Ottimo Rock Sudista Con Forti Venature Country, In Europa Esce Il 18 Ottobre. Whiskey Myers – Whiskey Myers

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Whiskey Myers – Whiskey Myers – Wiggy Thump/Spinefarm/Universal

Sono in sei, a seconda delle biografie il nucleo iniziale della band, formato da Cody Cannon, Cody Tate e John Jeffers viene della piccola cittadina di Elkhart, Texas, ma secondo altre bio nascono a Palestine, prima si facevano chiamare Lucky Southern, nome presto cambiato in Whiskey Myers: barbe e capelli lunghi, ma non per tutti, idem per i cappelloni tipicamente sudisti, sono in pista con questa denominazione dal 2007, il primo album è del 2008, ma il successo e la “fama” sono arrivati con i tre successivi, gli ottimi Firewater, Early Morning Shales e Mud, gli ultimi due entrambi prodotti da Dave Cobb https://discoclub.myblog.it/2014/02/18/vero-southern-rock-whiskey-myers-early-morning-shakes/ . Per l’occasione di questo quinto omonimo disco hanno deciso di fare in proprio e si sono ritirati per una ventina di giorni al Sonic Ranch Studio di El Paso, dove autoproducendosi hanno registrato le 14 nuove canzoni , firmate da loro stessi, ma con aiuti qui e là, tra gli altri, da parte di Ray Wylie Hubbard, Adam Hood e Brent Cobb. Nel frattempo, nel 2018, hanno partecipato anche a quattro episodi della serie televisiva di Kevin Costner Yellowstone,cosa che ha fatto sì che tutti i loro quattro album siano arrivati nella Top 10 delle classifiche country di iTunes https://www.youtube.com/watch?v=fVKIe9hodr4 . Quindi, per chi non li conoscesse, fanno country?

Non proprio, o non solo, direi che sono tra i migliori rappresentanti del nuovo southern rock, insieme ai più “raffinati” (si fa per dire) Blackberry Smoke. Non a caso il loro brano più celebre, e forse migliore, si chiama Ballad Of A Southern Man https://www.youtube.com/watch?v=Gj7Zft8aiRc , un pezzo che ha più di un rimando a Simple Man dei Lynryrd Skynyrd, ma tra le altre influenze, citate più volte, a fianco di Hank Williams Jr. e Waylorn Jennings,  ci sono anche Led Zeppelin e Allman Brothers, e probabilmente Neil Young, visto che negli encore dei loro infuocati concerti spesso suonano una gagliarda Rockin’ In The Free World. La formula è quella classica: due chitarre, Jeffers, con maggiori tocchi blues e Tate, più duro, dal 2016 anche la doppia batteria, e un buon bassista come Jamey Gleaves, arrivato nel 2017. L’iniziale Die Rockin’, composta dal bravissimo cantante Cody Cannon, dalla voce roca e vissuta,  con l’aiuto di Hubbard, è un tipico esempio del loro stile, un brano rabbioso a tutto riff, dove le chitarre sono taglienti, il ritmo è incalzante, c’è anche qualche elemento gospel  con le voci delle McCrary Sisters, e nel finale le soliste portano a casa il risultato; Mona Lisa del solo Cannon è sempre gagliarda anziché no, molto boogie e poco country, sempre con la chitarra pronte a scattare, anche in modalità slide, insomma si, per ora si fanno pochi prigionieri.

Ma  se serve Jeffers passa alla lap steel, viene aggiunto qualche tocco di chitarra acustica, anche una armonica che porta ricordi dylaniani, e le influenze country della bellissima Rolling Stone, scritta con Adam Hood, sono servite https://www.youtube.com/watch?v=r3uD7OSJkgA , a seguire, di nuovo con bottleneck insinuante e ritmi feroci,  arriva la strana e cadenzata Bitch, scritta da Jeffers che imperversa con la sua chitarra. Gasoline, nuovamente del solo Cannon, ha ancora un suono decisamente duro e dai timbri quasi hard rock, anche se sembra più scontata, però l’assolo di wah-wah è cattivo il giusto, mentre, nella giusta alternanza, Bury My Bones, scritta da Jeffers con il countryman dell’Oklahoma  TJ McFarland è una bella e malinconica hard Ballad alla Lynyrd Skynyrd sul tema “Casa dolce casa”, con uso mandolino e steel https://www.youtube.com/watch?v=ZScyBxjpnzQ . Poi c’è la bluesata e distorta Glitter And Gold del ritmo scandito, Houston Country Boy che sembra un brano uscito da qualche album country-rock dell’era dorata anni ‘70, tutto pedal steel e belle armonie vocali.

