Bello, Forse Si Poteva Fare Di Più, Forse… Beth Hart – Front And Center Live From New York

beth hart front and center

Beth Hart – Front And Center: Live From New York – CD/DVD Mascot/Provogue

Non sono passati neppure quattro mesi dall’uscita dell’ultimo album in coppia con Bonamassa https://discoclub.myblog.it/2018/01/21/supplemento-della-domenica-di-nuovo-insieme-alla-grande-anteprima-nuovo-album-beth-hart-joe-bonamassa-black-coffee/ ed ecco già un nuovo album, questa volta dal vivo, di Beth Hart, registrato a New York, nel famoso locale Iridium, il 7 marzo del 2017, accompagnata dalla propria band, ovvero Jon Nichols alle chitarre, Bob Marinelli al basso e Bill Ransom alla batteria. Come certo saprete leggendo questo Blog (e anche il Buscadero) il sottoscritto è un grande estimatore di Beth Hart (l’ho vista anche due volte dal vivo a Milano) che considero al momento la migliore vocalist rock in circolazione (senza dimenticare il blues e il soul), quella che più di tutte incarna la figura delle grandi cantanti del passato, bianche e nere, da Janis Joplin Etta James in giù, insieme ad poche altre voci che questa volta per brevità non citiamo, comunque un gradino più in basso del suo. I due ultimi album di studio hanno segnalato una raggiunta maturità pure a livello compositivo, soprattutto l’ultimo Fire On The Floor https://discoclub.myblog.it/2016/10/09/il-supplemento-della-musica-anteprima-beth-hart-fire-on-the-floor-il-disco-della-completa-maturita/un disco veramente completo e variegato.

Ma secondo me non è un caso se sia nei dischi di studio, dove usa quasi sempre musicisti di gran pregio, sia in quelli in coppia con Bonamassa, dove usa la band del musicista di Itaca, NY, il tiro e la qualità dei suoni e degli arrangiamenti è decisamente superiore a quelli dove appare la sua road band, peraltro ottima ed abbondante, ma non ai livelli eccelsi della vocalità di Beth Hart, per quanto i suoi concerti siano comunque un evento consigliato e da non mancare (e in Italia passa spesso). Un breve inciso: secondo voi anche Joe Bonamassa un altro bel live non sta per pubblicarlo a breve? Certo che sì, si chiama British Blues Explosion Live, in uscita il 18 maggio, molto bello incentrato sul repertorio di Beck, Clapton e Page, lo troverete recensito prima sul Buscadero e poi sul Blog a breve, fine della diversione. Questo Front And Center fa parte di una serie televisiva di concerti, trasmessa periodicamente dalla PBS, la televisione di stato americana, e forse anche qui sta un certo limite di questo CD+DVD, il fatto che non sembra un concerto completo: dura complessivamente 72 minuti: per onestà ci sono molti artisti, per esempio Van Morrison in primis, che non regalano molto di più ai fans in quanto a lunghezza dei concerti, ma di solito Beth Hart è meno sparagnina. Non giova neppure il fatto che la casa discografica abbia diviso il concerto in modo alquanto bizzarro: il CD comprende 15 brani, il DVD in teoria 10, ma poi tre pezzi della parte elettrica si trovano come bonus content e anche altri tre della parte acustica, tra cui My California che è esclusiva di questo segmento, Però poi alla fine tutto si trova nella confezione doppia, per cui non potevano lasciare la sequenza del concerto originale in entrambi i formati, mah?

Queste sono le piccole eccezioni da fare, poi il concerto è comunque bello: essendo registrato e ripreso in un ambiente intimo e raccolto come l’Iridium privilegia la Beth Hart cantautrice, ma non mancano i brani dove la cantante di Los Angeles può scatenare tutta la sua potenza, privilegiando in ogni caso il materiale di Fire On The Floor, che era l’album in promozione all’epoca, essendo uscito per il mercato americano alcuni mesi dopo la pubblicazione europea. Infatti da quel disco provengono ben cinque brani, più Tell Her You Belong To Me, che era la bonus appunto per il mercato degli States, con l’amico Jeff Beck, ospite alla chitarra in questa versione inedita. Ma andiamo con ordine, seguendo la sequenza dei brani del CD: Beth si presenta sul palco con un abbigliamento elegante, sempre sexy ed ammiccante, ma non con i suoi soliti completi da panterona, però la musica è subito sinuosa, Let’s Get Together sin dal titolo sembra un pezzo di Marvin Gaye, con un groove delizioso e la voce insinuante della Hart che titilla subito i padiglioni auricolari dell’ascoltatore con un brano che sprizza soul music di classe dai suoi pori, con i musicisti subito ben quadrati. Per Baddest Blues, dedicata alla madre, Beth Hart siede al piano, per una ballata intensa, triste, quasi straziante, ma pervasa da una forza espressiva che solo le grandi cantanti posseggono, con il pubblico che ascolta in religioso silenzio, grande musica. Jazz Man è il secondo brano estratto dall’ultimo album, un pezzo più ammiccante e swingato, che illustra il lato più divertente e divertito della sua personalità, sempre con i saliscendi vocali e gli elaborati scat degni dei grandi entertainer, mentre Nichols regala un assolo di chitarra misurato ed elegante: Delicious Surprise, un vecchio pezzo del 1999 viene dal passato più selvaggio e rock della nostra amica, un brano chitarristico e tirato, dove può estrinsecare tutta la sua potenza vocale, trascinando anche il pubblico, con Ransom che picchia sulla batteria, Nichols che “maltratta” la solista e tutta la band che tira di brutto, mentre Broken And Ugly da Leave The Light On del 2003 e che era anche sul Live At Paradiso, è un brano che mescola chitarre acustiche, ritmi R&R e inserti sixties, con qualche rimando al sound da revue della band di Ike & Tina Turner, con un po’ di soul in meno e qualche inserto “folk” in più, ma la stessa grinta (per credere sentitevi questa versione di Nutbush City Limits, sempre con Jeff Beck, tratta dalla trasmissione di Jools Holland per la BBChttps://www.youtube.com/watch?v=XPyeqLRNoc4 )

St. Teresa, dall’ottimo Better Than Home, è una sorta di preghiera laica, un brano che illustra il lato più spirituale della “nuova” Beth Hart, quella meno selvaggia e più matura, lontana dagli eccessi che erano anche causati dai disturbi bipolari che avevano esasperato il lato “sesso, droga e rock’n’roll” della sua musica, portandola quasi ai limiti dell’autodistruzione. La canzone, sulle ali di una chitarra acustica inizialmente appena accennata, e poi con la sezione ritmica che entra discretamente è una dellei più belle del suo repertorio, calda ed avvolgente, come la sua voce, che rimane sommessa anche per Isolation che fa parte del segmento acustico del concerto, e che come ricorda lei stessa è un altro dei brani che fanno parte del periodo in cui era, parole sue, “folle e fuori di testa” (e se vi capita di vedere il DVD del Live At Paradiso del 2004, che è comunque un ottimo concerto, capirete, anzi date un’occhiata qui https://www.youtube.com/watch?v=UgrBn072lMU ): un brano cupo ed intenso, che tratteggia  uno dei periodi più bui della sua vita.Tell Her You Belong To Me viceversa, è un’altra delle canzoni più dolci, intense e vivide del suo repertorio, degna erede delle deep soul ballads delle sue cantanti preferiti, la voce che esprime tutti i tormenti dell’amore con una forza interiore veramente toccante e questa versione è decisamente splendida, notevole anche l’assolo di Nichols, per quanto quello di Jeff Beck fosse di un’altra categoria https://www.youtube.com/watch?v=QTWxXG2NoKQ. Si ritorna poi al rock con una vigorosa Fat Man, uno dei pezzi più caldi e “riffati” di Fire On The Floor, con chitarra e batteria torride al punto giusto, con Love Gangster che ci riporta al blues-rock annerito dei suoi pezzi più incalzanti, la voce sempre torreggiante sulla strumentazione gagliarda della sua band, qui innervata dal pianoforte della stessa Beth, che poi dallo stesso strumento ci regala un’altra piccola perla sonora, sempre dal disco del 2003, un brano di grande impatto, proprio Leave The Light On,  solo voce e piano, ma che voce però, da pelle d’oca per la veemente intensità che trasmette, bellissima.

