Non Solo Blues Per La Talentuosa Ed Eclettica Cantante Canadese. Layla Zoe – Nowhere Left To Go

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Layla Zoe – Nowhere Left To Go – Layla Zoe Music

Verso la metà della scorsa decade, tra il 2016 e il 2017, Layla Zoe ha goduto di una improvvisa ed inaspettata popolarità, almeno tra gli appassionati, venendo nominata Best Vocalist Of The Year agli European Blues Award, pur essendo canadese e, aggiungo io, non proprio più una giovane promessa (all’epoca aveva superato già i 35 anni e facendo due calcoli, essendo nata a Victoria B.C, Canada sul finire degli anni ‘70, non è dato sapere la data esatta, ha superato oggi i 40): si diceva della fama in quegli anni, generata da due ottimi album usciti per la Ruf, uno in studio e un Live, oltre al collettivo Blues Caravan 2016, insieme a Tasha Taylor e a Ina Forsman, che considero la migliore del trio, ma anche Layla ha parecchie frecce al suo arco https://discoclub.myblog.it/2017/03/05/ancora-una-volta-lunione-fa-la-forza-ina-forsman-tasha-taylor-layla-zoe-blues-caravan-2016-blue-sisters-in-concert/ , sviluppate in una carriera di oltre 25 anni e 15 album pubblicati, incluso questo nuovo Nowhere Left To Go, che la vede tornare alla distribuzione in proprio, come nei primi anni, e quindi con reperibilità abbastanza scarsa.

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La Zoe è in possesso di una voce potente ed espressiva, diciamo dalle parti di Beth Hart e Dana Fuchs, due ragazze cresciute a pane e Janis Joplin, e anche Zoe si ispira parzialmente a quell’approccio, ma inserisce anche tematiche più hard, i Led Zeppelin e ovviamente Robert Plant sono due modelli, ma non manca l’amore per soul e R&B, qualche tocco gospel e tanto blues. Come autori e musicisti Layla si fa aiutare da alcuni altri talenti emergenti come Jackie Venson, una cantante e chitarrista texana di quelle toste, Alastair Greene, altro chitarrista e cantante californiano, il conterraneo Dimitri Lebel, tutti presenti nell’album, insieme ad altri musicisti canadesi e olandesi che hanno dato il loro contributo da remoto, causa pandemia, visto che il disco è stato realizzato durante il 2020 ed esce ad inizio 2021, uno dei primi, ma il risultato è comunque organico e caldo, come si evince dalla intensa Pray, scritta con la Venson, e dalle chiare influenze gospel, una vivida canzone pianistica dove si gusta la voce poderosa della Zoe, irrobustita da cori di supporto e un organo hammond old school https://www.youtube.com/watch?v=ErgsFlJysnY , mentre la title track, firmata sempre con la Venson vira verso il blues (rock) per un mid-tempo robusto e roccioso, con le chitarre che “riffano” di gusto e Layla che inizia a dare libero sfogo alle sue emozioni, prima di lasciare spazio ad un assolo grintoso  https://www.youtube.com/watch?v=s74hqwj3CqQ .

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Sometimes We Fight è una deep soul ballad, di nuovo con uso organo e un bel assolo di armonica https://www.youtube.com/watch?v=y0G2em_beIM , Don’t Wanna Help Anyone, scritta con Greene, che si dà da fare alla solista, illustra il lato più duro, tra Hendrix e Zeppelin, con chitarre a manetta https://www.youtube.com/watch?v=VB7WpWvBp_E , This Love Will Last con Lebel, rivela di nuovo influenze di musica nera, un R&B sempre intinto da elementi rock nella voce, che si fa più tenera ma assertiva nel barrelhouse blues pianistico di Susan, più jopliniano e di nuovo rock a manetta nella funky Little Boy, dove Layla lascia andare di nuovo la voce, che ritorna di nuoo più tenera e naturale, meno esagerata, nella deliziosa Might Need To Fly, che comunque si anima in un bel crescendo che culmina in un ruvido assolo di chitarra https://www.youtube.com/watch?v=CeKJO0IiDdM . Lies, dove la Zoe è accompagnata solo dal suono di un contrabbasso, si avventura in atmosfere più jazzy e raffinate https://www.youtube.com/watch?v=ddz9cP48yC8 , per chiudere con Dear Mom, una incantevole canzone dove chitarra acustica, mandolino e violino illustrano questo lato più roots della nostra amica, a suo agio anche in un ambito più raccolto https://www.youtube.com/watch?v=OONF5zIxPzw . Non solo blues quindi, per una cantante talentuosa ed eclettica.

Bruno Conti

Classico Blues Elettrico, Ottimo Ed Abbondante! Sugar Ray And The Bluetones – Too Far From The Bar

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Sugar Ray And The Bluetones Featuring Little Charlie – Too Far From The Bar – Severn Records

In un 2020 nel quale se ne sono andati molti musicisti a causa del Covid, sono morti anche altri “amici” per malattie diverse. Little Charlie Baty ci ha lasciato per un infarto a marzo dello scorso anno, proprio nelle fasi finali di preparazione di questo Too Far The Bar, disco di Sugar Ray And The Bluetones, nel quale lui era uno degli interpreti. Il “vecchio” Charlie Baty (67 anni ancora da compiere) era stato, insieme a Rick Estrin, uno dei fondatori di Little Charlie & The Nightcats, tra le migliori formazioni del classico blues elettrico, ma aveva problemi di salute da molto tempo, ed in virtù di questa situazione aveva lasciato la band nel 2008 (che poi ha comunque continuato in modo gagliardo come Rick Estrin & The Nightcats), per rallentare la sua attività nel mondo della musica, e in seguito aveva ripreso, sia pure in misura ridotta, a deliziare gli amanti delle 12 battute di classe, con collaborazioni saltuarie con JW-Jones, Junior Watson e Sugar Ray Norcia..

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Per l’occasione Norcia ha anche riunito la prima formazione classica dei Bluetones, già in attività da metà anni ‘90, ovvero Anthony Geraci al piano, Michael Mudcat Ward al basso e Neil Gouvin alla batteria, senza dimenticare che alla produzione è stato chiamato il grande Duke Robillard, che già che c’era ha suonato la chitarra in quattro brani. Il risultato è uno dei migliori dischi di blues dell’annata appena trascorsa, in un giusto equilibrio di brani originali e “piccoli” classici del blues: Baty, non prevedendo la sua dipartita, ha firmato anche le note del CD, insieme a Robillard, ricordando vari aneddoti della sua lunga carriera. Comunque è la musica quella che meglio lo ricorda: Don’t Give No More Than You Can Take, scritta da Lowman Pauling, è uno dei tanti gioiellini dei “5” Royales, maestri del R&B, qui trasformata in un delizioso shuffle swingato, dove si apprezzano la voce vibrante di Norcia, anche all’armonica e la chitarra pungente di Little Charlie e il pianino di Geraci https://www.youtube.com/watch?v=hwhUWKKYx08 , a seguire Bluebird Blues di Sonny Boy Williamson, il classico lentone dove Sugar Ray può mettere in mostra tutta la sua maestria alla mouth harp https://www.youtube.com/watch?v=zHf-LdBE3oc ; eccellente anche la divertente title track, dove si va di scatenato jump blues, come se non ci fosse un futuro, e le mani di Geraci volano sul piano, con Baty che risponde colpo su colpo https://www.youtube.com/watch?v=HICirHvhi3c .

