Un “Nuovo” Bluesman Canadese, Raffinato E Potente Al Contempo. Steve Strongman – Tired Of Talkin’

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Steve Strongman – Tired Of Talkin’ – Steve Strongman/Ontario Creates

In Canada esistono riserve quasi inesauste di musicisti eccellenti che attendono solo di essere “scoperti” da una platea più ampia rispetto a quella interna dello stato dell’Acero: non vi faccio elenchi ma quasi ogni mese sbucano dal nulla nomi di cui spesso non sospettavamo neppure l’esistenza. L’ultimo della lista potrebbe essere questo Steve Strongman, del quale Tired Of Talkin’ risulta già essere stato pubblicato nel 2019, ma solo a livello autogestito, e ora con una distribuzione più capillare tramite Stony Plain, risulta più facilmente reperibile, e quindi, visto che merita, sia pure in ritardo, parliamone… Non siamo di fronte ad un esordiente, Strongman è in attività dagli anni ‘90 e a livello discografico dal 2007, in effetti il nuovo CD è il settimo che pubblica, ha vinto svariati premi a livello nazionale, ed è stato candidato anche ai Juno Awards, i Grammy canadesi. Forse non ho detto che si tratta di un (ottimo) praticante del blues, di stampo rock, notevole chitarrista e anche in possesso di una bella voce, impegnato pure a dobro ed armonica.

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Il CD è stato registrato tra il Canada e Nashville, dove Steve, oltre al suo gruppo, si è avvalso dell’operato di musicisti di gran pregio come Pat Sansone  (giro Wilco)alle tastiere, il bravissimo Audley Freed (già dei Black Crowes) alle chitarre aggiunte e James Haggarty al basso; la sua band è formata da Dave King alla batteria (e coautore con Strongman di quasi tutte le canzoni), Colin Lapsley al basso e Jessie O’Brien al piano, presenti nei sei brani registrati a Hamilton, Ontario, in un paio di brani alle backing vocals ci sono Ella e Scarlett Strongman, presumo parenti. Il nostro amico non appartiene alla categoria dei chitarristi che privilegiano lunghi assoli e improvvisazioni, ma preferisce uno stile più ruspante, sanguigno, anche se è un ottimo manico: come risulta subito dalla gagliarda title track, pianino titillante, ritmica robusta e vari brevi assoli dello stesso Steve, anche in modalità slide, il tutto con richiami stonesiani, poteva capitarci di peggio https://www.youtube.com/watch?v=sC-eO0f_0lo Paid My Dues è un bel boogie-blues, tosto e tirato, con uso armonica e un bel groove e la chitarra che fila sempre liscia come l’olio https://www.youtube.com/watch?v=caDUz0_LJOk ; Still Crazy About You illustra anche il suo lato più romantico, una bella ballatona mid-tempo di impianto sudista, con Strongman anche al dobro e lap steel, che dona un tocco di pigro country https://www.youtube.com/watch?v=E17ATSwDgU0 , mentre Just Ain’t Right uno dei brani registrati in Tennessee, e firmato coralmente, è un ottimo esempio di funky-rock à la Little Feat, ovviamente con impiego di slide “cattiva” e un bel organo corposo di rinforzo https://www.youtube.com/watch?v=CWUrmCNRzxU .

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Can’t Have It Hall è un boogie blues vorticoso con il nostro anche all’armonica, mentre la solista tira alla grande, breve ma intenso https://www.youtube.com/watch?v=dYOIUuCWp_s , con Tell Me It Like It Is che è un bluesone di quelli duri e puri, sempre con la solista goduriosa di Steve in bella evidenza in un conciso assolo da sballo e piano d’ordinanza di supporto https://www.youtube.com/watch?v=7J4hl96yJNQ . Livin’ The Dream, sempre da Nashville, viceversa è un bel rock’n’roll a tutto riff, dove non si può fare a meno di andare a tempo con il piedino, mentre la band aizza Strongman che rilascia un altro serie di soli con bottleneck e solista raddoppiate, il tutto da manuale. That Kind Of Fight è una bella ballata avvolgente che ci presenta di nuovo il suo lato più intimo e melodico, con assolo di acustica, ma è un attimo https://www.youtube.com/watch?v=pbwMQp9jSuY , Hard Place And A Rock, come da titolo, è una botta di energia, con la band che rocca e rolla come se non ci fosse un futuro, niente lungaggini ma grinta da vendere e chitarre arrotate. Highway Man è blues puro, intimo e non adulterato, solo voce e una acustica in modalità slide https://www.youtube.com/watch?v=u_YUmxaYtJg , ottimo anche Bring You Down un rock mid-tempo, sempre con fantastico lavoro della chitarra che lavora di fino, a chiudere troviamo l’unica cover dell’album, una deliziosa rilettura di Let’s Stay Together di Al Green che essuda soul music di gran classe, anche nello squisito guitar solo  . Per usare un acronimo alla Asterix UDQB, uno di quelli bravi!

