La (Non Poi Così Tanto) Strana Coppia Funziona Alla Grande! Dave Alvin & Jimmie Dale Gilmore – Downey To Lubbock

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Dave Alvin & Jimmie Dale Gilmore – Downey To Lubbock – Yep Roc CD

Devo confessare di non essere mai stato un grande fan di Jimmie Dale Gilmore, avendolo sempre considerato un personaggio di seconda fascia, forse anche terza. Uno che ha pubblicato appena otto album in trent’anni, nessuno dei quali imprescindibile, ed il progetto migliore in cui è stato coinvolto è quello del super trio dei Flatlanders, ma grazie soprattutto al contributo degli altri due membri, Joe Ely e Butch Hancock; in più, non ho mai sopportato molto la sua voce, a mio giudizio troppo sdolcinata e mielosa. Difficilmente mi sarei quindi avvicinato a questo disco se non fosse stato per la presenza di Dave Alvin, uno che invece non ha mai sbagliato un disco, sia con i Blasters che da solo (e tralascio tutti i progetti collaterali a cui ha partecipato, tipo Knitters e Pleasure Barons). Entrambi erano fermi dal 2011 in quanto ad album solisti https://discoclub.myblog.it/2011/07/04/elementare-watson-undici-album-undici-canzoni-dave-alvin-ele/  (ma nel frattempo Dave ha pubblicato due ottimi lavori con il fratello Phil), e questo Downey To Lubbock (dal nome delle città di origine dei due) è nato quasi per caso, pare su sollecitazione del presidente della Yep Roc, Glenn Dicker. E l’intuizione è stata giusta: Downey To Lubbock è un gran bel disco, un album in cui Dave e Jimmie ripropongono in maniera scintillante diversi brani del passato, con qualche decennio alle spalle fino a quasi un secolo, aggiungendo due brani scritti per l’occasione.

Non è la prima volta che Alvin si dedica al recupero di canzoni che appartengono alla storia della musica americana, lo aveva già fatto con Public Domain per quanto riguarda la tradizione e con West Of The West, nel quale si rivolgeva ad autori californiani contemporanei, ed anche nel primo dei due lavori in duo con Phil, Common Ground, che vedeva riprese alcune canzoni di Big Bill Broonzy. E Dave è stato il motore che ha dato il via a Downey To Lubbock, ha scelto le canzoni, ha portato in session musicisti a lui affezionati (tra cui nomi noti come Don Heffington, David Carpenter, la batterista delle Guilty Women, Lisa Pankratz, il bravissimo pianista Skip Edwards, ed in più una mezza leggenda come Van Dyke Parks) e ha arrangiato i brani con un taglio moderno, con una concezione simile a quella dell’ultimo Ry Cooder, anche se musicalmente siamo su livelli differenti. Gilmore si è “limitato” a cantare e a suonare la chitarra, ma devo dire che, pur non essendo diventato di colpo un suo estimatore, ho maggiormente apprezzato in questo disco la sua voce, in quanto invecchiando il suo timbro è migliorato e ha acquistato profondità, almeno a parer mio. Non siamo di fronte ad un disco di duetti, che non mancano comunque, ma spesso canta uno solo dei due e l’altro si occupa delle armonie: quello che però più importa, è che siamo di fronte ad un album di livello eccelso, con i nostri in gran forma e con un affiatamento difficile da prevedere se pensiamo che fino a non molto tempo fa i due si conoscevano appena.

Il CD inizia con la title track, canzone nuova di zecca scritta dalla coppia, un brano decisamente elettrico, un boogie-blues sanguigno e viscerale, forse nulla di nuovo dal punto di vista del songwriting ma suonato alla grande, con un ottimo intervento di Gilmore all’armonica e soprattutto un sensazionale assolo chitarristico di Alvin. Silverlake è una deliziosa ballata di Steve Young, suonata con classe e quasi in punta di dita: la voce di Jimmie Dale qui è perfetta, più vissuta di come la ricordavo, la melodia è splendida di suo, e come ciliegina abbiamo la fisarmonica di Parks ed i soliti, sontuosi ricami di Dave. Stealin’ Stealin’, brano degli anni venti del secolo scorso della Memphis Jug Band (ma l’hanno rifatta in mille, tra cui i Grateful Dead e Bob Dylan) è un blues elettroacustico coinvolgente e di grande presa, con le due voci che si intendono alla perfezione ed un arrangiamento che, pur rimanendo ancorato alla tradizione, dona freschezza ad un brano vecchio di un secolo; July, You’re A Woman, di John Stewart, è un’altra stupenda canzone di puro cantautorato: versione classica, ariosa (canta solo Alvin), calda e di grande pathos, specie nel ritornello corale. Buddy Brown’s Blues è una grandiosa versione di un blues reso popolare da Lightnin’ Hopkins, che parte acustica ma la band entra quasi subito: rilettura fluida e potente, con grandi interventi di sax (Jeff Turmes) e del piano di Edwards, con l’unica nota leggermente stonata della voce di Gilmore, forse non adattissima al blues.