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.Non manca una ballata romantica come Too Little To Late, dove Norcia si presenta anche come crooner di lusso, per poi scatenare la sua prodigiosa tecnica all’armonica nello strumentale vorticoso Reel Burner https://www.youtube.com/watch?v=At2GbHj__Sk , poi ribadita nella cover di Can’t Hold Out No Much Longer di Little Walter, un Chicago Blues marca Chess, di quelli duri e puri, Numb And Dumb uno dei tanti originali di Sugar Ray è un altro esempio della sua padronanza delle 12 battute, poi sublimata nella frenetica ripresa di My Next Door Neighbor di Jerry McCain, dove si va di boogie con Little Charlie https://www.youtube.com/watch?v=6t3oNyzJZBo . What I Put You Through è il contributo del bassista Michael Ward, un brano notturno che è il veicolo perfetto per il raffinato tocco di Duke Robillard, con la band che poi affronta un brano di Otis Spann come What Will Become Of Me, di nuovo con il piano di Geraci in evidenza in questo lungo slow, seguito dalla classica I Gotta Right To Sing The Blues, con Robillard che rilascia un altro assolo di rara finezza https://www.youtube.com/watch?v=JefmxcVL8ck , e anche Norcia lo segue con assoluta nonchalance sfoderando di nuovo il suo mood da crooner. Poi è il turno di Geraci come autore nella vivace From The Horses Mouth e di nuovo Ward nella divertente The Night I Got Pulled Over, dove Norcia racconta di un incontro con le forze dell’ordine in un fumoso locale evocato anche dal mood del brano e dalla chitarra di Robillard. Chiude Walk Me Home un altro shuffle che è l’occasione per ascoltare ancora una volta tutti i brillanti solisti presenti in questo album https://www.youtube.com/watch?v=K8xX4bLaXEE , che riporta pure in chiusura una alternate take di Reel Burner. Come si suol dire, ottimo ed abbondante.

Bruno Conti

Forse Uragano E’ Troppo, Ma Almeno Un Turbine Sicuramente Sì! Hurricane Ruth – Good Life

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Hurricane Ruth – Good Life – Showplace

Hurricane Ruth LaMaster, come si evince dalla foto di copertina, non è certo una “pivellina”, una giovane novizia del blues, in pista dalla fine degli anni ‘70, anche se il suo sito riporta solo un EP e quattro CD https://discoclub.myblog.it/2015/03/20/fenomeni-musicali-naturali-hurricane-ruth-born-on-the-river/ , compreso questo Good Life, tutti incisi negli ultimi 5/6 anni, ma nel suo CV ci sono vecchie collaborazioni con la Maynard Ferguson orchestra, Adrian Belew e Louis Belson, e svariate frequentazioni dal vivo in cui ha aperto per John Lee Hooker, B.B. King, Taj Mahal, Ramsey Lewis Trio, Sam & Dave, Fenton Robinson e Wiilie Dixon, che, come lei stessa ricorda, peraltro un po’ dovunque, ha detto che “si tratta dell’unico uragano che potrei apprezzare”. La nostra amica, originaria dell’Illinois, quindi una delle terre delle 12 battute, bazzica però anche in ambito rock, Heart, Steppenwolf, Judas Priest, Eddie Money, Kenny Wayne Shepherd, Royal Southern Brotherhood, non le sono sconosciuti, tanto che il suo genere viene definito Power Blues.

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Ma comunque per questo nuovo album ha fatto tutto per benino: produttore Ben Elliott, album registrato negli Showplace Studios della sua nuova etichetta a Dover, nel New Jersey, e soprattutto musicisti come Bruce Katz alle tastiere, Calvin Johnson al basso, l’eccellente batterista Tony Braunagel e soprattutto Scott Holt alla chitarra, per un disco dalle sonorità ruvide, ma dove il blues risalta in modo più evidente che in passato. Anche la voce è ruvida e potente, lei ha una certa resilienza, come recitava il titolo del precedente album Ain’t Ready For The Grave, dove comunque suonavano Tom Hambridge, Rob McNelley, Reese Wynans, McCrary Sisters, quindi tutta gente più che rispettabile https://www.youtube.com/watch?v=Q3zKJtiI0kE : nel nuovo disco scorrono brani come l’iniziale vigorosa Like Wildfire, dove siamo dalle parti di Dana Fuchs, Beth Hart e altre shouter, ma anche Bonnie Raitt , e con Scott Holt e la sua fiammeggiante chitarra e il piano di Katz che sostengono la vocalità ruspante di Hurricane Ruth https://www.youtube.com/watch?v=kavs838155s . Nel mid-tempo Dirty Blues c’è qualche elemento di “sporco riffare” stonesiano, con Holt che mulina la sua solista, mentre Katz passa all’organo e la ritmica picchia di gusto, What You Never Had va più di groove, una sorta di shuffle energico, sempre con organo scivolante e chitarra in evidenza e la voce assertiva della La Master che sciorina quanto imparato su mille palchi https://www.youtube.com/watch?v=OYo5EGi-Dwc .

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Nella lunga title track Hurricane Ruth dimostra di sapere maneggiare con classe anche l’arte della ballata soul, ricca di pathos ed emozionante, con Holt che rilascia un altro assolo da brividi https://www.youtube.com/watch?v=kavs838155s ; Torn In Two, scritta insieme al grande autore e cantante Gary Nicholson, è un brillante esempio di scuola R&B marca sudista, con pianino insinuante, mentre Scott Holt continua ad imperversare https://www.youtube.com/watch?v=fpKfzzJCJDc , con She’s Golden, tra funky e soul, che mostra anche un lato più raffinato e ricercato della sua musica. Black Sheep viceversa torna al rock and roll ribaldo e “sguaiato”, dove Hurricane Ruth è comunque sempre perfettamente a suo agio, tra chitarre tirate e batteria che picchia, ma con costrutto, la super funky Who I Am permette a Bruce Katz una bella improvvisazione di organo nella parte finale, mentre LaMaster catechizza il suo pubblico. Late Night Red Wine propone nuovamente citazioni alla Rolling Stones, della serie l’arte del riff non si scorda mai https://www.youtube.com/watch?v=zPxzX7dv0B0 , ma anche quella della blues ballad pianistica, come nell’intensa I’ve Got Your Back dove ci sono delle analogie con lo stile di Janiva Magness, una ballata cantata con grande passione e impeto da una musicista che aspetta solo di essere conosciuta https://www.youtube.com/watch?v=gXBcnolrmZc : segnatevi il nome, Hurricane Ruth, è veramente brava.