Bruno Conti

Così Brave Ce Ne Sono Poche In Giro! Shannon McNally – Black Irish

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Shannon McNally  – Black Irish – Compass Records

Francamente non si capisce (o almeno chi scrive non lo capisce) perché Shannon McNally non sia una delle stelle più brillanti del circuito roots/Americana, quello stile dove confluiscono blues, rock, country, folk, swamp (soprattutto nei dischi della McNally che ha vissuto anche a New Orleans, e il cui ultimo album, prodotto da Dr. John, Small Town Talk, era un tributo alle canzoni di Bobby Charles http://discoclub.myblog.it/2013/04/20/un-tributo-di-gran-classe-shannon-mcnally-small-town-talk/ ).. Insomma catalogate sotto “buona musica” e non vi sbagliate. La nostra amica è del 1973, quindi non più giovanissima, diciamo nel pieno della maturità, anagrafica, compositiva, vocale, con otto album, compreso questo Black Irish, nel suo carnet. Non ha una discografia immane la brava Shannon, però pubblica dischi con costanza e regolarità, una media all’incirca di un album ogni due anni, dall’esordio con l’ottimo Jukebox Sparrows, uscito per la Capitol nel 2002,  dove suonava gente come Greg Leisz, Rami Jaffee, Matt Rollings, Jim Keltner, Bill Payne e via discorrendo, disco che la aveva inserita nel filone di gente come Shelby Lynne, Sheryl Crow, Lucinda Williams, Patty Griffin, e anche qualche tocco classico alla Bonnie Raitt. Poi negli anni a seguire ha alternato dischi propri ad altri di cover (Run For Cover e quello citato prima), alcuni molto belli, come Geronimo, Coldwater, l’ultima produzione di Jim Dickinson prima di lasciarci http://discoclub.myblog.it/2010/02/21/shannon-mcnally-coldwater/ , e anche Western Ballad, scritto e prodotto insieme a Mark Bingham.

Ma tutti album comunque decisamente sopra la media, compreso il tributo a Bobby Charles, dopo il quale si è presa una lunga pausa, per mille problemi, un divorzio, la malattia terminale della madre che poi è morta nel 2015, il fatto di dovere crescere una figlia, che comunque non hanno diminuito la sua passione per la musica: anzi, trovato un nuovo contratto con la Compass, Shannon McNally pubblica un album che è forse il suo migliore in assoluto.. Alla produzione c’è Rodney Crowell, uno abituato a lavorare con le voci femminili: dalla ex moglie Rosanne Cash a Emmylou Harris, per citarne due “minori”! Crowell si è portato due ottimi chitarristi come Audley Freed e Colin Linden, e in ordine sparso una sfilza di vocalist, presenti anche come autrici, da Beth Nielsen Chapman, Elizabeth Cook, Emmylou Harris, oltre a Cody Dickinson, Jim Hoke, Byron House, Michael Rhodes, ed altri musicisti pescati nel bacino della Nashville “buona”. Shannon questa volta scrive poco, ma la scelta dei brani è eccellente e l’esecuzione veramente brillante, vogliamo chiamarle, cover, versioni, riletture, o come dicono quelli che parlano bene “parafrasi”, il risultato è sempre notevole: dall’ottima apertura con la bluesy dal tiro rock, You Made Me Feel For You, scritta da Crowell, e dove si apprezza subito la voce leggermente roca e potente della McNally, vissuta e minacciosa, passando per la poca nota ma splendida I Ain’t Gonna Stand For It di Stevie Wonder (era su Hotter Than July), che diventa un country got soul eccitante, con strali di pedal steel e coriste in calore (penso Wendy Moten e Tanya Hancheroff); e ancora una splendida Banshee Moan, scritta con Crowell, una ballata con tocchi celtici, dove Shannon canta con un pathos disarmante, convogliando nella sua voce tutte le grandi cantanti citate fino ad ora.

Molto bella anche I Went To The Well, scritta con Cary Hudson dei Blue Mountain, dove sembra che ad accompagnarla ci siano Booker T & The Mg’s, per un brano gospel-soul di gran classe, sempre cantato con assoluta nonchalance; Roll Away The Stone, scritta con Garry Burnside della famosa famiglia, sembra Gimme Shelter degli Stones in trasferta sulle rive del Mississippi, con Jim Hoke impegnato in un assolo di sax che avrebbe incontrato l’approvazione di Bobby Keys. Altro grande brano, in origine e pure in questa versione, una Black Haired Boy scritta da Guy e Susanna Clark, cantata con tenerezza ed amore, con le armonie vocali splendide, affidate a Emmylou Harris ed Elizabeth Cook, che ti fanno rizzare i peli sulla nuca. Low Rider è un brano oscuro ma di grande valore di JJ Cale, blues-swamp-rock come non se ne fa più, cantato con voce calda e sensuale; Isn’t That Love è un pezzo nuovo, scritto da Crowell e Beth Nielsen Chapman, anche alla seconda voce,  una ballata country-soul dal refrain irresistibile, dove si apprezza vieppiù la voce magnifica della McNally. The Stuff You Gotta Watch è un pezzo di Muddy Waters, trasformato in un R&R/Doo-wop blues dal ritmo galoppante, assolo di armonica di Hoke incluso; Prayer In Open D di Emmylou Harris era su Cowgirl’s Prayer, un country-folk intimo cantato (quasi) meglio di Emmylou, comunque è una bella lotta. E la cover di It Makes No Difference della Band è pure meglio, forse il brano migliore del disco, cantata e suonata da Dio (quel giorno aveva tempo), quindi perfetta. E per chiudere in gloria una versione di Let’s Go Home di Pops Staples, uno dei brani più belli degli Staples Singers, country-soul di nuovo “divino”, anche visto l’argomento. Io ho scritto quello che pensavo, ora tocca a voi. Per me, fino ad ora, in ambito femminile, uno dischi migliori del 2017.

Bruno Conti