragazzon Vs. Little Feat – Electrif Lycanthrope

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LITTLE FEAT – Electrif Lycanthrope – Ultrasonic Studio, New York, 1974 – Smokin’

Hola Amigos, Què Pasa?

E’ passato davvero troppo tempo dal mio ultimo contributo a questo bellissimo e libero blog, che il meritevole Bruno coltiva con amore e tanta, tanta passione. Per cui mi voglio scusare e fare ammenda, segnalandovi un piccolo gioiellino di una delle band a cui sono maggiormente affezionato,  i Little Feat del compianto Lowell George. Con la loro originale ed inconfondibile mistura di R&R, Blues, Folk, New Orleans Funk e Jazz-Rock Fusion, centellinati con cura nel loro suono, sono di certo tra i gruppi maggiormente sottovalutati di sempre. La voce, la slide e le inimitabili canzoni di Lowell, la chitarra di Paul Barrère, le tastiere senza limiti di Bill Payne ed una delle migliori sezioni ritmiche di tutti i tempi, cioè Richie Hayward alla batteria (R.I.P.)  Kenny Gradney al basso e Sam Clayton alle percussioni, sono stati, almeno fino alla prematura scomparsa di Lowell, quanto di meglio si potesse ascoltare, sempre se il vostro approccio alla musica fosse stato scevro da pregiudizi e/o chiusure mentali di qualsiasi tipo.

Little_Feat_-_Electrif_Lycanthrope-front-600x600 Copertina del vecchio bootleg

Tra i miei ricordi musicali più vividi c’è il momento in cui, a bordo di una Fiat 127 blu con un buon impianto stereo, ascoltavamo a manetta Waiting For Columbus appena uscito, posteggiati ai giardini della mia cittadina e spesso sloggiati dalle Gafe (i vigili urbani, in stretto slang vogherese) per il troppo baccano. Con l’aiuto di qualche blando tonificante, fu davvero una esperienza trascendentale ed indimenticabile, proprio per la massima energia, l’indiscutibile perizia tecnica dei musicisti (non dimentichiamoci la sezione fiati della Tower Of Power) e l’ironia, le storie e le battute contenute nei testi del Dottore del R&R. Il cambio di velocità in Tripe Face Boogie ci strappava letteralmente dai sedili, scagliandoci in mondi fantastici, più di qualsiasi additivo chimico-organico, anche di buona qualità…

little feat electrif ultrasonic

Come non ricordare personaggi come Juanita, la piccola tossica sexy, Monte 3 Carte, il camionista impasticcato di Willin’ (capolavoro!), Billy il Guercio e tutti gli altri tipi helzapoppiani, che si ritrovavano allo Spanish Moon, a Sausalito, in Bourbon Street o alla stazione merci di New Delhi…quanta bella roba e che tiro…(imprecazione/omissis)…

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Beh, splendidi ricordi a parte, questo concerto del ’74, registrato piuttosto bene all’Ultrasonic Studio di New York e tramesso dalla WLIR  radio, riguarda il periodo intermedio della formazione suddetta, con brani tratti dai 4 album già realizzati, cioè da Sailing Shoes fino a Feats Don’t Fail Me Now.  Credo che questo sia un documento importante e consigliatissimo, con almeno lo stesso valore dei dischi in studio, e che dimostri (se ce ne fosse bisogno, ma non è questo il caso) la superba forza LIVE di questa band, riportandoci al periodo d’oro della musica rock, alla sua essenza stessa e ad una delle sue migliori espressioni in fatto di collettivo di musicisti.

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Inoltre in questo concerto, nel classico e grandioso medley costituito da Cold, Cold, Cold/Dixie Chicken/Tripe Face Boogie troviamo, solo abbozzati e non sviluppati appieno come in Columbus, certi arrangiamenti un poco arditi e chiaramente ispirati alla Fusion di quel periodo (Miles, Weather Report ecc.). Questa forma musicale derivante dal jazz, fu molto amata da Bill Payne e soci, cosa che creò contrasti interni con Lowell, molto più legato al Blues e al Roots. Vanno anche citate una eccellente versione di Willin’ dalle perfette armonie vocali (ed un piccolo scherzetto) https://www.youtube.com/watch?v=yze10kM1fyI  l’iniziale Rock & Roll Doctor https://www.youtube.com/watch?v=O3Ev0Hht01o , eseguita con un groove degno della migliore Black Music ed una grande versione di On Your Way Down, del Maestro Allen Toussaint https://www.youtube.com/watch?v=PqGatDm-Nqg .

Altri tempi ed altra classe amici, ed uno dei più grandi artisti del R&R a tutto tondo, che ci avrebbe sicuramente regalato altre perle, se solo avesse rallentato un poco. Di Highlanders come Keith ne nascono pochissimi, ma il valore dell’eredità musicale lasciataci da Lowell George è molto importante ed attualissimo.