Ci avviamo all’ultima parte del concerto e Beth Hart ci regala un’altra splendida interpretazione di una ballata, only piano e voice, As Long As I Have A Song, nuovamente tratta da Better Than Home, il suo album più intimista. Ma poi, essendo quella che è, cioè una rocker intemerata, per il gran finale chiama sul palco il grande Sonny Landreth per un finale pirotecnico a doppia chitarra: prima Can’t Let Go, un blues-rock a tutta slide veramente turbinante, l’unica cover della serata, un pezzo scritto di Randy Weeks, tratto dal repertorio di Lucinda Williams, che era in origine su Seesaw, uno degli album con Joe Bonamassa, versione micidiale, e pure la successiva For My Friends non scherza, ancora un pezzo blues veramente potente, dove si apprezza l’interscambio tra Landreth e Nichols che veramente sono magnifici in questo brano, per non dire della voce che assume il suo timbro più selvaggio e scatenato. E per non farci mancare nulla a conclusione della serata un’altra canzone di squisita fattura come No Place Like Home, di nuovo con il lato più dolce e vulnerabile della personalità della cantante californiana regalato al pubblico presente all’evento in modo raffinato, con questa ennesima maestosa piano ballad che chiude anche il disco Fire On The Floor. E a proposito di brani acustici, tra le bonus di quel segmento presente negli extra del DVD si trova anche My California, un evocativo brano dedicato alla sua terra natale. Quindi concludendo, si poteva fare di meglio? Forse, ma forse, sì, almeno a livello di contenuti e durata, ma il concerto è comunque una ennesima conferma del talento di questa signora.

Bruno Conti

Supplemento Della Domenica: Di Nuovo Insieme Alla Grande, Anteprima Nuovo Album. Beth Hart & Joe Bonamassa – Black Coffee

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Beth Hart & Joe Bonamassa – Black Coffee – Mascot/Provogue

Beth Hart e Joe Bonamassa presi singolarmente sono, rispettivamente, la prima, una delle più belle voci prodotte dalla musica rock negli ultimi venti anni, potente, grintosa, espressiva, eclettica, con una voce naturale e non costruita,, il secondo, forse il miglior chitarrista in ambito blues-rock (ma non solamente) attualmente in circolazione, entrambi degni eredi di quella grande tradizione che negli anni gloriosi della musica rock, quindi i ’60 e i ’70, sfornava di continuo nuovi talenti che ancora oggi sono i punti di riferimento per chi vuole ascoltare della buona musica. Messi insieme i due, grazie ad una indubbia chimica personale ed artistica, hanno dato vita ad un sodalizio che fino ad ora ci ha regalato tre album, due in studio ed uno dal vivo http://discoclub.myblog.it/2014/04/11/potrebbe-il-miglior-live-del-2014-beth-hart-joe-bonamassa-live-amsterdam/ , incentrati su una formula che fonde soul, blues, rock, R&B, qualche pizzico di jazz, uno stile ed un modo di concepire lo spettacolo che una volta si chiamava “soul revue”, quella di Ike & Tina Turner, del Joe Cocker di Mad Dog, o del Leon Russell della stessa epoca, di Eric Clapton con Delaney & Bonnie, forse anche della Band.. Nel caso di Beth e Joe in coppia, a differenza dei loro dischi solisti, il repertorio è formato rigorosamente da cover, non ci sono brani originali, quindi l’arte dell’interpretazione è fondamentale in questo approccio: i primi due dischi di studio, Don’t Explain del 2011 e Seesaw del 2013, ne erano fulgidi esempi, mentre lo splendido Live In Amsterdam del 2014, ne era la sublimazione in concerto.

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A distanza di quasi quattro anni i due hanno deciso di dare finalmente un seguito a quelle ottime prove: hanno chiamato ancora il produttore Kevin Shirley, che si conferma sempre più ottimo alchimista di suoni e persone, in grado di fondere il rock classico con un approccio moderno, l’irruenza vocale di Beth Hart ed il virtuosismo chitarristico di Joe Bonamassa in un tutt’uno di grande valore artistico, ma perfettamente ed immediatamente fruibile. L’eccellente band  di Bonamassa (che è superiore a quella che abitualmente accompagna la Hart) fa il resto: con qualche new entry rispetto ai dischi passati troviamo, in ordine sparso, Anton Fig (batteria, percussioni), Ron Dziubla (Sax), Lee Thornburg (Tromba/Trombone), Reese Wynans (Tastiere), Michael Rhodes (Basso), Rob McNelley (chitarra ritmica), Paulie Cerra (Sax), e le tre ragazze alle armonie vocali Mahalia Barnes, Jade Macrae e Juanita Tippins. Il resto lo fanno le dieci ottime canzoni scelte per questo Black Coffee (undici nella versione deluxe): non ci sono brani celeberrimi (forse a parte uno), ma l’equilibrio tra rock’n’soul e blues è perfetto, tra brani più mossi e tirati e qualche ballata o “lentone” blues. Il brano d’apertura è subito esuberante, una Give It Everything You Got di Edgar Winter, che si trovava su White Trash. disco del 1971 che fondeva classico soul alla Stax e hard rock, anche l’approccio di questa nuova versione è quello, chitarra con wah-wah a manetta, fiati sincopati, la voce poderosa e scatenata di Beth sostenuta dalle tre coriste e un groove estremamente godibile, che poi lascia spazio alla solista di Bonamassa che inchioda un assolo dei suoi, breve ma intenso.

https://www.youtube.com/watch?v=pELav-8aLeY

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Damn Your Eyes è l’ennesimo tributo di Beth Hart a Etta James, uno dei suoi idoli assoluti, una ballata blues intensa che si trovava su Seven Year Itch il disco del 1988 che segnava il ritorno sulle scene di una delle regine del soul, versione eccellente con la solista fluida ed intrigante di Bonamassa che sottolinea la voce dei Beth con una serie di soli ficcanti e pungenti, mentre le tastiere di Wynans e i fiati regalano un arrangiamento ricco e complesso. Black Coffee era proprio un brano di Ike & Tina Turner, che molti forse, spero, ricordano nella versione di Steve Marriott con i suoi Humble Pie, su cui è costruita questa rivisitazione in cui Beth cerca di emulare, riuscendoci, una delle più grandi voci “nere” di un bianco; Lullaby Of The Leaves era un vecchio brano, poco conosciuto, di Ella Fitzgerald, che qui diventa una splendida ballata pianistica intima e jazzy, sulla falsariga dei tributi a Billie Holiday dei dischi passati, cantata con misura e pathos dalla Hart, che qui mi ha ricordato la bravissima Mary Coughlan, molto bello anche l’assolo di Bonamassa, improvviso, torrenziale e lancinante. Why Don’t You Do It Right? è un oscuro pezzo degli anni ’40, swingato e divertente, modellato sulla versione di Peggy Lee, con i due e il gruppo in grande souplesse; Saved è uno dei brani ripresi dal repertorio di Lavern Baker,  una delle prime grandi cantanti del R&B.

