Joe Bonamassa – L’Erede Di Eric Clapton O “Solo” Un Grande Chitarrista? Parte II

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Seconda Parte

La Carriera Solista Seconda Parte 2010-2010, Gli Anni Della Consacrazione: Black Country Communion, Collaborazioni Con Beth Hart, Rock Candy Funk Party, Sleep Eazys

A marzo esce il primo disco della nuova decade

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Black Rock – 2010 Mascot Provogue ***1/2 Registrato appunto ai Black Rock Studios nell’isola greca di Santorini il disco sancisce anche il successo commerciale della musica di Bonamassa in giro per tutto il mondo: ancora un brano alla Led Zeppelin come Steal Your Heart Away del bluesman Bobby Parker apre il CD, seguito da una canzone di John Hiatt (per un breve periodo anche lui “cliente” di Shirley) I Know A Place, anche questa duretta, Quarryman’s Lament, influenzata dal folk greco, prevede l’uso di flauto e bouzouki, mentre Spanish Boots, uno dei classici di Jeff Beck, è un altro potente rock-blues. Tra le altre cover, interessanti quelle di Bird On A Wire di Leonard Cohen, di nuovo con elementi folklorici e un violino insinuante, mentre Three Times A Lady di Otis Rush è un solido blues shuffle, e ottima pure la cover di Night Life di Willie Nelson, che vede la presenza di una ancora pimpante B.B. King, e un ottimo uso di fiati e archi, per non parlare della vivace Look Over Yonder’s Wall, un pezzo di Freddie King e il blues anni ‘20 Baby You Gotta Change Your Mind di Blind Boy Fuller e interessante la di nuovo acustica e cooderiana Athens To Athens. Per mantenere la media dei due dischi all’anno a fine anno esce anche il primo album dei Black Country Communion, il supergruppo formato con Glenn Hughes, di Trapeze e Deep Purple, Jason Bonham e Derek Sherinian dei Dream Theater, disco per certi versi anticipato dalle sonorita hard rock di alcuni brani di Black Rock. Li vediamo tutti quattro insieme qui sotto (anzi 5 compreso il Live).

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Black Country Communion – 2010 Mascot Provogue ***1/2 Il sound è evidentemente un omaggio a quello delle classiche band hard rock anni ‘70, in primis Led Zeppelin e Deep Purple: Glenn Hughes, basso e voce è la forza trainante della band, scrive quasi tutti i testi delle canzoni, mentre la musica appartiene ad entrambi, con qualche aiuto dagli altri, come direbbe Abatantuono “viulenza”, Hughes è un ottimo cantante, superiore a Bonamassa, specie nel genere, Joe che “si limita” a suonare la chitarra, sfogando tutta il suo amore per la musica hard, non tutto nel disco brilla, e gli odiatori del Bonamassa “casinaro” stiano a distanza, ma The Great Divide un brano tra Gary Moore e Deep Purple, la lunga cover di Medusa dei Trapeze, un pezzo dall’anima prog, Song Of Yesterday, firmata da Hughes e Bonamassa, tra Zeppelin, Free e qualche citazione Hendrixiana, non sono male, come pure la lunghissima canzone corale conclusiva Too Late For The Sun, oltre 11 minuti, con Bonamassa e Sherinian a dividersi gli spazi solisti, specie nella estesa coda strumentale.

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Black Country Communion 2 – 2011 Mascot Provogue ***1/2 il canovaccio è quello, lo stile sonoro pure, i quattro picchiano sempre come fabbri, qualche variazione sul tema in Faithless, con il suono della chitarra di Joe che rimanda ai Cream, ma Hughes è sempre dalle parti di Purple e Zeppelin, mentre An Ordinary Son è un tributo alla famiglia di Bonamassa, che lo ha sempre sostenuto nella sua carriera, notevole pure il blues lancinante Little Secret: questo è quello che avevo scritto sul disco nella mia recensione dell’epoca “In definitiva: derivativo, già sentito mille volte, con tanti assoli, una voce sopra le righe, tutti gli ingredienti di un disco di musica rock, va bene, hard rock, ma ogni tanto ci vuole”, confermo. Neanche un anno ed ecco che esce, il doppio dal vivo (ma era già uscito a fine 2011 il DVD)