Quindi mi sembra giusto ricordarlo, condividendo con voi le parole a lui dedicate dai suoi compagni di viaggio e di musica. Parole che ora valgono anche per Richie Hayward, scomparso nel 2010, dopo una lunga lotta contro un male incurabile. Necessitava di un trapianto ma, malgrado il crowdfunding messo in piedi dalla band, altri famosi musicisti ed amici, i soldi non sono arrivati in tempo: e gli USA sarebbero un paese da cui prendere esempio? e la mutua??  la legge Bacchelli???  no comment, fratelli. Meglio lasciarci con questi versi, sinceri e commoventi:

Hey old friend, it’s been such a long time

Since I saw your smilin’ face pressed against my window pane

Though it’s the middle of the night

And we were racin’ the light of the mornin’

All those new thoughts dawnin’

About the wrong and the right

We spent our money so fine

The girls were standing in line

Every other night

Was always the same Paradise without any shame

We’d stay up all night

Tryin’ to find just the right rhymes

And we were fightin’ the good fight

Hangin’ on to the good times

Jimmy Ragazzon

P.S.

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Comunque i Feat sono ancora in forma ed attivi: ogni anno tengono una specie di convention per amici, fans e chiunque voglia partecipare e addirittura suonare con loro in Jamaica, e dove sennò.

Il prossimo anno, il Ramble On The Island, sarà sulla spiaggia di Negril, dal 4 all’8 marzo, con tutte le info nel loro sito:  littlefeat.net…se solo avessi due lirette in più…

Da Musicista a Musicista. Dr. Jimmy Ragazzon “visita” Snakefinger’s History Of The Blues: Live In Europe

snakefinger live in europe

*NDB. Era da un po’ che rompevo le balle a Jimmy Ragazzon dei Mandolin’ Brothers (che in passato aveva peraltro manifestato il suo interesse), per scrivere qualcosa per il Blog, ora che il loro nuovo disco Far Out è uscito, sono tornato alla carica, da “editore”, proponendogli un disco “strano”, proprio tipico di Disco Club, da “carbonari” appassionati di musica, e questo è il risultato. Sperando che ci siano dei seguiti, la parola a Jimmy!

SNAKEFINGER – Snakefinger’s History of the Blues: Live in Europe – Promising Music

Un gran bel disco che evoca in me sia bei ricordi, sia altri meno edificanti. Diciamo solo che ero nel mio periodo Amsterdammed e proprio nel bad retiro olandese mi trovavo, a coltivare i miei pessimi hobbies, quando uscì questo album originariamente per la Rough Trade, nel 1984. Finalmente qualcuno si è ricordato di rimasterizzarlo in cd, aggiungerci diverse preziose outtakes e rimetterlo in circolazione in un piacevole packaging, riproponendo un vero e proprio bigino della storia del Blues, consigliato a tutti http://www.youtube.com/watch?v=3ATANNVpCLg .

snakefinger 1

Il grande ed ingiustamente dimenticato chitarrista inglese, Philip “Snakefinger” Lithman, scomparso nel 1987 in seguito ad un attacco cardiaco, si fece le ossa con l’avanguardia musicale del tempo, The Residents ed i pub rockers Chili Willi & The Red Hot Peppers, ma decise di prendersi una pausa  e tornò al suo primo amore, il Blues, con una band di 8 elementi completa di horn section, che registrò questo album live in giro per l’Europa.

snakefinger residents

Nei primi anni ‘80 Lithman era il chitarrista di riferimento per la cosiddetta musica sperimentale e, oltre a registrare i suoi album, collaborava con The Mutants e l’ex tastierista di Captain Beefheart, Eric Drew Feldman. Ma le sue radici erano proprio nel British Blues, dove militava dai primi anni ’60 e decise di rivisitarle e riproporle, assemblando paradossalmente una band di musicisti californiani di San Francisco, città cult dell’epoca dove si era trasferito nel frattempo e tra cui spiccavano appunto Eric Feldman (qui al basso) e l’ex Stooges, Steve Mackay. Il risultato che venne inciso su vinile fu un’ora di grande traditional Blues, suonato ed interpretato come si dovrebbe fare sempre, con passione e sudore http://www.youtube.com/watch?v=atYJUq-FjOg , che passa da quello acustico di Creeper Blues e You Can’t Get The Stuff No More, allo swing old fashion di You Upsets Me Baby e Natural Ball, alle sfumature jazzy di Stolen Moments http://www.youtube.com/watch?v=TXW9y–Ovec , a quello venato di rock di Crosscut Saw http://www.youtube.com/watch?v=-AVD_1gwgg8  , in un’impeccabile show in cui troviamo anche una splendida versione di 36 22 36 di Bobby Bland, direi perfetta.

