La Vera Fusione Tra Poesia E Rock! Allen Ginsberg – The Last Word On First Blues

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Allen Ginsberg – The Last Word On First Blues – Omnivore Records 3CD Box Set

Devo essere sincero: la vera ragione iniziale per la quale mi sono accaparrato questo cofanetto è la presenza di Bob Dylan, anche se, per essere precisi, il bardo di Duluth partecipa fisicamente solo a sette delle trentacinque canzoni incluse (senza peraltro lasciare tracce tangibili), ma la sua influenza aleggia in gran parte dell’opera. Ma andiamo con ordine: penso che Allen Ginsberg sia un personaggio che non ha bisogno di presentazioni, in quanto è stato uno dei massimi esponenti della cosiddetta Beat Generation, un movimento culturale ed intellettuale underground che ebbe in Jack Kerouac la sua figura principale, ed in William Burroughs, Gregory Corso e Lawrence Ferlinghetti alcuni dei suoi esponenti di punta. Ma la figura più carismatica, ed in un certo senso controversa, fu proprio quella di Ginsberg, autore di opere dissacranti e decisamente di rottura (di cui Howl è quella più famosa), nelle quali il nostro affrontava senza peli sulla lingua (e per questo ebbe più di un problema con la censura) temi come la politica, il sociale, le droghe, la religione e l’omosessualità, dando maggior cassa di risonanza al tutto per mezzo di reading pubblici passati alla storia, e facendone uno dei personaggi simbolo della sinistra radicale americana.

Di tutti i poeti beat, Ginsberg è senz’altro stato quello più attratto dal mondo della musica rock, in particolar modo proprio per la sua amicizia con Dylan (lui avrebbe voluto essere più che amico, ma Bob, eterosessuale convinto, non ne volle sapere – fine del momento gossip): come non ricordare la sua presenza sullo sfondo del mitico video di Subterrenean Homesick Blues e, una decade dopo, fra i protagonisti dello strampalato film Renaldo And Clara, girato da Bob durante il tour con la Rolling Thunder Revue. Ginsberg però, oltre a pubblicare diverse letture delle sue poesie in versione audio, tentò anche la carriera da musicista, pubblicando nel 1983 un doppio album intitolato First Blues, un disco che diventò presto introvabile e ricercatissimo presso i collezionisti, un lavoro che era il frutto di tre diverse sessions tra gli anni settanta ed i primi anni ottanta: una prima, molto informale, nel 1971 (quella con Dylan ed altri musicisti noti come Happy Traum), una del 1976 più professionale prodotta da John Hammond Sr. (con David Mansfield come band leader) ed infine undici brani incisi nel 1981 a New York negli studi della ZBS Media. First Blues è stato pubblicato anche in CD, ma è andato presto fuori catalogo, e parte di esso entrò nel cofanetto del 1994 che la Rhino dedicò a Ginsberg, Holy Soul, Jelly Roll, insieme a vari reading e spoken word della sua carriera.

Ora la Omnivore mette la parola fine fin dal titolo (The Last Word On First Blues) su quel disco mitizzato, pubblicando questo interessante ed elegante box di tre CD, dove nei primi due dischetti troviamo una versione rimasterizzata dell’LP originale, mentre nel terzo abbiamo undici pezzi totalmente inediti. Ebbene, dico subito che, se qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte ad un poeta che si cimenta con la musica rock, qui abbiamo diverse cose molto interessanti, ed alcune addirittura ottime: Ginsberg in queste 35 canzoni dimostra di non essere per nulla uno sprovveduto dal punto di vista musicale, ha il senso sia della melodia e del ritmo e, anche se chiaramente non tutto funziona a meraviglia (alcuni brani sono indiscutibilmente di minor livello, ed Allen come vocalist non era certo Pavarotti), direi che il contenuto del box ha una sua dignità ed il suo acquisto non è per nulla ingiustificato.