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Live Over Europe – 2012 Mascot Provogue ***1/2 stesso discorso dei precedenti, con un paio di cover aggiunte al menu https://www.youtube.com/watch?v=w82V4gsSW-4 : Burn dei Deep Purple, mentre Sista Jane cita nella coda Won’t Get Fooled Again degli Who e Bonamassa riprende la propria The Ballad Of John Henry. A fine anno esce il terzo album di studio, Bonamassa impegnato anche nella sua carriera solista appare poco come autore e anche il suo rapporto con Hughes inizia a deteriorarsi (tradotto, i due non si possono più vedere).

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Afterglow – 2012 Mascot Provogue ***1/2 Prendo di nuovo a prestito quanto scritto dal sottoscritto all’epoca: “Niente di nuovo, ma solo del sano buon vecchio rock, suonato come Dio comanda, vedremo se sarà il loro ultimo capitolo. Nella prima tiratura c’è anche un DVD con il making of e quattro video delle canzoni”. Fine della prima fase, dopo essersene dette di tutti i colori sembrava che la storia fosse finita, e invece

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Black Country Communion IV -2017 Mascot Provogue Mi faccio aiutare ancora dal mio amico che vedo tutte le mattine allo specchio, che scrisse “Con una certa dose di autoironia, il banner che annuncia l’uscita del nuovo album dei Black Country Communion recita, lo riporto in inglese perché fa più scena: “They Said It Would Never Happen!”. E invece è successo, dopo la brusca separazione del 2012, dovuta a quelle che erano state appunto definite inconciliabili divergenze tra Joe Bonamassa e Glenn Hughes, torna il quartetto anglo-americano (Hughes e Bonham sono inglesi) con un quarto album che, forse in omaggio ad una delle loro fonti di ispirazioni sonore, si intitola BCC IV”. Le tre stellette e mezza costanti di tutti gli album, sono ovviamente dirette agli amanti del genere. Nel frattempo il nostro amico, sempre più bulimico a livello discografico nel 2011, a inizio anno, pubblica anche

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Dust Bowl – 2011 Mascot Provogue ***1/2 un altro disco accolto da ottime critiche, con un sound per certi versi più rootsy, visto che il lato più rock lo sfogava con i BCC. Nella gagliarda Slow Train un ottimo blues-rock va di slide alla grande, mentre nella title track ci sono citazioni morriconiane e qualche tocco folk grazie all’uso di strumenti della tradizione greca, nella parte del disco registrata a Santorini. Bellissimo il duetto con John Hiatt nella deliziosa Tennessee Plates e anche quello con Vince Gill nel country-blues Sweet Rowena che mi ha ricordato molto certe cose di Lyle Lovett. Visto che nel 2011 erano pappa e ciccia ce n’è anche uno con Glenn Hughes in una eccellente Heartbreaker dal repertorio dei Free. Kevin Shirley, di cui spesso si dimentica l’importanza nelle scelte di Bonamassa, produce da par suo, con un suono molto ben delineato e sempre “vivo”: ovviamente non mancano i pezzi blues, come The Meaning Of The Blues, un originale di Joe, e la cover di You Better Watch Yourself di Little Walter. Tra le “stranezze” di un musicista che è anche un music lover e ama tutti i generi, pure la rilettura di un altro pezzo di Tim Curry, come l’intensa No Love On The Street, dove va di wah-wah alla grande e una canzone di Barbra Streisand (?!?) Prisoner trasformata in una incantevole blues ballad.

