Il “Governatore” Dell’Isola Di Wight. Ashley Hutchings/Dylancentric – Official Bootleg

Ashley Hutchings Dylancentric

Dylancentric – Official Bootleg – Talking Elephant CD

Ashley Hutchings, una delle figure centrali del folk-rock inglese (e per questo soprannominato “The Guv’nor”, il Governatore), ha avuto una carriera piuttosto attiva tra band formate e poi lasciate, partecipazioni a dischi altrui e produzioni varie. Conosciuto principalmente per essere stato uno dei membri fondatori dei Fairport Convention, Hutchings ha poi formato altre band di una certa importanza come Steeleye Span e Albion Band (che è stato il gruppo nel quale ha prestato servizio più a lungo) e più di recente i Rainbow Chasers, ma è stato coinvolto in una miriade di altri progetti estemporanei (come il supergruppo The Bunch o il collettivo musicale Morris On), anche se curiosamente non ha mai pubblicato un vero e proprio disco da solista. Ashley tra le altre cose è sempre stato un grande fan di Bob Dylan, e lo scorso anno ha avuto l’idea di celebrare il cinquantesimo anniversario della partecipazione del cantautore americano all’Isle of Wight Festival proprio all’interno della medesima manifestazione che si è tenuta ad agosto nell’isola al largo della Manica, e per l’occasione ha formato un nuovo gruppo il cui nome non lascia spazio ad equivoci: Dylancentric.

Official Bootleg è il risultato di quel concerto, un sorprendente dischetto in cui Hutchings si fa accompagnare da musicisti amici anche di una certa notorietà (Ken Nicol, a lungo con lui nella Albion Band, Guy Fletcher, collaboratore storico di Mark Knopfler, Ruth Angell, componente dei Rainbow Chasers, il cantautore Blair Dunlop ed il sessionman e compositore di colonne sonore Jacob Stoney) ed offre una rivisitazione in puro stile folk-rock di alcune pagine del songbook dylaniano con arrangiamenti freschi e vitali ed una performance piena di feeling, privilegiando al 90% il repertorio degli anni sessanta. Un po’ come facevano gli ormai sciolti Dylan Project (sorta di spin-off dei Fairport con in più Steve Gibbons e PJ Wright), che però erano più sul versante rock-blues. Che non ci troviamo di fronte ad un gruppo di pensionati si capisce subito con l’iniziale Maggie’s Farm, proposta in una versione decisamente rock e per niente folk (a parte il violino alla fine), cantata con grinta da Hutchings e con un’ottima copertura da parte del sestetto, con menzione particolare per il piano di Stoney e la slide di Nicol: una rivisitazione nello stesso spirito dell’originale.

Deliziosa Girl From The North Country, riproposta in una veste di chiaro stampo folk per voce (Dunlop, ma in totale nel disco sono in quattro che cantano), chitarra acustica, mandolino e violino: toccante è dir poco; Wings non c’entra con Dylan essendo un classico della Albion Band, un folk-rock molto evocativo e coinvolgente contraddistinto da una performance energica ed un arrangiamento elettroacustico. Masters Of War è riletta in maniera essenziale (voce, chitarra acustica e violino, con un accenno di chitarra elettrica nel finale), e la cover mantiene il suo tono drammatico anche dovuto al fatto che, purtroppo, il testo è attuale oggi come lo era nel 1963. One Of Us Must Know (Sooner Or Later) è una scelta non scontata, e la cover è rilassata e fluida ma nello stesso tempo suonata con vigore e cantata da Dunlop con voce espressiva, un brano di grande qualità che ci mostra (ma ce n’era bisogno?) la bravura di Dylan anche come tessitore di melodie splendide.

Mr. Tambourine Man non è rock come l’avevano fatta i Byrds ma pura e cristallina, una voce (la Angell), un paio di chitarre ed un mandolino a ricamare sullo sfondo, versione intima ed emozionante con tanto di ritornello corale, mentre anche la countryeggiante (in origine) I’ll Be Your Baby Tonight subisce il trattamento folk di Hutchings e compagni e diventa una squisita ballata dall’atmosfera conviviale, con assoli da parte di ogni componente del gruppo. Ed ecco l’eccezione, cioè l’unico pezzo non dei sixties: Not Dark Yet è una delle migliori canzoni mai scritte sull’età che avanza, e questa rilettura lenta e malinconica (con uno splendido assolo chitarristico) è di grande effetto; una limpida e folkeggiante rilettura di Lay Down Your Weary Tune, già incisa in passato da Ashley coi Fairport, chiude un dischetto bello e piacevole quanto inatteso. File under: pure folk-rock.

Marco Verdi

Gli Inizi Di Una Delle Band Fondamentali Del Folk-Rock Britannico. Steeleye Span – All Things Are Quite Silent: Complete Recordings 1970-71

Steeleye Span box 1970-1971 All tings are quiet

Steeleye Span – All Things Are Quite Silent: Complete Recordings 1970-71 – Cherry Tree/Cherry Red 3CD Box Set

Nonostante i Fairport Convention nel 1969 avessero raggiunto l’apice della loro carriera con il capolavoro Liege & Lief, il bassista e membro fondatore del gruppo Ashley Hutchings non era del tutto soddisfatto della direzione intrapresa, e quindi se ne andò per cercare di sviluppare un discorso più legato alla tradizione (anche Sandy Denny lasciò la band nello stesso periodo, ma questa è un’altra storia). Hutchings così si unì a Tim Hart e Maddy Prior, che erano già un affermato duo nei circuiti folk, e completò il nuovo quintetto con i coniugi Terry e Gay Woods, chiamando la nuova creatura Steeleye Span, proprio per riuscire a suonare quel tipo di musica che con i Fairport non riusciva più a fare, e cioè prendendo canzoni dallo sterminato songbook tradizionale inglese e scozzese (incluse molte delle cosiddette “Child Ballads”), e rivestendole con un arrangiamento che strizzava l’occhio a sonorità rock, con grande uso quindi di chitarre elettriche ed una sezione ritmica sempre presente: il risultato furono tre album di grande bellezza, dei quali almeno i primi due (Hark! The Village Wait e Please To See The King) sono considerati dei classici del folk-rock inglese. Oggi la Cherry Red riunisce quei tre album in questo bel boxettino intitolato All Things Are Quite Silent, corredato da un esauriente libretto con interessanti liner notes biografiche a cura di David Wells: i tre dischetti sono presentati così come sono usciti all’epoca, senza bonus tracks, con l’eccezione del terzo (Ten Man Mop, Or Mr. Reservoir Butler Rides Again, bel titolo corto e facilmente memorizzabile) che offre quattro tracce in più già uscite su una precedente ristampa del 2006. E’ chiaro che se già possedete questi album l’acquisto è superfluo, ma se viceversa conoscete gli Span più “commerciali” degli anni settanta (o non li conoscete affatto) direi che il box in questione diventa quasi indispensabile. Ma veniamo ad una disamina dettagliata dei tre album.

