Una Grande Serata Di Vero Country In Quel Di Austin! Outlaw: Celebrating The Music Of Waylon Jennings

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Outlaw: Celebrating The Music Of Waylon Jennings – Legacy/Sony CD/DVD

Splendido tributo alla musica di Waylon Jennings, uno dei più importanti musicisti country di tutti i tempi, vera leggenda in Texas, ed esponente di punta insieme a Willie Nelson del cosiddetto movimento “Outlaw Country”, che negli anni settanta si contrapponeva al country più commerciale che veniva prodotto a Nashville. Il concerto si è tenuto quasi due anni fa, il 6 Luglio del 2015, al Moody Theatre di Austin, ed è stata una grande serata, nella quale si sono dati appuntamento una lunga serie di amici e discepoli di Waylon (più i secondi dei primi, purtroppo molti sono da tempo in cielo a far compagnia a Jennings) per suonare alcuni tra i brani più noti del grande texano, la cui influenza si è fatta sentire di più dopo la scomparsa (avvenuta nel 2002 in seguito a complicazioni dovute ad una grave forma di diabete, ma conseguenza di una vita nella quale il nostro non si era fatto mancare niente) che nel periodo di attività, complice una discografia non sempre all’altezza, specie negli anni ottanta. Ora la Legacy pubblica finalmente il resoconto di quella serata, in versione CD con DVD allegato, in modo da far godere anche noi delle performances dedicate a Waylon, un concerto nel quale gli invitati hanno dato veramente il meglio di loro stessi, sia i fuoriclasse (e ce n’erano parecchi), sia quelli che a prima vista poco c’entravano con il barbuto countryman texano; in tutti i brani, poi, troviamo la solita house band da sogno che non manca mai in queste occasioni: Don Was al basso, produzione e direzione musicale (ed ultimamente il riccioluto Don non se ne perde uno di questi tributi), Buddy Miller e Patrick Buchanan alle chitarre, Matt Rollings alle tastiere, l’ottimo Robby Turner alla steel guitar, Mickey Raphael all’armonica (da sempre nella band di Willie Nelson), ben due batteristi (Raymond Weber e Richie Albright) e tre coristi.

Il DVD rispetto al CD contiene due brani in più (curiosamente entrambi con protagonista Sturgill Simpson, che quindi nella parte audio non compare – NDM: la presente recensione è fatta sul CD, sorry Sturgill…) più varie interviste agli ospiti che parlano chiaramente di Waylon; da segnalare purtroppo l’assenza di Billy Joe Shaver, che si può spiegare forse solo con il suo precario stato di salute, anche se è una mancanza che pesa non poco. La serata inizia alla grande con una delle performances migliori, grazie all’ottimo Chris Stapleton che propone una versione mossa e tonica, decisamente rock’n’roll, di Ain’t Living Long Like This, il brano di Rodney Crowell che Waylon fece suo nell’ormai lontano 1979, un avvio potente e trascinante, con ottimi interventi di piano e steel; il figlio di Waylon, Shooter Jennings, non si fa contaminare da sonorità strane come spesso fa ultimamente nei suoi dischi, anzi riesce anche a toccare le corde giuste con Whistlers And Jugglers, uno slow classico e con la giusta dose di pathos (splendido Rollings al piano, e strepitoso il finale chitarristico, molto southern), mentre la riunione di famiglia continua con la moglie di Waylon, e madre di Shooter, Jessi Colter, che emoziona con la sua Mona (se siete veneti non fraintendete quest’ultima frase per favore), solo voce e piano ma tanto feeling.