Bruno Conti

Un Concerto Strepitoso Per Una Band, Almeno In Canada, Leggendaria! Downchild Blues Band – 50th Anniversary: Live At The Toronto Jazz Festival

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Downchild Blues Band – 50th Anniversary: Live At The Toronto Jazz Festival – DMP CD

La Downchild Blues Band  (o semplicemente Downchild come si fanno chiamare da qualche anno) non è forse tra i gruppi più famosi al mondo, ma nel nativo Canada è una piccola leggenda, essendo infatti considerata la prima blues band canadese e citata tra le principali influenze di gente come Blues Brothers, Jeff Healey e Colin James. Fu fondata nel 1969 dai fratelli Donnie e Richard Walsh, e nel corso di cinque decadi ha pubblicato più di trenta album, ò’ultimo https://discoclub.myblog.it/2018/01/01/un-trittico-dal-canada-1-downchild-something-ive-done/ all’insegna di una riuscita miscela di blues, rock e southern soul, una musica nella quale i fiati hanno sempre rivestito la stessa importanza di piano, organo e chitarre, e nel 2019 ha deciso di celebrare i suoi cinquanta anni con un concerto tenutosi il 22 giugno al Toronto Jazz Festival (nella città di casa quindi), show che oggi viene pubblicato su CD. *NDB Però, diciamolo subito, reperibilità molto scarsa dal Canada e prezzo quasi proibitivo, oltre i 30 euro per un singolo CD,

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Ebbene, 50th Anniversary: Live At The Toronto Jazz Festival è un live album strepitoso, nel quale un gruppo in stato di grazia riesce ad entusiasmare con una prestazione decisamente coinvolgente dalla prima all’ultima canzone, e con la ciliegina sulla torta di una serie di ospiti che danno più lustro alla performance. Donnie Walsh, chitarra e armonica, è l’unico membro originale ancora presente all’interno del gruppo (il fratello Richard è passato a miglior vita nel 1999), ma comunque i suoi compagni sono con lui da diverso tempo, alcuni anche da più di trenta anni: Chuck Jackson alla voce solista (e che voce) e armonica, Michael Fonfara al piano ed organo (scomparso pochi giorni fa, l’8 gennaio del 2021), Pat Carey al sassofono, Gary Kendall al basso e Mike Fitzpatrick alla batteria, con l’aggiunta di Peter Jeffrey alla tromba. La serata parte con la swingatissima Can You Hear The Music, un trascinante jump blues con grande uso di fiati e pianoforte ed un ritmo contagioso, con i nostri subito sudati come armadilli: Jackson ha una gran voce ma neanche gli altri scherzano, con una particolare menzione per il sax di Carey. Il mood coinvolgente continua con Understanding & Affection, un pezzo dalle tonalità calde ed un delizioso retrogusto da soul song anni 60, con i fiati ancora protagonisti (una costante in tutto il concerto); il primo ospite è il compatriota David Wilcox, che con la sua slide (ma canta anche) rende irresistibile la saltellante It’s A Matter Of Time, mentre Walsh e soci suonano con un impeto notevole https://www.youtube.com/watch?v=aZ5hGH4nye8 .

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Wilcox resta sul palco per una formidabile ripresa del classico Madison Blues (Elmore James, ma l’ha fatta anche George Thorogood), ritmo sostenuto, chitarre a manetta, piano liquidissimo e via che è uno spettacolo, mentre One In A Million è uno slow blues, quasi una ballata, ma suonato sempre con molta energia e con un sapore southern dato dalla voce “nera” di Jackson e dall’organo di Fonfara. Il grande pianista californiano Gene Taylor (giro Canned Heat, Blasters e Fabulous Thunderbirds) si unisce ai nostri per una torrida I’m Gonna Tell Your Mother di Jimmy McCracklin, ritmo e feeling a volontà (e le dita di Taylor che viaggiano alla grande sulla tastiera), Mississippi Woman, Mississauga Man ospita la brava chitarrista finlandese Erja Lyytinen, una con grinta da vendere anche come vocalist https://www.youtube.com/watch?v=vrJk0hopizo ; cambio di chitarrista: arriva Kenny Neal (ex membro del gruppo) per una strepitosa versione dello slow blues Shotgun Blues, classe e bravura che vanno a braccetto (e sentite i fiati, una goduria).

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Il finale è uno spettacolo nello spettacolo, con la DBB che viene raggiunta da tutti gli ospiti della serata (meno Taylor) ed in più dal grande ex direttore musicale del David Letterman Show Paul Shaffer e da Mr. Elwood Blues himself, ovvero Dan Aykroyd, per tre versioni travolgenti di Soul Man (Sam & Dave, ma anche Blues Brothershttps://www.youtube.com/watch?v=eItGm2uJm40  (versione del 40° annversario), I Got Everything I Need e del classico di Big Joe Turner Flip Flop And Fly: grandissima musica, senza mezzi termini. Ultimo bis con la DBB da sola sul palco per TV Mama, altro evergreen di Turner riletto in maniera sanguigna e con la slide di Walsh in evidenza, degna conclusione di un concerto splendido e, per quanto mi riguarda, da non perdere.

Marco Verdi

Senza O Con Amici E’ Sempre Un Gran Bel Sentire! Duke Robillard And Friends – Blues Bash!

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Duke Robillard And Friends – Blues Bash! – Stony Plain

Duke Robillard è sempre una certezza, anno dopo anno continua a pubblicare nuovi album, sempre di eccellente qualità: dopo l’ottimo Ear Worms dello scorso anno, dedicato alla musica dei 60’s https://discoclub.myblog.it/2019/05/17/uno-dei-migliori-dischi-di-sempre-del-duca-duke-robillard-band-ear-worms/  e quello con le voci femminili del 2017 …And His Dames Of Rhytm, entrambi dischi collaborativi con vari ospiti, anche per questo nuovo Blues Bash, Robillard chiama a raccolta vari amici, a partire dalla sezione fiati dei Roomful Of Blues, la band che lui stesso ha contribuito a lanciare, e anche un secondo gruppo di fiatisti tra cui spiccano Al Basile e Sax Gordon, oltre all’armonicista Mark Hummel, lo specialista dello stride piano Mark Braun (Mr.B.), come Basile e Gordon presente solo in un brano, l’omaggio spiritato a New Orleans Ain’t Gonna Do It, scritta da una delle glorie della Louisiana come Dave Bartholomew e da Pearl King.

