Non Solo Blues Per La Talentuosa Ed Eclettica Cantante Canadese. Layla Zoe – Nowhere Left To Go

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Layla Zoe – Nowhere Left To Go – Layla Zoe Music

Verso la metà della scorsa decade, tra il 2016 e il 2017, Layla Zoe ha goduto di una improvvisa ed inaspettata popolarità, almeno tra gli appassionati, venendo nominata Best Vocalist Of The Year agli European Blues Award, pur essendo canadese e, aggiungo io, non proprio più una giovane promessa (all’epoca aveva superato già i 35 anni e facendo due calcoli, essendo nata a Victoria B.C, Canada sul finire degli anni ‘70, non è dato sapere la data esatta, ha superato oggi i 40): si diceva della fama in quegli anni, generata da due ottimi album usciti per la Ruf, uno in studio e un Live, oltre al collettivo Blues Caravan 2016, insieme a Tasha Taylor e a Ina Forsman, che considero la migliore del trio, ma anche Layla ha parecchie frecce al suo arco https://discoclub.myblog.it/2017/03/05/ancora-una-volta-lunione-fa-la-forza-ina-forsman-tasha-taylor-layla-zoe-blues-caravan-2016-blue-sisters-in-concert/ , sviluppate in una carriera di oltre 25 anni e 15 album pubblicati, incluso questo nuovo Nowhere Left To Go, che la vede tornare alla distribuzione in proprio, come nei primi anni, e quindi con reperibilità abbastanza scarsa.

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La Zoe è in possesso di una voce potente ed espressiva, diciamo dalle parti di Beth Hart e Dana Fuchs, due ragazze cresciute a pane e Janis Joplin, e anche Zoe si ispira parzialmente a quell’approccio, ma inserisce anche tematiche più hard, i Led Zeppelin e ovviamente Robert Plant sono due modelli, ma non manca l’amore per soul e R&B, qualche tocco gospel e tanto blues. Come autori e musicisti Layla si fa aiutare da alcuni altri talenti emergenti come Jackie Venson, una cantante e chitarrista texana di quelle toste, Alastair Greene, altro chitarrista e cantante californiano, il conterraneo Dimitri Lebel, tutti presenti nell’album, insieme ad altri musicisti canadesi e olandesi che hanno dato il loro contributo da remoto, causa pandemia, visto che il disco è stato realizzato durante il 2020 ed esce ad inizio 2021, uno dei primi, ma il risultato è comunque organico e caldo, come si evince dalla intensa Pray, scritta con la Venson, e dalle chiare influenze gospel, una vivida canzone pianistica dove si gusta la voce poderosa della Zoe, irrobustita da cori di supporto e un organo hammond old school https://www.youtube.com/watch?v=ErgsFlJysnY , mentre la title track, firmata sempre con la Venson vira verso il blues (rock) per un mid-tempo robusto e roccioso, con le chitarre che “riffano” di gusto e Layla che inizia a dare libero sfogo alle sue emozioni, prima di lasciare spazio ad un assolo grintoso  https://www.youtube.com/watch?v=s74hqwj3CqQ .

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Sometimes We Fight è una deep soul ballad, di nuovo con uso organo e un bel assolo di armonica https://www.youtube.com/watch?v=y0G2em_beIM , Don’t Wanna Help Anyone, scritta con Greene, che si dà da fare alla solista, illustra il lato più duro, tra Hendrix e Zeppelin, con chitarre a manetta https://www.youtube.com/watch?v=VB7WpWvBp_E , This Love Will Last con Lebel, rivela di nuovo influenze di musica nera, un R&B sempre intinto da elementi rock nella voce, che si fa più tenera ma assertiva nel barrelhouse blues pianistico di Susan, più jopliniano e di nuovo rock a manetta nella funky Little Boy, dove Layla lascia andare di nuovo la voce, che ritorna di nuoo più tenera e naturale, meno esagerata, nella deliziosa Might Need To Fly, che comunque si anima in un bel crescendo che culmina in un ruvido assolo di chitarra https://www.youtube.com/watch?v=CeKJO0IiDdM . Lies, dove la Zoe è accompagnata solo dal suono di un contrabbasso, si avventura in atmosfere più jazzy e raffinate https://www.youtube.com/watch?v=ddz9cP48yC8 , per chiudere con Dear Mom, una incantevole canzone dove chitarra acustica, mandolino e violino illustrano questo lato più roots della nostra amica, a suo agio anche in un ambito più raccolto https://www.youtube.com/watch?v=OONF5zIxPzw . Non solo blues quindi, per una cantante talentuosa ed eclettica.

Bruno Conti

Joe Bonamassa – L’Erede Di Eric Clapton O “Solo” Un Grande Chitarrista? Parte II

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Seconda Parte

La Carriera Solista Seconda Parte 2010-2010, Gli Anni Della Consacrazione: Black Country Communion, Collaborazioni Con Beth Hart, Rock Candy Funk Party, Sleep Eazys

A marzo esce il primo disco della nuova decade

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Black Rock – 2010 Mascot Provogue ***1/2 Registrato appunto ai Black Rock Studios nell’isola greca di Santorini il disco sancisce anche il successo commerciale della musica di Bonamassa in giro per tutto il mondo: ancora un brano alla Led Zeppelin come Steal Your Heart Away del bluesman Bobby Parker apre il CD, seguito da una canzone di John Hiatt (per un breve periodo anche lui “cliente” di Shirley) I Know A Place, anche questa duretta, Quarryman’s Lament, influenzata dal folk greco, prevede l’uso di flauto e bouzouki, mentre Spanish Boots, uno dei classici di Jeff Beck, è un altro potente rock-blues. Tra le altre cover, interessanti quelle di Bird On A Wire di Leonard Cohen, di nuovo con elementi folklorici e un violino insinuante, mentre Three Times A Lady di Otis Rush è un solido blues shuffle, e ottima pure la cover di Night Life di Willie Nelson, che vede la presenza di una ancora pimpante B.B. King, e un ottimo uso di fiati e archi, per non parlare della vivace Look Over Yonder’s Wall, un pezzo di Freddie King e il blues anni ‘20 Baby You Gotta Change Your Mind di Blind Boy Fuller e interessante la di nuovo acustica e cooderiana Athens To Athens. Per mantenere la media dei due dischi all’anno a fine anno esce anche il primo album dei Black Country Communion, il supergruppo formato con Glenn Hughes, di Trapeze e Deep Purple, Jason Bonham e Derek Sherinian dei Dream Theater, disco per certi versi anticipato dalle sonorita hard rock di alcuni brani di Black Rock. Li vediamo tutti quattro insieme qui sotto (anzi 5 compreso il Live).

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Black Country Communion – 2010 Mascot Provogue ***1/2 Il sound è evidentemente un omaggio a quello delle classiche band hard rock anni ‘70, in primis Led Zeppelin e Deep Purple: Glenn Hughes, basso e voce è la forza trainante della band, scrive quasi tutti i testi delle canzoni, mentre la musica appartiene ad entrambi, con qualche aiuto dagli altri, come direbbe Abatantuono “viulenza”, Hughes è un ottimo cantante, superiore a Bonamassa, specie nel genere, Joe che “si limita” a suonare la chitarra, sfogando tutta il suo amore per la musica hard, non tutto nel disco brilla, e gli odiatori del Bonamassa “casinaro” stiano a distanza, ma The Great Divide un brano tra Gary Moore e Deep Purple, la lunga cover di Medusa dei Trapeze, un pezzo dall’anima prog, Song Of Yesterday, firmata da Hughes e Bonamassa, tra Zeppelin, Free e qualche citazione Hendrixiana, non sono male, come pure la lunghissima canzone corale conclusiva Too Late For The Sun, oltre 11 minuti, con Bonamassa e Sherinian a dividersi gli spazi solisti, specie nella estesa coda strumentale.

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Black Country Communion 2 – 2011 Mascot Provogue ***1/2 il canovaccio è quello, lo stile sonoro pure, i quattro picchiano sempre come fabbri, qualche variazione sul tema in Faithless, con il suono della chitarra di Joe che rimanda ai Cream, ma Hughes è sempre dalle parti di Purple e Zeppelin, mentre An Ordinary Son è un tributo alla famiglia di Bonamassa, che lo ha sempre sostenuto nella sua carriera, notevole pure il blues lancinante Little Secret: questo è quello che avevo scritto sul disco nella mia recensione dell’epoca “In definitiva: derivativo, già sentito mille volte, con tanti assoli, una voce sopra le righe, tutti gli ingredienti di un disco di musica rock, va bene, hard rock, ma ogni tanto ci vuole”, confermo. Neanche un anno ed ecco che esce, il doppio dal vivo (ma era già uscito a fine 2011 il DVD)

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Live Over Europe – 2012 Mascot Provogue ***1/2 stesso discorso dei precedenti, con un paio di cover aggiunte al menu https://www.youtube.com/watch?v=w82V4gsSW-4 : Burn dei Deep Purple, mentre Sista Jane cita nella coda Won’t Get Fooled Again degli Who e Bonamassa riprende la propria The Ballad Of John Henry. A fine anno esce il terzo album di studio, Bonamassa impegnato anche nella sua carriera solista appare poco come autore e anche il suo rapporto con Hughes inizia a deteriorarsi (tradotto, i due non si possono più vedere).