Sale sul palco la prima leggenda vivente della serata: Bobby Bare è un contemporaneo di Waylon, ed uno dei grandi del country, e la sua Only Daddy That’ll Walk The Line è piena di ritmo e grinta nonostante l’età avanzata del nostro; la voce limpida di Lee Ann Womack affronta molto bene la melodica Ride Me Down Easy (proprio di Shaver) e, in duetto con Buddy Miller, la cristallina Yours Love, ed anche il bravissimo Jamey Johnson strappa applausi a scena aperta con Freedom To Stay, country ballad classica cantata con il cuore in mano. La brava Kacey Musgraves sembra ferma agli anni sessanta, sia come stile che come look, e con The Wurlitzer Prize mantiene entrambi i piedi ben saldi in quel periodo, mentre Robert Earl Keen è uno dei migliori texani della generazione successiva a quella di Waylon, ma questa sera la sua rilettura di Are You Sure Hank Done It This Way ha qualcosa che non va, troppo elettrica e rock, quasi monolitica, molto meglio l’arrangiamento originale; Kris Kristofferson non ha certo bisogno di presentazioni, è uno dei grandissimi e non solo della musica country, uno che potrebbe cantare qualsiasi cosa: stasera sceglie I Do Believe, uno slow dall’accompagnamento leggero e con al centro la voce vissuta di Kris che, inutile dirlo, la fa diventare quasi una sua canzone. Strepitoso Ryan Bingham con Rainy Day Woman, in un arrangiamento grintoso e rock ma rispettoso della struttura country dell’originale, un brano che la voce ruvida di Ryan affronta senza problemi (e la steel di Turner è monumentale); sale sul palco Alison Krauss per due pezzi, la dolcissima Dreaming My Dreams With You (splendida la voce della bionda cantante e violinista) e, con Jamey Johnson, una mossa, ritmata e coinvolgente I Ain’t The One, dal deciso sapore sudista.

Toby Keith ed Eric Church non sono certo tra i miei countrymen preferiti, ma stasera non deludono, anzi convincono con due riletture serie e sentite di Honky Tonk Heroes e Lonesome, On’ry And Mean rispettivamente. E’ la volta del grande Willie Nelson, che sale sul palco e non scenderà più fino alla fine: Willie non è più quello di qualche anno fa, canta a fatica, in alcuni momenti sembra perfino a corto di fiato, ma ovviamente non poteva mancare, e comunque sopperisce con la sua presenza magnetica ed il suo immenso carisma (e poi chitarristicamente è ancora un portento); inizia da solo con la nota ‘Til I Gain Control Again, ancora di Crowell, e, in duetto rispettivamente con Keith e Stapleton, le mitiche Mammas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys e My Heroes Have Always Been Cowboys, entrambe splendide, tra gli highlights dello show. Finale da urlo con la meravigliosa Highwayman, con Willie e Kris che fanno loro stessi, Shooter al posto del padre e Johnson in luogo di Johnny Cash, e poi tutti sul palco per la celebrazione finale con Luckenback, Texas, una delle canzoni-manifesto di Waylon. Un ottimo tributo: era ora che a tredici anni dalla sua scomparsa qualcuno si decidesse ad omaggiare Waylon Jennings in maniera adeguata.

Marco Verdi

Un’Altra Grande Serata Per Una Grande Cantante! VV.AA. – The Life And Songs Of Emmylou Harris

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 VV.AA. – The Life And Songs Of Emmylou Harris – Rounder CD – CD/DVD

Se Loretta Lynn è giustamente considerata la regina del country classico (ed il fatto che sia ancora tra noi ed attiva è una piacevolissima combinazione), è altrettanto vero che Emmylou Harris può aspirare allo stesso titolo per quanto riguarda il country contemporaneo. Nel corso di una carriera ormai più che quarantennale, la cantante dai capelli d’argento (adesso, una volta erano nerissimi) non ha mai sbagliato un solo disco, sostenuta sempre da una voce formidabile, una classe immensa, un gusto raro per la scelta delle canzoni da interpretare (solo ultimamente si è messa a scrivere di suo pugno con una certa continuità) e dei musicisti e produttori con i quali lavorare. Con l’età ha poi ampliato lo spettro interpretativo, e, più o meno a partire dal magnifico Wrecking Ball (1995), è diventata una musicista a 360 gradi, non necessariamente solo country, anche se il country è comunque sempre la base di partenza. Era dunque d’uopo omaggiare la Harris in maniera consona, e questo The Life And Songs Of Emmylou Harris è la testimonianza di una splendida serata a lei dedicata, un concerto ricco di ospiti tenutosi il 10 Gennaio del 2015, più o meno a quarant’anni dal suo esordio su major Pieces Of The Sky, evento tenuto alla Dar Constitution Hall di Washington.