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E per citare un modo di dire, non c’è il due senza il tre, nel corso dell’anno esce il frutto di una nuova collaborazione, questa volta con una grande voce femminile, ovvero Beth Hart, un incontro che gioverà a tutti e due, la cantante californiana si trova un grande chitarrista e il musicista newyorchese una delle più valide voci del panorama rock attuale, con la quale esplorare anche soul, R&B, canzone d’autore e standard della canzone americana. Vediamo a seguire gli album registrati insieme, partendo da

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Don’t Explain – 2011 Mascot Provogue ***1/2 Complessivamente 3 stellette e mezza, ma nel CD ci sono alcuni brani dove la chimica tra i due fa apparire delle piccole perle, che poi si ripetono anche negli album successivi: qui vorrei ricordare Sinner’s Prayer un pezzo di Ray Charles, dove sembra di ascoltare l’accoppiata Rod Stewart/Jeff Beck, con Joe al bottleneck e il nuovo tastierista Arlan Schierbaum in grande spolvero, Chocolate Jesus di Tom Waits dove la voce ricorda molto quella di Mary Coughlan, la jazzata e soffusa Your Heart Is As Black As Night di Melody Gardot, Don’t Explain di Billie Holiday, cantata con grande trasporto, e a proposito di grandi voci la cover di I’d Rather Go Blind di Etta James è fenomenale, quasi alla pari con l’originale, e con un assolo superbo di Bonamassa, uno dei migliori della sua carriera, ottima anche Ain’t No Way dove la Hart si misura anche con Aretha Franklin, e lì si soccombe, dopo una strenua difesa, sulle ali della slide di Joe.

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Seesaw 2013 Mascot/Provogue ***1/2 L’istinto mi direbbe di aggiungere mezza stelletta al giudizio per ogni disco, ma mi trattengo per riservarlo al doppio dal vivo. Anche qui parecchi brani fantastici: lo swing di Louis Armstrong Them There Eyes, fiati in spolvero e Beth Hart che fa la gattona, una Nutbush City Limits dove l’accoppiata Joe e Beth rivaleggia con la soul revue di Ike & Tina Turner, la super blues ballad I’ll Love You More Than You’ll Ever Know, scritta da Al Kooper e con un assolo da manuale di Bonamassa, una intensa Strange Fruit di Billie Holiday, e di nuovo l’accoppiata Etta ed Aretha in A Sunday Kind Love e Seesaw dove la Hart si supera come interprete, mentre Joe cesella sullo sfondo.

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Live In Amsterdam – 2014 Mascot Provogue 2 CD DVD**** Oltre ai brani già ricordati nei singoli album, riproposti anche nel doppio dal vivo, Joe e Beth, sostenuti dalla formidabile band di Bonamassa ci regalano un Live tra i migliori della decade: le versioni di I’d Rather Go Blind https://www.youtube.com/watch?v=UEHwO_UEp7A  e I’ll Love You More… sono fantastiche, tra i brani aggiunti spiccano il blues di Freddie King Someday After a While per Bonamassa e la ballata pianistica Baddest Blues per la Hart, in ambito soul Rhymes di Al Green che scatena il pubblico e Something’s Got A Hold Of Me di nuovo della James, in ambito rock una travolgente Well, Well che rinverdisce i fasti di Delaney & Bonnie. Dopo cinque anni tornano con quello che è forse il loro migliore disco in coppia in studio.

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Black Coffee – 2018 Mascot Provogue **** Mi faccio aiutare ancora da quanto scritto dal sottoscritto in passate recensioni: “Beth Hart e Joe Bonamassa presi singolarmente sono, rispettivamente, la prima, una delle più belle voci prodotte dalla musica rock negli ultimi venti anni, potente, grintosa, espressiva, eclettica, con una voce naturale e non costruita,, il secondo, forse il miglior chitarrista in ambito blues-rock (ma non solamente) attualmente in circolazione, entrambi degni eredi di quella grande tradizione che negli anni gloriosi della musica rock, quindi i ’60 e i ’70, sfornava di continuo nuovi talenti che ancora oggi sono i punti di riferimento per chi vuole ascoltare della buona musica”: in Black Coffee evidenziano di nuovo queste caratteristiche, anche grazie alla presenza di nuovi elementi nella band di Bonamassa, Reese Wynans alle tastiere, Michael Rhodes al basso, la sezione fiati e la pattuglia di coriste, guidate da Mahalia Barnes, tra i brani spiccano Give It Everything You Got un pezzo di Edgar Winter in vesione soul revue, con wah-wah di Joe a manetta, Damn Your Eyes, un ennesimo brano di Etta James che ci permette di gustare la voce della Hart, ottima anche Lullaby Of The Leaves della Fitzgerald, di nuovo con rimandi a Mary Coughlan, tra i pezzi più rock Joy di Lucinda Williams, per la seconda volta reinterpretata dalla accoppiata Beth e Bonamassa https://www.youtube.com/watch?v=mkS-q5hq7qY , che poi si esibisce in una versione di Sittin’ On Top Of The World, vicina a quella dei Cream.