I primi tre brani del primo CD fanno parte della session del 1971, e si va da Going To San Diego, vivace blues con elementi kletzmer e dixieland, voce dylaniana ed ottimo senso del ritmo a Vomit Express, ancora più influenzata da Dylan (anzi, sembra proprio di sentire Bob), con un accompagnamento in debito con Like A Rolling Stone ed un suono in generale molto anni sessanta https://www.youtube.com/watch?v=lk8U_YJ6-ZI , per finire con Jimmy Berman, perfetta folk-rock ballad, con un Ginsberg non proprio intonatissimo, ma di indubbio fascino e perfettamente credibile. La parte del 1976 prodotta da Hammond inizia con l’umoristica e dissacrante NY Youth Call Annunciation, su una gradevole base a mo’ di marcetta folk, seguita dall’irresistibile CIA Dope Calypso, https://www.youtube.com/watch?v=bGzM2b1BaD8  altra caustica canzone con un piacevole accompagnamento caraibico, alla Jimmy Buffett. La bizzarra Put Down Your Cigarette Rag è poca cosa, ma Sickness Blues è, appunto, un blues d’altri tempi, dal sapore rurale ed atmosfera pre-bellica (ed è da brani come questo che si nota la preparazione del nostro), mentre la saltellante Broken Bone Blues vede Allen addirittura tentare la carta del country, complice la guizzante steel di Mansfield; ancora country, ma con risultati migliori, con Stay Away From The White House, mentre il primo CD si chiude ancora con due blues, Hard-on Blues e Guru Blues, lento, acustico e sofferto il primo, più terso ed imparentato con il folk il secondo (ed i testi sono da censura).

Il secondo dischetto comincia con la folkeggiante Everybody Sing, limpida e fresca, e con l’ancora più bella Gospel Nobel Truths, una melodia decisamente tradizionale e scintillante, tra country e gospel, un pezzo sopraffino da parte di uno che non è certo un musicista. La session del 1981 è quella con più ballate dal sapore folk, ma anche quella con i risultati più altalenanti: Bus Ride Ballad To Suva è un perfetto folk tune dal sapore irlandese https://www.youtube.com/watch?v=9t2U2Ia74gM , la pianistica Prayer Blues è dissacrante e basta, mentre Love Forgiven è una tenue ballata dall’accompagnamento scarno ma toccante e dal cantato vibrante, così come Father Death Blues, impreziosita da una doppia voce femminile (non accreditata). La sorprendente Dope Fiend Blues è un rock’n’roll elettrico e trascinante, ancor più gradito perché inatteso, Tyger è poco più di un divertissement, mentre You Are My Dildo è cantata, per così dire, da Peter Orlowsky (poeta ed amante di Ginsberg), la cui vocalità sgradevole rende insopportabile un brano che già di suo non è il massimo; Old Pond è invece un godibilissimo bluegrass suonato con tutti i crismi (banjo, chitarre, mandolino e voce in palla) https://www.youtube.com/watch?v=HgVwvMw4cSM , mentre il secondo CD si chiude in crescendo con No Reason, una splendida ballata, dallo straordinario gusto melodico, scritta e cantata da Steven Taylor (che è molto più cantante di Ginsberg, e si sente) https://www.youtube.com/watch?v=6bWF7rsrO2I , la folkie e deliziosa My Pretty Rose Tree e la veemente Capitol Air, dal vigore quasi punk.

Questo per quanto riguarda la parte nota (si fa per dire) di First Blues, ma poi abbiamo il terzo CD, che si apre con tre brani del 1971: la tetra e cantilenante Nurses Song, non il modo migliore di cominciare (ma il crescendo finale non è male), seguita dal folk sghembo e quasi etilico di Spring (Merrily Welcome) e la drammatica September On Jessore Road, che però presenta un Ginsberg stonatissimo. Poi abbiamo quattro outtakes del ’76, tra le quali spiccano la gustosa (anche se un po’ irrisolta) Slack Key Guitar, dall’arrangiamento hawaiano, ed il blues canonico di NY Blues. Il folk di stampo tradizionale a sfondo politico Come Along Vietnam viene da una session isolata del 1975, ed è una sorta di demo, mentre Airplane Blues e Feeding Them Raspberries To Grow, vengono da una serata dal vivo al Folk City di New York, e se la prima è una buona canzone dall’incedere lento, la seconda vede ancora il pessimo Orlowsky alla voce solista. Ma la vera chicca del CD, che da sola vale il prezzo, è Do The Meditation Rock, un inedito del 1982 (con un insolito Bob Dylan al basso), brano potente e coinvolgente, un rock’n’roll dal suono pieno e forte ed in definitiva uno dei più bei pezzi del triplo.

Un cofanetto dunque per nulla ostico, nel quale anzi c’è anche parecchia buona musica, e che dimostra ancora una volta che Allen Ginsberg, per quanto figura controversa e se vogliamo discutibile, era, come dicono gli americani, larger than life.

Marco Verdi