Un CD, 19 canzoni (qualcunaa in più nel DVD, ma la versione audio è più che sufficiente *NDB Non sono d’accordo, visto che il DVD ha ben otto brani in più, vedi sotto e tutti piuttosto interessanti, tra cui una versione bellissima di Pancho & Lefty, con Steve Earle, Lee Ann Womack e Herb Pedersen) che testimonia uno show decisamente bello ed emozionante, nel quale un parterre di ospiti eccezionale ha omaggiato Emmylou attraverso canzoni sue o comunque da lei cantate nel corso degli anni, con la partecipazione qua e là della stessa Harris (a mio parere forse un tantino troppo centellinata) ed una house band davvero da sogno: Buddy Miller ed Audrey Freed alle chitarre, Don Was (più attivo che mai ultimamente) al basso e direzione musicale, Sam Bush al mandolino e banjo, Sara Watkins al violino e voce, l’ottimo Matt Rollings al pianoforte, Fred Eltringham alla batteria e, dulcis in fundo, il formidabile steel guitarist Greg Leisz, uno dei grandi protagonisti della serata.Il concerto ha inizio con Buddy Miller che interpreta al meglio One Of These Days: voce perfettamente country, bel suono pieno e fluido per una bella canzone che apre la serata nel modo migliore; poi è subito tempo di superclassici con la signature song della Carter Family, Will The Circle Be Unbroken, riletta molto bene da Mavis Staples, voce tonante e grande forza interpretativa, in una versione più blues che gospel. Chris Hillman e Herb Pedersen si cimentano con Wheels (Flying Burrito Brothers), due grandi voci ed una grande canzone, il risultato non può che essere eccellente (anche perché la house band suona da Dio, con una nota di merito per la steel di Leisz).

Orphan Girl è una splendida ballata di Gillian Welch, e vede la brava Holly Williams (nipote di Hank) interpretarla insieme a Chris Coleman con la giusta dose di feeling, mentre Steve Earle rilegge da par suo Sin City, altro grande successo dei Burritos (non dimentichiamo che la figura di Gram Parsons è stata fondamentale per Emmylou ad inizio carriera), puro country e grande suono, con Steve che ritorna allo stile dei suoi esordi. Hickory Wind è forse la più bella canzone che Parsons portò in dote ai Byrds per il capolavoro Sweetheart Of The Rodeo, e vorrei che quella sera non l’avessero affidata a Lucinda Williams, anzi avrei proprio voluto che la bionda cantautrice se ne fosse rimasta a casa sua (*NDB De gustibus), anche se obiettivamente qui fa meno danni del solito; meno male che c’è Rodney Crowell a rimettere le cose a posto, anche se stranamente non sceglie un brano suo ma uno di George Jones, You’re Still On My Mind, ma la classe non è acqua e la canzone, uno scintillante honky-tonk, è tra i più riusciti della serata. Born To Run non è il classico di Springsteen, bensì un brano scritto per Emmylou da Paul Kennerley, e la brava Lee Ann Womack la fa sua con piglio da vera country-rocker, mentre la toccante ballad degli O’Kanes When We’re Gone, Long Gone vede finalmente salire sul palco la festeggiata (insieme a John Starling dei Seldom Scene), e la temperatura sale di conseguenza, e di parecchio. Emmylou rimane e viene raggiunta da Daniel Lanois, che interpreta con lei Blackhawk, una sua composizione tratta da Wrecking Ball (da lui prodotto), un brano intensissimo e con la chiara impronta del musicista canadese (e che voce la Harris, ma questo non lo scopriamo certo oggi).

All The Roadrunning è una splendida canzone dal sapore irlandese scritta da Mark Knoplfler per l’omonimo album in duo che l’ex Dire Straits aveva registrato con Emmylou: Mary Chapin Carpenter e Vince Gill sono bravissimi, ma io avrei preferito nettamente avere i due interpreti originali (e secondo me Knopfler andava assolutamente coinvolto). Il vulcanico Conor Oberst, con le backing vocals di Shawn Colvin e Patty Griffin, propone la bella The Pearl, tratta da Red Dirt Girl, una bella canzone, densa e vibrante, che dimostra che anche la Harris songwriter sa il fatto suo, mentre Martina McBride ci delizia con una fresca rilettura di When I Stop Dreaming dei Louvin Brothers, e la Griffin fa lo stesso con Prayer In Open D, altro pezzo scritto da Emmylou, ripresa in una versione acustica e purissima. Torna Vince Gill per due brani, il classico honky-tonk di Buck Owens Together Again, ancora con un grande Leisz, e, insieme a Sheryl Crow, una trascinante e roccata Two More Bottles Of Wine di Delbert McClinton, davvero splendida. Kris Kristofferson è un’altra leggenda vivente, e come apre bocca fa venire giù il teatro, e poi Loving Her Was Easier è una delle sue ballate più belle; la serata sta per chiudersi, il tempo del pezzo più noto di Crowell, Till I Gain Control Again, interpretato alla grandissima dalla splendida Alison Krauss, in una versione per piano, voce e poco altro, veramente toccante, e per il gran finale con Emmylou Harris e tutti gli ospiti insieme per la più famosa tra le canzoni da lei composte, quella Boulder To Birmingham che da sempre occupa un posto speciale nei suoi concerti.