Hark! The Village Wait (1970). Inizio col botto da parte del gruppo, che aveva la particolarità all’epoca unica di presentare due voci soliste femminili: qui la line-up è completata da due batteristi che si alternano, entrambi con i Fairport nel destino, e cioè Dave Mattacks e Gerry Conway. I dodici brani presenti sono tutti tradizionali, con le eccezioni dell’introduttiva A Calling-On Song, un coro a cappella a cui partecipano tutti i componenti del gruppo, e l’intensa ballata che presta il titolo a questo box triplo, che ha comunque uno stile tipico delle canzoni di secoli prima. Il resto, come già detto, sono bellissime interpretazioni del songbook della tradizione britannica, a partire da una emozionante The Blacksmith, con la squillante voce della Prior a dominare ed un arrangiamento folk elettrificato, per proseguire con la drammatica Fisherman’s Wife, che vede il banjo cadenzare il tempo insieme alla sezione ritmica, Blackleg Miner, che fonde una melodia tipicamente British folk con un accompagnamento quasi “americano”, o Dark-Eyed Sailor, splendida e rockeggiante ballata dal motivo delizioso. Altri highlights di un disco comunque senza sbavature sono la squisita The Hills Of Greenmore, folk-rock di notevole impatto con un eccellente background sonoro per chitarre elettriche e concertina, la strepitosa Lowlands Of Holland, sei minuti di sontuoso folk elettrico dalla bella introduzione chitarristica, e la corale Twa Corbies (conosciuta anche come The Three Ravens), ricca di pathos.

Please To See The King (1971). Al secondo album la line-up cambia, in quanto le crescenti tensioni tra il duo Hart-Prior da una parte ed i coniugi Woods dall’altra, porta questi ultimi a lasciare la band, rimpiazzati dal grande cantante e chitarrista Martin Carthy, già molto conosciuto, e dal bravissimo violinista Peter Knight, che diventerà una colonna portante del suono degli Span. Please To See The King rinuncia alla batteria (come anche il suo successore), ma nonostante tutto preme ancora di più l’acceleratore su sonorità elettriche, diventando così l’album più popolare tra i tre, con versioni scintillanti di Cold Haily Windy Night, Prince Charlie Stuart, False Knight On The Road, Lovely On The Water (magnifica dal punto di vista strumentale), oltre ad una roboante Female Drummer, con la voce cristallina della Prior accompagnata in maniera pressante da violino e chitarra elettrica. Troviamo poi una diversa ripresa di The Blacksmith dal primo album, con Maddy circondata dalle chitarre e con un suggestivo coro, la bella giga strumentale Bryan O’Lynn/The Hag With The Money ed una versione di un pezzo che era già un classico per i Fairport, cioè The Lark In The Morning, molto più lenta e cantata anziché solo strumentale.

Ten Man Mop Or Mr. Reservoir Butles Rides Again (1971). Terzo ed ultimo lavoro con Hutchings alla guida del gruppo, questo album è meno cupo e più fruibile del precedente, anche se non allo stesso livello artistico (ma ci si avvicina molto), e “sconfina” fino a spingersi anche in Irlanda, cosa che non piacerà molto ad Ashley che, da buon purista, avrebbe voluto solo ballate di origine britannica. Ci sono due strepitosi medley strumentali, Paddy Clancey’s Jig/Willie Clancy’s Fancy e Dowd’s Favourite/£10 Float/The Morning Dew, ed altre ottime cose come la lunga Gower Wassail, con la voce solista declamatoria di Hart ed un bel coro alle spalle, la saltellante Four Nights Drunk, per sola voce (Carthy) e violino, con l’aggiunta della chitarra acustica nel finale, un’emozionante When I Was On Horseback, da brividi, la pimpante Marrowbones, che sembra quasi un canto marinaresco, e la vibrante Captain Coulston, tra le più intense dei tre dischetti. Come bonus abbiamo l’outtake General Taylor, un brano a cappella caratterizzato da eccellenti armonie vocali, e ben tre versioni del classico di Buddy Holly Rave On (anch’esse senza accompagnamento strumentale), la prima delle quali era uscita all’epoca solo su singolo. Dopo questo terzo album gli Span cambieranno manager, ingaggiando Jo Lustig che però vorrà spostare le sonorità del gruppo verso lidi più commerciali, cosa che causerà l’abbandono da parte di Hutchings (che fonderà la Albion Band) e Carthy, ma che aprirà nuovi orizzonti con album di grande successo come Parcel Of Rogues, Now We Are Six e All Around My Hat, lavori comunque molto belli che inaugureranno un nuovo capitolo di una storia che continua ancora oggi.

Marco Verdi

I Migliori Dischi Dal Vivo Dell’Anno 2. Fairport Convention – What We Did On Our Saturday

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Fairport Convention – What We Did On Our Saturday – 2 CD Matty Groves

In questi ultimi anni c’è tutto un florilegio di anniversari, perché molte band, importanti e meno, nate nei “mitici anni ‘60”, come li chiamerebbe gianniminà, stanno comunque arrivando a questo notevole traguardo. Nel caso particolare dei Fairport Convention, in effetti i festeggiamenti, con relativi eventi e ristampe varie, sono peraltro in corso da qualche tempo: cofanetti celebrativi https://discoclub.myblog.it/2017/08/06/supplemento-della-domenica-ma-quanto-sono-grandi-i-loro-archivi-fairport-convention-come-all-ye-the-first-ten-years/ , ma anche nuovi album, come ad esempio il buon 50:50@50, registrato dall’ultima formazione della band in attività https://discoclub.myblog.it/2017/01/30/il-mezzo-secolo-di-una-band-leggendaria-fairport-convention-505050/ . Formazione che tutti gli anni si ritrova a Cropredy per i loro leggendari fine settimana in cui viene rinverdita l’eredità di una delle più grandi band del cosiddetto folk-rock britannico. In ogni edizione di Cropredy gli ospiti importanti si sono sempre sprecati (quest’anno, se vi capita di essere da quelle parti, ci sarà Brian Wilson), ma lo scorso anno, come si diceva, si festeggiava il cinquantenario della fondazione, anche se le date sono spesso degli optionals, visto che il primo omonimo disco, registrato nel novembre del  1967, sarebbe uscito solo a giugno del 1968: però, per questa ricorrenza speciale, si è ritrovata sul palco la prima leggendaria formazione, quelli ancora vivi ovviamente, Iain Matthews, Ashley Hutchings, Simon Nicol, Judy Dyble, Richard Thompson e Dave Mattacks, che sostituiva lo scomparso Martin Lamble. E vi assicuro che è veramente un bel sentire.