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Tra gli ospiti anche due vocalist di pregio come Michelle Williams e Chris Cote, senza dimenticare i fedelissimi della sua band Bruce Bears e Mark Teixeira, oltre ai bassisti Jesse Williams e Marty Ballou che si alternano. Il risultato, registrato in veloci sessions, ciascuna di sole otto ore, ha la spontaneità e l’immediatezza dei migliori dischi del Duke, quelli in cui ci si diverte come ad una festa (vedi titolo, che riporta anche “And Dance”) senza andare troppo alla ricerca di raffinatezze, che comunque ci sono, o di particolari sonorità filologiche, nelle quali ogni tanto Robillard indulge. Quindi l’ascoltatore è invitato a godersi dieci brani che pescano tra classici (minori, perché il nostro è un “enciclopedico” del blues) e tre sue composizioni: Do You Mean It, cantata dal bravissimo Chris Cote, è uno scintillante tuffo nel blues delle origini, scritto da Ike Turner, quanto inventava le 12 battute miste al R&R negli anni ‘50, con Robillard autore di puntuali sottolineature con la sua chitarra https://www.youtube.com/watch?v=mCRNCqusf5s , prima di lanciarsi in un proprio brano, la torrida No Time, sostenuto dall’armonica di Hummel e dal piano di Robert “Bob” Welch (non lo avevamo nominato), mentre Duke titilla la solista con libidine e classe https://www.youtube.com/watch?v=tpj1fdiO20Q .

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What Can I Do, ancora con Cote voce solista, e un gioioso e scatenato jump blues dal repertorio di Roy Milton , con le mani di Bruce Bears che volano sulla tastiera del suo piano, mentre Greg Piccolo, Rich Lataille e Doug James soffiano con forza nei loro sassofoni e Mr. Robillard guida le operazioni con la sua 6 corde; non può mancare ovviamente un bel bluesone lento di quelli intensi e magnetici, come Everybody Ain’t Your Friend, di un King che mancava alla mia raccolta, tale Al, autore di questo pezzo del 1966 dove la solista di Duke rincorre i grandi interpreti delle 12 battute, in questo caso del West Coast style, visto che King veniva da L.A. https://www.youtube.com/watch?v=ZiCBT2henHQ  Divertente e piacevole lo strumentale Chicago Blues fine anni ‘50 di Lefty Bates Rock Alley, con Robillard che si alterna con i fiati alla guida del combo, mentre nella swingante You Played On My Piano, con break jazzato del Duca, la calda voce solista è quella della deliziosa Michelle Wilson https://www.youtube.com/watch?v=ptKMvqJ3VOU , brano seguito da quella Ain’t Gonna Do It citata all’inizio, il suono del Sud che usciva dai dischi di Professor Longhair, Huey Smith e Fats Domino https://www.youtube.com/watch?v=iemoX4yzuqM , poi ancora eccellente la cover di un brano di T-Bone Walker You Don’t Know What You’re Doing, ancora con la solista di Duke e i fiati sincopati sugli scudi, nonché la calda voce di Chris Cote https://www.youtube.com/watch?v=TwYCp1aTvgg . In chiusura ci sono un paio di brani firmati dal musicista del Rhode Island, la scandita e di nuovo swingata Give Me All The Love You Got, sempre caratterizzata dal suo fraseggio pulito, poi in grande evidenza nel lunghissimo (quasi 10 minuti) strumentale Just Chillin’, che illustra il suo lato più raffinato, in un brano di jazz blues notturno, dove anche gli altri strumentisti, a partire dal sax di Greg Piccolo e dall’organo di Bruce Bears, si prendono i loro spazi https://www.youtube.com/watch?v=-pJ6m6-pcK4 . Musica senza tempo.

Bruno Conti

Joe Bonamassa – L’Erede Di Eric Clapton O “Solo” Un Grande Chitarrista? Parte II

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Seconda Parte

La Carriera Solista Seconda Parte 2010-2010, Gli Anni Della Consacrazione: Black Country Communion, Collaborazioni Con Beth Hart, Rock Candy Funk Party, Sleep Eazys

A marzo esce il primo disco della nuova decade

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Black Rock – 2010 Mascot Provogue ***1/2 Registrato appunto ai Black Rock Studios nell’isola greca di Santorini il disco sancisce anche il successo commerciale della musica di Bonamassa in giro per tutto il mondo: ancora un brano alla Led Zeppelin come Steal Your Heart Away del bluesman Bobby Parker apre il CD, seguito da una canzone di John Hiatt (per un breve periodo anche lui “cliente” di Shirley) I Know A Place, anche questa duretta, Quarryman’s Lament, influenzata dal folk greco, prevede l’uso di flauto e bouzouki, mentre Spanish Boots, uno dei classici di Jeff Beck, è un altro potente rock-blues. Tra le altre cover, interessanti quelle di Bird On A Wire di Leonard Cohen, di nuovo con elementi folklorici e un violino insinuante, mentre Three Times A Lady di Otis Rush è un solido blues shuffle, e ottima pure la cover di Night Life di Willie Nelson, che vede la presenza di una ancora pimpante B.B. King, e un ottimo uso di fiati e archi, per non parlare della vivace Look Over Yonder’s Wall, un pezzo di Freddie King e il blues anni ‘20 Baby You Gotta Change Your Mind di Blind Boy Fuller e interessante la di nuovo acustica e cooderiana Athens To Athens. Per mantenere la media dei due dischi all’anno a fine anno esce anche il primo album dei Black Country Communion, il supergruppo formato con Glenn Hughes, di Trapeze e Deep Purple, Jason Bonham e Derek Sherinian dei Dream Theater, disco per certi versi anticipato dalle sonorita hard rock di alcuni brani di Black Rock. Li vediamo tutti quattro insieme qui sotto (anzi 5 compreso il Live).

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Black Country Communion – 2010 Mascot Provogue ***1/2 Il sound è evidentemente un omaggio a quello delle classiche band hard rock anni ‘70, in primis Led Zeppelin e Deep Purple: Glenn Hughes, basso e voce è la forza trainante della band, scrive quasi tutti i testi delle canzoni, mentre la musica appartiene ad entrambi, con qualche aiuto dagli altri, come direbbe Abatantuono “viulenza”, Hughes è un ottimo cantante, superiore a Bonamassa, specie nel genere, Joe che “si limita” a suonare la chitarra, sfogando tutta il suo amore per la musica hard, non tutto nel disco brilla, e gli odiatori del Bonamassa “casinaro” stiano a distanza, ma The Great Divide un brano tra Gary Moore e Deep Purple, la lunga cover di Medusa dei Trapeze, un pezzo dall’anima prog, Song Of Yesterday, firmata da Hughes e Bonamassa, tra Zeppelin, Free e qualche citazione Hendrixiana, non sono male, come pure la lunghissima canzone corale conclusiva Too Late For The Sun, oltre 11 minuti, con Bonamassa e Sherinian a dividersi gli spazi solisti, specie nella estesa coda strumentale.