Una bellissima serata ed un CD imperdibile, anche se personalmente avrei preferito una presenza maggiore da parte della padrona di casa, un po’ come ha fatto Joan Baez nel suo recente concerto per i 75 anni.

Marco Verdi

*NDB

[CD]
1. One Of These Days (Buddy Miller)
2. Will The Circle Be Unbroken (Mavis Staples)
3. Wheels (Chris Hillman & Herb Pedersen)
4. Orphan Girl (Holly Williams & Chris Coleman)
5. Sin City (Steve Earle)
6. Hickory Wind (Lucinda Williams)
7. You’re Still On My Mind (Rodney Crowell)
8. Born To Run (Lee Ann Womack)
9. When We’re Gone, Long Gone (John Starling & Emmylou Harris)
10. Blackhawk (Daniel Lanois & Emmylou Harris)
11. All The Roadrunning (Mary Chapin Carpenter & Vince Gill)
12. The Pearl (Conor Oberst, Shawn Colvin & Patty Griffin)
13. When I Stop Dreaming (Martina McBride)
14. Prayer In Open D (Patty Griffin)
15. Together Again (Vince Gill)
16. Two More Bottles of Wine (Sheryl Crow & Vince Gill)
17. Loving Her Was Easier (Kris Kristofferson)
18. Till I Gain Control Again (Alison Krauss)
19. Boulder To Birmingham (Emmylou Harris)

[DVD/Blu-ray]
1. One Of These Days (Buddy Miller)
2. Will The Circle Be Unbroken (Mavis Staples)
3. The Darkest Hour Is Just Before Dawn (Sara Watkins)
4. Red Dirt Girl (Shawn Colvin)
5. Michelangelo (The Milk Carton Kids)
6. Wheels (Chris Hillman & Herb Pedersen)
7. Orphan Girl (Holly Williams & Chris Coleman)
8. Sin City (Steve Earle)
9. Bluebird Wine (Trampled By Turtles)
10. Hickory Wind (Lucinda Williams)
11. You’re Still On My Mind (Rodney Crowell)
12. Born To Run (Lee Ann Womack)
13. When We’re Gone, Long Gone (John Starling & Emmylou Harris)
14. Blackhawk (Daniel Lanois & Emmylou Harris)
15. Wrecking Ball (Iron & Wine & Daniel Lanois)
16. Leaving Louisiana In The Broad Daylight (Shovels & Rope)
17. All The Roadrunning (Mary Chapin Carpenter & Vince Gill)
18. The Pearl (Conor Oberst, Shawn Colvin & Patty Griffin)
19. When I Stop Dreaming (Martina McBride)
20. Prayer In Open D (Patty Griffin)
21. Pancho And Lefty (Steve Earle, Lee Ann Womack & Herb Pendersen)
22. Together Again (Vince Gill)
23. Two More Bottles of Wine (Sheryl Crow & Vince Gill)
24. Loving Her Was Easier (Kris Kristofferson)
25. Till I Gain Control Again (Alison Krauss)
26. Cash On The Barrelhead (Alison Krauss)
27. Boulder To Birmingham (Emmylou Harris)

Recuperi Di Fine Stagione: Un Altro Album Di Duetti, Molto Meglio Del Primo! John Prine – For Better, Or Worse

