Bravo, Ma Basta? Kip Moore – Wild World

kip moore wild world

Kip Moore – Wild World – MCA Nashvile/Spinefarm Records/UMG

Kip Moore viene da Tifton, Georgia, ma da anni vive a Nashville, dove è diventato un campione di certo country “alternativo”, influenzato da heartland rock, southern e anche molto mainstream o Arena rock come viene chiamato (Bon Jovi, Kid Rock e simili) , visto che il suono ogni tanto vira diciamo sul commerciale. Wild World è il suo quarto album, ma ha pubblicato anche una decina tra singoli ed EP, con il precedente Slowheart ha coniugato successo di vendite, entrando nella Top 10 delle classifiche, e critiche più che lusinghiere, almeno negli Usa. Anche esteriormente fonde l’aspetto del countryman con il rocker urbano da giacca di pelle, fascetta, cappellino, un po’ da Springsteen o Mellencamp de “noantri”, con canzoni che oscillano tra l’impegno sociale e politico e le odi all’amore romantico e alle vicende della vita quotidiana, complessivamente il risultato è piacevole e ben bilanciato: il disco è co-prodotto con David Garcia, Luke Dick e Blair Daly, che suonano anche un po’ di tutto nell’album e firmano con Kip alcuni brani, insieme ad almeno una dozzina di altri co-autori, tutti del lato più disimpegnato del country della capitale del Tennessee (tra Contemporary Christian e gente come Carrie Underwood e Florida Georgia Line), non disprezzabile però a tratti influenzato dall’industria discografica locale.

Moore ha comunque una bella voce, profonda, risonante ed espressiva, appunto tra il nuovo country e il rock di buona fattura, prendiamo il brano di apertura, Janie Blue, dopo un incipit a base di chitarre acustiche arpeggiate, Kip rilascia una interpretazione onesta e sentita di questa intensa ballata, sottolineata da una sezione ritmica discreta ma presente; quando i ritmi si alzano e il suono si fa più muscolare come in Southpaw, si vira verso un country-southern più riffato e radiofonico non esecrabile per quanto non memorabile.

Fire And Flame è piacevole ma si comincia ad andare verso un sound con batterie martellanti e melodie orecchiabili, tipo gli ultimi U2 per intenderci, mentre la title track Wild World è un altro discreto mid-tempo , tra chitarre elettriche e tastiere non invasive; Red White Blue Jean American Dream sta tra il country targato Nashville e derive tipo lo Springsteen o il Mellencamp più innocui https://www.youtube.com/watch?v=-n__Pn4_tqE . Anche She’s Mine ricorda il Coguaro dei primi anni ‘80, quello che non aveva ancora deciso se voleva essere un epigono di Springtsteen, Dylan, degli Stones e Woody Guthrie o un rocker da FM, sia pure il tutto trasportato ai giorni nostri; Hey Old Lover dimostra una volta di più che il nostro amico sa scrivere canzoni con il cosiddetto “gancio”, ma poi le declina in un modo a tratti un po’ banalotto https://www.youtube.com/watch?v=ip3JjHNOe28  e anche Grow On You è della categoria che se la ascolti su qualche decapottabile lanciata sulle highways americane fa un figurone, con chitarre spiegate a tutto riff, ma alla fine non convince del tutto, per quanto si ascolti con piacere https://www.youtube.com/watch?v=LXaQfQb-65Y .

Quando il suono si fa più intimista, tipo in More Than Enough, si va dalle parti del Boss di Tunnel Of Love, e anche l’introspettiva, ma ben arrangiata, tra chitarre elettriche ed acustiche ridondanti, Sweet Virginia ha un suo fascino e conferma che a Kip Moore il talento di scrivere belle canzoni non manca. South, fin dal titolo ricorda il tardo southern rock degli anni ‘80, quello di 38 Special, Atlanta Rhythm Section e compagni, belle chitarre, grinta, ben cantato, ma forse non rimane molto, però se lo scopo, rispettabile, è di vendere e farsi sentire alla radio, direi missione conclusa, e pure la ruffiana Crazy For You Tonight è della stessa parrocchia, intendiamoci se confrontato con quello che circola oggi nel mainstream rock siamo di fronte ad un mezzo capolavoro, anche se forse mi aspettavo di più.

La conclusiva Payin’ Hard è l’eccezione che conferma la regola, come per l’iniziale Janie Blue si tratta di un brano più intimo e raccolto che illustra il lato migliore e più onesto della musica di Kip Moore.

