Come Il Buon Vino, Invecchiando Migliora! Elvin Bishop – Elvin Bishop’s Big Fun Trio

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Elvin Bishop – Elvin Bishop’s Big Fun Trio – Alligator/Ird

L’idea di base di partenza è interessante e stimolante: fare un disco di blues in trio, con tre ospiti all’armonica. Ovviamente è la formazione che è “strana”: a fianco di Elvin Bishop, voce e chitarra, ci sono Bob Welsh, pianista, che si disbriga con abilità, quando serve, anche alla chitarra, e Willy Jordan al cajòn, voce solista e armonie vocali (il cajòn è quello strumento a percussione di origine Peruviana, a forma di cassetta, e che si suona sedendoci sopra). I tre armonicisti ospiti, ciascuno presente in un brano, sono Charlie Musselwhite, Rick Estrin e Kim Wilson. Devo dire che il disco, pur non essendo un capolavoro assoluto, ha un suo perché: Elvin Bishop ormai ha una voce da vecchio maestro del blues (quale è diventato), una specie di roco ghigno un po’ sfiatato, ma vissuto e divertito, al quale si accodano i suoi pard per l’occasione, in grado di regalarci un piccolo ripasso del blues, del soul e del R&R, oltre a sette brani a sua firma, tra i quali una ripresa di Ace In The Hole, la title track del suo terzo album per la Alligator, pubblicato nel 1995. Al solito, se volete il mio parere, che vi do comunque, preferisco il Bishop “elettrico” dell’ultimo Can’t Even Do Wrong Right, pubblicato sempre per l’etichetta di Chicago, e che era un ritorno in parte al sound dei suoi dischi targati anni ’70 http://discoclub.myblog.it/2014/08/23/siamo-sulla-stessa-barca-del-blues-elvin-bishop-cant-even-do-wrong-right/ , ma questo Elvin Bishop’s Big Fun Trio non è niente male.

Questa volta il sound è più intimo e raccolto, peraltro non privo di brillantezza e suonato con la giusta forza, insomma non si corre il rischio di appisolarsi. Fin dall’iniziale vorticoso boogie, per piano e chitarra, Keep On Rollin’, i tre si divertono, con la chitarra di Bishop che svolge anche un supporto ritmico al lavoro di Jordan (che ha pure una ottima voce, cosa che non guasta), oltre a ritagliarsi i suoi spazi solisti. A seguire una ripresa di Honey Babe, un vecchio brano di Lightnin’ Hopkins, sempre caratterizzato da questo suono elettroacustico ma vibrante; It’s You è il brano con Kim Wilson all’armonica, classico Chicago blues, con l’ottimo Welsh al piano e uno scatenato Jordan che oltre a tenere il tempo con brio, come detto poc’anzi, ha una voce da gran cantante. Ace In The Hole, più lenta e sorniona, è cantata da Elvin, mentre Let’s Go, con un bel groove R&R, è un brano mezzo strumentale e mezzo parlato, con retrogusti alla Bo Diddley prima maniera. Delta Lowdown, con Rick Estrin all’armonica, come da titolo, è di nuovo blues puro della più bell’acqua, uno strumentale brillante dove si apprezza l’interscambio dei vari solisti; It’s All Over Now è una ripresa del vecchio classico di Bobby Womack (e degli Stones), che nonostante l’approccio sonoro raccolto del trio, non perde nulla del vigore delle versioni più conosciute, con Jordan che canta alla grande e Bishop che si inventa un assolo di gran classe anche in questa dimensione semi-unplugged.

100 Years of Blues vede la presenza di Charlie Musselwhite all’armonica e voce solista, il classico blues lento e cadenzato che si suona da almeno 100 anni, a giudicare dal titolo, con Bishop che lancia l’assist vocale con un talkin’ blues e Musselwhite che raccoglie e rilancia; Let The Four Winds Blow non avrà 100 anni (solo 55) ma il classico di Fats Domino viaggia a tutto ritmo sulle ali del piano di Welsh e della slide di Bishop, per una versione di gran classe. Il trittico finale di brani firmati da Bishop forse (ma forse) non ha la forza di quanto ascoltato finora, però la divertente That’s What I’m Talkin’ About si lancia anche su derive R&B e gospel, senza dimenticare l’immancabile blues misto a R&R, con Jordan che si conferma non solo percussionista di pregio, ma anche vocalist di talento, forgiato da lunghi anni di militanza sui palchi di New Orleans e dintorni. E pure il blues sanguigno di Can’t Take No More, dove Jordan si lancia in un ardito falsetto, non manca di entusiasmare, più di quanto mi sarei aspettato da un disco così particolare. Il finale, manco a dirlo, è affidato a una Southside Slide, uno strumentale dove Elvin Bishop ci delizia con la sua abilità alla bottleneck guitar. Lo dico di nuovo? Meglio di quanto mi aspettassi, viste le premesse: ancora una volta, 74 anni e non sentirli! Esce ufficialmente il 10 febbraio.