snakefinger 3

L’album si apre con una breve ma istruttiva introduzione parlata sulla storia del Blues e su uno dei suoi padri, Furry Lewis, e ripercorre, brano dopo brano, tutta l’evoluzione della musica che è alla radice di tutto il rock & affini che abbiamo ascoltato fino ad ora. Si passa quindi dalle roventi pianure del Mississippi seguendo il percorso della grande migrazione verso il nord, Chicago e Memphis in particolare, attraverso le visioni di Robert Johnson,  la ruvidezza di Tampa Red, l’eleganza di Skip James, il più classico e fondamentale Muddy Waters, fino a Big Joe Turner e ai tre King, seguendo un rigoroso percorso storico-musicale, come solo un profondo, sincero ed appassionato conoscitore può fare. Infatti ogni singolo pezzo viene inquadrato e spiegato brevemente da Mr. Snakefinger, senza per altro nulla  togliere al fluire del concerto e al suo groove. Insomma blues stuff al suo meglio in una attesa e doverosa ristampa, che oltre a far tornare indietro nel tempo con nostalgia e piacere coloro che già la conoscono, può costituire un quanto mai necessario strumento, utile ai più giovani, per scoprire The Real Blues Thing.

 

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E, per chi ne volesse sapere di più sulla tribolata storia del popolo afroamericano e sulla sua cultura, mi permetto di consigliare anche un libro eccezionale (aggettivo in questo caso assolutamente corretto) da abbinare all’ascolto del buon Snakefinger

Isabel wilkerson al calore di soli

 Al Calore di Soli Lontani

Il racconto epico della grande migrazione afroamericana

di Isabel Wilkerson

Il Saggiatore

Please, enjoy the ride…

Jimmy Ragazzon

Il Meglio Del 2013 By Jimmy Ragazzon (Mandolin’ Brothers)…E Qualche News Sul Nuovo Disco!

jimmy ragazzon pensa

Pensa che ti ripensa…ma direi questi…

Jimmy Ragazzon

 

My  Best Of 2013

 band live at the academy 4 cd

The Band: Live at  The Academy Of Music 1971

ry cooder live in san francisco

Ry Cooder & Corridos Famosos: Live In San Francisco

allen toussaint songbook

Allen Toussaint: Songbook

Bob Dylan: Another Self Portrait

los lobos disconnected

Los Lobos: Disconnected In New York City

Allman Brothers Band: Brothers & Sister Reissue

inside-llewyn-davis-original-soundtrack-300

Various Artists: Inside Llewyn Davis

mississippi fred mcdowell

Mississippi Fred McDowell: I Do Not Play No R&R

james cotton cotton mouth

James Cotton: Cotton Mouth Man

mavis staples one true vine

Mavis Staples: One True Vine

duane allman skydog

Duane Allman: Skydog – A  Retrospective

grateful dead sunshine dream front

Grateful Dead: Sunshine Daydream

HUMBLEPIEperformanceCOVER

Humble Pie: Performance Rockin’ The Fillmore

north mississippi allstars world boogie is coming

North Mississippi Allstar: World Boogie Is Coming

 guy davis juba dance

Guy Davis & Fabrizio Poggi: Juba Dance

paolo bonfanti exile

Paolo Bonfanti: Exiled On Backstreets

Concerti: Bob Dylan, Arcimboldi, Milano 2/11/13

                  Greg Trooper, with Alex Valle: da Trapani, Pavia

Libri:

Russel Banks: La Deriva Dei Continenti

Mauro Zambellini: Love And Emotion: Una Storia di Willy Deville

Nick Turse:  Kill Anything That Moves: The Real American War in Vietnam (molto istruttivo)

Perdita  Incolmabile:   JJ Cale

E…come dicono nel loro sito; Coming Soon:

Mandolin Brothers 2014

Sono stato “diffidato” dal dire troppe cose sul nuovo album dei Mandolin’ Brothers Far Out in uscita il 10 gennaio p.v. per la Ultra Sound distribuito da Ird, ma nelle parole dello stesso Jimmy questo è quanto sarà:

Lavorare con Jono (Manson) è stato un vero piacere, sia x le sue indubbie capacità di musicista e  produttore, sia x l’affinità cultural-musicale che ci accomuna. Persona splendida, gentile e puntigliosa, ha avuto la “pazienza” necessaria x sopportare le fisime ed i distinguo di 6 strambe menti pensanti,  ma mettendo paletti e fermezza dove e quando lo  riteneva necessario.
Inoltre con alcuni colpi di genio e qualche trick ha valorizzato tutto il lavoro, del quale siamo molto contenti.
Oltre a noi, partecipano lo stesso Jono, Cindy Cashdollar, John Popper,  Edward Abbiati,  la TPN Horn Section ed altri amici. L’ album, che si intitola “Far Out”  uscirà x  l’etichetta Ultra Sound Record e sarà distribuito dalla IRD. E’ certamente un poco + rock-oriented rispetto a tutti i 4 nostri lavori precedenti, ma questo è il risultato della musica da noi scritta, cioè 13 pezzi originali, senza alcuna cover. Inoltre abbiamo valorizzato le voci a disposizione nella band.

