Secondo Capitolo Per Il Vecchio Patrimonio Ritrovato Del Trio. America – Heritage II Demos/Alternate Takes 1971-1976

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America – Heritage II Demos/Alternate Takes 1971-1976 – Omnivore Recordings

Gli America sono sempre stati una band abbastanza controversa: snobbati da parte della critica, che li ha sempre considerati parenti poveri del filone West Coast e del country-rock, mentre per altri, sottoscritto immodestamente incluso, la prima parte della loro produzione, diciamo forse estendendo un po’ il periodo, finché sono stati un trio, e cioè sino all’abbandono di Dan Peek nel maggio del 1977, ha avuto dei momenti di ottima qualità, e comunque almeno per i primi tre/quattro album. Comunque senza impelagarmi in inutili polemiche e quindi dando per assodato che in quel periodo, tra alti e bassi, hanno pubblicato una serie di eccellenti album, il primo omonimo e Homecoming le punte di diamante, ma anche Holiday era un buon disco.

Ovviamente rispetto a CSN & Y, a cui spesso sono stati paragonati, siamo su un altro livello, ma l’uso intricato delle voci, le armonie superbe e molte delle atmosfere, sono abbastanza simili, senza la componente rock portata da Stills & Young, e quella ricercata e spaziale di Crosby, con l’amico Nash a fare da raccordo, una capacità compositiva meno “esuberante” e di classe inferiore. Comunque nei 50 anni di carriera, che festeggiano quest’anno con un Box Half Century che dovrebbe uscire tra giugno e luglio (salvo problemi di Covid19), qualcosa di buono ci hanno lasciato: questo Heritage II è l’antipasto, il secondo volume di una serie che come da titolo raccoglie Demo e versioni alternative inedite, il primo copriva il periodo 1970-1973, questo dal 1971 al 1976, quindi ottime annate in entrambi casi. Chi ha già il primo Heritage sa che non siamo di fronte a materiale raffazzonato, salvo qualche eccezione, e che anche la qualità sonora, oltre che quella della musica è eccellente, quasi tutti i brani compiuti e spesso con la presenza di una sezione ritmica.

Per esempio il brano che apre il CD, una versione alternativa di Cornwall Blank, estratta dal secondo album Homecoming, scritta e cantata da Dewey Bunnell, prevede la presenza di Hal Blaine alla batteria e Joe Osborn al basso, con Dan Peek alla chitarra elettrica, che porta anche quella componente “rock” evocata prima. Jameroony, come da titolo, è una lunghissima, quasi 13 minuti, improvvisazione in libertà per tre chitarre acustiche, registrata ai Trident Studios di Londra nel 1971: totalmente inedita è forse la chicca più interessante di questo album, magari con qualche autoindulgenza e “cazzeggiamento”, ma vicina allo spirito musicale dell’epoca. Mandy è un brano mai sentito prima di Gerry Beckley, solo voce, piano, una acustica arpeggiata e synth, una delle tipiche canzoni romantiche del componente più pop del trio, mentre alcuni dei brani successivi, tutti prodotti da George Martin, vengono dalle sessions del 1974 per l’album Holiday, a partire da una versione di Tin Man, con lo stesso George al piano, che è uno dei loro brani più celebri, con un ritornello irresistibile, peccato che in questa versione non ci sono le parti cantate, solo i coretti, l’ideale per un po’ di sano karaoke, di quello buono.

What Does It Matter, ancora solo Beckley voce e piano, è piacevole ma non memorabile, mentre la beatlesiana You, il primo brano di Dan Peek, è presentata sempre in versione per sottrazione, solo voce e archi, con Mad Dog l’ultimo brano estratto da Holiday, un demo incompiuto, anche con interruzioni, cantato di nuovo da Beckley. Come si è capito molto del materiale è destinato solo a fans completisti degli America: Simple Life, ancora di Peek, in versione alternata, era nell’edizione giapponese di Hearts del 1975, altro gradevole brano dove si sente lo zampino di George Martin e con ottimo lavoro dell’elettrica di Dan, di Lovely Night, un ennesimo demo voce e piano di Beckley,, si poteva fare a meno, Today’s The Day e Amber Cascades, la prima di Peek e la seconda, delicata e deliziosa, di Bunnell, furono i due singoli estratti da Hideaway del 1976, l’ultimo album valido, per quanto già più pop dei tre, Letter, cantata da Dewey Bunnell e con Dan Peek all’electric sitar, è uno dei pezzi più mossi ed elettrici del CD, mentre Jet Boy Blue è l’ottimo commiato di Peek dalla band, qui presente in versione alternata.