john prine for better, or worse

John Prine – For Better, Or Worse – Oh Boy CD

Sono sempre stato un grande estimatore di John Prine, uno dei più brillanti cantautori americani degli ultimi quaranta anni che, ad inizio carriera, ha pagato oltremisura il fatto di essere stato inserito dai media nella categoria dei “nuovi Dylan”, una specie di bacio della morte per gli artisti in questione (penso ad Elliott Murphy, Steve Forbert o Dirk Hamilton *NDB Anche Sammy Walker, che forse era quello che assomigliava di più al vecchio Bob) al quale l’unico ad essere sopravvissuto alla grande (nel senso di aver avuto successo di pubblico e commerciale) è stato Bruce Springsteen. Prine ha comunque sempre proseguito per la sua strada, costruendosi un bello zoccolo duro di fans, con il sue stile pacato ma profondamente ironico, e la sua capacità di scrivere grande canzoni con pochi accordi, attingendo al suo background folk e country. Ma John non è mai stato considerato un country artist vero e proprio, i suoi dischi andavano oltre le categorizzazioni (The Missing Years del 1991, uno dei suoi lavori più belli in assoluto, era invero abbastanza rock): il primo disco totalmente country John lo ha pubblicato nel 1999, In Spite Of Ourselves, un album nel quale collaborava con una serie di colleghe ed amiche, nella più pura tradizione dei duetti country tra uomo e donna (ed i brani erano tutte covers di classici). In Spite Of Ourselves era un buon disco, ma a mio parere non un grande disco: mancava la scintilla, la zampata, ed i duetti erano più o meno proposti in maniera scolastica e senza guizzi particolari, rendendo l’album un esercizio alla lunga abbastanza sterile.

A distanza di diciassette anni Prine decide di dare un seguito a quel disco, ma For Better, Or Worse è tutta un’altra cosa: c’è più passione, più convinzione, ed anche più feeling, e le alchimie fra John e le sue partners funzionano alla grande, facendo di questo album uno dei migliori country records dell’anno (e ve lo dice uno che non ama alla follia i dischi di duetti). Prine è in buona forma, la voce è diventata più fragile, un po’ per l’età ma anche per i seri problemi di salute che ha avuto (pare superati al meglio), ma la differenza la fanno proprio le performances delle cantanti invitate a far parte del progetto, tra l’altro in numero maggiore rispetto al precedente episodio (undici contro nove, e con solo due di loro in comune nei due dischi: Iris DeMent e la moglie Fiona Prine). Di nuovo il repertorio è costituito da covers (l’ultimo album di Prine con canzoni nuove risale ormai al 2005, il peraltro bellissimo Fair & Square), e John è assistito alla produzione dal veterano Jim Rooney, e con un’ottima band, che comprende tra gli altri il fedele (a John) chitarrista Jason Wilber, il noto steel guitarist Al Perkins e l’ottimo pianista Pete Wasner, un gruppo con un suono molto classico e discreto, senza interventi sopra le righe, anche perché giustamente le protagoniste del disco sono le voci di John e delle sue colleghe.

Il CD si apre con Who’s Gonna Take The Garbage Out, in origine un duetto tra Ernest Tubb e Loretta Lynn, proprio con la DeMent ospite (perché non proprio la Lynn invece? Dopotutto è ancora viva ed in ottima forma), una country song pimpante e fresca, con un bel contrasto tra la voce limpida di Iris e quella segnata dal tempo di John. Storms Never Last è un brano di Jessi Colter la cui versione originale era proposta con il marito Waylon Jennings: qui c’è Lee Ann Womack, ed il pezzo, una western ballad coi fiocchi, è riletta in maniera molto pacata dal duo. La tenue Falling In Love Again (Don Williams) vede la brava Alison Krauss al microfono, che impreziosisce la dolcissima melodia con il suo timbro cristallino; Color Of The Blues, di George Jones, è il capolavoro del disco, uno scintillante honky-tonk con una splendida Susan Tedeschi, che si adatta invero in maniera straordinaria ad un genere che non è il suo, al punto che mi viene da chiedermi come sarebbe tutto un disco country da parte sua. La brava Holly Williams si alterna con John nella frizzante e godibile I’m Tellin’ You, uno swing d’altri tempi che originariamente era cantato da sua nonna, Audrey Williams, moglie del grande Hank. Remember Me (Scott Wiseman) vede l’intervento di Kathy Mattea, una delle voci più belle tra quelle coinvolte nel progetto, per un brano malinconico e molto cantautorale, ma dal pathos notevole, mentre Look At Us, con Morgane Stapleton (moglie di Chris), è un honky-tonk che più classico non si può, anche se forse è il pezzo più recente tra quelli presenti, essendo parte del songbook di Vince Gill.