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Afterglow – 2012 Mascot Provogue ***1/2 Prendo di nuovo a prestito quanto scritto dal sottoscritto all’epoca: “Niente di nuovo, ma solo del sano buon vecchio rock, suonato come Dio comanda, vedremo se sarà il loro ultimo capitolo. Nella prima tiratura c’è anche un DVD con il making of e quattro video delle canzoni”. Fine della prima fase, dopo essersene dette di tutti i colori sembrava che la storia fosse finita, e invece

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Black Country Communion IV -2017 Mascot Provogue Mi faccio aiutare ancora dal mio amico che vedo tutte le mattine allo specchio, che scrisse “Con una certa dose di autoironia, il banner che annuncia l’uscita del nuovo album dei Black Country Communion recita, lo riporto in inglese perché fa più scena: “They Said It Would Never Happen!”. E invece è successo, dopo la brusca separazione del 2012, dovuta a quelle che erano state appunto definite inconciliabili divergenze tra Joe Bonamassa e Glenn Hughes, torna il quartetto anglo-americano (Hughes e Bonham sono inglesi) con un quarto album che, forse in omaggio ad una delle loro fonti di ispirazioni sonore, si intitola BCC IV”. Le tre stellette e mezza costanti di tutti gli album, sono ovviamente dirette agli amanti del genere. Nel frattempo il nostro amico, sempre più bulimico a livello discografico nel 2011, a inizio anno, pubblica anche

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Dust Bowl – 2011 Mascot Provogue ***1/2 un altro disco accolto da ottime critiche, con un sound per certi versi più rootsy, visto che il lato più rock lo sfogava con i BCC. Nella gagliarda Slow Train un ottimo blues-rock va di slide alla grande, mentre nella title track ci sono citazioni morriconiane e qualche tocco folk grazie all’uso di strumenti della tradizione greca, nella parte del disco registrata a Santorini. Bellissimo il duetto con John Hiatt nella deliziosa Tennessee Plates e anche quello con Vince Gill nel country-blues Sweet Rowena che mi ha ricordato molto certe cose di Lyle Lovett. Visto che nel 2011 erano pappa e ciccia ce n’è anche uno con Glenn Hughes in una eccellente Heartbreaker dal repertorio dei Free. Kevin Shirley, di cui spesso si dimentica l’importanza nelle scelte di Bonamassa, produce da par suo, con un suono molto ben delineato e sempre “vivo”: ovviamente non mancano i pezzi blues, come The Meaning Of The Blues, un originale di Joe, e la cover di You Better Watch Yourself di Little Walter. Tra le “stranezze” di un musicista che è anche un music lover e ama tutti i generi, pure la rilettura di un altro pezzo di Tim Curry, come l’intensa No Love On The Street, dove va di wah-wah alla grande e una canzone di Barbra Streisand (?!?) Prisoner trasformata in una incantevole blues ballad.

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E per citare un modo di dire, non c’è il due senza il tre, nel corso dell’anno esce il frutto di una nuova collaborazione, questa volta con una grande voce femminile, ovvero Beth Hart, un incontro che gioverà a tutti e due, la cantante californiana si trova un grande chitarrista e il musicista newyorchese una delle più valide voci del panorama rock attuale, con la quale esplorare anche soul, R&B, canzone d’autore e standard della canzone americana. Vediamo a seguire gli album registrati insieme, partendo da

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Don’t Explain – 2011 Mascot Provogue ***1/2 Complessivamente 3 stellette e mezza, ma nel CD ci sono alcuni brani dove la chimica tra i due fa apparire delle piccole perle, che poi si ripetono anche negli album successivi: qui vorrei ricordare Sinner’s Prayer un pezzo di Ray Charles, dove sembra di ascoltare l’accoppiata Rod Stewart/Jeff Beck, con Joe al bottleneck e il nuovo tastierista Arlan Schierbaum in grande spolvero, Chocolate Jesus di Tom Waits dove la voce ricorda molto quella di Mary Coughlan, la jazzata e soffusa Your Heart Is As Black As Night di Melody Gardot, Don’t Explain di Billie Holiday, cantata con grande trasporto, e a proposito di grandi voci la cover di I’d Rather Go Blind di Etta James è fenomenale, quasi alla pari con l’originale, e con un assolo superbo di Bonamassa, uno dei migliori della sua carriera, ottima anche Ain’t No Way dove la Hart si misura anche con Aretha Franklin, e lì si soccombe, dopo una strenua difesa, sulle ali della slide di Joe.

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Seesaw 2013 Mascot/Provogue ***1/2 L’istinto mi direbbe di aggiungere mezza stelletta al giudizio per ogni disco, ma mi trattengo per riservarlo al doppio dal vivo. Anche qui parecchi brani fantastici: lo swing di Louis Armstrong Them There Eyes, fiati in spolvero e Beth Hart che fa la gattona, una Nutbush City Limits dove l’accoppiata Joe e Beth rivaleggia con la soul revue di Ike & Tina Turner, la super blues ballad I’ll Love You More Than You’ll Ever Know, scritta da Al Kooper e con un assolo da manuale di Bonamassa, una intensa Strange Fruit di Billie Holiday, e di nuovo l’accoppiata Etta ed Aretha in A Sunday Kind Love e Seesaw dove la Hart si supera come interprete, mentre Joe cesella sullo sfondo.

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Live In Amsterdam – 2014 Mascot Provogue 2 CD DVD**** Oltre ai brani già ricordati nei singoli album, riproposti anche nel doppio dal vivo, Joe e Beth, sostenuti dalla formidabile band di Bonamassa ci regalano un Live tra i migliori della decade: le versioni di I’d Rather Go Blind https://www.youtube.com/watch?v=UEHwO_UEp7A  e I’ll Love You More… sono fantastiche, tra i brani aggiunti spiccano il blues di Freddie King Someday After a While per Bonamassa e la ballata pianistica Baddest Blues per la Hart, in ambito soul Rhymes di Al Green che scatena il pubblico e Something’s Got A Hold Of Me di nuovo della James, in ambito rock una travolgente Well, Well che rinverdisce i fasti di Delaney & Bonnie. Dopo cinque anni tornano con quello che è forse il loro migliore disco in coppia in studio.

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Black Coffee – 2018 Mascot Provogue **** Mi faccio aiutare ancora da quanto scritto dal sottoscritto in passate recensioni: “Beth Hart e Joe Bonamassa presi singolarmente sono, rispettivamente, la prima, una delle più belle voci prodotte dalla musica rock negli ultimi venti anni, potente, grintosa, espressiva, eclettica, con una voce naturale e non costruita,, il secondo, forse il miglior chitarrista in ambito blues-rock (ma non solamente) attualmente in circolazione, entrambi degni eredi di quella grande tradizione che negli anni gloriosi della musica rock, quindi i ’60 e i ’70, sfornava di continuo nuovi talenti che ancora oggi sono i punti di riferimento per chi vuole ascoltare della buona musica”: in Black Coffee evidenziano di nuovo queste caratteristiche, anche grazie alla presenza di nuovi elementi nella band di Bonamassa, Reese Wynans alle tastiere, Michael Rhodes al basso, la sezione fiati e la pattuglia di coriste, guidate da Mahalia Barnes, tra i brani spiccano Give It Everything You Got un pezzo di Edgar Winter in vesione soul revue, con wah-wah di Joe a manetta, Damn Your Eyes, un ennesimo brano di Etta James che ci permette di gustare la voce della Hart, ottima anche Lullaby Of The Leaves della Fitzgerald, di nuovo con rimandi a Mary Coughlan, tra i pezzi più rock Joy di Lucinda Williams, per la seconda volta reinterpretata dalla accoppiata Beth e Bonamassa https://www.youtube.com/watch?v=mkS-q5hq7qY , che poi si esibisce in una versione di Sittin’ On Top Of The World, vicina a quella dei Cream.

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Per evitare che l’articolo si trasformi in un saggio, vista l’immane quantità del repertorio del nostro amico, cerco di sintetizzare molto di più il repertorio, magari per argomenti, vediamo una selezione di dischi dal vivo che nella seconda decade del 2000 si moltiplicano: sono otto, escluso quello appena citato, a cui sono da aggiungere i 4 DVD della serie Tour De Force Live In London- Mascot Provogue ***1/2 usciti in contemporanea nel 2013 e poi in doppi CD nel 2014, e relativi a quattro concerti tenuti a Londra a marzo in diverse venue, dove a seconda della capienza cambiava il tipo di repertorio, mentre il titolo per ognuno era appunto Tour De Force, e sono tutti molto belli.

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Però tra le cose migliori del suo repertorio Live c’è sicuramente Beacon Theatre: Live From New York – 2012 Mascot Provogue 2 CD DVD **** due serate speciali al famoso teatro di New York, dove, come nella data londinese alla RAH del 2009, Joe invita sul palco alcuni ospiti: Beth Hart, per la immancabile e strepitosa I’d Rather Go Blind e Sinner’s Prayer, John Hiatt con due suoi brani, Down Around My Place e I Know A Place, infine Paul Rodgers che canta Walk In My Shadow e Fire In The Water dei Free, mentre Bonamassa può rendere omaggio al grande Paul Kossoff, tra le chicche della serata anche Midnight Blues di Gary Moore e Young Man’s Blues degli Who via Mose Allison.

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Poi nelle decade parte un sorta di tour discografico dei grandi teatri: An Acoustic Evening at the Vienna Opera House – 2013 Mascot Provogue 2 CD – 2 DVD –  Blu-Ray**** ovvero Joe Bonamassa goes acoustic, ma a modo suo, con altri quattro musicisti sul palco della casa dei Wiener Philarmoniker, oltre a Bonamassa che suona qualsiasi tipo di chitarra, meno quelle elettriche, in modo egregio, ci sono mandolino, violino, mandola, harmonium, nyckelharpa e qualsiasi tipo di percussione, suonata da Lenny Castro. Nessuno dei suoi idoli della chitarra rock e colleghi aveva mai fatto una cosa del genere, riuscita perfettamente https://www.youtube.com/watch?v=v8lOSERcJFE .