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La band suona in modo splendido, Iain Matthews, di recente all’opera con i riformati Matthews Southern Comfort https://discoclub.myblog.it/2018/04/04/erano-la-seconda-band-ora-riformata-di-iain-matthews-dopo-i-fairport-convention-sempre-ottima-musica-matthews-southern-comfort-like-a-radio/ , canta in modo splendido tre delle canzoni più belle di quel seminale album, tre cover di cantanti americani, che furono tra le prime influenze dei FC, Time Will Show The Wiser di Emitt Rhodes è bellissima, con la band in forma strepitosa, il suono è fresco e pimpante, come se non fossero trascorsi 50 anni da allora https://www.youtube.com/watch?v=EnbKzGZblrA , e Richard Thompson è in modalità deluxe (come sempre) con la sua chitarra magica a ricamare assoli incredibili sugli intrecci vocali inconfondibili della band. Reno Nevada, se possibile, è ancora più rilucente, il brano di Richard Farina riceve il classico trattamento folk-rock della band, con Thompson sempre più impegnato nei suoi florilegi chitarristici di una classe cristallina, con un assolo di una complessità superlativa https://www.youtube.com/watch?v=tk-ZvEocQ2k , e anche la versione di Suzanne di Leonard Cohen non è da meno, la melodia del canadese viene arricchita dalla interpretazione vocale maiuscola di Matthews, ben sostenuto dall’apporto vocale di Chris While, che aggiunge ulteriore fascino a questa rilettura meravigliosa del classico di Cohen, con la ciliegina del lavoro di fino di Thompson alla solista, da brividi https://www.youtube.com/watch?v=eoCV-XUBC_o .

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Ed è solo l’inizio: cambio di formazione e a fianco di Nicol e Mattacks arrivano Dave Pegg, Chris Leslie, poi al violino anche in molti brani successiv , nel ruolo che fu di Swarbrick, in alternativa a Ric Sanders, prima per una struggente Farewell, Farewell da Liege And Lief, scritta da Thompson, che non appare, anche se nel corso del concerto la sua presenza sarà ancora massiccia, poi Crazy Man Michael, dell’accoppiata Thompson/Swarbrick, con Gerry Conway alla batteria, prosegue in questo segmento acustico del concerto, altro brano magnifico da Liege And Lief (eseguito al completo nel concerto, meno un brano), di cui viene ripresa anche Come All Ye, con Hutchings, autore del brano con Sandy Denny, che ritorna sul palco con Thompson, mentre Chris While la canta meravigliosamente.  E pure The Deserter viene da quell’album seminale, altra versione sfarzosa, come pure quella del medley di The Lark In The Morning, sempre con la While e Thompson superbi, per non dire di una travolgente Tam Lin. Walk Awhile invece era su Full House, ma non è meno bella, il gruppo è in serata di grazia, soprattutto Richard Thompson, che canta Poor Will And The Jolly Hangman magistralmente, prima di dare corpo ad una versione sfavillante di Sloth con duetto violino-chitarra insieme a Chris Leslie https://www.youtube.com/watch?v=JfiFJsjNpIM .

(photo by Matt Condon / @arcane93)

(photo by Matt Condon / @arcane93)

Il secondo CD si apre con Now Be Thankful, ancora  di Thompson, all’epoca uscita come singolo, splendida anziché no pure questa https://www.youtube.com/watch?v=xdCQiGfkHw0 ; Fotheringay di Sandy Denny la canta Simon Nicol https://www.youtube.com/watch?v=C-rhf3P9b8Q , mentre a questo punto del concerto come voce femminile arriva la bravissima Sally Barker che canta Ned Kelly con PJ Wright, Martin Allcock è alla chitarra, e poi Rising For The Moon da sola. Anche Ralph McTell  è della partita con la sua White Dress, mentre Allcock si presenta come musicista di razza in A Surfeit Of Lampreys, una bella giga e The Hiring Fair è una perla nascosta dei Fairport acustici. I due CD, come si sara capitò, non seguono la stessa cronologia del concerto, ma in fondo chi se ne frega, visto che tutto l’insieme è godibilissimo comunque, come confermano la scatenata The Hexhamshire Lass e una emozionante Who Knows Where The Time Goes, ancora in omaggio a Sandy Denny, cantata con grande trasporto da Simon Nicol e Chris While, canzone magnifica anche in veste acustica  . Our Bus Rolls On di Chris Leslie è forse l’unico brano “normale” del concerto, mentre il gran finale con la travolgente Dirry LInen, una intensa Matty Groves https://www.youtube.com/watch?v=TIAXM1WhgNs  e la corale Meet On The Ledge con tutti insieme sul palco, è ancora da brividi e conclude degnamente un concerto che forse, anzi sicuramente, è tra i più belli mai apparsi nella discografia dei Fairport Convention https://www.youtube.com/watch?v=47RrQ9WCTv4 , imperdibile, a questo punto aspettiamo il video, visto che il concerto è stato ripreso magnificante, come potete vedere cliccando in tutti i link che trovate disseminati nel Post. Ovviamente tra i migliori dischi dal vivo del 2018

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: Ma Quanto Sono Grandi I Loro Archivi? Fairport Convention – Come All Ye: The First Ten Years

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Fairport Convention – Come All Ye: The First Ten Years – UMC/Universal 7CD Box Set

DISC ONE

01: Time Will Show The Wiser ( 3:05 ) from Fairport Convention
02: Decameron ( 3:42 ) from Fairport Convention
03: Jack O’ Diamonds ( 3:30 ) from Fairport Convention
04: One Sure Thing ( 2:53 ) from Fairport Convention
05: I Don’t Know Where I Stand ( 3:38 ) from John Peel’s Top Gear programme 2/6/1968
06: You Never Wanted Me ( 3:15 ) from John Peel’s Top Gear programme 2/6/1968
07: Fotheringay ( 3:04 ) from What We Did On Our Holidays
08: I’ll Keep It With Mine ( 5:53 ) from What We Did On Our Holidays
09: Mr Lacey ( Sandy on Vocals ) ( 2:55 ) from the Sandy Denny box set
10: Eastern Rain ( Sandy on Vocals ) ( 3:48 ) – Previously Unreleased
11: Nottamun Town – A Capella version ( 1:48 ) – Previously Unreleased
12: Meet On The Ledge ( 2:50 ) from What We Did On Our Holidays
13: Throwaway Street Puzzle ( 3:27 ) – B Side on What We Did On Our Holidays remastered
14: Reno Nevada ( 2:23 ) from the David Symonds radio show 6/1/1969
15: Suzanne ( 5:25 ) from John Peel’s Top Gear programme 1/9/1968
16: A Sailor’s Life ( without Swarb ) ( 11:23 ) from the Sandy Denny box set
17: Genesis Hall ( 3:35 ) from Unhalfbricking
18: Autopsy – Alt Take ( 4:33 ) – Previously Unreleased
19: Who Knows Where The Time Goes ? – Alt Take ( 5:19 ) – Previously Unreleased