Cosa aggiungere? Comprate, comprate, comprate, salvo quelli che hanno partecipato al Crowd Funding e quindi hanno già ricevuto l’album in anteprima. Ovviamente recensione appena avrò l’OK.

stoned town

Nel frattempo i Mandolin’ Brothers, insieme ai Lowlands e moltissimi altri musicisti della zona del pavese partecipano a Stoned Town, una doppia compilations in CD per festeggiare i 50 anni di carriera dei Rolling Stones (era stato fatto anche con A Day In The Life dedicata ai Beatles). Stasera, come da locandina qui sopra, c’è l’ultima serata di presentazione del disco a Spazio Musica di Pavia.

Per le stranezze della rete, dove tutto si crea e nulla si cancella, se state leggendo questo Post tra due anni nel futuro, tenetene conto solo per il doppio CD, obviously!

Per oggi, that’s all, alla prossima

Bruno Conti

Un Amico Del Blog: Così Disse Jimmy Ragazzon. Stanno Per Tornare I Mandolin’ Brothers!

In America la chiamano Kickstarter Campaign o Crowdfounding, che non è il titolo di una canzone del nuovo album, in Italia potremmo definirla Campagna Raccolta Fondi e visto che i Mandolin’ Brothers sono bravi, belli e giovani (non mi torna qualcosa, ma c’è del giusto in quanto vi dico) contribuisco a spargere il verbo.

Nelle loro parole:

I primi di marzo sono iniziate le registrazione del quarto lavoro in studio dei Mandolin’ Brothers! Si tratta del primo “full lenght” di inediti dopo l’apprezzato Still got dreams. Al loro fianco il cantautore/produttore Jono Manson e ospiti del calibro di John Popper e Cindy Cashdollar! Se vuoi aiutare i Mandolin a realizzare il nuovo disco, puoi ancora farlo! In cambio riceverai l’album a casa, sarai citato sul sito e sul disco e potrai procurarti un bootleg live o altri gadget esclusivi!

Andate qui bc9e1a5b6f7346f0af4136dd56ee65f8, oppure sul loro sito http://www.mandolinbrothersband.com/ e guardate come e cosa fare!

Provo a contattare Jimmy e se ha tempo, voglia e mani di fata, gli chiedo se vuole aggiungere qualcosa, nel frattempo mi raccomando!

Bruno Conti

I Migliori Dischi (E Non Solo) Del 2012. Una Lista Tira L’Altra. The Best Of Del “Mandolino”, Ovvero Jimmy Ragazzon

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“Mumble, Mumble”!

*NDB. In questo periodo dell’anno vado a rompere le scatole anche a musicisti e addetti ai lavori per chiedere se hanno voglia di fare le loro liste del meglio dell’anno, questo è quanto gentilmente mi ha mandato Jimmy Ragazzon dei Mandolin’ Brothers (il mumble mumble sotto la foto l’ho aggiunto io). Sono quelle belle “classifiche” corpose che mi piacciono, anche con i commenti e senza limiti di numero di partecipanti alla festa!

 

My Best Of  2012

Albums:

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Ian Hunter & the Rant Band: When I’m President
a 73 anni è ancora più che mai un Grande del Rock…e che voce, signore e signori!

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Dave Alvin: Eleven Eleven (expanded edition con dvd)
che dire? Semplicemente strepitoso!

*NDB . Questo sarebbe del 2011, ma la versione expanded è uscita nel 2012 (con grande dispiacere dei portafogli di chi già lo aveva comprato l’anno prima). Ma il disco è veramente bello, per cui perdonati sia Dave che Jimmy!

Chris Robinson Brotherhood: The Magic Door
una conferma del talento espresso con Black Crowes ed un sana jam band, con un tocco di psichedelia, che certo non guasta.

Ry Cooder: Election Special
Un album politico e necessario, che non le manda certo a dire. Oltre ai testi, mai cosi diretti ed importanti, ci sono anche belle canzoni.

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Heritage Blues Orchestra: And Still I Rise
Meno male che esistono ancora gruppi come questo, che ripropongono e rinnovano la Tradizione della Musica del Diavolo.