Bruno Conti.

Per Il Momento Può Ricominciare Con Lennon E Harrison In Paradiso: E’ Morto George Martin!

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Il 2016 si dimostra sempre più nefasto: è di questa mattina la notizia della scomparsa a Londra di Sir George Martin (però alla bella età di 90 anni), musicista, compositore, arrangiatore e produttore britannico il cui nome sarà per sempre legato a doppio-triplo filo a quello dei Beatles. Di formazione classica, Martin iniziò negli anni cinquanta come produttore ed arrangiatore per la Parlophone, collaborando più che altro ai cosiddetti comedy albums e a romanzi di narrativa in versione audio con sottofondo musicale: la svolta della sua carriera avvenne nel 1962, quando fu incaricato di produrre Love Me Do, il primo singolo dei Fab Four e il suo autentico battesimo nel mondo del rock’n’roll (anche se in realtà la prima session da lui patrocinata partorì How Do You Do It?, che poi però venne scartata).

Inizialmente il rapporto tra Martin e gli “Scarafaggi” era quasi di diffidenza, talmente lontani erano i mondi da cui provenivano: aristocratico e snob il produttore, proletari e ribelli i quattro ragazzi (addirittura George Martin all’inizio aveva giudicato Ringo Starr musicalmente inadeguato, rimpiazzandolo con Andy White); con il passare degli anni il reciproco rispetto aumentò, fino a non poter fare a meno l’uno degli altri.

Martin ebbe il merito di incoraggiare sempre lo spirito di sperimentazione dei Beatles, senza porre limiti ed interagendo con loro in tutti i modi possibili; di solito non viene considerato un genio della produzione (a differenza per esempio del contemporaneo Phil Spector, che aveva comunque inventato un suono), ma il suo contributo all’opera dei quattro boys di Liverpool è senza dubbio stato determinante: fu lui infatti a convincerli a registrare Please Please Me in versione più veloce (inizialmente era uno slow alla Roy Orbison), ma potrei fare decine di esempi (le sperimentazioni di Tomorrow Never Comes, il nastro al contrario di Rain, la parte orchestrale di Strawberry Fields Forever, fino all’apoteosi dell’album Sgt. Pepper, nel quale il suo contributo può essere quasi equiparato a quello dei quattro ragazzi).

Dopo la separazione dei Beatles nel 1970 (e con la delusione di non essere stato coinvolto in Let It Be, a favore proprio di Spector), George si dedicò alla produzione di una miriade di altri artisti, tra cui gli America, Jeff Beck, Kenny Rogers, Cheap Trick, Celine Dion, Pete Townshend (la trasposizione teatrale di Tommy) ed Elton John (il singolo Candle In The Wind reinciso in memoria di Lady Diana), oltre a comporre colonne sonore e realizzare album di musica classica dedicata a versioni orchestrali dei Beatles e non.

L’unico Scarafaggio con il quale ha collaborato negli anni è stato Paul McCartney, producendogli singoli come Live And Let Die o interi album come Tug Of War o Pipes Of Peace (ristampati di recente nella collana di riedizioni deluxe di Macca).

Come anche in altri recenti necrologi a mia firma, vorrei ricordare Martin con un brano a mia scelta, ed opto per In My Life, il cui assolo di piano, suonato proprio da George, è uno dei miei preferiti di sempre (con il suo “effetto clavicembalo” ottenuto accelerando il nastro, con la performance eseguita a velocità normale).

RIP Sir George.

Marco Verdi

*NDB. Naturalmente molti degli “espertoni” che affollano Twitter lo hanno confuso con George R.R. Martin, lo scrittore americano, autore del ciclo delle Cronache Del Ghiaccio e Del Fuoco e della serie televisiva Games Of Thrones, ma sono gli inconvenienti dell’era tecnologica e digitale, se vuole gli è consentito toccarsi, dicono che porti bene. Spero nel frattempo che il mio omonimo calciatore goda a lungo di buona salute!