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Nel 2015 non è in un teatro ma in una delle location più suggestive del mondo, l’anfiteatro naturale vicino a Denver Muddy Wolf at Red Rocks – 2015 Mascot Provogue 2 CD DVD **** Come dice il titolo una serata speciale dedicata a Muddy Waters e Howlin’ Wolf, perché Joe (e penso anche il fido Kevin Shirley) cercano sempre un’idea particolare per rendere questi eventi unici https://www.youtube.com/watch?v=GbIr9CUfjZ8 . Una serata speciale sul Chicago Blues della Chess, come lo avrebbero suonato queste grande icone, ma anche i suoi idoli, Beck, Page e Clapton e Jimi Hendrix, di cui riprende nella parte finale della serata Hey Baby (New Rising Sun), grande concerto.

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Lo stesso anno, sempre per la serie dei teatri esce anche Live At Radio City Music Hall – 2015 Mascot Provogue CD+DVD **** meno di 80 minuti, un’altra fantastica performance nella location newyorchese, con un repertorio molto diverso da quello di altri concerti. L’anno successivo approda sulla West Coast, in un altro teatro storico, di Los Angeles

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Live at the Greek Theatre – 2016 Mascot Provogue 2 CD DVD**** Questa volta quale è l’argomento del concerto? Una serata speciale dedicata ai tre grande King del blues, Freddie, Albert e B.B., nell’ordine di apparizione dei loro brani, e, manco a dirlo, un altro disco dal vivo strepitoso https://www.youtube.com/watch?v=qoX0Olfqziw . Lo stesso anno viene registrato (pubblicato l’anno dopo) anche Live at Carnegie Hall: An Acoustic Evening 2017 Mascot Provogue 2 CD DVD **** che non è la replica americana del concerto di Vienna, ma per il 15° disco dal vivo, Bonamassa si presenta sul palco in veste acustica, però accompagnato da una Big Band di nove elementi (lui incluso) con musicisti anche da Cina ed Egitto, per una serata tipo quelle della serie Unpuggled, quando sul palco erano comunque la metà di mille.Altro ottimo concerto.

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Fedele alla sua filosofia del “una pensa e cento ne fa), poi tocca alla serata della British Blues Explosion Live2018 Mascot Provogue 2 CD 2 DVD **** dopo il tributo ai tre Re del blues questa volta tocca alla triade inglese dei “Re” della chitarra, ovvero Jeff Beck, Eric Clapton e Jimmy Page, registrato nell’estate del 2016 nel cortile dell’Old Royal Naval College di Greenwhich, nei sobborghi di Londra: questa volta Bonamassa e la sua band ci danno dentro alla grande, pescando anche nel repertorio di Cream. Jeff Beck Group e Led Zeppelin. L’ultimo live, per ora, fa parte di nuovo della serie dei teatri, siamo Down Under in Australia in un’altra delle location più suggestive del mondo Live at the Sydney Opera House – 2019 Mascot Provogue ***1/2 uscito solo in singolo CD, niente DVD, per ora, ma esistono le immagini, registrato, come il precedente nel 2016, a parte una cover di Mainline Florida di Clapton, solo materiale originale dai suoi dischi di studiohttps://www.youtube.com/watch?v=ntBsXyImdKI . A proposito completiamo la lista delle uscite della decade, a parte Royal Tea del 2020, di cui vi ho parlato recentemente https://discoclub.myblog.it/2020/10/24/saluti-da-londra-abbey-road-joe-bonamassa-royal-tea/ , “solo” altri quattro dischi di materiale nuovo.

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Driving Towards The Dayligth – 2012 Mascot Provogue ***1/2 dopo Dust Bowl che era un disco più “rootsy” questo nuovo ha un suono più duro, molte cover, anche “lavorate” come Stones In My Passway di Robert Johnson, che sembra un pezzo dei Led Zeppelin, come pure il riff inziale di Whole Lotta Love era contenuto in Who’s Been Talking di Howlin’ Wolf https://www.youtube.com/watch?v=L-wz2gxGucM , nell’ambito ballate la rara title track, un pezzo di Danny Korchmar, e sempre in ambito blues (rock) I Got What You Need di Wilie Dixon per Koko Taylor, alla Bluesbreakers, e per la serie l’eclettismo impera, un Bill Withers, un Tom Waits, un Buddy Miller e un Jimmy Barnes.

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Different Shades of Blue2014 Mascot Provogue ***1/2 tutte canzoni originali, a parte la cover iniziale di Hey Baby (New Rising Sun) di  Hendrix, nessuna memorabile, ma una qualità media ottima, visto che c’è spazio anche per blues e soul https://www.youtube.com/watch?v=i7-CTdeRk2s  , grazie alla presenza costante dei fiati.

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Blues Of Desperation – 2016 Mascot Provogue ***1/2 la title track ha sempre elementi degli amati Led Zeppelin, come pure Mountain Climbing molto Jimmy Page, You Left Me Nothin’ But the Bill and the Blues va di boogie, mentre nella tirata e gagliarda This Train Reese Wynans innesta una marcia barrelhouse, Drive ha un approccio più elettroacustico benché sempre con l’uso della doppia batteria https://www.youtube.com/watch?v=euMNVyuqmwo , No Good Place For The Lonely è una blues ballad alla Gary Moore e What I’ve Known for a Very Long Time è uno slow blues alla B.B. King con uso fiati.

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Redemption – 2018 Mascot Provogue ****per il disco numero 13, tra i migliori in studio di Bonamassa si torna di nuovo ad un approccio più roots, nella corale title track tra gli autori troviamo anche Dion, e un assolo micidiale di Joe, nel disco questa volta solo un batterista, ma due chitarristi aggiunti, Doug Lancio e Kenny Greenberg, The Ghost Of Macon Jones è un country-rock and western di ottimo impatto dal ritmo galoppante, con Jamey Johnson, notevole anche un torrido slow blues elettrico, con uso fiati e piano, come Love Is A Gamble dove Joe Bonamassa scatena ancora una volta tutta la sua verve chitarristica in un lancinante assolo e Molly O, tra Led Zeppelin e Black Country Communion, (quasi) la stessa cosa dirà qualcuno.

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Facciamo un breve passo indietro che tra il 2013 e il 2017, nei ritagli di tempo Joe ha registrato anche quattro album con i Rock Candy Funk Party, un side project dove in teoria Bonamassa è solo ospite, ma in questa band si diletta anche a mettere in mostra la sua passione per fusion, jazz-rock e funky, come da nome della band, il migliore anche in questo caso direi che sia il doppio Rock Candy Funk Party Takes New York: Live at the Iridium – 2014 2CD + DVD ***1/2.

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E sempre in ambito strumentale ad aprile è uscito, sotto pseudonimo, ma lo sanno tutti chi suona, ovvero Bonamassa con tutta la band al completo più John Jorgenson e Jimmy Hall dei Wet Willie, anche l’eccellente disco degli Sleep Eazys – 2020 Easy To Buy – Hard To Sell – Mascot/Provogue***1/2 un omaggio al suo vecchio mentore e maestro Danny Gatton, ma anche al suono di Roy Buchanan e Link Wray, tra i grandi maestri della chitarra elettrica. Ci sarebbero poi da ricordare miriadi di collaborazioni nei dischi di chiunque, ma almeno la citazione della produzione del bellissimo disco da solista di https://discoclub.myblog.it/2019/03/05/anche-lui-per-un-grande-disco-si-fa-dare-un-piccolo-aiuto-dai-suoi-amici-reese-wynans-and-friends-sweet-release/ è doverosa. Forse non sarà l’erede di Eric Clapton (e neppure di Jeff Beck, Jimmy Page e Jimi Hendrix), ma è sicuramente uno dei migliori chitarristi degli ultimi anni. Peccato faccia pochi dischi!

Bruno Conti

Un’Altra “Discepola” Di Janis! Mary Bridget Davies – Stay With Me The Reimagined Songs Of Jerry Ragovoy

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Mary Bridget Davies – Stay With Me The Reimagined Songs Of Jerry Ragovoy – LOML Records And Broadway Records

Il sottotitolo di questo Stay With Me recita The Reimagined Songs Of Jerry Ragovoy, un grande autore di canzoni che immagino quasi tutti voi, almeno di fama, conosciate: per ricordare alcuni dei suoi brani e per rinfrescare la memoria, ve li ricordo. A parte Time Is On My Side, scritta da Ragovoy, che era un paroliere, e incisa prima da Irma Thomas e poi dagli Stones, il suo nome è legato a Janis Joplin, Piece Of My Heart, insieme a Bert Berns, Try (Just a Little Bit Harder), Cry Baby, Get It While You Can, My Baby. E questo ci porta a Mary Bridget Davies, che non è la giovane e snella pischella che “appare” nella copertina del disco, ma (lo so l’età delle signore non si dovrebbe dire, comunque lo faccio sempre) una “robusta personcina” di circa 42 anni, è nata nel 1978, su cui gli autori della cover devono essere andati alla grande di photoshop.