Bob Dylan: Tempest
Mi aspetto sempre il nuovo capolavoro dal Bardo Immortale. Non è questo, purtroppo, ma sempre grande musica e testi alla sua altezza.

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Chris Knight: Little Victories
Con alti e bassi, ma non sbaglia mai un album.

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Michael Kiwanuka: Home Again
Una piacevolissima sorpresa ed una splendida nuova voce.

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Hans Theessink: Delta Time
Nostalgico album di sonorità Cooderiane, sempre benvenute. Suonato e cantato con gran classe, da vecchi marpioni del genere. Ry  finalmente è della partita.

Bonnie Raitt: Slipstream
La Rossa picchia secco, come da tempo non faceva.

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Lowlands & Friends : Better World Coming ” Tribute To Woody Guthrie”
Una band che viene dal basso ma con tanta passione, perizia e sincerità. Di questi tempi non è poco.

*NBD Ci sarebbe un chiaro esempio di conflitto d’interessi, ma in questo non vale il detto, “chi si loda s’imbroda”. Saggezza popolare!

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9 Below Zero: Live At Marquee (remastered edition con dvd) il meglio del Pub Rock-Blues britannico al fulmicotone. Una vera botta di energia.

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Frank Zappa: tutta la discografia rimasterizzata by Universal e a prezzo medio, finalmente!
Suoni mai sentiti e perle musicali quasi dimenticate,  a riconferma del genio assoluto del Maestro.

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Led Zeppelin: Celebration Day
suonate voi così, a quella età, dopo una vita non proprio regolare e con quel groove: fantastici!

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Taj Mahal: Hidden Treasure
Il blues originale di seconda generazione, fatto come si deve.

Band 2012:  The Band Of Heathens
roots-rock di pregevolissima fattura. Grandi canzoni, tre intriganti voci che non
possono non ricordare (con gli obbligati ed ovvii distinguo) la mitica The Band
notevole tecnica strumentale. Se non debordano, promettono piacevolissime sorprese.


Canzone 1:  Ian Hunter “Life”
linea melodica indimenticabile. Piccolo e semplice masterpiece.


Canzone 2 : Michael Kiwanuka “They Say I’m Doing Just Fine”
solo nella de luxe edition. Una canzone volutamente scarna ma armonicamente toccante, che ricorda un poco il Curtis Mayfield più melodico.


Concerto:

Tom Petty, Lucca,  29 giugno 2012
Uno dei meglio concerti mai visti in Italia; ed abbiamo anche fatto una bella figura come pubblico, caldi & preparati, a tal punto da strappargli la promessa di ritornare: meglio di così..

Libri:

Ry Cooder:   Los Angeles Stories   Elliot
Una pregevole ed inaspettata raccolta di piccoli tesori noir, scritta con passione ed amore  per
una città ed un tempo perduti.

Katherine Boo:  Belle Per Sempre    Piemme
più che un romanzo-reportage su uno slum di Mumbay, è un pugno nello stomaco scritto
magistralmente da una giornalista Premio Pulitzer. Da leggere assolutamente, anche per
capire quanto siamo fortunati ed egoisti, in questa parte del mondo. Imperdibile.

Steve Earle:  Non Uscirò Vivo Da Questo Mondo    Mondadori
niente di memorabile, ma l’idea di raccontare la storia del medico che fece l’ultima pera a
Hank Williams e delle inquietanti apparizioni del suo fantasma, è un incipit che non può non
suscitare la curiosità di ogni music lover.

Film:

Rolling Stones: Charlie Is My Darling
mai visti gli Stones, Keith e  Mick in particolare, così veri, rilassati e da vicino. Nel backstage,  con
gli amici, i fans ecc. tra una canzone, una bottiglia, una pasticca ed altro.

Fatto Storico:

Finalmente la Palestina è riconosciuta come Stato Osservatore alle Nazioni Unite: era ora!

In ricordo di:
Ravi Shankar, superbo musicista e filosofo, salito alla destra di Ganesh. OM.

HAPPY  XMAS!

Jimmy Ragazzon

P.S. Come al solito NDB sta per Nota Del Bruno o Blogger, mentre nel finale mi associo per il giusto ricordo di Ravi Shankar, che è morto ieri a San Diego, California, alla rispettabile età di 92 anni. Nei prossimi giorni mi ha promesso il diario del suo tour italiano con i Mandolin’ Brothers. Attendo fiducioso (e magari anche qualche recensione, come promesso)!

Bruno Conti

Una Nuova “Visita” Del Dottor Jimmy! Buddy Guy And Junior Wells – Play The Blues

buddy guy and junior wells play the bluesbuddy guy junior wells inside

*NDB Ormai la rubrica entra nel vivo, siamo alla seconda puntata, il buon Jimmy Ragazzon è lanciato, tra una data e l’altra del suo tour con i Mandolin’ Brothers (e Jono Manson ogni tanto) prosegue la sua collaborazione con il Blog, in attesa di altri capitoli, buona lettura!