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Per evitare che l’articolo si trasformi in un saggio, vista l’immane quantità del repertorio del nostro amico, cerco di sintetizzare molto di più il repertorio, magari per argomenti, vediamo una selezione di dischi dal vivo che nella seconda decade del 2000 si moltiplicano: sono otto, escluso quello appena citato, a cui sono da aggiungere i 4 DVD della serie Tour De Force Live In London- Mascot Provogue ***1/2 usciti in contemporanea nel 2013 e poi in doppi CD nel 2014, e relativi a quattro concerti tenuti a Londra a marzo in diverse venue, dove a seconda della capienza cambiava il tipo di repertorio, mentre il titolo per ognuno era appunto Tour De Force, e sono tutti molto belli.

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Però tra le cose migliori del suo repertorio Live c’è sicuramente Beacon Theatre: Live From New York – 2012 Mascot Provogue 2 CD DVD **** due serate speciali al famoso teatro di New York, dove, come nella data londinese alla RAH del 2009, Joe invita sul palco alcuni ospiti: Beth Hart, per la immancabile e strepitosa I’d Rather Go Blind e Sinner’s Prayer, John Hiatt con due suoi brani, Down Around My Place e I Know A Place, infine Paul Rodgers che canta Walk In My Shadow e Fire In The Water dei Free, mentre Bonamassa può rendere omaggio al grande Paul Kossoff, tra le chicche della serata anche Midnight Blues di Gary Moore e Young Man’s Blues degli Who via Mose Allison.

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Poi nelle decade parte un sorta di tour discografico dei grandi teatri: An Acoustic Evening at the Vienna Opera House – 2013 Mascot Provogue 2 CD – 2 DVD –  Blu-Ray**** ovvero Joe Bonamassa goes acoustic, ma a modo suo, con altri quattro musicisti sul palco della casa dei Wiener Philarmoniker, oltre a Bonamassa che suona qualsiasi tipo di chitarra, meno quelle elettriche, in modo egregio, ci sono mandolino, violino, mandola, harmonium, nyckelharpa e qualsiasi tipo di percussione, suonata da Lenny Castro. Nessuno dei suoi idoli della chitarra rock e colleghi aveva mai fatto una cosa del genere, riuscita perfettamente https://www.youtube.com/watch?v=v8lOSERcJFE .

joe bonamassa muddy wolf

Nel 2015 non è in un teatro ma in una delle location più suggestive del mondo, l’anfiteatro naturale vicino a Denver Muddy Wolf at Red Rocks – 2015 Mascot Provogue 2 CD DVD **** Come dice il titolo una serata speciale dedicata a Muddy Waters e Howlin’ Wolf, perché Joe (e penso anche il fido Kevin Shirley) cercano sempre un’idea particolare per rendere questi eventi unici https://www.youtube.com/watch?v=GbIr9CUfjZ8 . Una serata speciale sul Chicago Blues della Chess, come lo avrebbero suonato queste grande icone, ma anche i suoi idoli, Beck, Page e Clapton e Jimi Hendrix, di cui riprende nella parte finale della serata Hey Baby (New Rising Sun), grande concerto.

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Lo stesso anno, sempre per la serie dei teatri esce anche Live At Radio City Music Hall – 2015 Mascot Provogue CD+DVD **** meno di 80 minuti, un’altra fantastica performance nella location newyorchese, con un repertorio molto diverso da quello di altri concerti. L’anno successivo approda sulla West Coast, in un altro teatro storico, di Los Angeles

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Live at the Greek Theatre – 2016 Mascot Provogue 2 CD DVD**** Questa volta quale è l’argomento del concerto? Una serata speciale dedicata ai tre grande King del blues, Freddie, Albert e B.B., nell’ordine di apparizione dei loro brani, e, manco a dirlo, un altro disco dal vivo strepitoso https://www.youtube.com/watch?v=qoX0Olfqziw . Lo stesso anno viene registrato (pubblicato l’anno dopo) anche Live at Carnegie Hall: An Acoustic Evening 2017 Mascot Provogue 2 CD DVD **** che non è la replica americana del concerto di Vienna, ma per il 15° disco dal vivo, Bonamassa si presenta sul palco in veste acustica, però accompagnato da una Big Band di nove elementi (lui incluso) con musicisti anche da Cina ed Egitto, per una serata tipo quelle della serie Unpuggled, quando sul palco erano comunque la metà di mille.Altro ottimo concerto.