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https://www.youtube.com/watch?v=NooMzmbE0xc

L’altro è Soul On Fire, entrambi permettono di gustare la maturità vocale raggiunta dalla Hart, prima scatenata in un pezzo che ricorda le evoluzioni dei primi Isley Brothers, quelli di Shout, poi felpata ed incantevole nel secondo brano, un vera delizia per i padiglioni auricolari degli ascoltatori, con Bonamassa che incornicia entrambi i brani con degli interventi dove si apprezza l’eccellente tocco della sua solista. In grande spolvero pure in una versione splendida di Sittin’ On Top Of The World, uno dei classici del blues che ricordiamo in una memorabile versione dei Cream. Un’altra “cliente” abituale dei due è Lucinda Williams, di cui viene ripresa, con piglio energico, cadenzato e grintoso, molto bluesato, Joy, un brano che si trovava su Car Wheels On A Gravel Road, che quanto a spinta chitarristica non ha nulla da invidiare ai brani più rock della chanteuse americana. Manca l’ultimo brano Addicted, con la coppia, credo su suggestione di Shirley e della casa discografica, che va a pescare questa canzone dal repertorio della band trip-hop elettronica austriaca Waldeck: niente paura è molto meglio dell’originale, però confrontato con il resto solo un onesto pezzo pop-rock, nobilitato dagli assoli della solista di Bonamassa. Comunque non inficia il giudizio molto positivo di Black Coffee, che conferma la validità di questa coppia veramente bene assortita. P.S. La bonus della deluxe edition Baby I Love You non l’ho sentita per cui non vi so dire, presumo sia quella delle Ronettes (o dei Ramones). *NDB E invece era il brano di Aretha Franklin. Esce il 26 gennaio.

Bruno Conti

Un’Altra Bella Coppia, Musicale. John Ginty Feat. Aster Pheonyx – Rockers

john ginty feat. aster pheonyx

John Ginty Feat. Aster Pheonyx – RockersAmerican Showplace Music                

Forse il nome John Ginty non dirà molto ai più, ma il nostro amico non è un novellino: in pista da più di 20 anni Ginty, che suona organo, piano e altre tastiere, appariva già negli anni ’90 in tutti i dischi di Neal Casal (e anche in quelli degli anni 2000), come pure in Strangers Almanac dei Whiskeytown, con i Blind Boys Of Alabama, nella prime versioni della Family Band di Robert Randolph, ha suonato anche in Shaman di Carlos Santana, nel primissimo disco di Dana Fuchs Lonely For A Lifetime, con Kathleen Edwards: io personalmente lo ricordo come produttore e musicista insieme a Todd Wolfe e con le Court Yard Hounds, con Albert Castiglia, e moltissimi altri, insomma un bel CV. Ha registrato anche alcuni album a nome suo, tra cui un buon doppio dal vivo Fireside Live, e recentemente ha deciso di unire le forze con Aster Pheonyx, che al di là di nome e cognome bizzarri (credo una storpiatura di un personaggio dei Manga giapponesi), ha già un album al suo attivo, pubblicato nel 2011. Il risultato, come si può forse intuire, per certi versi, ricorda quello dell’accoppiata Bonamassa/Beth Hart, con un tastierista al posto di un chitarrista (ma pure le 6 corde nel disco si apprezzano), la citata Dana Fuchs, e anche, andando indietro nel passato, Brian Auger & Julie Driscoll, visto che l’organo è spesso lo strumento solista. Ad esempio nei due strumentali posti in apertura e chiusura di questo Rocker: The Shark, su un groove funky e corposo creato da Justine Gardner al basso e Maurice “mOe” Watson alla batteria, l’organo Hammond B3 di Ginty sembra quello di Auger ai tempi degli Oblivion Express https://www.youtube.com/watch?v=j_wbibie_wk , mentre nella conclusiva Rockers pare addirittura di ascoltare le evoluzioni prog-rock di Keith Emerson negli E L & P.

Il resto dei brani dell’album portano la firma unita di Ginty E Pheonyx e svoltano decisamente verso un rock-blues energico, ma di qualità, grazie alla bella voce di Aster, che a tratti rivaleggia con i nomi citati in precedenza, ma nella raffinata Mountains Have My Name pare emulare Susan Tedeschi, in un gospel-rock di grande intensità, grazie anche al tocco di classe di piano e organo, suonati magistralmente dal bravo Ginty. Altrove il rock è decisamente più energico, come nella vorticosa Lucky 13, ancora con le svisate dell’organo ben controbilanciate comunque dalle chitarre tirate di Mike Buckman e Jimmy Bennett, e pur sempre con elementi soul ben presenti. Entrambi nativi del New Jersey, Ginty ha scoperto Aster mentre cantava in un bar di Asbury Park (!?!), e i due hanno creato una bella alchimia, come confermano i brani dell’album: dalla gagliarda Believe In Smoke, molto vicina al sound della Fuchs, a Target On The Ground, con un bel dualismo piano elettrico/urgano e un’aria soul che ricorda addirittura lo stile raffinato di Janiva Magness, e pure Captain Hook mixa lo stile della Tedeschi con quello di Beth Hart (con cui condivide anche una passione per i tauaggi), con ottimi risultati. Mr. Blues tiene fede al suo nome https://www.youtube.com/watch?v=7gxeipAjq8Y , su un vorticoso giro creato dall’organo, si inseriscono chitarre dal suono rock e grintoso, e la voce sempre soulful della Pheonyx che mantiene il suo aplomb, mentre Ginty sfoggia un prodigioso solo di organo degno dei grandi dello strumento.

Dopo uno strano intermezzo con un DJ di una radio locale, l’album ci presenta uno dei brani più “morbidi”, una bella ballata pianistica come Priscilla, dove si apprezza ancora la calda vocalità di Aster, di nuovo molto vicina a Susan Tedeschi (e per affinità vocale anche a Bonnie Raitt) https://www.youtube.com/watch?v=cMySu3zgs3c , con Ginty che si cimenta anche alla Melodica. Electric si regge parimenti sulla forte attitudine vocale della ragazza, forgiata da anni di musica on the road e non da qualche improbabile talent show, con John che al solito fa i numeri all’organo, ben spalleggiato in questo caso da un bel lavoro della chitarra in modalità slide. Manca solo Maybe If You Catch Me, dove si vira quasi verso uno stile decisamente jazzy, da torch singer, per confermare la validità e la varietà di questo album, dove una bella voce convive con un pugno di ottimi musicisti che ne evidenziano la qualità con classe e mestiere. Se mi sono spiegato bene ed avete afferrato il genere, e lo amate, non lasciatevi sfuggire questo Rockers, potrebbe rivelarsi una bella sorpresa.

Bruno Conti

E Anche Quest’Anno E’ Arrivato Quel Momento: Il Meglio Del 2016 In Musica Secondo Disco Club!

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Come tutti gli anni, intorno a questo periodo (anzi quest’anno siamo in ritardo), è giunto il momento di tirare le somme, nel nostro piccolo, su quello che è successo in ambito musicale nel 2016. Ecco le classifiche dei migliori dischi di questa annata dei collaboratori di Disco Club (esatto siamo i tre che vedete sopra). Poi, nei prossimi giorni, sul Blog troverete anche una panoramica su quello che hanno detto riviste e siti musicali in giro per il mondo. La prima lista è quella del titolare, che è poi quella “ufficiale” che troverete anche sul primo numero del Buscadero del nuovo anno, e a cui, come di consueto, ed essendo la più breve delle tre, mi riservo di aggiungere alcune postille in questo countdown verso il 2017. Per il momento però, e in ordine rigorosamente sparso….