The Gardens, cantata da Dave, è a mio giudizio il capolavoro del disco, una meravigliosa ballata in puro stile tex-mex, scritta dallo scomparso Chris Gaffney, sul genere di classici come Across The Borderline e She Never Spoke Spanish To Me, davvero splendida, una delle cover dell’anno. Abbiamo quindi tre classici in fila, tratti da un passato più o meno remoto: la famosa Get Together, scritta da Chet Powers (cioè Dino Valenti) ma portata al successo dagli Youngbloods, altra grande canzone ed altra versione bellissima, chitarristica e con uno strepitoso refrain a due voci, l’antico blues K.C. Moan, eseguito in maniera piuttosto canonica (ma Dave rilascia un paio di assoli torcibudella), ed il rock’n’roll Lawdy Miss Clawdy di Lloyd Price, in una festosa rilettura “alla Blasters”, ancora con l’ottimo piano di Edwards in evidenza (ed Alvin alla chitarra non lo dico nemmeno più). Billy The Kid And Geronimo, scritta da Dave, è una folk ballad tipica delle sue, cantata con voce calda e con un accompagnamento soffuso e di grande intensità, ed anche la parte vocale di Jimmie fa la sua bella figura; Deportee (Plane Wreck At Los Gatos) di Woody Guthrie non ha bisogno di presentazioni, è una delle più belle canzoni americane di sempre, ed i nostri la rifanno in maniera toccante, dandoci un altro highlight del CD (anche se avrei preferito la cantasse Alvin). Chiusura con un altro pezzo che ha diversi anni sul groppone: Walk On, di Brownie McGhee, in una scintillante versione tra rock’n’roll e gospel, con ancora Edwards grande protagonista.

Non trascurate questo Downey To Lubbock: siamo forse di fronte alla cosa migliore della carriera di Jimmie Dale Gilmore, mentre per Dave Alvin essere a questi livelli è “business as usual”.

Marco Verdi

Semplicemente Uno Dei Migliori Chitarristi Americani! Sonny Landreth – Recorded Live In Lafayette

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Sonny Landreth – Recorded Live In Lafayette – Mascot/Provogue 2CD

Clyde Vernon “Sonny” Landreth non lo scopriamo certo oggi. In giro dagli anni ottanta, si è fatto conoscere inizialmente come chitarrista di John Hiatt (l’album era Slow Turning, il seguito del magnifico Bring The Family), dato che in quegli anni i suoi (pochi) album erano maldistribuiti e quindi difficili da reperire. Poi, negli anni novanta, prima con Outward Bound, ma soprattutto con l’ottimo South Of I-10, Sonny ha alzato la testa cominciando a crearsi un seguito come musicista di culto, ottenendo anche l’apprezzamento di diversi colleghi che lo hanno voluto a suonare con loro (due a caso, Eric Clapton e Mark Knopfler, non proprio degli sprovveduti). Ha inciso pochi dischi Landreth, ma quasi sempre con una qualità molto alta (Levee Town e The Road I’m On sono i miei preferiti), ed il suo particolare stile, che fonde blues (il suo genere di appartenenza) e zydeco (essendo lui della Louisiana), unito al fatto di essere forse il miglior chitarrista slide in circolazione insieme a Ry Cooder (NDB E Derek Trucks dove lo mettiamo? Parlando solo dei viventi!), gli hanno fatto guadagnare il soprannome di “The King Of Slydeco”. Sonny fino ad oggi aveva all’attivo un solo album dal vivo, l’ottimo Grant Street (2005), ma questo nuovo Recorded Live In Lafayette, registrato in diverse serate di Gennaio 2017 appunto a Lafayette, Louisiana, oltre ad essere doppio (Grant Street era singolo), si pone su un livello addirittura superiore, candidandosi forse a miglior disco della sua carriera.

