Pare Ci Abbiano Preso Gusto! Ace Of Cups – Sing Your Dreams

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Ace Of Cups – Sing Your Dreams – High Moon Records

La strana storia delle Ace Of Cups è stata raccontata più volte, in breve, gruppo tutto al femminile, una rarità all’epoca, che si forma nel pieno della Summer Of Love del 1967, con lo stesso manager dei Quicksilver Ron Polte, che cercò di fargli avere un contratto discografico, senza riuscirci, cadendo nell’oblio. Poi all’inizio della scorsa decade, in occasione di un concerto per i 75 anni di Wavy Gravy (di cui tra un attimo), il quintetto (Denise Kaufman, chitarra ritmica, Mary Gannon, basso, Marla Hunt, organo, Diane Vitalich, batteria, Mary Simpson, chitarra solista, e tutte e cinque al canto) si riunisce e il manager della piccola label High Moon decide di metterle sotto contratto per registrare un album, nel 2016 entrano in sala di registrazione, senza la Hunt, e registrano materiale sufficiente per pubblicare non uno, ma due album. Il primo, l’omonimo Ace Of Cups è uscito nel 2018, con ottime e meritate recensioni https://discoclub.myblog.it/2019/05/02/bellissimo-album-desordio-con-50-anni-di-ritardo-per-queste-quattro-arzille-carampane-ace-of-cups-ace-of-cups/ , il secondo, questo Sing Your Dreams, rinviato per le note vicende della pandemia, esce ora, sempre registrato in diversi studi californiani e con la produzione di Dan Shea, che suona anche tastiere, chitarre elettriche e diversi altri strumenti.

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C’è la solita quota massiccia di ospiti presenti nel CD, uno in particolare, fan della band da diversi lustri, che appare nei due brani conclusivi, anzi un medley di due pezzi, stiamo parlando di Jackson Browne. E partiamo proprio da questo medley: la prima parte Slowest River è cantata proprio da lui, che duetta con Denise Kaufman, una delle classiche ballate con la sua voce inconfondibile, accompagnato dal piano di Jason Crosby (collaboratore di Jono Manson), un brano avvolgente dalle affascinanti armonie vocali, saranno anche “diversamente giovani”, ma cantano comunque alla grande https://www.youtube.com/watch?v=J8NwvmtZBuc , nella seconda canzone Made For Love sono raggiunte da altre due vecchie glorie della West Coast come Bob Weir e David Freiberg, per un altro brano corale con delizioso assolo di slide di Mary Simpson https://www.youtube.com/watch?v=lyysX0tOwMs . Tornando all’inizio la apertura è affidata alla vibrante Dressed In Black, un brano che oscilla tra psych-rock e atmosfere alla Mamas And Papas, con ottimo lavoro della solista slide di Steve Kimock https://www.youtube.com/watch?v=G0Pd4Me_s3A ; in Jai Ma vengono raggiunte da Bakithi Kumalo, il bassista presente in Graceland di Paul Simon, e il brano ha quello spirito musicale solare e coinvolgente, con il basso fretless adagiato su un tappeto di percussioni suonate dalla famiglia Escovedo, guidata da Sheila E https://www.youtube.com/watch?v=s2E8LpjhnDA .

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Put A Woman In Charge, che forse anticipa l’arrivo di Kamala Harris, è una canzone di Beth Nielsen Chapman e Keb’ Mo’, trasformata in un trascinante R&R dove le nostre amiche dimostrano di avere ancora una grinta notevole, sembrano quasi le Heart. mentre la voce solista è quella di Dallis Craft, membro onorario delle AOC per l’occasione, con la Simpson sempre impegnatissima alla chitarra  https://www.youtube.com/watch?v=agQTELGzsyo; Sister Ruth, firmata dalla Kaufman che è la vocalist principale, e suona pure l’armonica, vede la presenza di Jack Casady al basso, Crosby al piano ed una melodia che è pura West Coast, con armonie alla CSN&Y https://www.youtube.com/watch?v=PUClfK_O_0U .

Wavy Gravy photographed at The Seva Benefit at The Sweetwater Music Hall in Mill Valley, CA May 15, 2016 Credit: Jay Blakesberg

Wavy Gravy photographed at The Seva Benefit at The Sweetwater Music Hall in Mill Valley, CA May 15, 2016
Credit: Jay Blakesberg