Ma fisico a parte, che non ci interessa, la nostra amica ha una “voce della Madonna”, senza volere essere blasfemi: nativa di Cleveland, l’ultima di una serie di cantanti che hanno iniziato la carriera entrando a far parte, come interpreti femminili del cast di Love, Janis (due che l’hanno preceduta Beth Hart e Dana Fuchs), poi lei ha insistito, girando l’Europa in Tour anche con gli attuali Big Brother & The Holding Co, e prendendo il ruolo principale nel musical A Night With Janis Joplin, con cui è stata nominata per un Tony Award, e del quale ha inciso la colonna sonora, nel 2012 ha anche pubblicato, con la sua band, un disco a nome proprio Wanna Feel Somethin’ ed ora arriva questo nuovo CD (perché esiste, anche se di recente pare confermata la chiusura pure di CD Baby). L’etichetta che lo pubblica è la Broadway Records, che ha distribuito anche gli altri citati, specializzata, visto il nome, in musical, con la quale spesso collabora TJ Armand, che non è il primo pirla che passa per strada, a lungo braccio destro di Arif Mardin, quello che ha prodotto, tra i tanti, The Rose, il film romanzato sulla vita di Janis, con Bette Midler, nel quale il brano principale era proprio Stay With Me.

Tutte le altre canzoni di Ragovoy citate prima purtroppo non ci sono, ma per esempio la versione della Davies appunto di Stay With Me è da urlo (mi è scappata), cantata con veemenza e con grande dispiego di polmoni, accompagnata dal classico quartetto chitarra, basso, batteria e tastiere, quindi con un impeto rock ma con accenti soul, “col coeur in man” diremmo a Milano, con lavoro sopraffino della solista di Ben Nieves e Mary Bridget che non si risparmia e emoziona non poco con una interpretazione che definire eccellente è farle torto. Gli altri brani sono meno noti, alcuni scritti negli ultimi anni di carriera di Ragovoy, scomparso nel 2011: però As Long As I Have You era nel repertorio di Garnett Mims e l’ha cantata pure Roger Daltrey, nelle mani, e nella voce, della Davies, diventa un potente brano rock, che mi ha ricordato la non dimenticata Lynn Carey a.k.a. Mama Lion, un’altra delle Jopliniane doc del passato, della quale peraltro era una contemporanea, ottima anche Move Me No Mountain, brano del repertorio sia di Dionne Warwick come di Chaka Khan, una funky soul ballad con uso di wah-wah nella versione di Mary, sinuosa e molto 70’s.

The Right Of Way e Master Of Disguise, due dei pezzi più recenti, il primo un rock got soul brillante, la seconda una piano ballad emozionante, farebbero la loro bella figura nei dischi di Beth Hart e Dana Fuchs, Don’t Compromise Yourself era nel repertorio del grande soulman Howard Tate e la Davies le rende giustizia in una versione di grande intensità, ancora con grande assolo di Nieves e anche Getting In My Way, cantata a voce spiegata e accorata da Mary Bridget Davies è una ballata per solo piano, non dissimile da quelle della ultima Beth Hart. Non sarà giovane e magra (e mi scuso di nuovo se sono stato irriverente) ma è proprio brava.

Bruno Conti

Primo Disco A Tutto Blues Per La Rocker Canadese…E La Voce E’ Sempre Fantastica! Sass Jordan – Rebel Moon Blues

sass jordan rebel moon blues

Sass Jordan – Rebel Moon Blues – Stony Plain CD

Sass Jordan è una poderosa cantante canadese molto popolare in patria, titolare di una discografia di valore con sette album pubblicati tra il 1988 ed il 2009, che complessivamente hanno avuto anche vendite ragguardevoli avendo superato abbondantemente il milione di copie totali. La Jordan ha avuto una carriera all’insegna di un rock-blues sanguigno e potente sul genere di Dana Fuchs e Beth Hart, grazie ad una voce splendida ed al fatto di essere una performer di notevole presenza fisica, cosa che l’ha portata ad essere richiesta anche come attrice e giudice in diversi talent musicali. Queste attività parallele possono senza dubbio averla distratta, dato che dal 2009 bisogna arrivare fino al 2017 per avere un suo disco nuovo, che poi nuovo al 100% non era in quanto Racine Revisited, come suggerisce il titolo, eea la reincisione ex novo brano dopo brano di Racine, il suo album più popolare uscito originariamente nel 1992. Per fortuna non abbiamo dovuto aspettare altri otto anni per avere un nuovo CD accreditato alla Jordan dato che è da poco uscito Rebel Moon Blues, album in cui Sass omaggia grandi bluesman del passato incidendo una serie di cover (lasciando quindi i dubbi su un sopravvenuto “blocco della scrittrice”, anche se qui su otto brani totali c’è almeno una nuova canzone scritta da lei), e dandoci in definitiva il primo album di puro blues della sua carriera.

Sì, perché se da un lato è vero che nella musica di Sass la componente blues è sempre stata molto presente, un disco come Rebel Moon Blues non lo aveva mai fatto, ed una volta ascoltato l’album fino in fondo devo dire che ne valeva la pena: infatti la Jordan, oltre a confermarsi una cantante carismatica e dalla voce superba, si rivela essere anche un’interprete coi fiocchi, che non si limita a riproporre pedissequamente versioni standard di classici del blues ma riesce a rimodellarli adattandoli alla perfezione alla sua ugola possente ed alle sue ottime doti di performer. In più, Sass è accompagnata da una band coi fiocchi, gli Champagne Hookers, che forniscono ai brani un background sonoro di tutto rispetto: i due elementi che si elevano sono Chris Caddell, superbo chitarrista capace di straordinari assoli ma mai senza strafare ed in grado di restare nelle retrovie se necessario (un po’ come Jimmie Vaughan nel suo ultimo Baby Please Come Home) ed il bravissimo armonicista Steve Marriner, ma anche gli altri membri suonano come Dio comanda (Jimmy Reid alla chitarra ritmica, Jesse O’Brien al pianoforte, Derrick Brady al basso e Cassius Pereira alla batteria).

L’album parte con il classico di Sleepy John Estes Leaving Trunk, che inizia con un’armonica dal timbro decisamente blues e la sezione ritmica che entra sicura un attimo prima della voce arrochita di Sass, un concentrato di potenza, grinta e feeling che contrasta apertamente con il suo aspetto fisico di bionda piuttosto avvenente: bella versione, tosta e bluesata fino al midollo. La nota My Babe di Willie Dixon viene trattata coi guanti bianchi: ancora la splendida armonica di Marriner protagonista quasi alla pari della Jordan, tempo cadenzato, chitarra che detta il ritmo e naturalmente la voce sicura e sensuale della leader; Am I Wrong è un pezzo di Keb’ Mo’ ed è proposto sottoforma di gustoso boogie blues “rurale” dominato dalla slide acustica e con la grande voce di Sass che fornisce il supporto adeguato. One Way Out è proprio lo standard di Elmore James e Sonny Boy Williamson che però sarà per sempre legato alla Allman Brothers Band, ma anche la Jordan fa la sua bella figura con una cover decisamente calda e passionale, in cui l’artista di Montreal canta unendo grinta e classe, e Caddell rilascia una prestazione eccezionale alla slide questa volta elettrica: grande rilettura.

Palace Of The King è un classico di Freddie King (scritto però da Leon Russell con Don Nix e Donald “Duck” Dunn), e vede ancora la chitarra protagonista (non più slide ma “claptoniana”), mentre sulla voce di Sass non mi esprimo più per non essere ripetitivo: il ritornello corale, maestoso, assume tonalità quasi gospel; The Key è l’unico pezzo scritto dalla Jordan, e pur mantenendo elementi blues nel suono si tratta di una rock’n’roll song al 100%, in cui la bionda cantante fa il bello e cattivo tempo con indubbio carisma e ci consegna una prestazione trascinante. La formidabile Too Much Alcohol (di JB Hutto), è puro Mississippi blues, con voce (e che voce), slide acustica e pathos a mille, e porta alla conclusiva Still Got The Blues, una delle signature songs di Gary Moore, una sontuosa ballad riletta in maniera strepitosa per quanto riguarda la parte vocale e più che adeguata dal lato strumentale (d’altronde Moore come chitarrista non si batte facilmente).

Un gran bel dischetto per una grande voce (anche se non avrei disprezzato un paio di brani in più): ora spero di rivedere il nome di Sass Jordan di nuovo tra noi a breve, magari con un album di canzoni nuove.

Marco Verdi

Non La Sua Prova Migliore Ma Un Disco Comunque Solido E Soddisfacente, La Voce E’ Sempre Splendida. Beth Hart – War In My Mind

beth hart war in my mind deluxe

Beth Hart – War In My Mind – Mascot/Provogue

L’immagine di copertina del nuovo album di Beth Hart War In My Mind, la ritrae seduta al pianoforte con una strano cappellino in testa e un nuvolone temporalesco personale da cui parte un fulmine che la colpisce: è una “foto” per certi versi precisa anche del carattere della cantante americana.  Da sempre alle prese appunto con il suo complesso carattere, influenzato dalla malattia bipolare e dalle vicende variegate della sua vicenda artistica ed umana: come dice sinceramente lei stessa, anche oggi che ha comunque trovato un equilibrio, pure con i suoi problemi con l’alcol, il suo umore è soggetto a sbalzi continui “ le cose sembrano andare bene, poi vanno a puttane, poi di nuovo bene e ancora di merda”. Ed è proprio da questi contesti ambivalenti che nascono le sue canzoni migliori: prendiamo l’iniziale Bad Woman Blues, scritta con Rune Westberg, un brano influenzato da una sorta di gospel moderno, dal ritmo incalzante e con un refrain ricorrente, un misto di rock, blues e qualche elemento pop, come nelle canzoni più accessibili di Beth, un pezzo che potrebbe funzionare perfino nelle radio, grazie al suo coretto un filo ruffiano, sempre sparato a tutta potenza da quella voce incredibile che a 47 anni compiuti pare avere raggiunto la sua piena maturità.