Sempre nell’ambito dei brani più raffinati e rifiniti anche l’eccellente mid-tempo della deliziosa Little More Money, cantata con autorevolezza da Cannon, ben sostenuto dalle McCrary e dal lavoro di raccordo delle chitarre e molto bella anche California To Caroline, dall’incedere elegante, Kentucky Gold, più vibrante e tipicamente sudista, ancora con le McCray che ci mettono del loro. Running, scritta con Brent Cobb,  è un altro piccolo gioiellino elettroacustico, lasciando al blues-rock con armonica di Hammer ed alla dolce ed insinuante ballata Bad Weather, un pezzo quasi alla Eagles del primo periodo, avvolgente e squisita nel suo dipanarsi, con grande crescendo chitarristico finale, il compito di chiudere in gloria un album che si lascia soprattutto apprezzare per la varietà dei temi musicali affrontati.

Bruno Conti

Una (Bella) Via Di Mezzo Tra Country E Soul. Adam Hood – Somewhere In Between

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Adam Hood – Somewhere In Between – Southern Songs CD

Adam Hood è un musicista nativo dell’Alabama attivo dai primi anni del secolo, ed è uno che se l’è sempre presa comoda, uscendo con un nuovo disco solo quando si sentiva veramente pronto: solo quattro album (ed un paio di EP) dal 2002 al 2014. Da buon uomo del sud, Adam è uno che bada al sodo, non incide tanto per farlo, magari ci mette un po’ di più del normale ma non vuole lasciare nulla al caso: Welcome To The Big World aveva ottenuto critiche lusinghiere (ed anche al sottoscritto era piaciuto da subito), ma con Somewhere In Between, il suo nuovissimo lavoro, Hood sale ulteriormente di livello. La sua musica è classificata come country, ma il termine nel suo caso è quanto mai riduttivo, in quanto nel suo sound troviamo decise tracce di southern soul, sia per l’accompagnamento classico basato sul suono caldo di chitarre ed organo, sia per la sua voce ricca di sfumature. D’altronde venendo dall’Alabama ed amando la vera musica non si può fare a meno di venire influenzati dal suono di quella terra.

Prodotto da Oran Thornton, Somewhere In Between contiene undici scintillanti esempi di puro country-soul, musica americana in maniera totale, canzoni che evidenziano l’ottima capacità di scrittura del nostro, suonate con estrema finezza da un gruppo di sessionmen coi fiocchi, tra i quali spicca il noto chitarrista Pat McLaughlin, già titolare di una carriera in proprio come musicista e songwriter e collaboratore, tra i tanti, di Rosanne Cash, John Prine, Cowboy Jack Clement e Neil Diamond. Le canzoni sono arrangiate con semplicità, due o tre chitarre al massimo, la sezione ritmica sempre presente, e l’organo a tessere sullo sfondo: il resto lo fa Adam con la sua bravura interpretativa. L’album inizia splendidamente con Heart Of A Queen, una fulgida e rilassata ballata giusto a metà tra il country classico ed il suono bucolico di The Band (sicuramente il gruppo di Robbie Robertson è una delle influenze principali del nostro), con una melodia dal pathos notevole e la bella voce del leader in primo piano. She Don’t Love Me è più ritmata ed elettrica, ma il timbro vocale di Hood ha sempre un approccio molto soulful, e qui si alterna con il tono più nasale dell’ospite Brent Cobb, altra bella canzone che il contrasto tra le due ugole migliora ulteriormente; la limpida Alabama Moon è tutta giocata su un gustoso intreccio di chitarre elettriche ed acustiche, un organo caldo ed un deciso sapore country got soul anni settanta (qualcuno ha detto Johnny Rivers?).

Molto bella anche Downturn, altra ballata dal passo lento, un country crepuscolare da ascoltare al tramonto, mentre con The Weekend il disco si sposta su territori decisamente rock-soul, un pezzo cadenzato ed annerito che il nostro conduce in porto con grande sicurezza, ed il suono è sudista al 100%; Bayou Girl è country come si farebbe in Louisiana, chitarra e dobro sugli scudi ed atmosfera decisamente laidback, in contrapposizione con la solare ed ariosa Easy Way, puro country-rock, che sarebbe già godibile di suo ma la voce soulful di Hood porta su un livello superiore. Locomotive è una pimpante rock’n’roll song, orecchiabile e diretta, che mostra la disarmante facilità di Adam nel proporre canzoni semplici ma di impatto immediato; Keeping Me Here aumenta il mood elettrico, l’attacco è quasi alla Tom Petty, ed il brano è ottimo da sentire sulle highways americane: tra i più riusciti del lotto. Il CD volge al termine, ma c’è ancora tempo per la tenue ed evocativa Real Small Town, senza dubbio la più country di tutte, e per la folkeggiante Confederate Rose, chiusura intima con accompagnamento della band decisamente sul versante rock.

Probabilmente Adam Hood non assaporerà mai il successo di pubblico, ma questo non gli impedirà di certo di continuare a fare musica con il cuore e con l’anima.

Marco Verdi