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Fedele alla sua filosofia del “una pensa e cento ne fa), poi tocca alla serata della British Blues Explosion Live2018 Mascot Provogue 2 CD 2 DVD **** dopo il tributo ai tre Re del blues questa volta tocca alla triade inglese dei “Re” della chitarra, ovvero Jeff Beck, Eric Clapton e Jimmy Page, registrato nell’estate del 2016 nel cortile dell’Old Royal Naval College di Greenwhich, nei sobborghi di Londra: questa volta Bonamassa e la sua band ci danno dentro alla grande, pescando anche nel repertorio di Cream. Jeff Beck Group e Led Zeppelin. L’ultimo live, per ora, fa parte di nuovo della serie dei teatri, siamo Down Under in Australia in un’altra delle location più suggestive del mondo Live at the Sydney Opera House – 2019 Mascot Provogue ***1/2 uscito solo in singolo CD, niente DVD, per ora, ma esistono le immagini, registrato, come il precedente nel 2016, a parte una cover di Mainline Florida di Clapton, solo materiale originale dai suoi dischi di studiohttps://www.youtube.com/watch?v=ntBsXyImdKI . A proposito completiamo la lista delle uscite della decade, a parte Royal Tea del 2020, di cui vi ho parlato recentemente https://discoclub.myblog.it/2020/10/24/saluti-da-londra-abbey-road-joe-bonamassa-royal-tea/ , “solo” altri quattro dischi di materiale nuovo.

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Driving Towards The Dayligth – 2012 Mascot Provogue ***1/2 dopo Dust Bowl che era un disco più “rootsy” questo nuovo ha un suono più duro, molte cover, anche “lavorate” come Stones In My Passway di Robert Johnson, che sembra un pezzo dei Led Zeppelin, come pure il riff inziale di Whole Lotta Love era contenuto in Who’s Been Talking di Howlin’ Wolf https://www.youtube.com/watch?v=L-wz2gxGucM , nell’ambito ballate la rara title track, un pezzo di Danny Korchmar, e sempre in ambito blues (rock) I Got What You Need di Wilie Dixon per Koko Taylor, alla Bluesbreakers, e per la serie l’eclettismo impera, un Bill Withers, un Tom Waits, un Buddy Miller e un Jimmy Barnes.

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Different Shades of Blue2014 Mascot Provogue ***1/2 tutte canzoni originali, a parte la cover iniziale di Hey Baby (New Rising Sun) di  Hendrix, nessuna memorabile, ma una qualità media ottima, visto che c’è spazio anche per blues e soul https://www.youtube.com/watch?v=i7-CTdeRk2s  , grazie alla presenza costante dei fiati.

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Blues Of Desperation – 2016 Mascot Provogue ***1/2 la title track ha sempre elementi degli amati Led Zeppelin, come pure Mountain Climbing molto Jimmy Page, You Left Me Nothin’ But the Bill and the Blues va di boogie, mentre nella tirata e gagliarda This Train Reese Wynans innesta una marcia barrelhouse, Drive ha un approccio più elettroacustico benché sempre con l’uso della doppia batteria https://www.youtube.com/watch?v=euMNVyuqmwo , No Good Place For The Lonely è una blues ballad alla Gary Moore e What I’ve Known for a Very Long Time è uno slow blues alla B.B. King con uso fiati.