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Black Country Communion 2 – 2011 Mascot Provogue ***1/2 il canovaccio è quello, lo stile sonoro pure, i quattro picchiano sempre come fabbri, qualche variazione sul tema in Faithless, con il suono della chitarra di Joe che rimanda ai Cream, ma Hughes è sempre dalle parti di Purple e Zeppelin, mentre An Ordinary Son è un tributo alla famiglia di Bonamassa, che lo ha sempre sostenuto nella sua carriera, notevole pure il blues lancinante Little Secret: questo è quello che avevo scritto sul disco nella mia recensione dell’epoca “In definitiva: derivativo, già sentito mille volte, con tanti assoli, una voce sopra le righe, tutti gli ingredienti di un disco di musica rock, va bene, hard rock, ma ogni tanto ci vuole”, confermo. Neanche un anno ed ecco che esce, il doppio dal vivo (ma era già uscito a fine 2011 il DVD)

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Live Over Europe – 2012 Mascot Provogue ***1/2 stesso discorso dei precedenti, con un paio di cover aggiunte al menu https://www.youtube.com/watch?v=w82V4gsSW-4 : Burn dei Deep Purple, mentre Sista Jane cita nella coda Won’t Get Fooled Again degli Who e Bonamassa riprende la propria The Ballad Of John Henry. A fine anno esce il terzo album di studio, Bonamassa impegnato anche nella sua carriera solista appare poco come autore e anche il suo rapporto con Hughes inizia a deteriorarsi (tradotto, i due non si possono più vedere).

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Afterglow – 2012 Mascot Provogue ***1/2 Prendo di nuovo a prestito quanto scritto dal sottoscritto all’epoca: “Niente di nuovo, ma solo del sano buon vecchio rock, suonato come Dio comanda, vedremo se sarà il loro ultimo capitolo. Nella prima tiratura c’è anche un DVD con il making of e quattro video delle canzoni”. Fine della prima fase, dopo essersene dette di tutti i colori sembrava che la storia fosse finita, e invece

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Black Country Communion IV -2017 Mascot Provogue Mi faccio aiutare ancora dal mio amico che vedo tutte le mattine allo specchio, che scrisse “Con una certa dose di autoironia, il banner che annuncia l’uscita del nuovo album dei Black Country Communion recita, lo riporto in inglese perché fa più scena: “They Said It Would Never Happen!”. E invece è successo, dopo la brusca separazione del 2012, dovuta a quelle che erano state appunto definite inconciliabili divergenze tra Joe Bonamassa e Glenn Hughes, torna il quartetto anglo-americano (Hughes e Bonham sono inglesi) con un quarto album che, forse in omaggio ad una delle loro fonti di ispirazioni sonore, si intitola BCC IV”. Le tre stellette e mezza costanti di tutti gli album, sono ovviamente dirette agli amanti del genere. Nel frattempo il nostro amico, sempre più bulimico a livello discografico nel 2011, a inizio anno, pubblica anche

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Dust Bowl – 2011 Mascot Provogue ***1/2 un altro disco accolto da ottime critiche, con un sound per certi versi più rootsy, visto che il lato più rock lo sfogava con i BCC. Nella gagliarda Slow Train un ottimo blues-rock va di slide alla grande, mentre nella title track ci sono citazioni morriconiane e qualche tocco folk grazie all’uso di strumenti della tradizione greca, nella parte del disco registrata a Santorini. Bellissimo il duetto con John Hiatt nella deliziosa Tennessee Plates e anche quello con Vince Gill nel country-blues Sweet Rowena che mi ha ricordato molto certe cose di Lyle Lovett. Visto che nel 2011 erano pappa e ciccia ce n’è anche uno con Glenn Hughes in una eccellente Heartbreaker dal repertorio dei Free. Kevin Shirley, di cui spesso si dimentica l’importanza nelle scelte di Bonamassa, produce da par suo, con un suono molto ben delineato e sempre “vivo”: ovviamente non mancano i pezzi blues, come The Meaning Of The Blues, un originale di Joe, e la cover di You Better Watch Yourself di Little Walter. Tra le “stranezze” di un musicista che è anche un music lover e ama tutti i generi, pure la rilettura di un altro pezzo di Tim Curry, come l’intensa No Love On The Street, dove va di wah-wah alla grande e una canzone di Barbra Streisand (?!?) Prisoner trasformata in una incantevole blues ballad.

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E per citare un modo di dire, non c’è il due senza il tre, nel corso dell’anno esce il frutto di una nuova collaborazione, questa volta con una grande voce femminile, ovvero Beth Hart, un incontro che gioverà a tutti e due, la cantante californiana si trova un grande chitarrista e il musicista newyorchese una delle più valide voci del panorama rock attuale, con la quale esplorare anche soul, R&B, canzone d’autore e standard della canzone americana. Vediamo a seguire gli album registrati insieme, partendo da

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Don’t Explain – 2011 Mascot Provogue ***1/2 Complessivamente 3 stellette e mezza, ma nel CD ci sono alcuni brani dove la chimica tra i due fa apparire delle piccole perle, che poi si ripetono anche negli album successivi: qui vorrei ricordare Sinner’s Prayer un pezzo di Ray Charles, dove sembra di ascoltare l’accoppiata Rod Stewart/Jeff Beck, con Joe al bottleneck e il nuovo tastierista Arlan Schierbaum in grande spolvero, Chocolate Jesus di Tom Waits dove la voce ricorda molto quella di Mary Coughlan, la jazzata e soffusa Your Heart Is As Black As Night di Melody Gardot, Don’t Explain di Billie Holiday, cantata con grande trasporto, e a proposito di grandi voci la cover di I’d Rather Go Blind di Etta James è fenomenale, quasi alla pari con l’originale, e con un assolo superbo di Bonamassa, uno dei migliori della sua carriera, ottima anche Ain’t No Way dove la Hart si misura anche con Aretha Franklin, e lì si soccombe, dopo una strenua difesa, sulle ali della slide di Joe.

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Seesaw 2013 Mascot/Provogue ***1/2 L’istinto mi direbbe di aggiungere mezza stelletta al giudizio per ogni disco, ma mi trattengo per riservarlo al doppio dal vivo. Anche qui parecchi brani fantastici: lo swing di Louis Armstrong Them There Eyes, fiati in spolvero e Beth Hart che fa la gattona, una Nutbush City Limits dove l’accoppiata Joe e Beth rivaleggia con la soul revue di Ike & Tina Turner, la super blues ballad I’ll Love You More Than You’ll Ever Know, scritta da Al Kooper e con un assolo da manuale di Bonamassa, una intensa Strange Fruit di Billie Holiday, e di nuovo l’accoppiata Etta ed Aretha in A Sunday Kind Love e Seesaw dove la Hart si supera come interprete, mentre Joe cesella sullo sfondo.