Bruno Conti

Blues “Bianconero” Elettrico, Vivo E Pulsante Come Pochi! The Big Sound Of Lil’ Ed & The Blues Imperials

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Lil’ Ed & The Blues Imperials – The Big Sound Of Lil’ Ed & The Blues Imperials – Alligator/Ird

Nove album in trenta anni di carriera (più due come solista a nome Lil’ Ed Williams, pubblicati a metà degli anni ’90, quando aveva sciolto momentaneamente la band) non sono forse un bottino cospicuo per il gruppo di Chicago, Illinois, la patria del blues: ma questi dischi si sono sempre, e dico sempre, segnalati per la loro consistenza, una micidiale miscela di classico blues elettrico urbano (imparato da JB Hutto, zio dei fratellastri Ed Williams, la chitarra solista e James Young, il bassista), furiose cavalcate in stile slide di Ed, che è un vero virtuoso del bottleneck, tirati boogie e selvaggi R&R, il tutto condito da una grinta e da una “ferocia” inconsuete per una formazione come Lil’ Ed The Blues Imperials, che in fondo pratica le 12 battute in modo anche rigoroso! Il piccolo chitarrista della Windy City, sempre con l’inseparabile fez in testa, ad aumentarne l’altezza che la natura gli ha conferito, da cui il nomignolo, si avvale come sempre anche del settore bianco della band, il poderoso batterista Kelly Littleton e il secondo chitarrista Michael Garrett, sempre pronto a scatenare con Williams furibonde scariche di blues elettrico. Questa volta è della partita con loro anche Sumito “Ariyo” Ariyoshi (!), virtuoso nipponico delle tastiere, da parecchio in azione nella scena locale di Chicago.

Come si diceva all’inizio, gli album del quartetto hanno mantenuto negli anni una qualità sempre elevata, come dicevo anche in riferimento al precedente Jump Start del 2012 http://discoclub.myblog.it/2012/06/17/piccolo-ma-tosto-lil-ed-and-the-blues-imperials-jump-start/ , ma mi sembra che questo The Big Sound alzi il livello di una ulteriore tacca: prendiamo la sequenza centrale che si apre con una fantastica e minacciosa Black Diamond Love, dove la voce poderosa di Williams (un altro degli atout del gruppo) si arrampica su di un groove consistente, dove il piano di Ariyoshi sostiene la slide di Lil’ Ed che comincia ad arrotare l’aria con una intensità inusuale, sulle scariche marziali della batteria di Littleton, a seguire una frenetica Whiskey Flavored Tears, una perfetta confezione sonora dove la slide fiammeggiante rievoca pensieri dei fasti del miglior Johnny Winter, per non parlare di Hound Dog Taylor o del maestro assoluto Elmore James. A completare il trittico uno slow blues fenomenale e torrenziale come I’ll Cry Tomorrow,  giuro che la prima volta che l’ho sentito mi ha fatto quasi ribaltare sulla sedia, un pezzo degno del miglior Buddy Guy, con una serie di interventi magnifici di entrambi i solisti e la voce imperiosa di Williams a guidare il gruppo nella quintessenza del miglior blues, brano veramente fantastico, vorresti che non finisse mai.

E comunque anche il resto del CD non scherza: dalla iniziale Giving Up On Your Love, una scarica di adrenalina, tra blues, soul e rock, tirata ed imperiosa, subito con la chitarra a disegnare linee soliste limpide e toste, blues puro e non adulterato di rara potenza, seguito dal gagliardo shuffle, ancora con uso di slide, di Raining In Paris o da una poderosa Poor Man’s Song, tirata e con un giro di basso che ti colpisce allo stomaco. mentre la chitarra costruisce le sue linee soliste, degne dei migliori prodotti a firma Alligator. Altro ottimo shuffle è Shy Voice, funky e con bottleneck sempre pronto alla bisogna, poi, dopo la sequenza centrale già descritta, si prosegue con Is It You?, di nuovo funky ed accattivante, il boogie/roll frenetico di I’m Done, di nuovo con quel bottleneck irrefrenabile e ancora un grande mid-tempo dall’atmosfera intensa ed avvolgente come la splendida Deep In My Soul, dove si apprezzano anche il piano accarezzato da Ariyoshi e l’eccellente lavoro di Young al basso. Ancora la slide che scivola con libidine nella classica I Want It All, seguita da una I Like My Hot Sauce Cold dove sembra di ascoltare i Canned Heat degli inizi, con il basso che pompa di brutto, mentre la chitarra slide delizia i nostri padiglioni auricolari una volta di più. Troubled World è l’altro blues lento, un brano che ha agganci quasi con le cavalcate di Stevie Ray Vaughan e Hendrix, tra blues e rock, in ogni caso intenso e splendido. A concludere il disco, sicuramente uno dei migliori in ambito blues elettrico classico del 2016, Green Light Groove, due minuti e mezzo di divertente e frenetico R&R.

Bruno Conti