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Redemption – 2018 Mascot Provogue ****per il disco numero 13, tra i migliori in studio di Bonamassa si torna di nuovo ad un approccio più roots, nella corale title track tra gli autori troviamo anche Dion, e un assolo micidiale di Joe, nel disco questa volta solo un batterista, ma due chitarristi aggiunti, Doug Lancio e Kenny Greenberg, The Ghost Of Macon Jones è un country-rock and western di ottimo impatto dal ritmo galoppante, con Jamey Johnson, notevole anche un torrido slow blues elettrico, con uso fiati e piano, come Love Is A Gamble dove Joe Bonamassa scatena ancora una volta tutta la sua verve chitarristica in un lancinante assolo e Molly O, tra Led Zeppelin e Black Country Communion, (quasi) la stessa cosa dirà qualcuno.

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Facciamo un breve passo indietro che tra il 2013 e il 2017, nei ritagli di tempo Joe ha registrato anche quattro album con i Rock Candy Funk Party, un side project dove in teoria Bonamassa è solo ospite, ma in questa band si diletta anche a mettere in mostra la sua passione per fusion, jazz-rock e funky, come da nome della band, il migliore anche in questo caso direi che sia il doppio Rock Candy Funk Party Takes New York: Live at the Iridium – 2014 2CD + DVD ***1/2.

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E sempre in ambito strumentale ad aprile è uscito, sotto pseudonimo, ma lo sanno tutti chi suona, ovvero Bonamassa con tutta la band al completo più John Jorgenson e Jimmy Hall dei Wet Willie, anche l’eccellente disco degli Sleep Eazys – 2020 Easy To Buy – Hard To Sell – Mascot/Provogue***1/2 un omaggio al suo vecchio mentore e maestro Danny Gatton, ma anche al suono di Roy Buchanan e Link Wray, tra i grandi maestri della chitarra elettrica. Ci sarebbero poi da ricordare miriadi di collaborazioni nei dischi di chiunque, ma almeno la citazione della produzione del bellissimo disco da solista di https://discoclub.myblog.it/2019/03/05/anche-lui-per-un-grande-disco-si-fa-dare-un-piccolo-aiuto-dai-suoi-amici-reese-wynans-and-friends-sweet-release/ è doverosa. Forse non sarà l’erede di Eric Clapton (e neppure di Jeff Beck, Jimmy Page e Jimi Hendrix), ma è sicuramente uno dei migliori chitarristi degli ultimi anni. Peccato faccia pochi dischi!

Bruno Conti

Forse Più Rock “Sudista” Britannico Che Blues, Ma Non Sono Affatto Male. Wille And The Bandits – Steal

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Wille And The Bandits – Steal Jig-Saw Music

Vengono dall’estremo sud del Regno Unito, Devon, Cornovaglia, sono un trio, guidato dal chitarrista e cantante Wille (senza la i) Edwards, con Matt Brooks al basso e Andrew Naumann alla batteria: hanno pubblicato sinora quattro album, compreso questo Steal. Tra le loro influenze citano Ben Harper e Pearl Jam, ma anche Jimi Hendrix e i gruppi power-rock in generale. Varie volte indicati tra le migliori giovani band senza contratto e tra le attrazioni più interessanti del circuito live britannico https://www.youtube.com/watch?v=OIZ4U0fsHZE , sono tra i tanti che cercano di emergere, con passione e buona attitudine, nell’attuale scena blues-rock inglese. La presenza di Don Airey, all’organo e alle tastiere in tre pezzi di questo album (uno che ha suonato con chiunque, da Deep Purple e Black Sabbath, passando per Gary Moore e Whitesnake), indica che nel DNA di Wille And The Bandist, c’è anche parecchio hard-rock, e, secondo le loro biografie, pure folk (hanno partecipato anche a Cropredy) https://www.youtube.com/watch?v=Zs6s2rj9pm0 , roots music, blues e latin rock, praticamente a parte il tex-mex e il ballo liscio, qualsiasi genere musicale.