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Live In Amsterdam – 2014 Mascot Provogue 2 CD DVD**** Oltre ai brani già ricordati nei singoli album, riproposti anche nel doppio dal vivo, Joe e Beth, sostenuti dalla formidabile band di Bonamassa ci regalano un Live tra i migliori della decade: le versioni di I’d Rather Go Blind https://www.youtube.com/watch?v=UEHwO_UEp7A  e I’ll Love You More… sono fantastiche, tra i brani aggiunti spiccano il blues di Freddie King Someday After a While per Bonamassa e la ballata pianistica Baddest Blues per la Hart, in ambito soul Rhymes di Al Green che scatena il pubblico e Something’s Got A Hold Of Me di nuovo della James, in ambito rock una travolgente Well, Well che rinverdisce i fasti di Delaney & Bonnie. Dopo cinque anni tornano con quello che è forse il loro migliore disco in coppia in studio.

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Black Coffee – 2018 Mascot Provogue **** Mi faccio aiutare ancora da quanto scritto dal sottoscritto in passate recensioni: “Beth Hart e Joe Bonamassa presi singolarmente sono, rispettivamente, la prima, una delle più belle voci prodotte dalla musica rock negli ultimi venti anni, potente, grintosa, espressiva, eclettica, con una voce naturale e non costruita,, il secondo, forse il miglior chitarrista in ambito blues-rock (ma non solamente) attualmente in circolazione, entrambi degni eredi di quella grande tradizione che negli anni gloriosi della musica rock, quindi i ’60 e i ’70, sfornava di continuo nuovi talenti che ancora oggi sono i punti di riferimento per chi vuole ascoltare della buona musica”: in Black Coffee evidenziano di nuovo queste caratteristiche, anche grazie alla presenza di nuovi elementi nella band di Bonamassa, Reese Wynans alle tastiere, Michael Rhodes al basso, la sezione fiati e la pattuglia di coriste, guidate da Mahalia Barnes, tra i brani spiccano Give It Everything You Got un pezzo di Edgar Winter in vesione soul revue, con wah-wah di Joe a manetta, Damn Your Eyes, un ennesimo brano di Etta James che ci permette di gustare la voce della Hart, ottima anche Lullaby Of The Leaves della Fitzgerald, di nuovo con rimandi a Mary Coughlan, tra i pezzi più rock Joy di Lucinda Williams, per la seconda volta reinterpretata dalla accoppiata Beth e Bonamassa https://www.youtube.com/watch?v=mkS-q5hq7qY , che poi si esibisce in una versione di Sittin’ On Top Of The World, vicina a quella dei Cream.

JoeBonamassaTourDeForce 1

Per evitare che l’articolo si trasformi in un saggio, vista l’immane quantità del repertorio del nostro amico, cerco di sintetizzare molto di più il repertorio, magari per argomenti, vediamo una selezione di dischi dal vivo che nella seconda decade del 2000 si moltiplicano: sono otto, escluso quello appena citato, a cui sono da aggiungere i 4 DVD della serie Tour De Force Live In London- Mascot Provogue ***1/2 usciti in contemporanea nel 2013 e poi in doppi CD nel 2014, e relativi a quattro concerti tenuti a Londra a marzo in diverse venue, dove a seconda della capienza cambiava il tipo di repertorio, mentre il titolo per ognuno era appunto Tour De Force, e sono tutti molto belli.

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Però tra le cose migliori del suo repertorio Live c’è sicuramente Beacon Theatre: Live From New York – 2012 Mascot Provogue 2 CD DVD **** due serate speciali al famoso teatro di New York, dove, come nella data londinese alla RAH del 2009, Joe invita sul palco alcuni ospiti: Beth Hart, per la immancabile e strepitosa I’d Rather Go Blind e Sinner’s Prayer, John Hiatt con due suoi brani, Down Around My Place e I Know A Place, infine Paul Rodgers che canta Walk In My Shadow e Fire In The Water dei Free, mentre Bonamassa può rendere omaggio al grande Paul Kossoff, tra le chicche della serata anche Midnight Blues di Gary Moore e Young Man’s Blues degli Who via Mose Allison.

joe bonamassa an acoustic evening

Poi nelle decade parte un sorta di tour discografico dei grandi teatri: An Acoustic Evening at the Vienna Opera House – 2013 Mascot Provogue 2 CD – 2 DVD –  Blu-Ray**** ovvero Joe Bonamassa goes acoustic, ma a modo suo, con altri quattro musicisti sul palco della casa dei Wiener Philarmoniker, oltre a Bonamassa che suona qualsiasi tipo di chitarra, meno quelle elettriche, in modo egregio, ci sono mandolino, violino, mandola, harmonium, nyckelharpa e qualsiasi tipo di percussione, suonata da Lenny Castro. Nessuno dei suoi idoli della chitarra rock e colleghi aveva mai fatto una cosa del genere, riuscita perfettamente https://www.youtube.com/watch?v=v8lOSERcJFE .

joe bonamassa muddy wolf

Nel 2015 non è in un teatro ma in una delle location più suggestive del mondo, l’anfiteatro naturale vicino a Denver Muddy Wolf at Red Rocks – 2015 Mascot Provogue 2 CD DVD **** Come dice il titolo una serata speciale dedicata a Muddy Waters e Howlin’ Wolf, perché Joe (e penso anche il fido Kevin Shirley) cercano sempre un’idea particolare per rendere questi eventi unici https://www.youtube.com/watch?v=GbIr9CUfjZ8 . Una serata speciale sul Chicago Blues della Chess, come lo avrebbero suonato queste grande icone, ma anche i suoi idoli, Beck, Page e Clapton e Jimi Hendrix, di cui riprende nella parte finale della serata Hey Baby (New Rising Sun), grande concerto.

joe bonamassa live at radio city music hall

Lo stesso anno, sempre per la serie dei teatri esce anche Live At Radio City Music Hall – 2015 Mascot Provogue CD+DVD **** meno di 80 minuti, un’altra fantastica performance nella location newyorchese, con un repertorio molto diverso da quello di altri concerti. L’anno successivo approda sulla West Coast, in un altro teatro storico, di Los Angeles

joe BonamassaCarnegie

Live at the Greek Theatre – 2016 Mascot Provogue 2 CD DVD**** Questa volta quale è l’argomento del concerto? Una serata speciale dedicata ai tre grande King del blues, Freddie, Albert e B.B., nell’ordine di apparizione dei loro brani, e, manco a dirlo, un altro disco dal vivo strepitoso https://www.youtube.com/watch?v=qoX0Olfqziw . Lo stesso anno viene registrato (pubblicato l’anno dopo) anche Live at Carnegie Hall: An Acoustic Evening 2017 Mascot Provogue 2 CD DVD **** che non è la replica americana del concerto di Vienna, ma per il 15° disco dal vivo, Bonamassa si presenta sul palco in veste acustica, però accompagnato da una Big Band di nove elementi (lui incluso) con musicisti anche da Cina ed Egitto, per una serata tipo quelle della serie Unpuggled, quando sul palco erano comunque la metà di mille.Altro ottimo concerto.