La canzone è in pratica il demo iniziale voce e piano, intorno al quale il nuovo produttore Rob Cavallo, ha costruito un arrangiamento complesso e composito. Anche la storia con Cavallo è curiosa: già nel 2003 i due avevano incrociato le loro strade quando Rob avrebbe dovuto mixare l’album Leave The Light On, ma poi anche per incomprensioni con il suo produttore dell’epoca non se ne fece nulla. Devo dire che non è sia uno che mi faccia impazzire, i suoi trascorsi con Green Day, My Chemical Romance, Goo Goo Dolls non sono proprio in linea con i miei gusti musicali, ma anche Kevin Shirley, prima dei dischi con Bonamassa e la Hart, aveva un pregresso metallaro, pure Cavallo ha lavorato con Dave Matthews, Gary Clark Jr e altri più spendibili. Comunque alla luce del lavoro in questo album direi che si è comportato onorevolmente, senza snaturare troppo la musica di Beth Hart, solo aggiungendo a tratti una patina di “spendibilità” commerciale e radiofonica. Per esempio la title track, la bellissima War In My Mind, rimane una maestosa ballata pianistica che forse vira verso uno sviluppo a tratti fin troppo epico, ma giustificato anche dall’argomento della “salvezza” trattato dalla canzone, ispirata a Beth dai suoi rapporti  con Pastor Kim, una “ministra” della chiesa evangelica che è stata un punto di riferimento per la Hart nella sua lotta con l’alcolismo, comunque che voce ragazzi, lasciatela pure esagerare!

Ma non mancano neppure quei brani jazzy e delicati tipici del suo songbook, come la raffinata Without Words In The Way, introdotta da un contrabbasso e da una batteria spazzolata, con un organo sullo sfondo ed un cantato vissuto ed intenso, di cui la nostra amica non voleva venisse usata questa take, registrata alla fine di una lunga giornata in studio e quindi priva della sua massima potenza vocale a favore di un approccio più spoglio e vulnerabile, che alla fine si rivela perfetto per la canzone; pure Let It Grow, scritta di nuovo con Westberg, utilizza ancora questo timbro vocale “salvifico” nella costruzione sonora, di nuovo con elementi gospel, grazie alla voce sincera e partecipe, priva di acrobazie, ma indubbiamente potente e trascinante, anche nei momenti in cui guida proprio un intero coro gospel .Try A Litte Harder è in pratica una storia vera, una canzone di impianto R&B che racconta la vicenda di suo padre quando era un giocatore d’azzardo a Las Vegas negli anni ’70, con affetto e meraviglia, e un tocco leggiadro quando la canzone rallenta un paio di volte in intermezzi  quasi romantici e sognanti; restando in famiglia l’accorata e splendida ballata Sister Dear ricorda ancora una volta teneramente l’amata sorella maggiore Sharon morta per complicazioni causate dall’AIDS quando Beth aveva 20 anni.

Nell’album, come in generale nei dischi di studio della Hart, prevalgono i brani lenti e le ballate, ma come lascia intuire il titolo Spanish Lullabies, la canzone è una vivace e mossa composizione a tempo di flamenco-rock, mentre la solenne ballata pianistica Rub Me Luck potrebbe essere un brano da colonna sonora di James Blond, come ipotizzato dal produttore Cavallo, lenta ma con quelle aperture sontuose tipiche delle musiche dei film su 007 e un arrangiamento orchestrale magari un filo sopra le righe, ma sfizioso. Sugar Shack è l’unico brano che non mi piace, a tempo di disco-rock si salva giusto per la voce della cantante di L.A https://www.youtube.com/watch?v=uFkJR_plwYw , decisamente meglio Woman Now, un blues misterioso solo per voce e piano, che poi si anima con l’intervento di una chitarra elettrica nella parte centrale e del resto della band nella parte finale in crescendo, mentre uno dei migliori brani del disco risulta essere ancora una magnifica ballata come Thankful, anche questa scritta con Westberg, avvolgente ed emozionante come nella sua migliore tradizione. E pure la conclusiva I Need A Hero, una ulteriore toccante ballata risulta costruita intorno al piano e alla voce superba di Beth Hart, e conferma la  consistenza di questo War In My Mind, che se non raggiunge l’intensità complessiva dei suoi dischi di cover con Bonamassa o degli album dal vivo, è comunque una prova solida e soddisfacente. Esce il 27 settembre e nella versione Deluxe ci sono due bonus tracks dal vivo registrate a Amsterdam, Love Gangster e Fire On The Floor, oltre a cartoline, adesivi e 2 sottobicchieri!

Bruno Conti

Si Può Fare Di Meglio, Grande Tecnica E Talento, Due Canzoni Notevoli, Il Resto Meno. Eric Gales – The Bookends

eric gales the bookends

Eric Gales – The Bookends – Mascot/Provogue          

Secondo album di Eric Gales per la Mascot/Provogue, dopo il discreto Middle Of The Road del 2017 https://discoclub.myblog.it/2017/02/21/anticipazione-nuovo-album-il-24-febbraio-esce-eric-gales-middle-of-the-road/ : come mi è capitato di dire più volte recensendo i suoi dischi, Gales è un vero talento, un ragazzo prodigio all’esordio a 16 anni con la Eric Gales Band in un eccellente album per la  Elektra. Poi da allora 15 album, fino a questo The Bookends, con risultati alterni: la tecnica del mancino di Memphis non si discute, come le sane influenze,  Jimi Hendrix in primis, e Muddy Waters e Howlin’ Wolf, con i quali il nonno di Eric, Dempsey Garrett Sr., era solito cimentarsi in jam sessions, ma anche, tramite i fratelli Eugene e Manuel (conosciuto come Little Jimmy King), Albert e B.B. King. Hendrix è rimasto un imprimatur indelebile, i bluesmen meno, a favore di elementi rock, che sconfinano anche nell’hard e nel metal, oltre, negli ultimi anni, a parer mio purtroppo, pure derive pop, R&B “moderno”, persino hip-hop, con risultati non sempre eccitanti: molti alti e bassi, per quanto, come testimoniano i suoi dischi Live, rimane sempre un grande chitarrista a livello concerti.

Anche questo nuovo album non risolve il dilemma, a fianco di un paio di brani strepitosi, ce ne sono altri veramente scarsi: nella prima categoria metterei una rilettura gagliarda di With A Little Help From My Friends, insieme alla voce femminile del momento, ossia Beth Hart, una versione a due voci dove si apprezza la capacità di interprete di Beth, sempre in grado di incendiare le canzoni dove mette il sigillo della sua voce imponente ed appassionata, e anche il classico dei Beatles che tutti conosciamo nella versione di Joe Cocker, riluce con forza in questa interpretazione magistrale, dove non manca il ruggito vocale della Hart, che è ormai un marchio di fabbrica del brano, naturalmente per chi se lo può permettere, e anche Gales sia a livello vocale che con la sua chitarra contribuisce alla riuscita del tutto. L’altro brano notevole, non casualmente, è un altro duetto, questa volta con Doyle Bramhall II (altro musicista, eccellente come gregario, meno continuo come artista solo https://discoclub.myblog.it/2018/10/09/bravo-come-gregario-chiedere-a-clapton-ed-altri-meno-come-solista-in-proprio-doyle-bramhall-ii-shades/ ), alle prese con Southpaw Serenade, una canzone anni ’40, che qui diventa un lungo blues’n’soul raffinato, ma ricco di trasporto, dove le soliste dei due mancini si scambiano assoli con libidine e classe, sullo sfondo creato dalla band di Gales, dove brillano i suoi compagni di avventura, Mono Neon (Basso), Aaron Haggerty (Batteria),  la moglie LaDonna Gales (alle armonie vocali) e Dylan Wiggins (Organo).

Se tutto il disco fosse così non dico che si griderebbe al miracolo, ma sarebbe un bel sentire: come avrete capito anche questa volta non ci siamo del tutto, per usare un eufemismo, anche se grazie a questi due brani il disco si meriterebbe la sufficienza, ma le collaborazioni con B. Slade, ex cantante gospel “pentito”, come Tonéx, e ora artista a cavallo tra neo soul, hip-hop, trance, con qualche ricordo della musica di famiglia, prima illudono nella bella intro acustica di Something’s Gotta Give che poi si trasforma in un discreto duetto di soul moderno, ma poi deludono nella pasticciata bonus Pedal To the Metal (remix), un funkettino insulso https://www.youtube.com/watch?v=UHjuqqZAG6Y , in entrambi i brani si salva giusto il lavoro della solista di Gales. E non è che It Just Beez That Way, dove Eric si cimenta con un beatboxing hip-hop (giuro!) sia molto meglio, anche se il brano contiene la prima volta su disco di Gales alla slide, anche con wah-wah, ma il suono ha sempre questo arrangiamento “moderno” che almeno a chi scrive non piace molto https://www.youtube.com/watch?v=U9kkoYEJEhE . Più interessante, anche se non memorabile, Whatcha Gon’ Do, con qualche spunto hendrixiano, epoca Band Of Gypsys; insomma la produzione di Matt Wallace, famoso per il suo lavoro con i Maroon 5 (!) e che ha sostituito David Bianco, scomparso durante la realizzazione del disco, non entusiasma molto. Discreta la soul ballad How Do I Get You e non male il poderoso rock Reaching For A Change e il vorticoso strumentale virtuosistico Resolution. Finirei con il solito” Mah” che dedico ultimamente alle sue recensioni.