Detto che queste liste spesso lasciano il tempo che trovano, direi che applicando il sistema San Tommaso o Guido Angeli, ossia provare per credere, la prima cosa che si rileva è che Wille Edwards è un eccellente chitarrista, oltre che all’elettrica molto efficace anche a dobro, Lap Steel e Weissenborn, come evidenziato nell’iniziale Miles Away, dove il nostro si disimpegna con classe tra slide, Weissenborn, ed elettrica (con un eccellente assolo di wah-wah), mentre il resto del gruppo, compreso Airey all’organo, confeziona del sano rock targato ‘70’s, duro ma ben suonato, Anche Hot Rocks non è male, buona voce e sound ad alta densità di riff, molto Deep Purple ma non disprezzabile, energia e grinta non mancano e quando Edwards inizia a lavorare la sua solista veniamo catapultati nel vecchio sano rock progressivo inglese dei tempi che furono, neppure tanto rinnovato ma di buon valore.

Sacred Of The Sun, di nuovo con Airey all’organo e tastiere rimane in questo hard-rock classico e raffinato, in una sorta di ideale ponte con le formazioni dell’epoca d’oro del genere. Ai giorni d’oggi pensate a Blues Pills, Black Mountain, All Them Witches, No Sinner, Rival Sons, i vari gruppi della Grooveyard, la scelta è ampia. Se avevate dei dubbi, c’è persino un brano che si intitola 1970 che pare uscito da qualche vecchio vinile dei Free, o meglio ancora dei Bad Company, con Wille che “maltratta” la sua solista con e senza bottleneck, anche con elementi southern nel sound, d’altronde se non sono “sudisti” loro che vengono dalla Cornovaglia.

Atoned parte su un assolo di basso, poi diventa un pezzo dei “Deep Zeppelin”, un po’ come fanno spesso i Black Country Communion, che però hanno un’altra classe, anche se come potenza di suono e genere ci siamo e poi Edwards è un virtuoso dello stile slide; ma anche quando i tempi rallentano, come nell’elettroacustica Crossfire Memories, e il suono di dobro e Weissenborn, oltre alle tastiere di Airey, si presenta in prima linea, la band conferma la sua validità anche in questa dimensione più intima. Our World rimane su questa lunghezza d’onda, che per certi versi richiama lo stile del citato all’inizio Ben Harper, acustico ma con improvvise sferzate elettriche. Insomma, come dice il titolo, “rubano” qui e là, ma lo fanno con buoni risultati, come certificano anche le conclusive Living Free, un blues nuovamente con elementi rootsy e qualche influenza dei Zeppelin meno “feroci”, grazie alla riuscita miscela di strumenti elettrici ed acustici, e soprattutto la lunga Bad News, altro pezzo di buona fattura, che dopo una introduzione raccolta esplode in un classico ed epico hard-rock, dove si apprezzano nuovamente le tastiere di Don Airey, e se il cantato di Wille Edwards è forse per l’occasione fin troppo sopra le righe, il suo lavoro alla solista è sempre di notevole efficacia. In definitiva, come detto all’inizio, a parte il liscio, il resto direi che c’è tutto.

Bruno Conti

Avevano Detto Che Non Sarebbe Mai Successo, E Invece Sono Tornati E “Picchiano” Sempre Come Dei Fabbri! Black Country Communion – BCCIV

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Black Country Communion – BCC IV – Mascot Provogue

Con una certa dose di autoironia, il banner che annuncia l’uscita del nuovo album dei Black Country Communion recita, lo riporto in inglese perché fa più scena: “They Said It Would Never Happen!”. E invece è successo, dopo la brusca separazione del 2012, dovuta  a quelle che erano state appunto definite inconciliabili divergenze tra Joe Bonamassa e Glenn Hughes, torna il quartetto anglo-americano (Hughes e Bonham sono inglesi) con un quarto album che, forse in omaggio ad una delle loro fonti di ispirazioni sonore, si intitola BCC IV. Del disco, al momento in cui scrivo, non si ancora tutto, dovrebbe uscire il 22 settembre, è sempre prodotto Kevin Shirley, sono dieci brani nuovi e, questo posso confermarlo, avendolo sentito bene, picchiano sempre come dei fabbri, anzi forse ancor di più che nei dischi precedenti, oltre ai tre di studio anche un Live. Con un gioco di parole, scontato ma efficace, potremmo definirli ancora una volta i Deep Zeppelin o i Led Purple, vista la presenza nei loro ranghi di un ex Deep Purple, come Glenn Hughes e del figlio del batterista degli Zeppelin, ovvero Jason Bonham, ma anche perché il genere è quell’hard’n’heavy anni ’70, che ha ancora una folta schiera di estimatori e moltissimi epigoni nel nuovo millennio.