Dim Lights, Thick Smoke And Loud, Loud Music, pezzo che ha avuto decine di versioni, da Flatt & Scruggs a Dwight Yoakam (qui c’è Amanda Shires, l’attuale signora Isbell) , è ancora gustosa e swingata, una delle più mosse del CD, e molto bella è anche Fifteen Years Ago (Conway Twitty), ancora con la Womack protagonista. Cold Cold Heart è la canzone più famosa tra quelle presenti, essendo uno dei superclassici di Hank Williams, e John la interpreta in maniera rigorosa in compagnia di Miranda Lambert; anche Dreaming My Dreams è molto nota, una ballata tra le più belle di Waylon Jennings, con ancora la brava Kathy Mattea ad alternarsi con Prine. Kacey Musgraves è una delle country-rockers più dinamiche tra le emergenti del panorama attuale, e la vivace Mental Cruelty, di Buck Owens, è perfetta per lei, mentre Mr. & Mrs. Used To Be, ancora di Tubb & Lynn ed ancora con Iris DeMent, è un altro country tune terso e profondamente melodico, con un eccellente Wasner al piano. Il CD si conclude con la fluida My Happiness (Jim Reeves), nella quale John è raggiunto dalla moglie Fiona (che non è una cantante professionista ma se la cava egregiamente), e con Just Waitin’, un pezzo tra i meno noti di Hank Williams, che vede John chiudere in solitudine, con un talkin’ ironico che sembra più un brano suo che un classico del grande Hank.

Se In Spite Of Ourselves non vi aveva convinto del tutto, fate vostro senza problemi questo For Better, Or Worse, è tutta un’altra cosa. Adesso però mi piacerebbe rivedere John Prine alle prese con un album composto interamente da lui.

Marco Verdi

Una Grande Serata Per Chiudere Il Cerchio! Nitty Gritty Dirt Band & Friends – Circlin’ Back

nitty gritty dirt band circlin' back

Nitty Gritty Dirt Band & Friends – Circlin’ Back: Celebrating 50 Years – NGDB/Warner CD – DVD

Oggi si parla molto poco della Nitty Gritty Dirt Band, e ci si dimentica spesso che nei primi anni settanta fu una delle band fondamentali del movimento country-rock californiano in voga all’epoca, che vedeva Byrds e Flying Burrito Brothers come esponenti di punta. Formatisi nel 1966 a Long Beach (e con un giovanissimo Jackson Browne nel gruppo, con il quale purtroppo non esistono testimonianze discografiche), la NGDB stentò parecchio durante i primi anni, trovando poi quasi per caso un inatteso successo con la loro versione del classico di Jerry Jeff Walker Mr. Bojangles (ancora oggi il loro brano più popolare), tratto dall’ottimo Uncle Charlie And His Dog Teddy. Ma, bei dischi a parte (All The Good Times ed il doppio Stars & Stripes Forever sono due eccellenti album del periodo), la loro leggenda iniziò quando nel 1972 uscì Will The Circle Be Unbroken, un triplo LP magnifico, nel quale il gruppo rivisitava brani della tradizione country con un suono più acustico che elettrico e come ospiti vere e proprie leggende come Mother Maybelle Carter, Merle Travis, Roy Acuff, Earl Scruggs, Jimmy Martin e Doc Watson, e che anticipava quella riscoperta della musica e delle sonorità dei pionieri che oggi è molto diffusa, ma all’epoca era quasi rivoluzionaria: un disco che, senza esagerare, potrebbe essere definito da isola deserta, e che negli anni ha avuto due seguiti (1989 e 2002), entrambi splendidi ed a mio giudizio imperdibili, ma che non ebbero l’impatto del primo volume.

Dalla seconda metà degli anni settanta la carriera del gruppo prese una china discendente (fino al 1982 si accorciarono pure il nome, ribattezzandosi The Dirt Band), per poi ridecollare nella seconda parte degli ottanta, in coincidenza con la rinascita del country, con ottimi album di successo come Hold On e Workin’ Band. Negli ultimi 25 anni la loro produzione si è alquanto diradata, anche se sempre contraddistinta da una qualità alta, portando però il gruppo a non essere più, per usare un eufemismo, sotto i riflettori: lo scorso anno però i nostri hanno deciso di riprendersi la scena festeggiando i 50 anni di carriera con un bellissimo concerto, il 14 Settembre, al mitico Ryman Auditorium (che sta a Nashville come la Royal Albert Hall sta a Londra), preludio ad una lunga tournée celebrativa in corso ancora oggi. Circlin’ Back è il risultato di tale concerto, un bellissimo CD dal vivo (esiste anche la versone con Dvd aggiunto) nel quale la NGDB riprende alcune tra le pagine più celebri della sua storia, con l’aiuto di una bella serie di amici e colleghi. I nostri avevano già celebrato i 25 anni nel 1991 con l’eccellente Live Two Five, che però vedeva sul palco solo i membri del gruppo, ma con questo nuovo CD siamo decisamente ad un livello superiore.