joe bonamassa british blues explosionjoe bonamassa sydney

Fedele alla sua filosofia del “una pensa e cento ne fa), poi tocca alla serata della British Blues Explosion Live2018 Mascot Provogue 2 CD 2 DVD **** dopo il tributo ai tre Re del blues questa volta tocca alla triade inglese dei “Re” della chitarra, ovvero Jeff Beck, Eric Clapton e Jimmy Page, registrato nell’estate del 2016 nel cortile dell’Old Royal Naval College di Greenwhich, nei sobborghi di Londra: questa volta Bonamassa e la sua band ci danno dentro alla grande, pescando anche nel repertorio di Cream. Jeff Beck Group e Led Zeppelin. L’ultimo live, per ora, fa parte di nuovo della serie dei teatri, siamo Down Under in Australia in un’altra delle location più suggestive del mondo Live at the Sydney Opera House – 2019 Mascot Provogue ***1/2 uscito solo in singolo CD, niente DVD, per ora, ma esistono le immagini, registrato, come il precedente nel 2016, a parte una cover di Mainline Florida di Clapton, solo materiale originale dai suoi dischi di studiohttps://www.youtube.com/watch?v=ntBsXyImdKI . A proposito completiamo la lista delle uscite della decade, a parte Royal Tea del 2020, di cui vi ho parlato recentemente https://discoclub.myblog.it/2020/10/24/saluti-da-londra-abbey-road-joe-bonamassa-royal-tea/ , “solo” altri quattro dischi di materiale nuovo.

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Driving Towards The Dayligth – 2012 Mascot Provogue ***1/2 dopo Dust Bowl che era un disco più “rootsy” questo nuovo ha un suono più duro, molte cover, anche “lavorate” come Stones In My Passway di Robert Johnson, che sembra un pezzo dei Led Zeppelin, come pure il riff inziale di Whole Lotta Love era contenuto in Who’s Been Talking di Howlin’ Wolf https://www.youtube.com/watch?v=L-wz2gxGucM , nell’ambito ballate la rara title track, un pezzo di Danny Korchmar, e sempre in ambito blues (rock) I Got What You Need di Wilie Dixon per Koko Taylor, alla Bluesbreakers, e per la serie l’eclettismo impera, un Bill Withers, un Tom Waits, un Buddy Miller e un Jimmy Barnes.

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Different Shades of Blue2014 Mascot Provogue ***1/2 tutte canzoni originali, a parte la cover iniziale di Hey Baby (New Rising Sun) di  Hendrix, nessuna memorabile, ma una qualità media ottima, visto che c’è spazio anche per blues e soul https://www.youtube.com/watch?v=i7-CTdeRk2s  , grazie alla presenza costante dei fiati.

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Blues Of Desperation – 2016 Mascot Provogue ***1/2 la title track ha sempre elementi degli amati Led Zeppelin, come pure Mountain Climbing molto Jimmy Page, You Left Me Nothin’ But the Bill and the Blues va di boogie, mentre nella tirata e gagliarda This Train Reese Wynans innesta una marcia barrelhouse, Drive ha un approccio più elettroacustico benché sempre con l’uso della doppia batteria https://www.youtube.com/watch?v=euMNVyuqmwo , No Good Place For The Lonely è una blues ballad alla Gary Moore e What I’ve Known for a Very Long Time è uno slow blues alla B.B. King con uso fiati.

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Redemption – 2018 Mascot Provogue ****per il disco numero 13, tra i migliori in studio di Bonamassa si torna di nuovo ad un approccio più roots, nella corale title track tra gli autori troviamo anche Dion, e un assolo micidiale di Joe, nel disco questa volta solo un batterista, ma due chitarristi aggiunti, Doug Lancio e Kenny Greenberg, The Ghost Of Macon Jones è un country-rock and western di ottimo impatto dal ritmo galoppante, con Jamey Johnson, notevole anche un torrido slow blues elettrico, con uso fiati e piano, come Love Is A Gamble dove Joe Bonamassa scatena ancora una volta tutta la sua verve chitarristica in un lancinante assolo e Molly O, tra Led Zeppelin e Black Country Communion, (quasi) la stessa cosa dirà qualcuno.

rock candy funk party

Facciamo un breve passo indietro che tra il 2013 e il 2017, nei ritagli di tempo Joe ha registrato anche quattro album con i Rock Candy Funk Party, un side project dove in teoria Bonamassa è solo ospite, ma in questa band si diletta anche a mettere in mostra la sua passione per fusion, jazz-rock e funky, come da nome della band, il migliore anche in questo caso direi che sia il doppio Rock Candy Funk Party Takes New York: Live at the Iridium – 2014 2CD + DVD ***1/2.

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E sempre in ambito strumentale ad aprile è uscito, sotto pseudonimo, ma lo sanno tutti chi suona, ovvero Bonamassa con tutta la band al completo più John Jorgenson e Jimmy Hall dei Wet Willie, anche l’eccellente disco degli Sleep Eazys – 2020 Easy To Buy – Hard To Sell – Mascot/Provogue***1/2 un omaggio al suo vecchio mentore e maestro Danny Gatton, ma anche al suono di Roy Buchanan e Link Wray, tra i grandi maestri della chitarra elettrica. Ci sarebbero poi da ricordare miriadi di collaborazioni nei dischi di chiunque, ma almeno la citazione della produzione del bellissimo disco da solista di https://discoclub.myblog.it/2019/03/05/anche-lui-per-un-grande-disco-si-fa-dare-un-piccolo-aiuto-dai-suoi-amici-reese-wynans-and-friends-sweet-release/ è doverosa. Forse non sarà l’erede di Eric Clapton (e neppure di Jeff Beck, Jimmy Page e Jimi Hendrix), ma è sicuramente uno dei migliori chitarristi degli ultimi anni. Peccato faccia pochi dischi!

Bruno Conti

Joe Bonamassa – L’Erede Di Eric Clapton O “Solo” Un Grande Chitarrista? Parte I

joe bonamassa 1

Gli Esordi 1991-1996

Quando nel 1991 il nostro amico, alla ricerca di un contratto, viene “gentilmente” rifiutato da varie etichette discografiche, ha solo 15 anni, ma una forte passione per la musica, allora decide di provare con un gruppo e astutamente chiama con lui alcuni “figli di”: c’è Waylon Krieger, il cui babbo Robby militava nei Doors, Berry Oakley Jr. negli Allman Brothers, alla batteria Erin Davis, il figlio di Miles, l’unico senza pedigree personale è “Smokin’ Joe” Bonamassa (giuro!), figlio di Len, che non era famoso, ma aveva un negozio di chitarre, e quindi il destino di Joseph Leonard era già segnato.

joe-bonamassa-age-16-jams-with-robben-fordNato a New Hatford, un sobborgo di Utica, nello stato di New York, nel 1977, Joe fin dalla più tenera età era stato cresciuto a pane e musica, il padre gli faceva sentire i dischi di Eric Clapton e Jeff Beck, che qualche influenza devono pur averla lasciata, come trainer alla chitarra a 11 anni gli fu affiancato Danny Gatton, a 12 apriva per i concerti di B.B. King, quindi stesso palco ma non insieme presumo, ma non c’ero.