DISC TWO

01: Dear Landlord ( 4:08 ) from Unhalfbricking
02: Si Tu Doir Partir ( 2:25 ) from John Peel’s Top Gear programme 6/4/1969
03: Percy’s Song ( 5:28 ) from John Peel’s Top Gear programme 1/9/1968
04: Ballad of Easy Rider ( 4:54 ) – Guitar Vocal
05: The Deserter – Rehearsal version ( 4:40 ) – Previously Unreleased
06: Come All Ye – Alt Take ( 5:27 ) from the Sandy Denny box set
07: Reynardine ( 4:31 ) from Liege and Lief
08: Matty Groves – Alt Take ( 7:43 ) from the Sandy Denny box set
09: Farewell Farewell ( 2:38 ) from Liege and Lief
10: Quiet Joys Of Brotherhood – Take 1 edit ( 6:42 ) from Liege & Lief Deluxe Edition
11: Tam Lin ( 7:46 ) from John Peel’s Top Gear programme 27/9/1969
12: Sir Patrick Spens ( 3:44 ) from John Peel’s Top Gear programme 27/9/1969
13: The Lark In The Morning medley ( 4:12 ) from John Peel’s Top Gear 27/9/1969
14: Bonny Bunch Of Roses ( 10:48 ) – Full House Out-Take

DISC THREE

01: Walk Awhile ( 3:51 ) – Live in Concert on Pop2 – 5/12/1970 – Previously Unreleased
02: Dirty Linen ( 3:55) – Live in Concert on Pop2 – 5/12/1970 – Previously Unreleased
03: Sloth ( 12:17 ) – Live in Concert on Pop2 – 5/12/1970 – Previously Unreleased
04: Journeyman’s Grace ( 4:47 ) – Live on Pop2 – 5/12/1970 – Previously Unreleased
05: Sir B.McKenzie ( 4:29) – Live in Concert on Pop2 – 5/12/1970 – Previously Unreleased
06: Flatback Caper – Live 1970 ( 5:57 ) – Previously Unreleased
07: Doctor of Physick – Live 1970 ( 3:52 ) – Previously Unreleased
08: Poor Will and The Jolly Hangman (5:34 ) from Guitar, Vocal
09: Bonnie Black Hare – Alt Take ( 3:04 ) – Previously Unreleased
10: Lord Marlborough ( 3:24 ) from Angel Delight
11: Banks of the Sweet Primroses ( 4:11 ) from Angel Delight
12: Breakfast In Mayfair ( 3:07 ) from Babbacombe Lee
13: Little Did I Think ( 1:52 ) from The Man They Could Not Hang – Previously Unreleased
14: John Lee ( 1:48 ) from The Man They Could Not Hang – Previously Unreleased
15: Cell Song ( 4:27 ) from The Man They Could Not Hang – Previously Unreleased
16: Time Is Near ( 2:49 ) from The Man They Could Not Hang – Previously Unreleased
17: Dream Song ( 4:14 ) from The Man They Could Not Hang – Previously Unreleased
18: Farewell To A Poor Man’s Son ( 5:16 ) from The Man They Could Not Hang

DISC FOUR

01: Sweet Little Rock ‘n’ Roller – Live at the LA Troubadour ( 3:55 ) from Guitar Vocal
02: That’ll Be The Day ( 2:02 ) from The Bunch
03: Think It Over – Sandy Denny rehearsal version ( 2:31 ) – Previously Unreleased
04: Maverick Child ( 4:03 ) Previously Unreleased
05: Sad Song aka As Long As It Is Mine ( 5:06 ) Previously Unreleased
06: Matthew, Mark, Luke & John ( 3:05 ) Previously Unreleased
07: Rattle Trap ( 2:05 ) Previously Unreleased
08: Sheep In The Meadow ( 4:10 ) Previously Unreleased
09: Rosie ( 3:34 ) Previously Unreleased
10: Country Judy Jane ( 2:36 ) Previously Unreleased
11: Me With You ( 3:23 ) Previously Unreleased
12: My Girl ( 4:05 ) Previously Unreleased
13: To Althea from Prison ( 2:25 ) Previously Unreleased
14: Knights Of The Road ( 3:52 ) from Rosie
15: The Plainsman ( 3:19 ) from Rosie
16: Matthew, Mark, Luke & John from the Old Grey Whistle Test ( 3:44 ) Previously Unreleased
17: Brilliancy medley from the Old Grey Whistle Test ( 3:55 ) Previously Unreleased
18: Polly On The Shore ( 4:53 ) from Nine
19: Fiddlestix (The Devil In The Kitchen) without orchestra ( 2:49 ) Previously Unreleased
20: Possibly Parsons Green ( 3:41 ) – OZ 7” single mix Previously Unreleased
21: Bring Em Down ( 5:55 ) from Nine

DISC FIVE

01: Sloth – Live in Sydney ( 11:31 ) from Live Convention
02: John The Gun ( 5:05 ) – John Peel session 6/8/1974
03: Down In The Flood ( 3:27 ) – John Peel session 6/8/1974
04: Rising For The Moon ( 4:18 ) – John Peel session 6/8/1974
05: After Halloween ( 2:54 ) Byfield Demo – Alt Take Previously Unreleased
06: Restless ( 3:59 ) from Rising For The Moon
07: White Dress ( 3:24 ) Live on LWT (on Rising for the Moon deluxe edition)
08: Stranger To Himself ( 2:52 ) from Rising For The Moon
09: Dawn – Alt version ( 4:09 ) from the Sandy Denny box set
10: One More Chance – Alt Take ( 7:52 ) Previously Unreleased
11: All Along The Watchtower – Live in Oslo in 1975 ( 4:22 )
12: When First Into This Country ( 2:28 ) from Gottle O’ Geer
13: Sandy’s Song aka Take Away The Load ( 3:34 ) from Gottle O’Geer
14: Royal Seleccion No 13 ( 4:24 ) from A World of Music: Anne Lorne Gillies 26/11/1976 Previously Unreleased
15: Adieu Adieu ( 2:35 ) from A World of Music: Anne Lorne Gillies 26/11/1976 Previously Unreleased
16: Reynard The Fox ( 2:59 ) from Tipplers Tales
17: Poor Ditching Boy ( 3:46 ) from In Concert – STV 1976 Previously Unreleased
18: Flowers Of The Forest ( 3:50 ) from In Concert – STV 1976 Previously Unreleased