Bruno Conti

Il Ritorno Dei Vecchi Sudisti 2: I Fratelloni Rocca(va)no Di Brutto! Van Zant – Red, White & Blue (Live)

van zant red white and blue live

Van Zant – Red, White & Blue (Live) – Loud And Proud CD

Era inevitabile che prima o poi le strade di Johnny e Donnie Van Zant (rispettivamente frontmen dei riformati Lynyrd Skynyrd dopo la morte del terzo fratello Ronnie e di mezza band nel famoso incidente aereo, e dei .38 Special) si sarebbero incrociate. Infatti i due, quando gli impegni delle rispettive band glielo hanno permesso, ne hanno sempre approfittato per trovarsi e registrare album in duo: la prima volta nel 1985 (quindi prima che gli Skynyrd si riformassero), poi con due altri lavori nel 1998 e 2001 ed infine, in maniera più convinta, nel 2005 e 2007 con Get Right With The Man e My Kind Of Country, due dischi nei quali i due recuperavano la musica country delle loro radici, ma, dato che non sono certo dei mollaccioni, le canzoni proposte dal duo erano toste, vigorose e strettamente imparentate con quel southern rock che li ha sempre visti protagonisti: i due album erano anche un omaggio diretto a Ronnie, che avrebbe sempre voluto fare un disco country. Questo Red, White & Blue (Live) documenta un concerto registrato a supporto del primo dei due dischi, nel gennaio del 2006 a Valdosta, Georgia, e non è uno dei soliti broadcast radiofonici semi-ufficiali, ma un vero e proprio live album proveniente dagli archivi privati dei due fratelli.

Ed il CD, quattordici canzoni, risulta una piacevolissima parentesi della loro storia: Johnny e Donnie sono sempre stati due animali da palcoscenico, e qui danno il meglio grazie ad una buona serie di canzoni, qualche classico delle rispettive band principali, ed un suono tosto e decisamente sudista, merito di una band che comprende ben tre chitarre (Eric Lundgren, Steve Cirkvencic e Matt Hauer), una sezione ritmica poderosa (Gary Hensley, basso, e Noah Hungerford, batteria), oltre a Bobby Capps alle tastiere e Mark Muller alla steel e violino. E Red, White & Blue è anche l’occasione per risentire la voce di Donnie, che ha dovuto in anni recenti abbandonare i .38 Special ed il mondo della musica in generale per problemi irreversibili ai nervi dell’orecchio. L’album Get Right With The Man fa la parte del leone, con ben nove brani presenti, tra cui Takin’ Up Space, che apre la serata in perfetto mood sudista, un brano roccato e potente ma nello stesso tempo immediatamente fruibile, con ottimi spunti chitarristici ed i due fratelli che si scambiano il microfono con disinvoltura; Ain’t Nobody Tell Me What To Do è una tipica ballatona sudista da cantare col pubblico, alla quale la steel e l’organo donano colore, mentre la robusta Sweet Mama è un rock’n’roll molto trascinante (e molto poco country in questa veste live), il classico brano che rifatto on stage fa saltare tutti.

La fluida Things I Miss The Most calma un po’ gli animi, ma si riparte subito con la vigorosa I Know My History, un southern rock puro con la steel che cerca di stemperare la tensione elettrica, e con la coinvolgente Help Somebody, una rock ballad corale che è anche il maggior successo del duo come singolo. In mezzo ai brani tratti dal disco del 2005 (tra le quali meritano un cenno anche le trascinanti Plain Jane e I’m Doin’ Alright, pura foga rocknrollistica in salsa southern) c’è lo spazio anche per Wild Eyed Southern Boys, un vecchio pezzo dei .38 Special qui eseguito per la prima volta con la collaborazione di Johnny. Dopo la patriottica, e un po’ annacquata, Red, White & Blue (tratta da un disco minore degli Skynyrd di Johnny, Vicious Cycle), gran finale scoppiettante con l’energica My Kinda Country, anteprima dal nuovo album dei due che sarebbe uscito un anno e mezzo dopo, e due classici degli Skynyrd periodo Ronnie, cioè Call Me The Breeze (di J.J. Cale ma da sempre un highlight degli show del gruppo, e qui è suonata in maniera davvero irresistibile) e l’immancabile Sweet Home Alabama, una grande canzone comunque la si faccia (e qui è fatta bene). Se amate i Lynyrd Skynyrd ed il southern rock in generale, e anche se non avete mai vibrato troppo per i .38 Special, questo live dei Van Zant può tranquillamente trovare posto nella vostra discoteca.

Marco Verdi