Paul Personne, Robben Ford, Ron Thal, John Jorgenson, Beverly Jo Scott – Lost In Paris Blues Band – earMUSIC
La tradizione dell’arte della session in ambito musicale si perde nella notte dei tempi, soprattutto in campo jazzistico, quella della Super Session forse si potrebbe fare risalire al famoso disco di Bloomfield/Kooper & Stills del 1968. Probabilmente proprio a quel disco si ispira questa Lost In Paris Blues Band, un quintetto di musicisti, più una sezione ritmica francese formata dal bassista Kevin Reveyrand e dal batterista Francis Arnaud, “molto noti” in patria soprattutto per avere accompagnato Christopher Cross in tournéè. Tra gli altri nomi, riuniti a Parigi agli studi Ferber nel 2015, per una tre giorni di jam session improvvisate, spiccano soprattutto, almeno per me, quelli di due dei quattro chitarristi impiegati, ovvero il grande Robben Ford, che non ha bisogno di presentazioni, e John Jorgenson, fondatore della Desert Rose Band, degli Hellecasters, e con una sfilza di collaborazioni che va da Elton John, Bob Dylan, Emmylou Harris, Bob Seger e Roy Orbison, fino a Pavarotti, due grandi virtuosi del loro strumento.
Poi c’è Paul Personne, che è probabilmente quello che ha dato origine a tutto il progetto, cantante e musicista blues francese, famoso per essere stato per molti anni il chitarrista di Johnny Halliday, Ron “Bumblefoot” Thal, “noto” per aver fatto parto dei Guns’n’ Roses negli anni “bui” dal 2006 al 2014, e infine Beverly Jo Scott, cantante americana di buon valore, che però da moltissimo tempo vive in Belgio, dove è una sorta di celebrità e giudice della versione locale del talent “The Voice”, e con una cospicua serie di album realizzati tra il 1991 e il 2015. E comunque, a corollario del tutto, il dischetto che ne è uscito è veramente piacevole, molto ben realizzato, con una scelta di brani di spessore, e una grinta e una voglia di improvvisare che lo rende assai riuscito. Prendiamo il brano di apertura, Downtown, dalla penna di Tom Waits: non avrebbe sfigurato nella Super Session citata in apertura, trasformato in un blues elettrico sulla falsariga di quelli presenti nell’album di cui sopra, con i vari musicisti che si alternano con profitto alla voce solista, e con John Jorgenson, vista la presenza massiccia di chitarristi, che si disimpegna con classe e buon tocco anche all’organo, nel ruolo che fu di Al Kooper, inutile dire che quando Robben Ford sale al proscenio la qualità decolla, ma anche gli altri contribuiscono con classe e buon tocco alla continua serie di assoli che si susseguono in grande libertà, ottima partenza.
Niente male anche il trattamento riservato a Fire Down Below, il pezzo di Bob Seger, dove Personne e la Scott si dividono il compito di voce solista, e il risultato si avvicina molto a quello del rock grintoso e “riffato” della versione originale, al solito arricchito da continui soli e con una andatura musicale quasi alla Delaney & Bonnie, quando Clapton suonava con loro; Little Red Rooster, con una bella slide a guidarlo, più che alla versione degli Stones o all’originale minaccioso di Howlin’ Wolf, si avvicina al suono delle band rock-blues dei primi anni ’70, con wah-wah a manetta e una notevole grinta, e pure I Don’t Need No Doctor più che alla versione felpata degli autori Ashford & Simpson, si avvicina a quella dura e tirata degli Humble Pie, addirittura con elementi hendrixiani aggiunti e con le chitarre al solito scatenate in un tour de force micidiale. One Good Man permette a Beverly Jo Scott di mettere in luce la sua passione per Janis Joplin (non per nulla è autrice di uno spettacolo e un disco entrambi chiamati Planet Joplin), in una versione blues mid-tempo a tutta slide e non solo, cui fa seguito un altro brano del repertorio di Howlin’ Wolf, Tell Me, per tenere giustamente fede al nome di Lost In Paris “Blues Band”, un bello shuffle aggressivo e tirato, e ancora, in omaggio a quel Michael Bloomfield, più volte citato, e amatissimo da Ford, la sua You’re Killing My Love, uno splendido slow blues, dove credo Robben sia impegnato anche al piano.
Non manca l’omaggio agli Stones, ma anche all’autore originale Bobby Womack, con una bella versione saltellante di It’s All Over Now e poi Trouble No More, che porta la firma di Muddy Waters, ma che tutti conosciamo anche nella versione degli Allman Brothers, in questa edizione a guida Robben Ford diventa un blues atmosferico e intenso. Evil Gal Blues va ancora più indietro nel tempo, un jazz-blues after hours di Lionel Hampton, con la bella voce della Scott in evidenza, prima di scatenarsi nella I Cant’t Hold Out di Elmore James, qui molto vicina alla versione di Eric Clapton. E in questa (super) session poteva mancare un brano di Bob Dylan? Evidentemente no, visto che troviamo una eccellente rilettura in chiave blues di Watching The River Flow, mentre per chiudere le operazioni si affidano a Charles Brown, di cui viene ripresa, in versione acustica, la celeberrima Driftin’ Blues. In definitiva, una più che piacevole sorpresa, un disco molto bello, fresco e pimpante.
Bruno Conti