Basic Human Need è un brano misticheggiante, scritto e cantato da Wavy Gravy, vecchio leggendario hippie, famoso per essere stata la voce degli annunci nelle varie edizioni di Woodstock. C’è anche una sorta di vaudeville, la scanzonata I’m On Your Side, scritta da Mary Gannon, che la canta, supportata dal clarinetto di Sheldon Brown; la musica si anima nella successiva “light psych” Gemini e poi in Boy, What’ll You Do Then, un altro buon pezzo rock, sempre cantata dalla Kaufman di nuovo all’armonica, e Liitle White Lies cantata dalla batterista Diane Vitalich è un ulteriore esempio dello stile coinvolgente della band con Michael Manning alla solista e piacevoli retrogusti garage-soul, mentre Walter Street Blues, interpretata a due voci da Vitalich e Gannon, e Kaufman alla armonica, è un tuffo nelle 12 battute elettriche, come degli Hot Tuna al femminile. Spazio infine per la chitarrista Mary Simpson in Lucky Stars, con un riff e un lavoro della solista che rimanda ai Dire Straits https://www.youtube.com/watch?v=1wc2aNHADV4 , se avessero scelto di vivere in California, solite belle armonie vocali e e lo spirito rock tipico della band, magari non memorabile, ma molto godibile, come peraltro tutto l’album.

Bruno Conti

Bellissimo Album D’Esordio (Con 50 Anni Di Ritardo) Per Queste Quattro Arzille “Carampane”! Ace Of Cups – Ace Of Cups

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Ace Of Cups – Ace Of Cups – High Moon 2CD

Questo disco in realtà è uscito a Novembre 2018, ma, un po’ per colpa mia che l’ho scoperto in ritardo, un po’ per il fatto che ho rimandato la recensione, ne parlo soltanto oggi, anche perché merita davvero e non mi sembrava giusto bypassarlo. La storia delle Ace Of Cups, gruppo tutto al femminile originario di San Francisco, è più simile ad una favola a lieto fine. Formatesi nel 1967, quindi in piena Summer Of Love, le AOC avevano subito fatto parlare di loro un po’ per il fatto che all’epoca non si vedeva tutti i giorni una band formata solo da ragazze, ma soprattutto per la loro bravura on stage, al punto che un certo Jimi Hendrix le notò e le volle come opening act per aprire un suo concerto al Golden Gate Park. Il quintetto (Denise Kaufman, chitarra ritmica, Mary Gannon, basso, Marla Hunt, organo, Diane Vitalich, batteria, Mary Simpson, chitarra solista, e tutte e cinque al canto) venne poi preso in consegna da Ron Polte, ex manager tra gli altri dei Quicksilver Messenger Service, che iniziò a guardarsi intorno per cercare loro un contratto discografico, ma ricevette solo offerte a suo giudizio non adeguate. Nel frattempo gli anni passavano, e le nostre si limitavano a tenere dei concerti e ad incidere qualche demo di canzoni scritte da loro, ma nel frattempo si erano sposate ed avevano fatto figli.

Il periodo del Flower Power passò, ed un disco delle Ace Of Cups diventava sempre meno probabile, anche perché pubblicare un album significava dover andare in tour, e ciò non era possibile per cinque madri di famiglia. Così la band si sciolse e divenne una sorta di leggenda metropolitana, ma le ragazze (che uscirono dal mondo della musica) si tennero in contatto fino ai giorni nostri: la svolta avvenne quando il boss della label indipendente High Noon le vide esibirsi nel 2011 al concerto per i 75 anni di Wavy Gravy, e ne fu così colpito che le mise sotto contratto per registrare finalmente quel disco di debutto che avrebbero dovuto fare negli anni sessanta (nel 2003 la Ace aveva fatto uscire It’s Bad For You But Buy It!, una collezione di demo e brani dal vivo delle AOC incisi in gioventù, un disco che passò quasi inosservato). Il resto è storia recente: nel 2016 le ormai non più ragazze (ridotte a quartetto, la Hunt ha preferito non partecipare alla reunion) si sono ritrovate in studio con circa cento canzoni, tra brani scritti nei sixties, pezzi abbozzati e da finire sul momento e brani nuovi, e hanno registrato non uno ma ben due album doppi (il secondo dovrebbe uscire nel corso del 2019) sotto la guida del produttore Dan Shea, uno con un curriculum a mio parere non proprio immacolato (Mariah Carey, Jennifer Lopez, Celine Dion), ma che qui ha fatto un lavoro egregio.