BUDDY GUY & JUNIOR WELLS:  PLAY THE BLUES 2 CD Deluxe Edition  Friday Music

Istruzioni Preliminari

-non fate caso alla puzza di zolfo

-pulitevi accuratamente le scarpe sullo zerbino

-controllate il vostro aspetto nello specchio dell’atrio

-accendetevi una sigaretta e versatevi una generosa dose del vostro veleno preferito,

  attingendo liberamente dal ricco mobile bar, posto sotto lo specchio suddetto.

buddy guy junior wells muddy

State per entrare nel palazzo della Royal Family del Blues: non siate timidi, ma solo molto molto rispettosi, perché questi non scherzano. All’inizio vi sentirete un poco sperduti, dato che le stanze sono numerose e vorreste entrare in ognuna di esse per soffermarvi ad ascoltare  tutti i Reali presenti; ma per questa volta accontentatevi dell’ampio e lussuoso piano terra e dei due pischelli (all’epoca) Buddy & Junior: ne rimarrete più che soddisfatti.

Buddy Guy & Eric Clapton

Infatti questo è uno dei più blasonati album di blues elettrico di sempre, voluto fortemente da Eric Clapton, grande estimatore del duo e che vede la partecipazione anche di Dr. John e della sezione ritmica di Derek & The Dominos. Inoltre dopo aver registrato con questa formazione le prime 8 tracce nel ‘70 ai Criteria Studios di Miami, nel ’72 venne coinvolta  anche la J. Geils Band (ascoltatevi il loro grandissimo Live) per registrare altri 2 pezzi e chiudere il progetto, con la supervisione artistica e la produzione di Tom Dowd e del Big Boss dell’Atlantic, Ahmet Ertegun.

buddy guy junior wells 1

Buddy & Junior avevano appena terminato il tour con gli Stones ed erano in splendida forma, fatto dimostrato dalle brillanti versioni di  T-Bone Shuffle, My Baby She Left Me (di Sonny Boy Williamson) e del classico di Otis Redding  A Man of Many Words. Ma tutto l’album è un vero capolavoro che scorre come un fiume in piena con  Bad Bad Whiskey, Messin With The Blues, una non scontata  Sweet Home Chicago (registrata in Mono) il vibrante slow blues Stone Crazy e la mia preferita, cioè Dirty Mother For You (di Memphis Minnie) superbo esempio di come si debba “portare” uno shuffle ed  il cui testo fu originariamente rivisto, per non incappare nelle ire dei  benpensanti. Blues at his best si può tranquillamente affermare, suonato e cantato in maniera ruvida e decisa, senza fronzoli o inutili abbellimenti ed un groove impressionante, con il marchio di fabbrica chitarristico e vocale di Buddy Guy  ed un Junior Wells sempre preciso e mai fuori dalle righe, nel suo inconfondibile stile di armonicista e cantante. Arricchita da 13 inedite bonus tracks e dalle note esplicative di Johnny Winter, questa doppia ristampa è quindi un gioiello imperdibile, per chiunque ami la grande musica: il Blues.

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P.S. Uscite con discrezione, chiudete il ligneo portone, ma non scordatevi di chiedere il pass (ammesso che ve lo diano) perché qui ci torneremo…

Un libro per accompagnare il tutto?

eccolo:

hoochie koochie man libro

Hoochie Coochie Man

La vita e i tempi di Muddy Waters (prefazione di Keith Richards)

Arcana

Jimmy Ragazzon

Non Solo Blues, Appunto Molto “Elastico”! Paolo Bonfanti – Elastic Blues

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Paolo Bonfanti – Elastic Blues – Rust Records CD + Libro

Da quando Paolo Bonfanti, detto il Bonfa, iniziava a muovere i primi passi nell’ambito delle 12 battute, in quel di Genova (anzi Sampierdarena), prima come fan, e poi come membro dei Big Fat Mama di Piero De Luca, è passato qualche annetto. Appena prima, durante e dopo, potrei sbagliare la cronologia, c’era stata la Hot Road Blues Band, in una era in cui non era ancora stato inventato il CD e la musica usciva su vinile, detto LP (al limite anche in cassetta e persino Stereo8) e in Italia c’erano due principali scuole di praticanti del blues, quella di Milano e quella di Roma: della prima faceva parte Fabio Treves, con la sua band, della seconda era capostipite Roberto Ciotti, ma c’era anche qualche deviazionista in Veneto, leggi Guido Toffoletti e Tolo Marton, agli inizi nelle “progressive” Orme, e a Genova, nei primi anni ‘70, c’erano stati i Garybaldi di Niccolò “Bambi” Fossati, noto epigono Hendrixiano, con un wah-wah al posto del cuore. Tutto questo, e moltissimo altro, lo potete leggere nel bellissimo libretto che accompagna questo Elastic Blues (che io ero convinto, pensate, fosse un disco dei Nucleus), dove tra aneddoti e brevi storie Paolo ci ricorda cosa è successo nei ultimi 40 anni della sua vita, anzi non solo nella musica, quindi 60 in totale.