Bruno Conti

Jeff Beck, Una Vita Per La Chitarra, E Non E’ Ancora Finita: Dai Cori Nelle Chiese Al Rock In Tutte Le Sue Forme, Ecco La Storia! Parte Terza

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Jeff Beck, Uno Dei Tre Più Grandi Chitarristi Del British Rock (Blues),  Il Più Eclettico Ed Estroso. Una Vita Per La Chitarra, E Non E’ Ancora Finita: Dai Cori Nelle Chiese Al Rock In Tutte Le Sue Forme, Ecco La Storia!

Terza e conclusiva parte.

Gli anni del Jazz-rock e dei dischi strumentali.

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Dopo lo scioglimento del sodalizio con Bogert e Appice, e senza completare un secondo disco di studio, Jeff Beck realizza alcune collaborazioni con David Bowie, prima di decidere di esplorare nuove strade, con una lunga serie di dischi strumentali, anche in parte ispirati dal jazz-rock e dalla fusion imperanti in quegli anni, ma rivisitati alla luce delle sue caratteristiche personali, e impiegando, almeno agli inizi, un produttore di grande nome ed esperienza come George Martin (che curò anche gli arrangiamenti orchestrali), insieme al quale realizzerà Blow By Blow, un disco appunto completamente strumentale, che stranamente (o forse no) sarà il suo massimo successo commerciale, arrivando fino al 4° posto delle classifiche di vendita nel 1975: un album comunque splendido, con pezzi memorabili come le sue cover di Cause We’ve Ended As Lovers, un languido brano di Stevie Wonder, una ballata magnifica dedicata al grande chitarrista Roy Buchanan, in cui il suo uso del vibrato è praticamente perfetto, e anche She’s A Woman dei Beatles è deliziosa, con la parte vocale realizzata ancora una volta con il talk-box, senza dimenticare una serie di brani solidi come You Know What I Mean, scritta con Max Middleton, che era rimasto come tastierista, e firma anche la scoppiettante e funambolica Freeway Jam, dove oltre alle evoluzioni strabilianti della chitarra di Beck, si apprezza anche una sezione ritmica notevole come quella composta dall’esplosivo Richard Bailey alla batteria (ancora in pista ai giorni nostri con Steve Winwood) e Phil Chen al basso.

Air Blower attribuita a tutta la band, un pezzo funky fusion di grande appeal, Scatterbrain, che sembra quasi un brano di Billy Cobham, Thelonius, un omaggio trasversale al pianista Monk e la liquida e sognante Diamond Dust dove gli archi di George Martin supportano con classe la solista di Beck. L’anno successivo esce l’ancora notevole Wired, dove arrivano dalla Mahavishnu Orchestra l’ottimo batterista Narada Michael Walden e Jan Hammer, che si aggiunge a Middleton con il suono del suo synth che quasi duplica la solista di Jeff in pezzi come Led Boots, Sophie o Blue Wind, anche se il pezzo più bello del disco, ancora prodotto da George Martin, con Bailey alla batteria, è una versione delicata e splendida di Goodbye Pok Pie Hat, uno dei capolavori di Charles Mingus, con Come Dancing un pezzo di Walden che rivaleggia invece con il repertorio più funky degli Headhunters di Herbie Hancock.  L’anno dopo, nel 1977, esce Jeff Beck with the Jan Hammer Group Live, il cui titolo sintetizza (in tutti I sensi) i contenuti, Jeff Beck in teoria è ospite del gruppo di Jan Hammer, ma poi si rivela il protagonista assoluto con una serie di assoli  in cui spinge la sua ricerca di sonorità sempre più ricercate quasi ai limiti delle possibilità di una chitarra, ben coadiuvato dal synth del compagno di avventura, dal basso di Fernando Saunders e dalla batteria di Tony Smith.

A questo punto Beck si prende una lunga pausa sabbatica per cercare nuovi compagni di avventura e si ripresenta nel 1980 con l’album There And Back, dove in metà dei brani appare ancora Jan Hammer, mentre negli altri alle tastiere c’è Tony Hymas che a tutt’oggi fa parte della band i Beck, e alla batteria arriva Simon Phillips, per un disco ancora di buona fattura, dove spiccano le deflagrazioni sonore di Star Cycle, You Never Know, El Becko e Space Boogie.

Gli Anni Bui, Poche Luci E Molte Ombre

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Nel 1985 esce Flash,  un disco per me di una bruttezza senza limiti, una vera tavanata, con un suono disco dance anni ’80 orribile, dove forse l’unico brano che si salva è una cover di People Get Ready di Curtis Mayfield, dove Jeff si riunisce con il vecchio pard Rod Stewart per una dignitosa rilettura di questo classico, ma il sound eighties pompato è sempre da dimenticare. Decisamente meglio l’ultimo album degli anni ’80, Jeff’s Beck Guitar Shop (che proprio in questo periodo è stato ristampato in un vinile di colore blu): niente di memorabile, ma l’accoppiata Hymas alle tastiere e Terry Bozzio alla batteria, niente basso, a tratti funziona, per questo ritorno al rock e al blues, come nell’iniziale, cadenzata Guitar Shop , dove la chitarra ricerca le solite sonorità impossibili, nella cavalcata blues and roll di Savoy , nella possente Big Block e in un brano sognante alla Buchanan come Where Were You, fino al southern boogie di  Stand On It. Crazy Legs del 1993, con i Big Town Playboys, è un disco di tributo alle canzoni di Gene Vincent e dei suoi Blue Caps, in particolare il chitarrista Cliff Gallup, idolo della giovinezza di Beck, un ritorno al R&R e al rockabilly delle origini, il suono è impeccabile e quando canta il pianista Mike Sanchez sembra di sentire i vecchi dischi di Vincent, inutile ricordare i titoli, tutte le canzoni sono godibili.

Ma quando esce,  ancora dopo una lunga pausa, il disco del 1999 Who Else, Jeff Beck ricade in parte nei vecchi vizi e il disco, nuovamente interamente strumentale e influenzato dalla musica elettronica, almeno per chi scrive diciamo che non convince, escluse le parti di chitarra e la scintillante Brush With The Blues.

La Rinascita (Parziale) Degli Anni 2000.

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Nel 2001 esce You Had It Coming, altro esperimento di “rock elettronico” che anche se vince il Grammy, dimostra che spesso questo premio lo danno a capocchia: si salvano forse, ma forse, per stima, Dirty Mind, dove il duetto con l’altra chitarrista Jennifer Batten è travolgente, e la rivisitazione futuribile di Rollin’ And Tumblin’ cantata da Imogen Heap. Grammy che Beck rivince nel 2003 con Jeff, altro disco di rock “moderno” incomprensibile per il sottoscritto, benché animato dalla solita incontenibile ed ammirevole furia chitarrista fatico a trovare dei brani decenti, forse Hot Rod Honeymoon. Poi a partire dal 2006 il nostro amico comincia a pubblicare una serie di album dal vivo, prima in versione bootleg, poi ufficiali, come il Live At Ronnie Scott’s, dove Jeff, aiutato da una serie di amici e ospiti, e sostenuto da una band formidabile, nella quale scopriamo i talenti della giovanissima e prodigiosa bassista Tal Wilkenfeld e con Vinnie Colaiuta alla batteria, inizia a rivisitare il meglio del suo catalogo passato, soprattutto i brani strumentali,

ma anche People Get Ready cantata da Joss Stone, e nuove perle come Stratus di Billy Cobham e soprattutto una rilettura spaziale di A Day In The Life dei Beatles, che gli fa vincere un altro Grammy, questa volta meritato, per la migliore versione strumentale di un brano musicale.

Nel 2010 esce Emotion And Commotion, che segna un ritorno ai primi posti delle classifiche di vendita ed è anche un buon disco, tra alti e bassi, ottimi soprattutto i brani cantati dalla Stone e da Imelda May, di effetto, benché un po’ tamarra la sua versione di Nessuna Dorma, meglio Over The Rainbow; tanto per cambiare il disco vince addirittura due Grammy, uno proprio per Nessun Dorma (mah!). Lo stesso anno esce l’ottimo Live and Exclusive from the Grammy Museum,  con versioni dal vivo di molti dei  brani di Emotion, bissato nel 2011 da  Rock ‘n’ Roll Party (Honoring Les Paul), ennesimo tributo Live ad uno dei miti della giovinezza di Beck, sia in CD che DVD, dove Jeff è accompagnato da Imelda May e dalla sua band, oltre a Gary U.S. Bonds, Trombone Shorty e Brian Setzer, altro eccellente tuffo negli anni ’50 e ’60.

Il Live+ è un altro buon disco dal vivo, ma le due canzoni in studio aggiunte come bonus non si possono sentire. E anche l’ultimo Loud Hailer del 2016, presenta un 72enne Jeff Beck dai capelli sempre più neri corvini, ma dalle idee un po’ confuse forse anche a causa della tintura dei capelli, e il gruppo londinese Bones, che lo accompagna in alcuni pezzi , non risulta tra le sue scoperte più brillanti di talent scout.

L’ultimo ad uscire è l’ottimo Live At The Hollywood Bowl, che festeggia, con un leggero ritardo, i 50 anni di carriera di  Beck, con la presenza di parecchi ospiti di vaglia, da Jimmy Hall dei Wet Willie, già compagno di avventura di Jeff in passato, a Billy F. Gibbons, passando per Buddy Guy, Jan Hammer, Steven Tyler e Beth Hart. Comunque se ancora nel 2015 la rivista Rolling Stone lo poneva al n° 5 dei più grandi chitarristi di tutti i tempi, subito dopo Hendrix, Clapton, Page e Keith Richards, un motivo, e forse più di uno, ci sarà pure. La storia continua!