DISC SIX – Live at Fairfield Hall 16/12/1973

01: Polly On The Shore ( 5:12 ) Previously Unreleased
02: Furs and Feathers ( 5:11 ) Previously Unreleased
03: Tokyo ( 3:09 ) Previously Unreleased
04: Cell Song ( 5:05 ) Previously Unreleased
05: The Claw ( 3:01 ) Previously Unreleased
06: Far From Me ( Old Broken Bottle ) ( 3:47 ) Previously Unreleased
07: Brilliancy medley / Cherokee Shuffle ( 4:14 ) Previously Unreleased
08: Days of 49 ( 6:20 ) Previously Unreleased
09: Fiddlestix (The Devil In The Kitchen) ( 3:07 ) Previously Unreleased
10: Dirty Linen ( 4:33 ) Previously Unreleased
11: Matthew, Mark, Luke & John ( 6:34 ) Previously Unreleased
12: Possibly Parsons Green ( 3:39 ) Previously Unreleased
13: Sir B. McKenzie ( 6:21 ) Previously Unreleased
14: Down In The Flood – Full version ( 3:45 ) Previously Unreleased
15: Something You’ve Got- Full version ( 3:00 ) Previously Unreleased

DISC SEVEN – Live at the LA Troubadour 1/2/1974

01: Down In The Flood ( 3:13 )
02: The Ballad Of Ned Kelly ( 3:59 )
03: Solo ( 5:34 )
04: It’ll Take A Long Time ( 5:35 )
05: She Moves Through The Fair ( 4:15 )
06: The Hens March Through The Midden & The Four Poster Bed ( 3:17 )
07: The Hexamshire Lass ( 2:44 )
08: Knockin’ On Heaven’s Door ( 4:33 )
09: Six Days On The Road ( 3:44 )
10: Like An Old Fashioned Waltz ( 4:20 )
11: John The Gun ( 5:10 )
12: Down Where The Drunkards Roll – Alt Take ( 4:30 ) Previously Unreleased
13: Crazy Lady Blues ( 4:02 )
14: Who Knows Where The Time Goes ( 6:54 )
15: Matty Groves ( 7:05 )
16: That’ll Be The Day ( 3:23 )

Devo riconoscere che essere fan dei Fairport Convention, categoria alla quale mi onoro di appartenere, è una vera pacchia, in quanto nei 50 anni di carriera dello storico gruppo folk-rock britannico non sono mai mancate le sorprese. Infatti, oltre ad avere una corposa discografia sia studio che live, i Fairport sono stati negli anni oggetto di grande attenzione per quanto riguarda gli archivi, tra cofanetti (imperdibile Fairport Unconventional, ma bellissimi anche Cropredy Capers e quello dedicato alle BBC Sessions), antologie con inediti e ripubblicazioni di vecchi album con bonus tracks, senza dimenticare tutti gli inediti disseminati nei vari box sets dedicati ai componenti del gruppo (principalmente Richard Thompson e Sandy Denny, ma anche Ashley Hutchings e Dave Swarbrick). Non nascondo quindi di aver avuto un moto di gioia quando è stato annunciato che, per festeggiare ulteriormente i loro primi 50 anni (dopo il nuovo album 50:50@50 http://discoclub.myblog.it/2017/01/30/il-mezzo-secolo-di-una-band-leggendaria-fairport-convention-505050/ ), sarebbe uscito questo nuovo cofanetto intitolato Come All Ye che, come fa notare il sottotitolo The First Ten Years, riepiloga in ben sette CD il meglio della prima fase della loro carriera, che poi è anche la migliore, cioè dal 1968 al 1978 (i 50 anni ricorrono quest’anno in quanto il gruppo si formò nel 1967, ma il loro esordio discografico è dell’anno successivo, e comunque non per essere pignoli ma dal 1968 al 1978 gli anni sono undici…).

La cosa saliente del box è però il fatto che, su 121 canzoni totali, ben 55 sono inedite, un numero impressionante soprattutto considerando che negli anni passati, come ho già scritto, i FC sono sempre stati generosi nell’elargire brani unreleased: un box quindi da avere assolutamente, nonostante il costo relativamente importante, anche perché, dei brani editi, la maggior parte è comunque rara, in quanto proviene da varie antologie e box del passato, e non solo del gruppo (per esempio ci sono canzoni prese dal meraviglioso cofanetto di 19 CD del 2010 dedicato a Sandy Denny, ed anche dalla rara compilation anni settanta di Richard Thompson Guitar, Vocal), limitando al minimo i pezzi tratti dai dischi originali. Il box è corredato da un bel libretto con copertina dura di una cinquantina di pagine, ricco di foto, due saggi e le note di tutti i brani (anche se manca l’indicazione delle fonti originali di provenienza, che sono quindi indicate nella tracklist all’inizio del Post). Ecco quindi una veloce disamina dei contenuti, nella quale privilegerò chiaramente i pezzi mai sentiti prima.

I primi due CD documentano gli anni sessanta dei Fairport, la loro golden age, arrivando fino a Full House del 1970: sono anche i due dischi con meno inediti (quattro nel primo, tra cui una Nottamun Town a cappella e due belle versioni alternate di Autopsy e Who Knows Where The Time Goes?, ed uno sul secondo), ma l’ascolto è comunque consigliabile in quanto, oltre a contenere, come già detto, diversi pezzi provenienti da BBC Sessions, cofanetti e deluxe editions del passato, vedono anche ala presenza di Iain Matthews Ashley Hutchings: e poi il secondo dischetto per i contenuti musicali è da cinque stelle. Il terzo CD comincia con cinque brani dal vivo mai sentiti, per il programma Pop Deux, del Dicembre 1970, importanti in quanto gli ultimi con Thompson in formazione (se ne andrà infatti di lì a un mese): la qualità sonora è da bootleg, ma la performance è notevole, con due Sloth e Journeyman’s Grace da urlo grazie soprattutto a Richard, ed una altrettanto strepitosa Sir B. McKenzie, dove Swarbrick si prende la rivincita. Gli altri inediti sono due versioni dal vivo ancora con la stessa lineup (ma incisi molto meglio) delle poco note Flatback Caper e Doctor Of Physick, ed i sei brani finali del dischetto, tratti dallo special del 1975 The Man They Could Not Hang, cinque dei quali tratti appunto dal concept album di quattro anni prima Babbacombe Lee (bellissima ed intensa Time Is Near), oltre alla ballad Farewell To A Poor Man’s Son, scritta da Swarb per l’occasione.