Ed Ace Of Cups si rivela essere un disco splendido, sorprendente e per nulla nostalgico: le quattro amiche non sono ex musiciste stanche che vogliono rivivere il bel tempo che fu, ma quattro tostissime rockers che hanno ancora una grinta ed una voglia di spaccare il mondo invidiabile. Non è facile trovare un doppio album bello dalla prima all’ultima canzone, ma devo dire che questo lavoro omonimo delle AOC è la classica eccezione: canzoni belle, intense, cantate con voci giovanili e suonate con grande forza; è chiaro che c’è più di un accenno agli anni sessanta (la maggior parte dei brani risale a quell’epoca), ma il disco non è affatto monotematico in quanto offre una stimolante miscela di rock, folk, country, blues ed anche un tocco di psichedelia e garage rock. Dulcis in fundo, abbiamo una serie impressionante di ospiti di altissimo livello, che elevano ancora di più un disco già bello di suo. La divisione degli strumenti è quella del gruppo originale, con la differenza che la Gannon qui si limita a cantare e battere le mani, ed il basso lo suona la Kaufman. Se pensate a quattro tranquille signore vi basti ascoltare l’iniziale Feel Good, una rock song potente ed elettrica, dal drumming secco e un riff di chitarra bello tosto, ma con una melodia decisamente accattivante ed un ritornello di presa immediata: abbiamo anche i primi ospiti, nientemeno che Jack Casady (ex Jefferson Airplane e Hot Tuna) al basso ed il grande organista Pete Sears.

Pretty Boy ha elementi pop, quasi beat (ma il suono è indubbiamente attuale), un brano diretto che paga tributo alle band inglesi, dai Beatles in giù; l’intro di organo di Fantasy 1&4 è decisamente sixties, ed il pezzo stesso è una deliziosa e fresca pop song che non dimostra affatto 50 anni, mentre Circles è puro rock’n’roll, ritmato, coinvolgente e cantato con grinta, che aggiunge anche un assolo torcibudella da parte di Barry Melton, ex Country Joe & The Fish (anzi, The Fish era proprio lui). We Can’t Go Back Again è una suadente ballata sostenuta da un bellissimo refrain e da un suono molto classico, da vera rock band, ed un bel assolo di organo da parte di Sears, preludio a uno degli highlights del doppio, cioè The Well, una canzone scritta dalle quattro ragazze insieme ma affidata alla voce solista di Bob Weir (che suona anche le chitarre), ed il pezzo è un coinvolgente brano di pura Americana con tanto di banjo e strumentazione roots (e qui all’organo c’è il leggendario Melvin Seals, quindi due ex compagni di Jerry Garcia in un colpo solo). Taste Of One è uno scintillante folk-rock con splendido assolo di slide della Simpson ed ancora reminiscenze pop (tipo la prima Marianne Faithfull), mentre Mama’s Love è a sorpresa un blues tosto, grintoso e perfettamente credibile, impreziosito da due mostri sacri come Charlie Musselwhite all’armonica e Jorma Kaukonen alla lead guitar. Ritroviamo Jorma anche nella classica rock ballad Simplicity (con un inizio un po’ alla Stairway To Heaven), che parte lenta ma dal secondo minuto in poi aumenta di ritmo, fino ad uno strepitoso duello chitarristico tra Kaukonen e la Simpson; il primo CD si chiude con la sognante Feel It In The Air, altro slow di stampo rock con un motivo di prima scelta.

Il secondo dischetto parte con Stones, un sanguigno e gagliardo rock’n’roll che dimostra ancora che nonostante l’età le “ragazze” hanno grinta da vendere, al punto da sembrare una garage band under 30. Life In Your Hands vede alla voce solista addirittura Taj Mahal, per un blues lento di stampo rurale, eseguito quasi a cappella (c’è solo un basso e qualche percussione) e con le voci delle AOC a dare il tocco gospel. Il medley Macushla/Thielina è una suggestiva folk song dal sapore irlandese, con tanto di uilleann pipes e whistle (ed anche un coro di bambini di cui avrei fatto a meno), As The Rain è scritta e cantata dall’attore Peter Coyote, che mostra di avere una voce perfetta per il brano, una splendida ballata tra folk, country ed Irlanda, tra le migliori del CD. Dopo un breve interludio per voci e banjo intitolato Daydreamin’ e cantato ancora da Mahal, abbiamo On The Road, strepitosa country song cantata a più voci e dalla melodia coinvolgente, l’ottimo rock-blues elettrico Pepper In The Pot, con la voce principale di Buffy Sainte-Marie e la chitarra solista di Steve Kimock, e la lenta e distesa Indian Summer, ancora con strumentazione roots ed una leggera orchestrazione alle spalle. Chiusura con Grandma’s Hands, altro godibile e ritmato pezzo tra blues e gospel, il medley The Hermit/The Flame Still Burns/Gold & Green/Living In The Country, suggestivo esempio di vintage rock di gran classe, con una deliziosa atmosfera sixties ed un intermezzo di musica indiana (e in The Hermit c’è anche la voce di David Freiberg, ex Quicksilver e Jefferson Starship), per finire con la breve e corale Music, eseguita a cappella.

Mi dispiace non poter tornare indietro nel tempo e poter riscrivere le classifiche del 2018, dato che questo “esordio” delle Ace Of Cups avrebbe occupato posizioni molto alte: sarà per il secondo volume, che spero arrivi a breve.

Marco Verdi