BigFatMama

Inaugurata con gli studi di pianoforte a metà anni ‘70, proseguita più convintamente con la conversione alla chitarra, grazie ad Armando Corsi e Beppe Gambetta, grande virtuoso dell’acustica, ancora in pista oggi, e poi con l’ingresso in quei Big Fat Mama, nati nel 1979, di cui Bonfanti diventerà il chitarrista solista e frontman dal 1985 al 1990. Ovviamente nella penisola italica c’erano anche altri musicisti che suonavano il blues, cito a caso, Rudy Rotta, Fabrizio Poggi, i Mandolin Brothers di Jimmy Ragazzon, Angelo “Leadbelly” Rossi, i Model T. Boogie, dai quali passerà Nick Becattini, Aida Cooper, moglie di Cooper Terry, i Blues Stuff della scuola napoletana, da cui provenivano anche Edoardo Bennato e Pino Daniele, che avevano anche molto blues nelle loro corde: ce ne sarebbero moltissimi altri, ma è meglio se mi fermo, se no diventa un trattato, neppure breve. La carriera da solista di Bonfanti inizia nel 1992, per cui facciamo un Fast Forward verso il futuro e arriviamo al 2015 in cui esce l’ottimo CD dal vivo Back Home Alive, l’ultimo in ambito rock-blues https://discoclub.myblog.it/2015/09/07/la-via-italiana-al-blues-1-paolo-bonfanti-back-home-alive/ , mentre nel 2019 viene pubblicato Pracina Stomp, insieme all’amico Martino Coppo, il secondo in coppia, disco elettroacustico nel quale sono prodotti dal bravissimo Larry Campbell, a lungo collaboratore di Levon Helm, che Dio lo abbia in gloria : in mezzo c’è stato molto altro, ma concentriamoci sui contenuti di Elastic Blues, che è una sorta di “riassunto” delle puntate precedenti, un sequel e un prequel contemporaneamente, con la presenza di molti amici come “ospiti”.

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Un” collega” omonimo di Paolo, le altre foto seguenti nell’articolo sono di Guido Harari.

Come dice la presentazione dell’album, che riporto integralmente

10 mesi di lavoro in piena pandemia, 40 musicisti coinvolti (compreso l’autore), 60 anni, 70 minuti di musica, 80 pagine di libro, 15 brani inediti, 1 cover, una campagna di co-produzione dal basso che ha ampiamente doppiato la cifra inizialmente richiesta; la prefazione di Guido Harari e molto altro per questo “Elastic Blues” che non è solo musica ma anche un libro di memorie, riflessioni, introduzione ai pezzi e traduzione dei testi, impreziosito dalle immagini e dalla grafica di Ivano A. Antonazzo.

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Vediamo i 16 brani del disco del mancino chitarrista genovese: si parte “stranamente” con il prog-rock misto a trip psichedelico di ALT!, che non è un ordine della pattuglia che ti controlla per vedere se sei in giro in violazione del lockdown, ma è tedesco che sta per “vecchio” in contrapposizione a Neu: quasi otto minuti di uno strumentale che miscela Grateful Dead e King Crimson (magari anche i Nucleus che citavo prima, con alla chitarra l’ottimo Chris Spedding), sezione ritmica ufficiale dell’album Alessandro Pelle, batteria e Nicola Bruno, basso, con l’aiuto di Yo-Yo Mundi assortiti, tra chitarre elettriche stranianti ed assolo di basso spinto di Andrea Cavalieri. D’altronde al 21st Century ci siamo arrivati, e quindi il progressive buono si ascolta sempre volentieri, specie se va a questi ritmi vorticosi. E anche The Noise Of Nothing, un duetto tra chitarra acustica e fisarmonica di un altro fedelissimo come Roberto Bongianino (che però suona come un organo, ricorda Paolo nelle ricche note del CD) forse col blues, non c’entra molto, ma mi ha ricordato certe sperimentazioni gentili di Richard Thompson con John Kirkpatrick, più spinte verso “l’altro”.