Il quarto CD è anche il più interessante in quanto, a parte una versione inedita di Think It Over di Buddy Holly non utilizzata per il progetto collaterale The Bunch ed il rarissimo singolo uscito solo in Australia comprendente Fiddlestix e Possibly Parsons Green, include per la prima volta in via ufficiale tutti i dieci brani del mitizzato Manor Album, cioè il disco che Swarbrick e Dave Pegg, all’epoca (1972) ridotti a duo, avevano inciso con il cantautore canadese David Rea alla voce e chitarra e Tom Farnell alla batteria, una lineup che durò solo sei mesi e che non lasciò tracce ufficiali della sua esistenza. Molti di questi pezzi finiranno su dischi futuri del gruppo, a partire dal seguente Rosie (tra cui la title track, qui cantata da Rea), altri resteranno inediti (Sad Song, Rattle Trap e Sheep In The Meadow). Dieci brani interessanti, anche se si sente che non sono rifiniti, ed alcuni sono quasi a livello di demo (Rosie, la canzone, non vale un’unghia dell’originale, e Rea non era adatto a stare nei Fairport, infatti durò poco), e che tutto sommato i nostri fecero bene a non mettere su disco, anche se la loro pubblicazione odierna è comunque una chicca notevole. Il quinto dischetto si occupa degli anni finali, e c’è all’interno molto materiale con Sandy Denny, che nel 1974 era rientrata nel gruppo raggiungendo il marito Trevor Lucas, ma ci sono anche cose meno note dagli ultimi tre album dei seventies: gli inediti sono pochi (non male il medley strumentale Royal Selection No. 43), ma uno di essi vale gran parte del prezzo richiesto, cioè una versione alternata, e meno elettrica, della meravigliosa One More Chance, una delle canzoni più belle degli anni settanta e secondo me uno degli highlights assoluti della Denny come songwriter: forse ancora più bella di quella finita su Rising For The Moon (piccolo appunto: ma sul box di 19 CD dedicato a Sandy non doveva esserci tutto, ma proprio tutto quello da lei inciso in carriera? Evidentemente no…). Non sono inedite, ma decisamente rare una splendida White Dress dal vivo ed una insolita All Along The Watchtower di Bob Dylan live ad Oslo.

Ed eccoci al sesto dischetto, il più interessante insieme al quarto, in quanto presenta un concerto totalmente inedito del Dicembre del 1973 a Fairfield Halls: il tour è quello di Nine, e la band è quella con il suono più “americano” di sempre, grazie soprattutto al chitarrista Jerry Donahue. Un concerto bello e vibrante, con pochi classici ma rarità assolute come lo strumentale di Jerry Reed The Claw (eccellente Jerry alla solista acustica), il traditional Days Of 49 e soprattutto la splendida Far From Me di John Prine, che all’epoca era ancora sconosciuto ai più. Nei due bis di Down In The Flood e Something You’ve Got sale a sorpresa sul palco Sandy Denny, che l’anno seguente rientrerà nel gruppo in pianta stabile, anche se solo per un biennio. Il settimo ed ultimo CD è forse l’unica delusione del box: si tratta di un concerto del 1974 al Troubadour di Los Angeles, un live splendido e con Sandy in forma strepitosa, un disco migliore di quello uscito all’epoca…peccato che fosse già stato incluso nella versione deluxe doppia di Rising For The Moon della Denny, uscita nel 2013 (con l’unica differenza di una versione alternata ed inedita di Down Where The Drunkards Roll, probabilmente presa da un’altra serata), una cosa che penso si potesse evitare in quanto non credo manchino registrazioni dal vivo di buon livello del gruppo. Un neo però che non cambia il giudizio finale: un cofanetto imperdibile, un altro gradito episodio della saga infinita dei Fairport Convention.

Marco Verdi

“Strano” Nome A Parte, In Pratica Sono I Decemberists Più Olivia Chaney Che Reinventano Il Folk-Rock Britannico! Offa Rex – The Queen Of Hearts

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Offa Rex – The Queen Of Hearts – Nonesuch/Warner

In effetti un po’ il nome “misterioso” della formazione rimanda a quei gruppi storici che hanno fatto la storia del folk-rock britannico, e ai quali la band si ispira: i Fairport Convention, gli Steeleye Span, l’Albion Band, tutte formazioni in cui una voce femminile guidava un organico che era impegnato a fondere il folk tradizionale delle Isole Britanniche con il rock (e qualche traccia, più o meno percepibile, della psichedelia che imperava in quegli anni oltre oceano, nella West Coast e altrove), con creatività ma anche amore per le radici della musica popolare, e, diciamolo, una buona dose di talento nei suoi praticanti. Forse non a caso tutti questi gruppi sono stati fondati ai tempi da Ashley Hutchings, vero “genio” del folk e dell’electric folk inglese. Nel caso dei Decemberists, e nello specifico il loro leader Colin Meloy, da sempre estimatore di questo filone musicale (oltre che del rock progressivo, sempre inglese, quello più complesso) che si è professato un fan di Olivia Chaney, sin dalla pubblicazione del primo album per la Nonesuch della cantante, The Longest River, pubblicato nel 2015 (e di cui vi avevo parlato in un post doppio ad inizio 2016 http://discoclub.myblog.it/2016/01/04/recuperi-sorprese-inizio-anno-4-due-voci-femminili-scoprire-olivia-chaney-joan-shelley/ ): come racconta lei stessa, prima Meloy l’aveva contattata via Twitter esprimendo la sua ammirazione per quel album, invitandola ad andare in un tour americano con i Decemberists, e poi durante quella serie di concerti le ha proposto, con una frase che lascio volutamente in inglese, perché rende perfettamente l’idea:  ‘Have you ever thought of having a backing group? We’ll be your Albion Dance Band.'”!