Top Of The Year 2016

van morrison keep me singingvan morrison it's too late 3cd+dvd

Van Morrison – Keep Me Singing + It’s Too Late To Stop Now Volume II, III, IV & DVD

pink floyd the early years

Pink Floyd – The Early Years 1965-1972

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Beth Hart – Fire On The Floor

pentangle finale

Pentangle – Finale

bob dylan 1966live-480x480

Bob Dylan – The 1966 Live Recordings

eric clapton live in san diego

Eric Clapton With JJ Cale – Live In San Diego

musical mojo of dr.john

The Musical Mojo of Dr. John: A Celebration of Mac & His Music

jimmy barnes soul searchin

Jimmy Barnes – Soul Searchin’

avett brothers true sadness

Avett Brothers – True Sadness

christy moore lily 1

Christy Moore – Lily

day of the dead

Various Artists – Day of The Dead

mudcrutch 2

Mudcrutch 2

bonnie raiitt dig in deep

Bonnie Raitt – Dig In Deep

westies six on the outmichael mcdermott willow springs

Westies – Six On The Out/Michael McDermott –  Willow Spring

 bruce springsteen born to run book

Libro: Bruce Springsteen – Born To Run

 rolling stones havana moon cd

Film: Havana Moon Rolling Stones  

La prima postilla, che aggiungo al volo, considerando che come al solito la classifica mi è stata “carpita” al volo ed era quella del nanosecondo in cui l’ho concepita, è il nuovo album degli Stones che nel momento in cui sceglievo non era ancora uscito.

Rolling Stines - Blue&Lonesome

Rolling Stones – Blue And Lonesome

Bruno Conti

Queste, per ora, sono le mie scelte, passiamo agli altri collaboratori, iniziando da Valenza AL.

I BEST DEL 2016.

Disco Dell’Anno: Mudcrutch – 2

mudcrutch 2

Piazza D’Onore: Runrig – The Story

runrig the story

Gli Altri 8 Della Top 10:

phish big boat

Phish – Big Boat

Rolling Stones – Blue And Lonesome

leonard cohen you want it darker

Leonard Cohen – You Want It Darker

bob weir blue mountain

Bob Weir – Blue Mountain

rides pierced arrow

The Rides – Pierced Arrow

santana iv

Santana – IV

goats don't shave turf man

Goats Don’t Shave – Turf Man Blues

the shelters

The Shelters – The Shelters

I “Dischi Caldi”:

peter wolf a cure for loneliness

Peter Wolf – A Cure For Loneliness

Van Morrison – Keep Me Singing

tedeschi trucks band let me get by deluxe

Tedeschi Trucks Band – Let Me Get By

Ristampe:

pink floyd early years box

Pink Floyd – The Early Years 1965-1972

ian hunter stranded in reality

Ian Hunter – Stranded In Reality

Album Dal Vivo Nuovi:

joan baez 75th celebration

Joan Baez – 75th Birthday Celebration

dear jerry celebrating the music of jerry garcia 2 cd

VV.AA: Dear Jerry

Eric Clapton – Live In San Diego with JJ Cale

Album Dal Vivo Ristampe:

Van Morrison – It’s Too Late To Stop Now II, III, IV & DVD

rolling stones totally stripped european version

Rolling Stones – Totally Stripped

DVD/BluRay: Rolling Stones – Havana Moon

Concerto: Bruce Springsteen/San Siro 3 e 5 Luglio

Canzone: Mudcrutch – Trailer

Runrig – Onar

Cover Album: The National & Friends – Day Of The Dead

Cover Song: Karl Blau – Woman (Sensuous Woman)

L’Esordio: The Shelters: The Shelters

La Sorpresa: Santana – IV (dopo duecento anni di dischi non degni, finalmente un grande album per il chitarrista californiano)

La Delusione: Neil Young – Peace Trail

Disco Da Evitare: ce ne sarebbero tanti, ma segnalerei Keith Urban – Ripcord, un album che può provocare anche gravi problemi intestinali

alan parsons tales of mystery

Piacere Proibito: The Alan Parsons Project – Tales Of Mystery And Imagination 40th Anniversary

“Sola” Dell’Anno: The Band – The Last Waltz 40th Anniversary

 Bruce Springsteen – Chapter And Verse

Evento Dell’Anno “Bello”: il Nobel a Bob Dylan

Evento Dell’Anno “Brutto”: le tante, troppe morti eccellenti

Marco Verdi

E per finire trasferiamoci in provincia di Pavia.

IL MEGLIO DEL  2016

Disco Dell’Anno

leonard cohen you want it darker

Leonard Cohen @ You Want It Harder

Canzone Dell’Anno

Love Sweet Love @ Archie Roach

Cofanetto Dell’Anno

Van Morrison @ …It’s Too Late To Stop Now… (Volumes II-III-IV & DVD)

Ristampa Dell’Anno

john cale fragments of a rainy

John Cale @ Fragments Of A Rainy Season

Tributo Dell’Anno

a tribute to jack hardy

Jack Hardy & Friends @ A Tribute To Jack Hardy

Disco Rock

Van Morrison @ Keep Me Singing

Disco Folk

runrig the story

Runrig @ The Story

Disco Country

dwight yoakam swimmin' pools

Dwight Yoakam @ Swimmin’ Pools, Movie Stars…

Disco Soul

michael kiwanuka love & hate

Michael Kiwanuka @ Love And Hate

Disco Blues

Rolling Stones @ Blue & Lonesome

Disco Jazz

charlie haden time life

Charlie Haden & Liberation Music Orchestra @ Time/Life (Song For The Whales And Other Beings)

Disco World Music

bombino azel

Bombino @ Azel

Disco Rhythm & Blues

nathaniel rateliff a little something more

Nathaniell Rateliff @ A Little Something More From

Disco Oldies

otis redding live at the whisky a go go

Otis Redding @ Live At The Whisky A Go Go

Disco Live

joe grushecky american babylon live

Joe Grushecky & The Houserockers @ American Babylon Live At The Stone Pony

Artista Italiano

michele gazich la via del sale

Michele Gazich @ La Via Del Sale

Disco Italiano

townes van zandt's last set

Lowlands @ Play Townes Van Zandt’s Last Set

Colonna Sonora

nick cave hell or high water

NickCave & Warren Ellis @ Hell Or High Water

Dvd Musicale

Rolling Stones @ Havana Moon

 GLI ALTRI

 marlon williams

Marlon Williams @ Marlon Williams

Luther Dickinson @ Blues & Ballads – A Folsinger’s Songbook Volumes I & II

grant-lee phillips the narrows

Grant-Lee Phillips @ The Narrows

nick cave skeleton tree

NickCave @ Skeleton Tree

Peter Wolf @ A Cure For Loneliness

Archie Roach @ Let Love Rule

Jimmy Barnes @ Soul Searchin’

https://www.youtube.com/watch?v=nwLZ271g-jg

dirk hamilton touch and go

Dirk Hamilton @ Touch And Go

Ryan Bingham @ Live

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Beth Hart @ Fire On The Floor

lucinda williams the ghosts of highway 20

Lucinda Williams @ The Ghosts Of Highway 20

janiva magness love wins again

Janiva Magness @ Love Wins Again

mary chapin carpenter

Mary Chapin Carpenter @ The Things That We Are Made Of

chris pureka back in the ring

Chris Pureka @ Back In The Ring

Thalia Zedek Band @ Eve

Marianne Faithfull @ No Exit

melissa etheridge MEmphis rock and soul

Melissa Etheridge @ Memphis Rock And Soul

Dana Fuchs @ Broken Down Acoustic Sessions

mavis staples livin' on a high note

Mavis Staples @ Livin’ On A High Note

 

Tindersticks @ The Waiting Room

pines above the prairie

Pines @ Above The Prairie

goats don't shave turf man

Goats Don’t Shave @ Turf Man Blues

richmond fontaine you can't go back

Richmond Fontaine @ You Can’t Go Back If There’s…

blue rodeo 1000 arms

Blue Rodeo @ 1000 Arms

Mystix @ Live Rhythm And Roots

Solas @ All These Years

national park radio the great divide

National Park Radio @ The Great Divide

okkervil river away

OkkervilRiver @ Away

Whiskey Myers @ Mud

Tino Montanari

Direi che per il momento, ma solo per il momento, è tutto, almeno per quanto mi riguarda e anche per le classifiche internazionali.