Il nucleo storico dalla band è rappresentato da Jeff Hanna e Jimmy Fadden, ed è completato da John McEuen, vera mente musicale del gruppo e comunque con loro dal 1967 al 1986 e poi di nuovo dal 2001 ad oggi, e da Bob Carpenter, membro fisso dai primi anni ottanta (mentre l’altro dei compagni “storici” Jimmy Ibbotson, fuori dal 2004, è presente in qualità di ospite), con nomi illustri a completare la house band quali Byron House al basso, Sam Bush al mandolino e violino e Jerry Douglas al dobro e steel, i quali contribuiscono a dare un suono decisamente “roots” alle canzoni. La serata si apre con una vivace versione di You Ain’t Goin’ Nowhere di Bob Dylan, più veloce sia di quella di Bob che dei Byrds, con assoli a ripetizione di mandolino, dobro, violino e quant’altro, una costante per tutta la serata: ottima partenza, band subito in palla e pubblico subito caldo. Il primo ospite, e che ospite, è John Prine, con la mossa e divertente Grandpa Was A Carpenter (era sul secondo volume di Will The Circle Be Unbroken) e la splendida Paradise, una delle sue più belle canzoni di sempre: John sarà anche invecchiato male, ma la voce c’è ancora (a dispetto di qualche scricchiolio) e la classe pure. My Walkin’ Shoes, un classico di Jimmy Martin, è il primo brano tratto dal Will The Circle del 1972, ed è uno scintillante bluegrass dal ritmo forsennato, un bell’assolo di armonica da parte di Fadden e McEuen strepitoso al banjo; sale poi sul palco Vince Gill, che ci allieta insieme ai “ragazzi” con la famosissima Tennessee Stud (Jimmy Driftwood), nella quale ci fa sentire la sua abilità chitarristica, dopo aver citato Doc Watson come fonte di ispirazione, e la fa seguire da Nine Pound Hammer, di Merle Travis, altro bluegrass nel quale duetta vocalmente con Bush, e tutti suonano con classe sopraffina, con il pubblico che inizia a divertirsi sul serio.

Buy For Me The Rain è una gentile e tersa country ballad tratta dal primo, omonimo album dei nostri, molto gradevole ed anche inattesa dato che come dice Hanna non la suonavano da 35 anni; è il momento giusto per l’arrivo di Jackson Browne, accolto da una vera e propria ovazione, il quale propone il suo classico These Days, in una versione decisamente intima e toccante, e poi si diverte con l’antica Truthful Parson Brown, un brano degli anni venti dal chiaro sapore old time tra country e jazz, davvero squisito. E’ la volta quindi della sempre bella e brava Alison Krauss, che ci delizia con una sublime e cristallina Keep On The Sunny Side, notissimo country-gospel della Carter Family, e con la bella Catfish John, scritta da Bob McDill (ed incisa da tanti, tra cui anche Jerry Garcia), country purissimo con ottima prestazione di Douglas al dobro; Alison rimane sul palco, raggiunta da Rodney Crowell, che esegue due suoi pezzi, la solare e godibilissima An American Dream, un brano che sembra scritto per Jimmy Buffett, e la bellissima ed intensa Long Hard Road.

Poteva forse mancare Mr. Bojangles? Assolutamente no, così come non poteva mancare il suo autore, Jerry Jeff Walker, che impreziosisce con la sua grande voce ed il suo carisma una canzone già splendida di suo: uno dei momenti più emotivamente alti della serata. Fishin’ In The Dark è stato uno dei maggiori successi della NGDB, che in questa rilettura torna ad essere un quintetto in quanto è raggiunta da Jimmy Ibbotson, e la canzone rimane bella e coinvolgente anche in questa veste meno radio-friendly di quella originale del 1987. Il vivace medley Bayou Jubilee/Sally Was A Goodun, dove il gruppo si lascia andare ad un suono più rock, prelude al gran finale di Jambalaya, il superclassico di Hank Williams (in una travolgente versione tutta ritmo) ed alla conclusiva, e non poteva che essere così, Will The Circle Be Unbroken, con tutti quanti sul palco a celebrare la carriera di uno dei più importanti gruppi country-rock di sempre, altri sei minuti di puro godimento sonoro.