Nel link del Post indicato sopra, potete trovare tutte le informazioni sulla Chaney, dei Decemberists ci siamo occupati spesso e volentieri sul Blog, basta usare la funzione ricerca e li trovate, per cui proseguiamo a vedere come è andata a finire la vicenda: intanto, per curiosità, Offa è stato un celebre Re di Mercia, un regno dell’antica Inghilterra, tra il 757 e il 796 Anno Domini, e se volete conoscerne la storia digitate in rete Offa di Mercia, ma visto che noi ci occupiamo di musica, la divulgazione culturale la lasciamo ad altri. Si diceva della proposta di Meloy, che è diventata una realtà, portando Olivia a Portland, Oregon, nella tana del leone, negli studi di Tucker Martine, per vedere cosa poteva scaturire dall’incontro tra i musicisti americani e una vera praticante del folk britannico (per quanto anche con le influenze americane citate nella recensione): insomma Sandy Denny Maddy Prior (ma anche Anne Briggs), vanno a braccetto con Joni Mitchell Natalie Merchant, nella splendida voce della Chaney, mentre i Decemberists provvedono a “ri-aggiornare” questo stile musicale, che comunque vanta ancora molti dei precursori originali in attività, e penso, oltre alla Prior e Hutchings a Richard Linda Thompson, ed altri che ricorderemo strada facendo.  Intanto lo fa andando a pescare nello stesso bacino tradizionale inglese-irlandese-scozzese da cui avevano attinto le prime band britanniche, a cavallo della fine anni ’60, primi anni ’70. Anche se la storia del disco non è solo questa: intanto agli arrangiamenti di The Queen Of Hearts ha contribuito la stessa Chaney, che nell’album, oltre a cantare con voce angelica suona pure clavicembalo elettrico, harmonium, piano, chitarra acustica e dobro, mentre Colin Meloy oltre ad essere un altro degli arrangiatori (con il resto della band) e co-produttore con Martine, suona tutti i tipi di chitarra, elettrica, classica, 12 corde ed  acustica, e, forse non è ancora stato detto, anche se si intuiva, il CD è veramente brillante e di grande qualità.

Per completare aggiungiamo che nel disco suonano pure Chris Funk, anche a lui a chitarra, mandolino, autoharp e hammered dulcimer, Nate Queery al basso, Jenny Conlee, piano elettrico Fender Rhodes, organo e fisarmonica, Jon Moen, batteria e percussioni, più Anna Fritz al cello, Ralph Carney a clarinetto e fiati, Mirabai Peart alla viola e Steve Drizos alle congas. A tratti si percepisce anche il sound abituale della band americana, specie nei brani più elettrici, ma il folk-rock (psichedelico o tradizionale) è all’ordine del giorno. Prendiamo il brano di apertura, la title track Queen Of Hearts, introdotta dal clavicembalo elettrico della Chaney poi si sviluppa in una cavalcata elettrica che sembra scaturire da Liege And Lief dei Fairport, con chitarre elettriche psych a duettare con la voce eterea e sognante di Olivia, in un pezzo dove qualcuno ha intravisto persino analogie con le prime Heart, quelle più bucoliche di inizio carriera di Dreamboat Annie. Blackleg Miner, cantata da Meloy (con Olivia poi alla seconda voce), ricorda moltissimo la versione degli Steeleye Span dal loro debutto Hark! The Village Wait, con un mandolino a guidare la melodia, mentre la versione di un altro traditional come The Gardener è direi splendida, una ballata, o “aria”, se preferite la terminologia folk, ricorda moltissimo appunto quelle ballate soffuse ed intense in cui Sandy Denny era maestra, e anche se la Chaney forse non raggiunge i vertici vocali della Sandy ci si avvicina moltissimo, con tutti i musicisti perfetti ai loro strumenti, dalla chitarra elettrica alla viola, alle tastiere, alla sezione ritmica discreta, ma comunque presente, veramente un ottimo brano. The First Time I Ever Saw Your Face è un brano celeberrimo di Ewan MacColl, un altro dei padri fondatori del revival del British folk (ha scritto anche Dirty Old Town), canzone famosa anche nella versione molto bella e quasi soft-soul di Roberta Flack, qui riacquista la sua dimensione tradizionale in un mood sonoro guidato dall’harmonium che rimanda al sound dell’Albion Dance Band a guida Shirley Collins, anche se la voce ricorda nuovamente sia la Denny che Natalie Merchant, quando affronta le canzoni folk.

Flash Company se non ricordo male dovrebbero averla cantata sia Norma Waterson (nel disco di famiglia Waterson:Carthy) che June Tabor, altre due delle grandi icone del folk inglese tuttora in attività, altra deliziosa ballata sulle ali di una chitarra elettrica e di un violino (o è una viola?) che rimanda alle più belle canzoni dei Fairport Convention di Richard Thompson e Sandy Denny, la voce, credo raddoppiata, di Olivia in questo pezzo è evocativa come raramente è dato sentire ai giorni nostri. The Old Churchyard uno dei brani più pastorali viceversa ricorda nuovamente gli Steeleye Span di Maddy Prior, anche vocalmente, tra intrecci di chitarra elettrica, tastiere, viola e harmonium, su cui svetta nuovamente la voce cristallina della Chaney. Constant Billy (Oddington) / I’ll Go Enlist (Sherborne) è un breve e coinvolgente strumentale, con la fisarmonica della Conlee a guidare letteralmente le danze, in un brano che rimanda moltissimo ai progetti più tradizionali di Hutchings nelle varie versione della Albion Band. Altro grande brano, uno dei più belli del disco è Willie o’ Wisnbury, che si ricorda in decine di versioni, forse le più famose quelle di Dick Gaughan, dei Pentangle e degli Sweeney’s Man (tra gli “antenati” dei Planxty): la rilettura degli Offa Rex, di oltre sette minuti, è un’altra di quelle canzoni dove si apprezza a fondo l’angelica voce della Chaney, ma anche la maestria del gruppo nel ricreare con pochi tocchi le malinconiche e suadenti atmosfere tipiche del miglior folk britannico. Poi replicate nelle note scandite e quasi marziali di Bonny May, altro brano legato a June Tabor, ancora pezzo corale di grande livello ed intensità. Ci avviciniamo alla fine con Sheepcrook and Black Dog, un altro dei brani più elettrici di questo CD, dove prevale l’anima più rock e psych, quasi sperimentale, del gruppo, con sciabolate di chitarre elettriche, la voce stranamente lavorata e grintosa e quell’aria tipica delle storie popolari, tra fato e disgrazie varie che si intrecciano nel racconto della canzone. L’ultimo brano viene pure dal songbook della famiglia Waterson, Lal nello specifico è l’autore di To Make You Stay, altra evocativa e sospesa ballata elettrica affidata ala voce di Colin Meloy (sempre con la doppia voce della Chaney), con chitarra acustica e pianoforte che creano altre magie sonore, orientali a tratti, che portano ad una degna conclusione questo splendido album.