Bruno Conti

Siamo Arrivati A Quel Periodo Dell’Anno! Il Meglio Del 2018 In Musica Secondo Disco Club, Parte III

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Ovviamente lui come pensatore non aveva (quasi) uguali, però almeno i baffi sono in comune tra di noi. Scherzi a parte ecco la mia (prima) lista, in qualità di titolare del Blog. Si tratta di quella che poi uscirà anche sul Buscadero del prossimo mese, e quindi abbastanza di dimensioni ridotte, che verrà integrata però un altro Post contenente alcuni titoli che non erano rientrati per motivi di spazio, e che ho definito “Rinunce dolorose!”, anche perché quando devo indicare dei titoli come le mie preferenze per l’anno in corso preferisco farlo all’impronta, salvo poi avere mille ripensamenti, e in linea di massima valgono solo per quel momento preciso, ma ce ne sarebbero molti che appunto dolorosamente rimangono fuori da queste classifiche di fine anno. Quindi ecco la mia lista: commenti non ne trovate, anche perché i link che seguono quasi tutte le scelte sono relativi alle mie recensioni, che volendo potete rileggervi integralmente.

Il Meglio Del 2018 di Bruno Conti

ry cooder the prodigal son

Ry Cooder – Prodigal Son

https://discoclub.myblog.it/2018/05/28/chitarristi-slide-e-non-solo-di-tutto-il-mondo-esultate-e-tornato-il-maestro-ry-cooder-prodigal-son/

beth hart live at the royal albert hall dvd

Beth Hart – Live At The Royal Albert Hall

https://discoclub.myblog.it/2018/11/24/che-voce-e-che-concerto-spettacolare-uno-dei-migliori-del-2018-beth-hart-live-at-the-royal-albert-hall/

mary chapin carpenter sometimes just the sky

Mary Chapin Carpenter – Sometimes Just The Sky

janiva magness love is an army

Janiva Magness – Love Is An Army

https://discoclub.myblog.it/2018/04/11/voci-e-dischi-cosi-non-se-ne-fanno-quasi-piu-janiva-magness-love-is-an-army/

fairport convention what we did on our saturday

Fairport Convention – What We Did On Our Saturday

https://discoclub.myblog.it/2018/07/15/i-migliori-dischi-dellanno-2-fairport-convention-what-we-did-on-our-saturday/

amy helm this too shall light 28-9

Amy Helm – This Too Shall Light

https://discoclub.myblog.it/2018/10/01/unaltra-rampolla-di-gran-classe-sempre-piu-degna-figlia-di-tanto-padre-amy-helm-this-too-shall-light/

richard thompson 13 rivers 14-9

Richard Thompson – 13 Rivers

https://discoclub.myblog.it/2018/09/23/forse-sempre-uguale-ma-anche-unico-richard-thompson-13-rivers/

magpie salute heavy water I

Magpie Salute – High Water 1

https://discoclub.myblog.it/2018/08/13/il-primo-disco-ufficiale-di-studio-ma-anche-il-precedente-non-era-per-niente-male-magpie-salute-heavy-water-i/

paul rodgers free spirit

Paul Rodgers – Free Spirit

https://discoclub.myblog.it/2018/07/13/i-migliori-dischi-dal-vivo-dellanno-1-paul-rodgers-free-spirit/

nathaniel rateliff tearing at the seams

Nathaniel Rateliff & The Night Sweats – Tearing At The Seams

Ristampe Dell’Anno:

beatles white album

Beatles – White Album 50th Anniversary Edition

https://discoclub.myblog.it/2018/11/27/correva-lanno-1968-1-the-beatles-white-album-50th-anniversary-edition-parte-i/

https://discoclub.myblog.it/2018/11/28/correva-lanno-1968-1-the-beatles-white-album-50th-anniversary-edition-parte-ii/

jimi hendrix electric ladyland box front

Jimi Hendrix Experience – Electric Ladyland 50th Anniversary Deluxe Edition

In questo caso anche se poi trovate il link della recensione, un breve commento mi scappa: il disco rientra di dovere tra le ristampe più importanti dell’anno, per il valore dell’album, ma non per i contenuti del cofanetto,”interessanti”, ma si poteva fare molto di meglio

https://discoclub.myblog.it/2018/12/03/correva-lanno-1968-2-jimi-hendrix-experience-electric-ladyland-deluxe-edition-50th-anniversary-box/

bob dylan more blood more tracks

Bob Dylan – More Blood More Tracks Bootleg Series vol.14

Il link della recensione completa lo trovate poi nei Best di Marco Verdi.

Concerto:

van morrison in concert

DVD Van Morrison in Concert

Un Van Morrison nelle mie liste di fine anno ci sta sempre, questa volta ho scelto uno strepitoso video.

https://discoclub.myblog.it/2018/03/30/from-belfast-northern-ireland-il-van-morrison-pasquale-van-morrison-in-concert/

A questo punto mancano solo i migliori di Marco Verdi, che troverete domani, e poi nei giorni natalizi un Post con l’integrazione della mia classifica.

Bruno Conti

Siamo Arrivati A Quel Periodo Dell’Anno! Il Meglio Del 2018 In Musica Secondo Disco Club, Parte II

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Altro pensatore all’opera, vediamo cosa ci dice Tino Montanari, che ha pensato a lungo e intensamente a giudicare dalla sua corposa lista.

Poll 2018

Disco Dell’Anno

steven wlson home invasion

Steven Wilson Home Invasion: Live At The Royal Albert Hall

Canzone Dell’Anno

Pariah Steven Wilson & Ninet Tayeb

Canzone Natalizia

Christmas DayGoats Don’t Shave

Cofanetto Dell’Anno

Tom Petty An American Treasure

Ristampa Dell’Anno

mott the hoople mental train box front

Mott The Hoople The Island Years 1969-1971

Tributo Dell’Anno

when the wind blows the songs of townes van zandt

Various Artists When The Wind Blows: The Songs Of Townes Van Zandt

https://discoclub.myblog.it/2018/05/05/un-bellissimo-tributomade-in-italy-when-the-wind-blows-the-songs-of-townes-van-zandt/

Disco Rock

record company all of this life

The Record Company All Of This Life

Disco Rock Blues

teskey brothers half mile harvest

Teskey Brothers Half Mile Harvest

https://discoclub.myblog.it/2018/12/05/vero-rock-blues-soul-di-squisita-fattura-in-arrivo-dallaltro-emisfero-teskey-brothers-half-mile-harvest/

Disco Rhythm & Blues

nathaniel rateliff tearing at the seams

Nathaniel Rateliff & Night Sweats Tearing At The Seams

Disco Folk

fairport convention what we did on our saturday

Fairport Convention What We Did On Our Saturday

https://discoclub.myblog.it/2018/07/15/i-migliori-dischi-dellanno-2-fairport-convention-what-we-did-on-our-saturday/

Disco Country

paul cauthen have mercy ep

Paul Cauthen Have Mercy EP

https://discoclub.myblog.it/2018/09/14/ancora-meglio-dellesordio-peccato-solo-per-la-scarsa-durata-paul-cauthen-have-mercy-ep/

Disco Roots

lowlands the collection

LowlandsThe Collection Studio, Cuts, Bits & Pieces 2008-2018

Disco Bluegrass

Rhonda Vincent & The Rage Live At The Ryman

rhonda vincert live at the ryman

Disco Soul

charles bradley black velvet

Charles Bradley Black Velvet

Disco Blues

bob malone mojo live

Bob Malone Live At The Grand Annex

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Disco Jazz

van morrison joey defrancesco

Van Morrison & Joey Defrancesco You’re Driving Me Crazy

Disco World Music

angelique kidjo remain in light

Angèlique Kidjo Remain In Light

Disco Gospel

sherman holmes project richmond project

Sherman Holmes Project The Richmond Sessions

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Disco Oldies

charlie rich too many teardrops

Charlie Rich Too Many Teardrops

Disco Live

Beth Hart Live At The Royal Albert Hall

Artista Italiano

graziano romani a ruota libera

Graziano Romani A Ruota Libera

Colonna Sonora

american folk joe purdy amber rubarth

Joe Purdy & Amber Rubarth American Folk

Dvd Musicale

beth hart live at the royal albert hall dvd

Beth Hart Live At The Royal Albert Hall

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ALTRI

 ed romanoff the orphan king

Ed Romanoff The Orphan King

https://discoclub.myblog.it/2018/03/10/il-secondo-capitolo-di-un-narratore-affascinante-ed-romanoff-the-orphan-king/

Malcom Holcombe Come Hell Or High Water

malcolm holcombe come hell or high water

Paul Kelly Nature

paul kelly nature

Danny Click & The Americana Orchestra Live At 142 Throckmorton

danny click live at 142

Van Morrison The Prophet Speaks

John Mellencamp Plain Spoken: From Chicago Theatre

Jimmy LaFave Peace Town

Gregory Alan Isakov Evening Machines

Bryan Ferry – Bitter Sweet

grant-lee phillips widdershins

Grant Lee Phillips Widdershins

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mary black sings jimmy maccarthy 1

Mary Black Sings Jimmy MacCarthy

mary chapin carpenter sometimes just the sky

Mary Chapin Carpenter Sometimes Just The Sky

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Mary Gauthier Rifles & Rosary Beads

Marianne Faithfull Negative Capability

Paula Frazer & Tarnation What Is And Was

Kate Campbell Damn Sure Blue

bettye lavette things have changed

Bettye Lavette Things Have Changed

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Thalia Zedek Fighthing Season