Recorded Live In Lafayette è un album formidabile, suonato in maniera eccellente da Sonny e dalla sua band, un trio formato, oltre che da lui, da David Ranson al basso e Brian Brignac alla batteria: il gruppo per l’occasione è aumentato da due elementi, che però danno un tocco vincente al suono del concerto, vale a dire Sam Broussard, secondo chitarrista che si occupa delle parti ritmiche e soliste “non slide”, e soprattutto dell’eccezionale fisarmonicista (e pianista) Steve Conn, la cui prestazione, oltre a dare un sapore decisamente zydeco a gran parte del concerto, arriva ad entusiasmare quasi quanto quella di Sonny stesso. Il disco, sedici canzoni (di cui solo due sono cover, più una di Conn) ha poi la peculiarità di dividersi in due metà esatte, la prima acustica e la seconda elettrica: se il Landreth elettrico lo conoscevamo, la vera sorpresa è quello unplugged, che riesce a tenere altissimo il livello della performance grazie anche alla bravura dei collaboratori, al punto che dopo due o tre canzoni quasi non ci si accorge che la spina è staccata. Il blues fa come sempre la parte del leone, ma c’è anche parecchio rock (nella parte elettrica) e, grazie alla prestazione fantastica di Conn, la componente zydeco-cajun è perfino più pronunciata del solito.

Il primo CD, che come ho già detto è quello acustico, vede i nostri subito in palla con Blues Attack, un blues quasi canonico al quale la splendida fisarmonica, vera arma in più del gruppo, dona un sapore decisamente zydeco, e le dita di Sonny iniziano a scorrere che è un piacere, ben doppiate da quelle di Broussard. Ancora blues con Hell At Home, con brevi ma ficcanti assoli dei due chitarristi ed altre delizie provenienti dalla fisa (un vero piacere per le orecchie), e con una rilettura fluida del classico di Big Bill Broonzy Key To The Highway, nella quale Sonny sopperisce alla mancanza di una voce da bluesman (l’ugola è forse il suo unico punto debole) con una tecnica sopraffina. La ritmata Creole Angel è coinvolgente anche senza strumenti elettrici, ed anche la melodia è di derivazione cajun; A World Away è una ballata di gran classe solo sfiorata dal blues, con assoli ancora strepitosi e la solita fisa da urlo, mentre, dei tre brani che chiudono il primo dischetto, bisogna citare assolutamente la trascinante The U.S.S. Zydecoldsmobile, uno dei pezzi più popolari del nostro, un rock-blues-zydeco contraddistinto da una prestazione monstre della band sul palco.

Il CD elettrico si apre con la roboante Back To Bayou Teche, un rock’n’roll dal chiaro sapore cajun, chitarra sublime e gran ritmo, sette minuti da manuale, seguita dalla meno appariscente True Blue, anche se neppure qui si scherza, grande musica e grandissimo manico. Poi abbiamo tre strumentali di fila: The Milky Way Home ha ancora un gran tiro (qui siamo in territori puramente rock) e le dita del leader scivolano che è un piacere, Brave New Girl è uno slow dal suono comunque potente, ma forse meno personale delle altre, mentre Uberesso è nuovamente un’esplosione di ritmo e suoni, con Sonny ormai in trance agonistica, al punto che secondo me si porterebbe dietro la chitarra, continuando a suonarla, anche se dovesse andare in bagno. Il doppio si conclude con l’orecchiabile e saltellante Soul Salvation, in cui si risente la fisa, seguita da una scintillante versione di Walkin’ Blues di Robert Johnson, e con The One And Only Truth, scritta e cantata da Conn, uno scatenato e trascinante zydeco-blues, che chiude il concerto nel migliore dei modi.

Fino ad ora, insieme a quello di Bonamassa, disco live dell’anno, senza dimenticare naturalmente quello della Tedeschi Trucks Band.

Marco Verdi

*NDB 2. Come avevo detto nella anticipazione dell’album pubblicata sul Bog il 27 maggio scorso http://discoclub.myblog.it/2017/05/27/alcune-prossime-interessanti-uscite-estive-parte-ii-beach-boys-jason-isbell-joe-bonamassa-jeff-tweedy-willie-nile-peter-perrett-sonny-landreth/ , quindi molto prima dell’uscita di fine giugno, però in rete si trovano vari filmati del concerto ripresi a livello professionale dalla Mascot Provogue: non è che poi dobbiamo aspettarci una ennesima “fregatura”, ovvero la pubblicazione di un DVD o di qualche formato multiplo in un secondo tempo?