Bruno Conti

Il Supplemento Della Domenica: Anteprima Beth Hart – Fire On The Floor, Il Disco Della Completa Maturità!

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Beth Hart – Fire On The Floor – Mascot/Provogue – 14-10-2016

Al sottoscritto il precedente album di Beth Hart Better Than Home era piaciuto parecchio http://discoclub.myblog.it/2015/04/24/bel-disco-forse-troppe-ballate-dal-vivo-beth-hart-better-than-home/ , forse inferiore ai due album con Joe Bonamassa, che però contenevano solo cover, ma superiore a Bang Bang Boom Boom, che pure era prodotto da Kevin Shirley e vedeva la partecipazione in fase di registrazione della band dello stesso Joe, ma le cui canzoni erano meno compiute e varie di quelle di Better Than Home. Che era comunque un album più intimista, ricco nell’ambito della ballate e di brani più bui e malinconici: poi si è scoperto, come ha confidato la stessa Beth, che durante la registrazione di quel disco, uno dei due produttori, Michael Stevens, era gravemente malato, nelle fasi terminali di un cancro che poi se lo sarebbe portato via da lì a poco. Quindi l’atmosfera in studio era decisamente tesa, ricca di emozioni particolari, anche se poi il risultato era stato più che buono, per quanto difficile per i partecipanti, con un suono comunque ben bilanciato e la partecipazione di alcuni musicisti di pregio, come Larry Campbell alle chitarre e Charlie Drayton alla batteria, oltre all’altro produttore Rob Mathes che suonava tastiere, chitarre e curava tutti gli arrangiamenti. Alcune delle canzoni sono diventate dei piccoli classici del repertorio live della nostra amica, anche se proprio dal lato concertistico, che pure è uno dei punti fermi di Beth Hart, una performer formidabile https://www.youtube.com/watch?v=XPyeqLRNoc4 (degna di tutte le grandi del passato, da Janis Joplin e Grace Slick, passando per Etta James, Aretha Franklin, Tina Turner, Bonnie Bramlett di Delaney & Bonnie)  https://www.youtube.com/watch?v=QTWxXG2NoKQ risiede anche uno dei piccoli punti deboli della sua musica: insomma, detto papale papale, la touring band che Beth Hart utilizza, non so se per fedeltà o per motivi economici, formata comunque da buoni professionisti https://www.youtube.com/watch?v=UNk2lMu2cuI , non è paragonabile ai musicisti che suonano nei dischi, la band di Bonamassa, quelli appena citati, oppure ancora quelli che suonano nel nuovo disco, Michael Landau e Waddy Wachtel alle chitarre, Rick Marotta alla batteria, Brian Allen al basso, Jim Cox al piano, Dean Parks all’acustica, Ivan Neville all’organo (più una sezione fiati).

Ca…spiterina, perché come ricorda lei stessa in una intervista, e lo lascio in inglese, perché rende perfettamente l’idea “If you don’t have great musicians, you’re not gonna have a very good record, are you?! Concordo del tutto ed è questo il motivo per cui mi ostino sempre a segnalare i nomi dei musicisti nelle recensioni. E a proposito della affermazione appena riportata, questo è un buon disco, a tratti ottimo. Anche il produttore Oliver Leiber (pure lui un nome che ricorda qualcosa, infatti è il figlio di Jerry Leiber,  di Leiber & Stoller, una delle coppie strategiche del periodo aureo del R&R, del R&B e del primo pop https://www.youtube.com/watch?v=kdWc-rtnHUE ) fa un ottimo lavoro: dodici brani che la stessa Beth dice essere tra i migliori scritti nella sua carriera, e poi da lei messi in una sequenza che ci porta ad una sorta di crescendo qualitativo. Mi sono sentito l’album più volte, visto che lo sto ascoltando due mesi prima dell’uscita e devo dire che è veramente ottimo: dall’abbrivio jazz e raffinato di una Jazzman che tiene fede al titolo, swing-jump anni ’40-‘50, con piano, contrabbasso, fiati, un assolo di chitarra in punta di dita e la voce felpata, ma che prende fuoco all’occorrenza. Love Gangster è un blues con licenza blue-eyed soul, ricco di melodia e di ritmo, con le improvvise fiammate della Hart, che con quella voce può fare ciò che vuole, e un notevole assolo di chitarra in chiusura, Coca Cola viceversa è cantata con la voce vulnerabile e miagolante che Beth sfodera quando vuole rendere omaggio a Billie Holiday, uno dei suoi miti, sexy e panterona, subito pronta a graffiare in questo intenso blues.

Let’s Get Together è una delle canzoni che mi piacciono di più, un soul/R&B fiatistico solare, molto sixties, tipo quelli che scrivevano proprio Leiber & Stoller, delizioso. Love Is A Lie è uno di quei pezzi potenti tra blues e rock in cui Beth Hart eccelle con la voce che sale e scende a comando e la band, soprattutto le chitarre, che suona alla grande, mentre Fat Man, un brano scritto con Glen Burtnik e poi accantonato per essere completato in tempi recenti, è uno dei pezzi più rock, tipico del suo lato più scatenato, Anche Fire On The Floor dovrebbe fare sfracelli dal vivo, una ballata blues potente ed intensa, di grande impatto emotivo, Woman You’ve Been Dreamig Of è un’altra delle sue tipiche ballate pianistiche, intima e raccolta, sempre ricca di pathos ma anche di melodia, quella che si chiama di solito una bella canzone; Baby Shot Me Down rialza i ritmi, un tocco latino qui, un waw-wah malandrino là, un’aria divertita e la solita voce splendida. Che poi raggiunge il suo vertice interpretativo in Good Day To Cry, una superlativa ballata soul degna di quelle che si ascoltavano in Pearl di Janis Joplin  https://www.youtube.com/watch?v=rZuGz2pNc5s, interpretazione da brividi, con picchi e vallate che si alternano nel corpo della canzone, e pure la successiva Picture In A Frame, inizialmente concepita come una testimonianza del suo amore per il marito, ma che poi si è trasformata in un omaggio allo scomparso Michael Stevens, praticamente quasi solo piano e voce all’inizio, ma poi entra la band e diventa un’altra meravigliosa ballata, come pure la splendida conclusiva No Place Like Home, che pur predicando il concetto opposto di Better Than Home, propone semplicemente l’altra faccia della stessa medaglia.

Sempre più brava, probabilmente il disco più bello della sua carriera, una voce come ormai se ne trovano poche in giro, esce venerdì 14 ottobre.

Bruno Conti

E Dopo Joe Bonamassa Il 14 Ottobre Arriva Anche Lei Con Il Nuovo Album! Beth Hart – Fire On The Floor

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Beth Hart – Fire On The Floor – Mascot/Provogue – 14-10-2016 EU/03-02-2017 USA

In attesa di vederli, si spera, riuniti per un nuovo album di studio o dal vivo (nello specifico lo hanno giù fatto a febbraio di quest’anno alla Keeping the Blues Alive at Sea Cruise https://www.youtube.com/watch?v=jjYc2TIGBxE e come si vede Beth Hart, in ogni caso grande performer dal vivo, accompagnata dalla band di Joe Bonamassa fa un ulteriore balzo di qualità), anche la bravissima Beth Hart sta per pubblicare un nuovo disco di studio, dopo l’eccellente Better Than Home, uscito ad aprile del 2015, il 14 ottobre uscirà Fire On The Floor (almeno in Europa, perché per i misteri del mercato discografico, si dice per farlo coincidere con le date del tour, negli Stati Uniti verrà pubblicato solo al 3 febbraio del 2017). Non so dirvi al momento molto sul nuovo album: purtroppo non ci sarà sicuramente uno dei due produttori di Better Than Home, Michael Stevens, scomparso per un tumore il 15 ottobre dello scorso anno, che, anche se era stato tenuto nascosto, era già gravemente ammalato durante la registrazione del disco, conferendo allo stesso quell’aria triste e malinconica che forse ai tempi non era stata compresa.