Michelle Malone Slings & Arrows

dana fuchs loves live on

Dana Fuchs Loves Lives On

 

 

Lucero Among The Ghosts

black sorrows citizen john

Black Sorrows Citizen John

the men they couldn't hang cock-a-hoop

The Men They Couldn’t Hang Cock-A- Hoop

Great Crusades Until The Night Turned To Day

needtobreath acoustic live

Needtobreathe Acoustic Live Vol. 1

Cowboy Junkies All That Reckoning

Levellers We The Collective

Trampled By Turtles Life Is Good On The Open Road

Willard Grant Conspiracy Untethered

old crow medicine show volunteer

Old Crow Medicine Show Volunteer

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Tino Montanari

Che Voce! E Che Concerto Spettacolare, Uno Dei Migliori Del 2018. Beth Hart – Live At The Royal Albert Hall

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Beth Hart – Live At The Royal Albert Hall – Mascot Provogue 2CD – DVD – Blu-ray – 30-11/2018       

Se ci fosse una religione (almeno nel rock e nel blues), Beth Hart dovrebbe vincere un Grammy ogni anno come migliore cantante femminile, in assoluto, non solo in ambito blues, ma in effetti, a parte una nomination nel 2014 per l’album Seesaw con Joe Bonamassa, non ha mai vinto un premio. Un po’ meglio le è andata ai Blues Music Awards, dove dopo cinque anni consecutivi di nominations come miglior vocalist, finalmente ha vinto il premio proprio nel 2018. L’anno in corso è stato uno dei più prolifici della sua carriera: dopo l’uscita, ad inizio anno, dell’ottimo Black Coffee, il suo terzo album di studio con Bonamassa https://discoclub.myblog.it/2018/01/21/supplemento-della-domenica-di-nuovo-insieme-alla-grande-anteprima-nuovo-album-beth-hart-joe-bonamassa-black-coffee/ , senza dimenticare il formidabile Live In Amsterdam, a maggio è uscito anche Front And Center Live From New York, un concerto registrato all’Iridum Jazz Club per l’omonima trasmissione della PBS https://discoclub.myblog.it/2018/05/03/bello-forse-si-poteva-fare-di-piu-forse-beth-hart-front-and-center-live-from-new-york/ , una esibizione forse più intima e meno soddisfacente di un “vero” concerto di Beth, solo una dozzina di brani che hanno catturato principalmente, ma non solo, il suo lato diciamo da cantautrice e meno da performer.

Ora arriva questo Live At Royal Albert Hall che la consacra definitivamente come una della migliori voci femminili in circolazione oggi nell’ambito rock e blues, forse la migliore, in azione in uno dei templi della musica mondiale. Il concerto è fantastico, il trio che la accompagna, Jon Nichols (chitarra), Bob Marinelli (basso) & Bill Ransom (batteria), è eccellente, come posso testimoniare personalmente avendola vista dal vivo più di una volta, anche se non è paragonabile alla band di Bonamassa, ma è solo un piccolo appunto, visto che poi quello che conta è la sua voce, fantastica, sensuale, roca, potente e la sua presenza scenica e la capacità di attirare l’attenzione totale del pubblico donandosi in modo quasi commovente in una sorta di catarsi che al momento ha pochi eguali nell’ambito concertistico mainstream, dove la sua reputazione è in continua e costante crescita e l’uscita di questo Live prevista per il 30 novembre dovrebbe suggellarla definitivamente. Ma veniamo alla serata londinese, 4 maggio 2018, la band è già sul palco per un concerto sold-out, le luci sono ancora spente e la voce di Beth Hart arriva improvvisamente dal nulla, chiara e limpida, non accompagnata, uno spot la segue mentre appare in mezzo al pubblico, che la saluta calorosamente, contraccambiato dalla cantante che mentre si avvicina al palco tocca le mani protese degli spettatori mentre canta in modo appassionato e a cappella una emozionante As Long As I Have A Song, uno dei brani più belli di Better Than Home.

Poi appare subito un altro degli aspetti della personalità della Hart, la eterna ed esuberante ragazzona che non può credere di essere alla Royal Albert Hall, cerca la mamma che è in mezzo al pubblico, e poi fasciata in un abito da sera nero dà il via al suo gruppo per una poderosa For My Friend, un brano di Bill Withers che era uno degli highlights di Don’t Explain, il secondo album con Bonamassa, ed è subito rock-blues selvaggio da power trio con Nichols in grande evidenza, mentre Beth stimola il gruppo con le sue mosse e poi anche il pubblico, che già al terzo brano è invitato ad alzarsi in piedi a partecipare, ballare e cantare al ritmo contagioso di Lifts You Up che viene dal passato della Hart, un pezzo del 2003 che era anche sul Live At Paradiso del 2005, l’altro disco dal vivo della cantante californiana. A questo punto la nostra amica ha già in pugno, come le grandi entertainer, il pubblico, comincia a gigioneggiare con la sua voce splendida e dedica subito alla madre un’altra canzone splendida come Close To My Fire, felpata e jazzy, estratta da Seesaw, e che permette ancora di gustare il suo delizioso contralto e la carica sexy delle sue movenze fisiche e vocali; la trascinante Bang Bang Boom Boom è stata uno dei suoi maggiori successi commerciali e la nostra amica, seduta ad un piano circondato da una serie di lumini, dirige il pubblico e la band per una versione rallentata e quasi con elementi C&W. Sempre esplorando il suo passato arriva da 37 Days anche il vivace R&B di Good As It Gets, con Nichols che si conferma in serata di grazia, poi tocca a Spirit Of God, uno dei suoi brani più spirituali e che illustra il suo rapporto con la religione, attraverso un brano comunque mosso, da Rock and Roll Revue, prima di entrare nella parte più riflessiva dello show, dove la sua voce naturale è sempre in controllo, ma anche in grado di spingersi verso territori sconosciuti per la gran parte delle cantanti, sia a livello emozionale che di potenza vocale.

Prima di tutto arriva una canzone scritta per la mamma, ma anche in onore della grande Billie Holiday, Baddest Blues. solo voce e piano all’inizio, poi entra la band in modalità raffinat ea che segue le sue evoluzioni canore, potenti e raffinate al contempo, seguita da un altro brano ad alto contenuto emotivo come la autobiografica Sister Heroine, dedicato alla sorella scomparsa, altra bellissima ballata pianistica di grande pathos con notevole solo di chitarra di Nichols, che poi va di wah-wah nella tirata e sanguigna Baby Shot Down, il primo dei brani tratti da Fire On The Floor, “ruggiti” di Beth inclusi nel prezzo, che poi coinvolge il pubblico a vocalizzare con lei nella avvolgente Waterfalls, altra poderosa rock song con retrogusti zeppeliniani, con vocalizzi incredibili ed un crescendo inesorabile, tratta da 37 Days, e poi va a pescare da Don’t Explain un’altra piccola perla di raffinati equilibri sonori come la deliziosa e notturna Your Heart Is As Black As Night dal repertorio di Melody Gardot. Fine del primo CD e senza soluzioni di continuità sul DVD si passa a Saved, l’unico brano tratto dal recente Black Coffee, un travolgente pezzo R&B della grande LaVern Baker, dove Beth mette in campo ancora tutta la sua carica vocale e Nichols la sostiene da par suo; poi imbraccia una chitarra acustica e racconta un aneddoto del suo passato, quando era “drogata perduta” come dice lei stessa e viveva in The Ugliest House On The Block, un divertente brano di ispirazione giamaicana dove sdrammatizza in modo leggero e divertente la sua situazione del tempo, una specie di reggae acustico delizioso, fischiatina inclusa, e Spiders On My Bed va ancora più indietro nel tempo, ai tempi di Immortaldnel 1996, quando era una junkie e non riuscendo a dormire le capitava di stare sveglia per tre o quattro giorni di fila, un brano di stampo quasi rootsy dove la Hart dimostra di essere anche un brava bassista acustica.

In questo segmento unplugged and seated del concerto, poi di nuovo al pianoforte in solitaria per la bellissima Take It Easy On Me, altra struggente ed intensa ballata, che fa il paio con l’altrettanto bella Leave The Light On, nella cui presentazione Beth si commuove fino alle lacrime, prima di dedicare la canzone al suo manager e al marito, e per concludere il gruppo di brani più emozionali c’è anche quella dedicata una volta di più alla madre, cercata e trovata tra il pubblico, Mama This One’s For You  Prima di concludere il segmento acustico e con il pubblico quasi in tripudio la Hart ci regala un’altra delle sue canzoni più belle, l’appassionata e sognante My California, con il marito sul palco, In teoria il concerto finisce qui, ma i bis dove li mettiamo? Si parte con Trouble, un altro poderoso rock tratto da Better Than Home, Love Is Lie è un’altra vibrante dichiarazione di intenti cantata a pieni polmoni e con Nichols che torna a farsi sentire, e pure Picture In A Frame in quanto ad intensità non scherza, anche si tratta nuovamente di una ballata suadente, madlità di cui Beth è diventata maestra negli ultimi anni, d’altronde con quella voce sarebbe difficile il contrario. Quando si avvicinano le due ore il concerto si avvia alla conclusione, ma non prima di congedarci con un lungo blues a combustione lenta e in crescendo vocale incredibile, degno della migliore Janis Joplin, tra vallate sonore e picchi improvvisi, come Caught Out In The Rain. Se non volete leggere tutta la recensione, che in effetti mi è venuta un po’ “lunghina”, si potrebbe condensare in una parola: spettacolare!

Bruno Conti