Bonamassa, dopo una serie di album che hanno esplorato il blues, le radici acustiche del suo sound, il jazz-rock, e altre mille diverse nuances sonore che lo hanno reso uno dei musicisti più apprezzati (ma anche discussi) del rock attuale, sicuramente uno dei chitarristi migliori delle ultime generazioni, forse “il migliore” (come ha dichiarato di recente anche l’amico Walter Trout): Joe ha detto che, appianate le divergenze con Hughes, voleva tornare “divertirsi” a suonare un rock duro e selvaggio che è comunque sempre stato presente nel suo DNA di musicista. E bisogna dire che i quattro (c’è anche Derek Sherinian, l’ex Dream Theater, alle tastiere) ci sono riusciti. Intendiamoci, l’album non è forse interessante come altre cose recenti di Bonamassa, ma i quattro sono comunque sempre una potenza della natura, tra riff assassini, scariche di rullate travolgenti di Bonham, la voce ancora gagliarda e potente di Hughes, e il lavoro di raccordo delle tastiere, il disco si lascia ascoltare, ovviamente se amate il genere. Sintomatico in questo senso il brano di apertura, una Collide che sembra uscire dai solchi di Led Zeppelin IV o di Physical Graffiti, una via di mezzo tra Black Dog e Kashmir, con Bonham che picchia come un indemoniato sulla sua batteria, mentre Bonamassa inchioda un assolo del tutto degno del miglior Jimmy Page, mentre Hughes urla e strepita come se avesse ancora vent’anni e anche Sherinian fa il suo alle tastiere.

Over My Head sembra un pezzo dei Deep Purple Mark III, quelli con leggere influenze del sound rock mainstream americano, quando Hughes si alternava a Coverdale come voce solista, quindi più FM anche questo pezzo dei BCC, con Bonamassa che si sdoppia a due soliste, pur se il sound rimane “galoppante”. The Last Song For My Resting Place è la terza variazione sul tema, un brano epico, scritto e cantato da Joe, con inserti quasi celtici di volino ( o è la viola della cino-americana Tina Guo, sentita di recente nel Live acustico?) e mandolino, sul lato quindi dell’ultimo Bonamassa, ricercato e variegato, ma pronto a scatenarsi in folate chitarristiche di grande intensità, mentre il resto della band lo spalleggia con vigore e qualità. Esaurite le possibilità sonore in offerta, negli altri brani si reiterano i vari stili: Sway è nuovamente zeppeliniana, soprattutto nei ritmi e nei riff, anche se l’approccio vocale di Hughes tiene sempre conto dell’amore del bassista per un suono più mainstream, da rock FM americano, non quello più becero comunque, poi Sherinian all’organo e Bonamassa alla chitarra curano con grinta la parte strumentale. The Cove è più misteriosa ed intrigante, un suono avvolgente che ricorda certo rock dark britannico, oltre agli Zeppelin di Houses Of The Holy dove le tastiere avevano un ruolo importante, inutile dire che tutti ci danno dentro di brutto, come in tutto l’album d’altronde, qui più che la finezza domina la forza bruta, con classe però. E pure The Crow è duretta anziché no, heavy rock dirompente e dove non si fanno prigionieri, tra tastiere e chitarre impazzite. Wanderlust ha un tempo più scandito ed incalzante, qualche “esile” traccia blues-rock, ma i quattro dei Black Country Communion non dimenticano di essere soprattutto un gruppo hard rock; Love Reins è un’altra scarica adrenalinica tra Purple e Zeppelin, rivisitati dai BCC e pure Awake permette a Jason Bonham e a Hughes di scatenare ritmi duri e cattivi. Chiude When The Morning Comes, l’altro pezzo che introduce elementi più “tranquilli”, un piano insinuante e melodie più dolci, ma sempre pronto a scatenarsi in violente cavalcate chitarristiche.

Questo offre il menu per l’occasione, prendere o lasciare: esce il 22 settembre.

Bruno Conti