Dicevo che non so dirvi molto del nuovo album, tipo chi suona, chi è il produttore, ma i titoli dei brani, 12 in tutto, sono già stati annunciati, come il fatto che ci saranno 9 versioni diverse (ma a ben vedere si tratta del CD o del vinile, di diversi colori, magari accompagnati da T-Shirts assortite) e ascoltando il singolo già in rete che vedete sopra, sulla fiducia, sarà sicuramente un altro ottimo album, per una vocalist che chi legge questo Blog sa essere una tra le mie preferite delle ultime generazioni http://discoclub.myblog.it/2015/04/24/bel-disco-forse-troppe-ballate-dal-vivo-beth-hart-better-than-home/. E anche a giudicare da questo concerto registrato nel mese di maggio la forma è sempre strepitosa, pur se, ripeto, con Bonamassa & Co dal vivo. è tutta un’altra cosa.

Tracklisting:
1. Jazz Man
2. Love Gangster
3. Coca Cola
4. Let’s Get Together
5. Love Is A Lie
6. Fat Man
7. Fire On The Floor
8. Woman You’ve Been Dreaming Of
9. Baby Shot Me Down
10. Good Day To Cry
11. Picture In A Frame
12. No Place Like Home

All’uscita del disco, come di consueto, recensione completa.

Bruno Conti

Ancora Una Anteprima: Dal Canada, Una Band Rock Solida Con Una Cantante “Esagerata”! No Sinner – Old Habits Die Hard

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No Sinner – Old Habits Die Hard – Provogue/Mascot 

La mia prima impressione, dopo un ascolto veloce in streaming, e qualche tempo prima dall’uscita prevista per il 20 maggio, ammetto che era simile a quella che fece esclamare al “collega” Greil Marcus “What’s This Shit”, in occasione della pubblicazione di Selfportrait di Dylan. Ok, siamo su altri livelli e le circostanze sono diverse, Dylan era un musicista affermato e quel doppio album, anche se rivalutato a posteriori, per chi scrive rimane tra i più brutti del vecchio Zimmerman. Intanto bisognerebbe chiedersi chi diavolo sono i No Sinner, band di belle speranze di Vancouver, Canada, al secondo album con questo Old Habits Die Hard, e soprattutto chi è Colleen Rennison la loro cantante (Rennison, No Sinner al contrario, capito)?

no sinner boo hoo hoo colleen renniison see the sky

 

Ma il nome mi diceva qualcosa, per cui sono andato a risentirmi anche il suo unico album da solista, See The Sky About To Rain, pubblicato nel 2014, dopo l’uscita del primo disco dei No Sinner Boo Hoo Hoo, e mi sono ricordato che quel disco mi era piaciuto non poco. Bella voce, ottimi arrangiamenti e produzione a cura di Steve Dawson, per una serie di cover di brani formidabili, in gran parte di autori proprio canadesi, a partire dalla title-track di Neil Young (una delle mie preferite del vecchio bisonte),  passando per Coyote di Joni Mitchell, Stage Fright della Band, Why Don’t You Try di Leonard Cohen, e brani di Townes Van Zandt, Tom Russell, ancora Robbie Robertson, che lo rendono un album di eccellente country got soul, assolutamente da (ri)scoprire.

Quindi ho deciso di ascoltare di nuovo il CD dei No Sinner attraverso questo spirito e questa ottica: il disco continua a non sembrarmi un capolavoro, ma ha parecchie frecce al proprio arco, alcuni brani notevoli ed una voce ed una attitudine che, come dice lei stessa senza falsa modestia in varie interviste, si rifanno a Janis Joplin e Etta James, ma soprattutto a Robert Plant, di cui si ritiene una sorta di androgina replicante. Mi sembra che la Rennison abbia avuto un percorso per certi versi inverso rispetto ad altre cantanti simili a lei come tipo di impostazione vocale e approccio: infatti mentre Dana Fuchs, e forse più ancora Beth Hart, sono partite con un genere rock piuttosto duro, selvaggio e tirato, e poi con la maturità sono arrivate all’attuale miscela di soul, rock, R&B e blues, la giovane Colleen (che però ha già 28 anni, non ho perso il vizio di dire l’età delle signore), è partita con un raffinato stile da interprete di gran classe, per poi approdare all’hard rock quasi senza compromessi del suo power trio canadese, con chitarre fumanti, urla selvagge e ritmi tiratissimi, con più di un punto di contatto con la prima Pat Benatar e le conterranee Heart di Ann Wilson, un’altra che ha una vera venerazione per Robert Plant. D’accordo, il discorso non è così schematico, in fondo la cantante (e attrice, ha girato parecchi film e serie televisive, raramente in parti principali) Rennison è partita con il rock duro, ma  ha dimostrato che sa fare anche ottima musica raffinata con il suo disco solista ed ora ritorna al rock-blues hardeggiante (per inventarsi un neologismo) del nuovo album, stile che ricorda anche il sound di altre band emergenti a guida femminile come i Blues Pills o Grace Potter & The Nocturnals, meno per esempio quello della giovane finlandese Ina Forsman.

Ho fatto una full immersion nei due dischi dei No Simmer e devo dire che effettivamente la Rennison è brava, non appartiene solo alla categoria. attualmente molto frequentata, per dirla alla Totò, “quella faccia non mi è nuova” (vedete la copertina del primo disco): se nel primo album c’è anche molto blues (rock) grazie alla solista, spesso in modalità slide, dell’ottimo chitarrista Eric Campbell, ci sono anche i primi sintomi del lato più “selvaggio” della band, quello zeppeliniano (ma non ci sono ovviamente a suonare Page, Jones e Bonham, e questo fa un piccola differenza) presente in brani come Work Song o Devil On My Back , e ci sono pure parecchi brani dove la quota soul e di ballate è presente; nel nuovo Old Habits Die Hard il pedale della modalità metallurgica è più pigiato, con giudizio nell’iniziale All Woman https://www.youtube.com/watch?v=QqyyBFKKYa0 , dura nei suoni ma dove si gusta comunque la voce di Colleen e il lavoro di Campbell, in Leadfoot, pur con la presenza di una armonica amplificata e minacciosa, si viaggia verso un suono quasi dark e a tratti più “tamarro”, con voce distorta e sguaiata, con One More Time, dai riff tiratissimi che sembrano una buona risposta alla How Many More Times dei Led Zeppelin.

Ma c’è spazio anche per l’ottimo rock’n’soul della vivace Tryin’ che ha qualche parentela con il sound di Beth Hart https://www.youtube.com/watch?v=TYV6eiGk23Y , o per il Rock and Roll di Saturday Night (che si rifà nuovamente ad un celebre brano degli Zeppelin), e anche per un paio di ballate di grande intensità come Hollow e Lines On The Highway https://www.youtube.com/watch?v=TwwZxMA8o0k , oltre al blues-rock con uso di slide della conclusiva Mandy Lyn https://www.youtube.com/watch?v=sFcEkqvYv_8 . Per il resto molto rock, e anche se di stoffa di solito ne indossa poca la nostra amica, nell’ambito musicale ne ha comunque parecchia. Esce, come detto, il 20 maggio.