Gran bel concerto, inciso tra l’altro benissimo: praticamente imperdibile.

Marco Verdi

Ormai Con Loro Si Va Sul Sicuro! Randy Rogers Band – Nothing Shines Like Neon

randy rogers band nothing shines like neon

Randy Rogers Band – Nothing Shines Like Neon – Tommy Jackson CD

La Randy Rogers Band, attiva da una dozzina d’anni, è oggi uno degli acts più popolari in Texas, ed anche fuori dai confini del Lone Star State, un successo ottenuto senza mai svendersi o modificare il proprio suono a favore delle classifiche e delle radio di settore.   La band è ormai affiatata, suona a memoria, ed è comprensibile dato che non ha mai avuto cambi di personale: oltre a Rogers, abbiamo i soliti Geoffrey Hill alla chitarra solista, Jon Richardson al basso, Les Lawless alla batteria e Brady Black al violino; il loro suono, un rockin’ country deciso ma con una propensione alla melodia non comune, è maturato disco dopo disco e, dopo la parentesi solista di Rogers insieme a Wade Bowen lo scorso anno con il divertente Hold My Beer, Vol. 1, abbiamo tra le mani il loro settimo album di studio, intitolato Nothing Shines Like Neon.

Chi ha apprezzato le precedenti fatiche della RRB non mancherà di farlo anche con questo lavoro, che forse spinge meno l’acceleratore sul rock ed è un filo più country, anche perché il produttore è il grande Buddy Cannon, uno dei principali artigiani del suono in questo genere, già dietro la consolle in passato per Willie Nelson, Merle Haggard, George Jones, George Strait, Kenny Chesney e moltissimi altri. Nothing Shines Like Neon forse non è il disco migliore della RRB, ma di sicuro insidia le prime posizioni e comunque si colloca ben al di sopra della media delle uscite mensili in ambito country (soprattutto quelle che arrivano da Nashville), grazie anche ad una manciata di ospiti illustri (che scopriremo strada facendo) che aggiunge prestigio ad un  lavoro già più che positivo. San Antone apre il CD, una western ballad molto ben costruita, con una melodia ad alto tasso emozionale, un languido violino ed una ritmica spedita, un inizio forse non roboante ma sincero ed autentico. Rain And The Radio, più diretta e cadenzata, ha elementi più sudisti che texani, ed un bel ritornello limpido, mentre Neon Blues è country-rock d’autore, un bel brano elettrico dal refrain godibile, un tipo di canzone che a Rogers riesce particolarmente bene, con un appeal anche radiofonico ma senza scadere in personalità.

La potente Things I Need To Quit è una ballata elettrica di spessore, nella quale Randy ed i suoi pards suonano distesi e rilassati, ma senza perdere un’oncia di feeling; Look Out Yonder vede Alison Krauss ed il suo collega Dan Tyminski alle armonie vocali, ed il brano è una gentile oasi elettroacustica, con un ottimo ritornello corale, uno dei più riusciti del lavoro, mentre con la tersa Tequila Eyes torniamo sul versante country-rock, anche se non manca una nota di malinconia nel motivo. Takin’ It As It Comes vede il nostro duettare con il grande Jerry Jeff Walker (un pezzo di storia del Lone Star State), un travolgente brano che potrebbe benissimo appartenere al repertorio dell’autore di Mr. Bojangles, puro Texas rock’n’roll; Old Moon New è un languido slow, toccante ed eseguito con grande trasporto, un intermezzo più che gradito, seguito a ruota da un’altra ballata ancora migliore, Meet Me Tonight, che ha un piede negli anni sessanta ed il solito refrain scorrevole. La maschia e grintosa Actin’ Crazy, di e con Jamey Johnson (quindi garanzia di qualità) ed il puro country di Pour One For The Poor One, quasi un honky-tonk rallentato, chiudono l’ennesimo disco positivo per una band sulla quale ormai possiamo contare ad occhi chiusi.

Marco Verdi