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E un po’ di jazz non ce lo vogliamo mettere? Magari il Jazz-rock di Haze, l’unica cover del CD, un brano di Bobby & The Midnites, una strana formazione che univa Bob Weir dei Dead, Bobby Cochran, quindi doppia chitarra, con Billy Cobham alla batteria e Alphonso Johnson al basso, più Brent Mydland anche lui dei Dead alle tastiere, sulla carta fantastici, i dischi, a mio parere, molto meno riusciti, anche se questo brano, registrato con la band anni ‘90 di Paolo, approda verso un robusto funky jazz-rock che ha anche qualche parentela di elezione con il sound dei Little Feat, e poi, a furia di tirare l’elastico della musica, si approda alla canzone d’amore In Love With The Girl, solo voce, chitarra acustica, un insinuante violino e la bella voce di Bonfanti, che poi mischia nuovamente le carte in Unnecessary Activies, dove suonano in metà di mille (facciamo una quindicina di musicisti, giro AnanasnnA, più Lucio Fabbri al violino) per un funky-jazz-rock che mi ha ricordato certe cose di James “Blood” Ulmer, segue una giravolta di 360° e arriva la pedal steel di John Egenes per Heartache By Heartache, una outtake di Pracina Stomp, una delicata ballata che profuma di country. Poi si ritorna al rock quasi da power trio, con seconda solista aggiunta nella potente Don’t Complain con la chitarra di Gabriele Marenco, come direbbero gli americani “all over the place” per un assolo cattivo il giusto, con wah-wah fumante. E non manca neppure la canzone in dialetto genovese, una Fin De Zugno ispirata dai moti anti Tambroni del 1960 contro un governo che voleva inserire i fascisti nel governo (la Meloni ce lo ha risparmiato), solo voce, chitarra acustica e un quartetto d’archi gli Alter Echo String Quartet, per un brano molto alla De André  .

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Già, ma il Blues? Ci sta, ci sta! In We’re Still Around, brano dal titolo quantomai esplicativo, tornano i Big Fat Mama, con tanto di duello con doppia chitarra, nel caso Maurizio Renda, per un pezzo che profuma di rock sudista, di quello buono. A O Canto, sarebbe On The Corner in genovese, sarà mica un disco di un certo Miles Davis? Mi sa di sì, doppia batteria, fiati in evidenza, Aldo De Scalzi, altro genovese doc (fratello di Vittorio dei New Trolls) ad un piano elettrico che tanto ci ricorda Chick Corea scomparso di recente, con la chitarra di Paolo molto “lavorata”, e visto il titolo del disco ci metto anche il sound di quei Nucleus ricordati prima. Hypnosis, per due chitarre acustiche, azzardo, potrebbe essere dalle parti del primo John Martyn, quello che non aveva ancora scoperto l’Echoplex, per quanto qualche effettuccio in questo brano malinconico c’è; in I Can’t Find Myself, canzone di Paolo del 2004, che ci suona tutti gli strumenti, esclusa l’armonica, affidata a Fabio Treves, che non poteva mancare alla festa per i 60 anni, in questo shuffle classico, tra Chicago e Texas, ma anche qualche tocco di British Blues o della Butterfield Blues Band.. Ottimo anche l’omaggio al Gumbo, il New Orleans Sound gemellato con quello genovese e napoletano in Sciorbì/Sciuscià, fiati a go-go dei Lambrettas (ma non facevano ska? Ah no quelli inglesi) e la fisarmonica di Roberto Bongianino, per un brano che fa muovere i piedi.

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La title track, per quelli che parlano bene, va verso territori dove il blues si fa futuribile, ma anche retrò (in senso positivo), tra fisarmonica e la seconda chitarra di Matteo Carbonicini che divaga con quella di Paolo in questo complesso pezzo strumentale. Per Where Do We Go https://www.youtube.com/watch?v=0WDJWqylWpc  Bonfanti nelle note del libretto parla di Van Morricrosby (questa prima o poi me la rigioco), in quanto l’ispirazione era quella di ricreare atmosfere tra Van Morrison, David Crosby e Ennio Morricone, e mi pare ci sia riuscito, anche se sapete che Van The Man parte avvantaggiato, perché da giovane ha ingoiato un microfono e quindi quella voce non è replicabile, ma il risultato finale è eccellente. Finito? Quasi, come insegnava Mastro Jimi ci vorrebbe un bel Slight Return, applicato a Unnecessary Activies, virato, vista la forte presenza di fiati, alla musica di Hendrix ripresa da Gil Evans nel suo celebre omaggio. Tutto molto bello, magari tra 60 anni uscirà il secondo capitolo, per ora se può interessare lo potete comperare sul suo sito, oppure qui https://paolobonfanti.bandcamp.com/album/elastic-blues. Ne vale assolutamente la pena.

Bruno Conti

P.s Ora attendiamo We’ll Talk About It Later (questa la capiranno in pochi, è il titolo del secondo disco dei Nucleus).