Altamente consigliato, tra i migliori dischi del 2017 fino ad ora.

Bruno Conti

Tra Folk E Rock, Una Storica Band Britannica Sempre In Gran Forma! Steeleye Span – Dodgy Bastards

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Steeleye Span – Dodgy Bastards – Park CD

Il vulcanico bassista Ashley Hutchings, una delle figure più carismatiche del folk britannico degli ultimi cinquanta anni, detiene l’imbattibile record di essere stato membro fondatore di ben tre delle quattro band cardine del genere folk-rock inglese (l’unica con la quale non c’entrava niente erano i Pentangle), per poi abbandonarle tutte quante: i Fairport Convention sono di sicuro la più celebre tra queste, un vero e proprio dream team (con gente come Richard Thompson, Sandy Denny e Dave Swarbrick al suo interno non mi viene un altro termine per definirla) che però abbandonò dopo il capolavoro Liege & Lief per creare gli Steeleye Span, che lasciò a loro volta nei primi anni settanta per fondare la Albion Band. Parlando nel dettaglio di quanto successo con gli Span, Hutchings non era d’accordo di dare al gruppo, dopo i primi tre bellissimi album a carattere tradizionale, una svolta più commerciale, e se ne andò trascinando con sé anche Martin Carthy (altro storico folksinger inglese), sostituito da Rick Kemp, che in breve tempo si legò sentimentalmente con la cantante Maddy Prior e insieme diedero vita a diversi ottimi album di piacevole folk-rock, il più di successo dei quali è senz’altro All Around My Hat del 1975 (i primi sei lavori del nuovo corso sono stati riuniti qualche anno fa nell’imperdibile triplo CD A Parcel Of Steeleye Span).

Gli Span sono ancora oggi attivissimi, pur con diversi cambi di formazione tipici di questo tipo di band, anche se sia la Prior (unica tra i membri fondatori ancora in sella) sia Kemp sono sempre al bastone di comando, pur non essendo più sposati da tempo. Gli altri membri del gruppo attualmente sono Julian Littman alle chitarre, mandolino e pianoforte, la bravissima Jessie May Smart al violino (strumento indispensabile nell’economia della band), Liam Genockey alla batteria ed il nuovo chitarrista Andrew Sinclair, che sostituisce Pete Zorn purtroppo scomparso lo scorso anno. Dodgy Bastards è il nuovo album del sestetto (il loro ventitreesimo in totale), e giunge a tre anni dall’apprezzato Wintersmith, che era stato il loro disco più venduto degli ultimi 37 anni: Dodgy Bastards è un lavoro particolare, che prende spunto da alcune tra le più di trecento ballate popolari inglesi e scozzesi antologizzate nel diciannovesimo secolo dallo studioso americano Francis James Child (note al mondo come “Child Ballads”), ma le ripropone in versioni rivedute e corrette, sia nei testi che nelle musiche, con arrangiamenti che partono dalla base originale folk per arrivare ad assumere tonalità decisamente rock, in alcuni momenti anche piuttosto sostenuto. Il gruppo suona con la foga e la grinta di una band di giovani virgulti, e la Prior ha ancora una bellissima voce nonostante quest’anno per lei scattino le settanta primavere. C’è anche più di un brano con tendenza alla jam, con durate che superano i sette, otto ed in un caso anche i dieci minuti: basti pensare che tutto il disco (che comprende dodici canzoni) va ben oltre i settanta minuti, senza però risultare noioso o ripetitivo, ma al contrario conferma che gli Steeleye Span sono più vivi che mai, ed al contrario dei Fairport che da anni fanno dischi sì molto piacevoli ma decisamente sovrapponibili tra loro (e senza assumersi alcun rischio), non hanno perso la voglia di sperimentare e di rielaborare la tradizione.

Cruel Brother apre il CD con una bella introduzione corale a cappella, poi entrano all’unisono gli strumenti per un brano folk-rock davvero trascinante, guidato dalla splendida voce di Maddy, con un gustoso mix tra chitarre elettriche e violino ed un motivo di presa immediata, ed in più diversi cambi di ritmo e melodia che, uniti ad una durata che si avvicina agli otto minuti, fa del brano quasi una mini-suite. All Things Are Quite Silent è un’intensa e struggente ballata tutta basata sulla chitarra acustica, il violino e la voce cristallina della Prior, Johnnie Armstrong è un folk elettrificato dal carattere tradizionale, suonato però con grande forza e cantato con pathos da Kemp, mentre Boys Of Bedlam, già presente con un arrangiamento più tradizionale nel loro secondo album Please To See The King (1971), qui diventa una potente rock song elettrica, con il violino quasi stridente ed un’atmosfera al limite del minaccioso, il tutto mescolato mirabilmente con una melodia di stampo antico (si può parlare di folk-punk?). Anche la tosta Brown Robyn’s Confession (in cui canta la Smart) fonde in maniera egregia suoni moderni con un motivo chiaramente folk, con le chitarre ancora in primo piano ed un refrain scorrevole; Two Sisters è la rielaborazione di un noto standard folk conosciuto anche come Cruel Sister (brano che dava anche il titolo all’album dei Pentangle preferito dal sottoscritto), in una versione ancora tosta, diretta e potente, anche se le chitarre elettriche si mantengono nelle retrovie.

La fluida Cromwell’s Skull è un’oasi elettroacustica (canta Kemp) con una melodia molto bella ed emozionante, unita ad uno sviluppo strumentale vibrante che si dipana lungo otto minuti, con il violino grande protagonista ed uno strepitoso finale chitarristico: una delle più riuscite del lavoro. La title track è uno strumentale di “soli” tre minuti, una saltellante giga rock guidata ancora dallo splendido violino della Smart e da una chitarra che ne imita il timbro, Gulliver Gentle And Rosemary è di nuovo un folk-rock scintillante, dalla squisita melodia corale e decisamente coinvolgente, mentre The Gardener è puro rock, con le chitarre quasi hard, un’altra iniezione di energia appena smorzata dal violino. La nervosa ed ancora roccata Bad Bones prelude al gran finale, che è appannaggio del medley The Lofty Tall Ship/Shallow Brown, più di dieci minuti all’insegna di deliziose melodie tradizionali, cambi di ritmo ed interventi mai fuori posto da parte del violino, con momenti di pura poesia folk (Shallow Brown è splendida), per finire con una lunga ed affascinante coda strumentale.

Anche gli Steeleye Span si stanno avvicinando ai cinquanta anni di carriera, ma l’energia che esce da un disco come Dodgy Bastards indica chiaramente che non è ancora tempo per loro di appendere gli strumenti al chiodo.

Marco Verdi