Bruno Conti

Più Che L’Amore E’ “La Voce” Che Vince Ancora Una Volta, Splendida! Janiva Magness – Love Wins Again

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Janiva Magness – Love Wins Again – Blue Elan/Ird

Ogni due anni, regolarmente, da un paio di lustri, Janiva Megness ci regala un nuovo album per la delizia dei nostri padiglioni auricolari: un misto di soul, blues, R&B, i dischi della cantante nativa di Detroit, ma, credo, da parecchi anni residente a Los Angeles, sono dei piccoli gioielli in quella categoria abitata anche da gente come Bonnie Raitt, Susan Tedeschi, Beth Hart, in passato (ma anche ora) Bonnie Bramlett, tra le recenti, magari con una maggiore propensione al blues e al gospel pure Ruthie Foster e Shemekia Copeland, e con una maggiore propensione al rock Dana Fuchs. Se ne potrebbero aggiungere altre, ma è comunque una bella lista. La Magness, è tra quelle in possesso di una delle voci più naturali, con un phrasing perfetto e una duttilità nella modulazione vocale tra le più genuine. Lo dico sempre, ma mi ripeto ancora per eventuali ritardatari che non la conoscessero. Per alcuni il suo album più bello è Stronger For It http://discoclub.myblog.it/2012/03/22/sempre-piu-forte-janiva-magness-stronger-for-it/ , ma per chi scrive sono belli tutti, non c’è mai un calo di qualità, e anche questo nuovo Love Wins Again, che segue l’ottimo Original del 2014 http://discoclub.myblog.it/2014/10/09/magari-originale-sicuramente-copia-dautore-janiva-magness-original/ , prodotto come di consueto da Dave Darling, che suona anche chitarra e basso, firma, da solo, con Janiva ed altri autori, la totalità dei brani (meno uno di cui tra un attimo), è una miscela perfetta di suoni classici, questa volta con una maggiore propensione verso un sound virato al soul dei primi anni ’70. Quello che usciva dai Fame Studios o dai Royal Studios di Memphis dove Willie Mitchell confezionava le sue perfette creazioni per Al Green o Ann Peebles.

Sintomatico in questo senso il primo brano Love Wins Again, una canzone di uptempo R&B che mi ha ricordato anche le prime cose di Joss Stone, quando sembrava destinata a grandi cose, prima di venire risucchiata (non del tutto, la voce rimane) nelle pieghe dell’industria discografica più commerciale; ma tornando al pezzo in questione, l’atmosfera è veramente gioiosa, tra chitarrine choppate, basso e batteria rotondi, armonie vocali deliziose, il tutto dà una sensazione di piacere ed allegria, un sentimento che non sempre alligna nelle composizioni della Magness (di cui è nota la vita, dolorosa e dalle mille difficoltà, ne potete leggere la storia nei precedenti post, da cui cerca sempre e comunque di rialzarsi, con grinta e carattere). Real Love è un funky-blues-rock più deciso e grintoso, con chitarre più presenti, un organo di supporto e quella magnifica voce sempre in azione in modo unico. When You Hold Me è la prima di una serie di deep soul ballads che sono il punto forte del suo repertorio https://www.youtube.com/watch?v=rHsV1kDTT8E , la voce leggermente rauca ma in grado di acrobazie vocali, che scivola sulle note di due o tre chitarre, oltre a Darling Zach Zunis e Garret Deloian, l’organo di Arlan Schierbaum (l’ex tastierista di Bonamassa), il sax di Alfredo Ballesteros e le “solite” armonie vocali d’ordinanza, un brano che potrebbe anche funzionare in qualche radio contemporanea se ce ne fossero ancora di “sane”.

Anche Say You Will profuma di errebi senza tempo, con una progressione vocale e strumentale di grande fascino, come pure Doorway, altra ballata da stracciarsi le vesti per il piacere che ne deriva dall’ascolto (con qualche reminiscenza con i brani più belli della migliore Joan Armatrading anni ’70, un’altra che mi piaceva non poco), musica genuina e di grande impatto emozionale. Moth To A Flame vira verso un jazzy blues più grintoso, sempre con questa contrapposizione tra il sound delle chitarre e dell’organo Hammond, con Your House Is Burnin’ che fonde un groove alla James Brown ad un sound chitarristico decisamente rock, con ottimi risultati https://www.youtube.com/watch?v=rfZ2oC7TkmM . Bellissima anche Just Another Lesson, un’altra delicata ballata, questa volta solo la voce e una chitarra acustica, intima ed intensa, gran classe vocale, inutile dirlo. E niente male pure le raffinate atmosfere notturne di Rain Down, benché forse troppo arrangiate, anche se la voce https://www.youtube.com/watch?v=b2mbtjdB7YU  … Discorso a parte per una fantastica versione di Long As I Can See The Light, il super classico dei Creedence di John Fogerty, che riceve un trattamento di lusso in puro Memphis style che ci riporta al suono di Stronger For It, dove c’erano delle cover formidabili, qui siamo dalle parti di Beth Hart, anche per la potenza e carica vocale. E per concludere in bellezza un’altra ballata di quelle strappalacrime, Who Will Come For Me, perfetta anche grazie all’ottimo lavoro di raccordo di Dave Darling, che ha diretto le operazioni dagli studi Doghouse di Los Angeles, con un gruppo di ottimi musicisti che hanno saputo evidenziare la splendida voce di Janiva Magness. Da avere assolutamente se amate le grandi cantanti!

Bruno Conti

P.S In questo 2016 ricco di morti eccellenti ma anche della scomparsa di musicisti meno noti, il 6 giugno ci ha lasciato anche una cantante come Candye Kane, pure lei blues e soul singer di qualità, vicina alla categoria di Janiva Magness. Soffriva da anni di una forma di tumore al pancreas che sembrava avere sconfitto, o così vi dicevo in questo post dell’epoca http://discoclub.myblog.it/2011/09/18/una-cantante-blues-particolare-candye-kane-sister-vagabond/ che ripubblico per renderle omaggio. Aveva 54 anni. R.I.P.

Natale In Ritardo E Fuori Stagione, Ma Questa E’ Brava! Susan Marshall – Decorations Of Red

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Susan Marshall – Decorations Of Red – Madjack Records

A volte mi capita (è successo in passato, succede nel presente, e succederà in futuro), di scoprire dei gruppi e cantanti misconosciuti quasi per caso, e (quasi sempre) apprezzarli molto di più di altri grandi nomi. Uno dei primi di questi “casi” è successo nel lontano ’94 per i Mother Station, un gruppo poco noto proveniente da Memphis, che aveva la particolarità di essere guidato da due donne: dalla ottima chitarrista Gwin Spencer e dalla meravigliosa voce di Susan Marshall, che insieme a Rick Shelton alla batteria e Paul Brown al pianoforte, pubblicavano Brand New Bog (assolutamente da recuperare, lo si trova ancora a prezzi contenuti), un lavoro dal suono potente, molto ispirato sia al “southern rock” quanto al vecchio stile blues modernizzato, purtroppo l’unico disco uscito fino ad oggi. In sintesi il disco era composto da dodici brani, undici scritti dalla Spencer, il dodicesimo invece era una cover di un vecchio brano degli Humble Pie Fool For A Pretty Face, con le ballate finali Show You The Way e Stranger To My Soul, in cui la Marshall dava un saggio della sua bravura vocale.

Dopo questo doveroso preambolo per inquadrare la figura di questa cantante, una breve cronistoria: la carriera di Susan Marshall dopo lo scioglimento del gruppo è proseguita come backing vocalist, fornendo la sua voce a tante registrazioni (viene accreditata in più di 100 album) di artisti importanti come Lynyrd Skynyrd, Primal Scream, Afghan Whigs, Lenny Kravitz, Toy Caldwell, Willy DeVille, Ana Popovic, Lucinda Williams, Solomon Burke, North Mississippi Allstars, Bottle Rockets, Cat Power e moltissimi altri. Nel frattempo Susan si è messa a scrivere canzoni e suonare il pianoforte, e il suo debutto da solista  era avvenuto con Honeymouth (02), seguito da Firefly (05), Little Red (09), quasi tutti colpevolmente ignorati dalle nostre parti.

Questa ultima fatica Decorations Of Red (uscito sul finire dello scorso anno), è una bella raccolta di brani a carattere natalizio, con alcune “cover” d’autore a tema, e per registrarlo Susan (con la produzione di Jeff Powell) si è recata nei mitici studi Sam Phillips Recording Services di Memphis (tutti travestiti da Babbo Natale), David Cousar alle chitarre elettriche e acustiche, Clifford “Peewee” Jackson alla batteria, Jana Misener al cello, contrabbasso e armonie vocali, e la stessa Marshall al piano e tastiere, per confezionare nove brani dove la voce di Susan può spaziare in libertà di vocalizzo.

Le “decorazioni rosse” stagionali si aprono con una magnifica versione di un brano di William Bell Every Day Will Be Like A Holiday, una ballata “soul” con tanto di coretti in puro stile “Stax”, per poi passare ai classici sempiterni, una Santa Baby (ascoltate anche la versione originale di Eartha Kitt) rifatta in chiave blues, e una White Christmas cantata in modo celestiale dalla nostra “amica”, e  quindi omaggiare una grande cantautrice come Carole King con la sua nota Home Again, pescata dal famosissimo e pluridecorato Tapestry (71). Le confezioni natalizie contengono un altro “standard” come  Jingle Bells, rivoltato come un calzino dall’arrangiamento della Marshall, a cui fanno seguito una sofferta Little Things A Lot , una Blue Christmas di Billy Hayes riletta in chiave ovattata e “jazzy”, per poi rispolverare un’altra grande canzone “stagionale” come River di Joni Mitchell (questa la trovate sul mitico Blue) in una versione pianistica da brividi, e chiudere con l’inedito Deck The Halls, Y’All (firmato da tutti i componenti della band), dove Susan sperimenta nuovi percorsi sonori.

Susan Marshall in tutti questi anni, si è costruita una dignitosa carriera indipendente nell’ambito del sottobosco musicale americano, confermandosi una straordinaria cantante tra le più brave e versatili attualmente in circolazione (siamo in zona Beth Hart https://www.youtube.com/watch?v=jjYc2TIGBxE , Dana Fuchs e Grace Potter), con una voce chiara e potente, doti che la fanno apprezzare come “vocalist” dagli addetti ai lavori e dagli amanti della buona musica. Se ancora non conoscete questa signora, è giunto il momento di rimediare a questa lacuna. Oppure aspettate il prossimo Natale!

Tino Montanari

*NDT. Dopo Dana Fuchs e Susan Marshall, per chiudere il cerchio delle belle voci, a giorni sarà il turno di un’altra grande cantante, Shaun Murphy. Alla prossima!

Ma Che Musica Maestro! Buddy Guy – I’ll Play The Blues For You…Live

buddy guy - i'll play the blues...live

Buddy Guy – I’ll Play The Blues For You…Live – Klondike Records 

Credo che tutti sappiamo chi sia Buddy Guy, forse l’ultimo dei grandi “originali” bluesmen del periodo d’oro ancora in vita, il chitarrista elettrico per eccellenza, uno che ha suonato a lungo, prima con Muddy Waters e poi con Junior Wells, ma anche con una carriera solista altrettanto lunga, pur se non particolarmente prolifica, avvenuta in un certo senso a periodi, prima quello a cavallo fine anni ’60,  primi ’70, con i bellissimi album per la Vanguard, poi il “ritorno” ad inizio anni ’80, con i dischi targati Alligator, e l’ultima fase, tutt’ora in corso, iniziata con Damn Right, I’ve Got The Blues, uscito nel 1991 per la Silvertone/BMG e che prosegue a tutt’oggi, con lo splendido Born To Play Guitar, recente vincitore del Grammy come miglior disco Blues nel 2016 http://discoclub.myblog.it/2015/08/03/lultimo-dei-chitarristi-blues-gran-forma-buddy-guy-born-to-play-guitar/ .

E il nostro è veramente nato per suonare la chitarra: nel corso degli anni, Jeff Beck, Eric Clapton, Jimmy Page e Jimi Hendrix, i quattro grandissimi dello strumento, ma poi anche Stevie Ray Vaughan, hanno ammesso l’influenza che il grande musicista di Lettsworth, Louisiana, ma da sempre cittadino onorario di Chicago, ha esercitato sulla loro formazione come chitarristi. Keith Richards e gli Stones stravedono per lui, nel 2012 al Kennedy Center gli hanno dato un premio alla carriera, in una serata in cui Jeff Beck e Beth Hart hanno incendiato la platea dei presenti (tra cui i Led Zeppelin al completo) con una versione memorabile di I’d Rather Go Blind, nel 2014 è stato “introdotto” nella Hall Of Fame, quindi i riconoscimenti, per una volta e per fortuna, non gli sono mancati da vivo, ma quelli a cui tiene di più sono quelli che raccoglie sui palchi in giro per il mondo, con una serie di concerti che sono sempre delle feste memorabili per gli amanti della chitarra.

Il suo stile spavaldo, quasi acido, con quel sound lancinante, forte e tenero, ma anche aggressivo,  è il prototipo del blues elettrico, Buddy Guy è anche un grande entertainer, uno showman con “trucchetti” alla chitarra che qualcosa hanno insegnato anche a Jimi e a tutti gli altri citati, ma è anche un grande tecnico dello strumento e un divulgatore, in grado di suonare il repertorio pure di molti colleghi, contemporanei e non, con cui ha condiviso lunghi tratti di vita.

 

Prendete questo concerto dal vivo, il solito broadcast “ufficiale”, una registrazione del 9 gennaio 1992, dallo Sting, New Britain nel Connecticut, Guy ha appena pubblicato quel Damn Right… citato prima e delizia il pubblico presente e quello sintonizzato alla radio con un concerto dove si apprezzano tutte le sue indubbie qualità: con la sua Stratocaster in overdrive infiamma il pubblico presente con una serie di brani dove gli assolo di chitarra si sprecano, ma anche tutto il contorno blues e rock è di primissima scelta. Il suono è buono, senza essere perfetto, da bootleg, ma di quelli ascoltabili, le canzoni però sono formidabili: un’oretta di musica dove Guy sciorina un repertorio che definire eclettico è quasi fargli un torto, da una Mary Had A Little Lamb, uno dei suoi rari successi per la Chess, a lungo nel repertorio di SRV, e qui in una versione scintillante, con la chitarra che scorre con una fluidità assoluta e quella voce aspra e vissuta che canta il blues come pochi hanno fatto, prima e dopo di lui.

 

A seguire una I Just Wanna Make Love To You che parte funky e diventa una fucilata rock-blues, prima di trasformarsi, sotto la forma di medley (un modo di proporre i brani tipico del Guy performer live) in You Can’t Fool A Fool, con Buddy che fa cantare tutto il pubblico presente, con il brano che diventa quasi jazzato grazie ad un pregevole assolo di piano, senza soluzione di continuità ci troviamo scaraventati nella leggendaria blues ballad I’ll Play The Blues For You, uno degli slow più belli del repertorio di Albert King, dove Guy accarezza con libidine la sua chitarra, per poi lanciarsi in un altro medley memorabile, con il trittico da sogno della ciondolante Everything’s Gonna Be Alright, l’omaggio a B.B. King con accenni di Rock Me Baby e Watch Yourself, poi è la volta del suo “allievo” Jimi Hendrix, con l’intro a tutto wah-wah di Voodoo Chile, che poi diventa l’inchino al “maestro” Muddy Waters di una poderosa Hoochie Coochie Man, un accenno a Cold Shot di Vaughan e poi è la volta di Strange Brew dei Cream di Eric Clapton, proposta in un medley con Mustang Sally, il pezzo di Wilson Pickett, l’unico tratto dall’album in teoria in promozione, con Guy che “addestra” il pubblico e i suoi musicisti come un domatore di tigri, oltre dieci minuti di pura magia sonora che diventano più di 15 minuti in una orgia di R&B e R&R per l’accoppiata mitica di Knock On Wood/Johnny Be Goode. Ma che musica Maestro!

Bruno Conti