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Nel 1994 i Bloodline pubblicano il primo omonimo album per la Emi/Capitol ***, me lo sono andato a (ri)sentire per scrivere questo articolo e devo ammettere che non era poi un brutto disco, Berry Oakley, che aveva sostituito il primo cantante, oltre a suonare il basso, aveva una bella voce e Joe, con l’aiuto di Krieger junior, alla chitarra già si sapeva fare, andatevi a sentire (se trovate il CD nell’usato) il rimarchevole lavoro al wah-wah in Dixie Peach, o il lavoro delle due soliste all’unisono nello strumentale sudista The Storm, alla produzione doveva esserci Phil Ramone, poi fu chiamato Joe Hardy (Tommy Keene, Georgia Satellites, Green On Red), loro amavano il blues(rock) ma l’etichetta gli chiedeva hard rock, comunque il lungo lentone Since You’re Gone ha qualche elemento alla Lynyrd Skynyrd, che li usarono come band di supporto nel 1995 https://www.youtube.com/watch?v=TuW_6YApSGg .

joe bonamassa 2000

La Carriera Solista, Prima Parte 2000-2009

Nel 2000 la Okeh, una succursale della Epic/Columbia gli propone un contratto, grazie alla reputazione che si era fatto nell’ambiente, e lo stesso anno arriva il primo album

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A New Day Yesterday – 2000 Okeh/Epic ***1/2

joe bonamassa a new day now 1

A New Day Now 20th Anniversary – 2020 JR Adventures/Mascot Provogue ***1/2

Mettiamo insieme le due edizioni del primo disco di Joe Bonamassa, che secondo me più o meno si equivalgono come valore: quella del 2000, registrata ai Pyramid Recording Studios di New York, si avvale della produzione di Tom Dowd, uno dei grandissimi che ha “creato” alcuni dei più bei dischi della storia del rock, tra i quali parecchi proprio di Eric Clapton, del quale Bonamassa per molti è una sorta di erede (se mai si vorrà ritirare, per ora Slowhand annuncia ma poi per fortuna ci ripensa): anche se per altri, pochi ma tignosi, Joe è solo un “casinaro”, benché il sottoscritto appartiene assolutamente, come la maggioranza degli ascoltatori del buon rock, del blues e di tutti i generi che suona il nostro amico, ai suoi estimatori. Chiarito questo concetto continuiamo, anzi iniziamo ad esaminare la sua copiosa discografia. Tornando a A New Day Yesterday, tra i fattori negativi c’è la presenza di una band che lo accompagna non proprio di prima fascia, onesti musicisti, ma Creamo Liss al basso e Tony Cintron alla batteria, per quanto bravi, alzi la mano chi a parte questo disco li hai mai sentiti nominare (Cintron, ho controllato, suona comunque in parecchi dischi di fusion e jazz); tra i lati positivi la presenza come ospiti di Rick Derringer a chitarra e voce in Nuthin’ I Wouldn’t Do (For a Woman Like You), un ottimo brano di Al Kooper, in If Heartaches Were Nickels uno splendida canzone di Warren Haynes, ci sono Gregg Allman a voce e organo e Leslie West alla seconda chitarra  https://www.youtube.com/watch?v=yRem6f0bmIE (che misteriosamente scompaiono nella versione del ventennale di A New Day Now), in un brano, ma è marginale, c’è anche il babbo di Joe, Len alla chitarra.

joe bonamassa 2001

Tra i plus della versione 2020 c’è l’ottimo lavoro di masterizzazione e mixaggio di Kevin Shirley che ha attualizzato il sound (per quanto la versione di Dowd suonava ottimamente) e inserito le nuove parti vocali di Bonamassa che le ha volute reinciderle con la sua voce attuale, più matura, calda e sicura, rispetto al giovane Joe del 2000, non disprezzabile comunque già all’epoca. Tra le bonus della nuova edizione ci sono tre brani del 1997, scritti con Steven Van Zandt e prodotti dallo stesso, francamente non memorabili, tra cui una irriconoscibile I Want You di Dylan, veramente bruttarella. Molto bello in entrambe le versioni il trittico di canzoni iniziali, Cradle Rock di Rory Gallagher https://www.youtube.com/watch?v=hVyhZ6rEbkI , Walk In My Shadow dei Free e A New Day Yesterday dei Jethro Tull https://www.youtube.com/watch?v=h1TAQa-IP8I , oltre alla cover conclusiva di Don’t Burn Down That Bridge di Albert King, che indicano che la stoffa del fuoriclasse è già presente.

Nel 2001 nel corso del tour americano di 60 date viene registrato il suo primo album dal vivo

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A New Day Yesterday Live – 2002 Premier Artists ***1/2 nel 2004 anche DVD con tre tracce aggiunte. La formazione che accompagna Bonamassa è il classico power trio, con Eric Czar al basso e Kenny Kramme alla batteria. La data è il dicembre 2001 a Fort Wayne, Indiana: il repertorio verte soprattutto su materiale tratto dal disco di studio, prima di Cradle Rock c’è una breve jam dove Joe va di slide, mentre la band sembra rocciosa anziché no, come testimoniano versione gagliarde dei pezzi di Gallagher, Free, un medley strumentale strepitoso di Steppin’ Out, lato Clapton e Rice Pudding di Jeff Beck https://www.youtube.com/watch?v=KntOQU-Sqkg , mentre c’è una lunga I Know Where I Belong, uno dei brani migliori scritti da Bonamassa per il disco di studio, anche A New Day Yesterday dei Jethro Tull è preceduta da un lungo assolo del nostro al wah-wah, a dimostrazione che il musicista newyorchese era già un axeman fantastico e dal vivo un grande perfomer, come confermano potenti versioni di Walk In My Shadow https://www.youtube.com/watch?v=dv6vmWF8ZRE  e dell’intenso slow blues If Heartaches Were Nickels. Negli extra del DVD, che sarebbe il formato da avere, ci sono una improvvisazione per chitarra che precede Are You Experienced di Jimi Hendrix e Had To Cry Today dei Blind Faith di Clapton, che poi darà il titolo al 4° album di studio del 2004  https://www.youtube.com/watch?v=xjQvapPsfa8. Già allora Bonamassa comincia a sviluppare la sua bulimia discografica, con almeno un disco di studio all’anno, oltre a Live a go-go e progetti collaterali con altre band nel futuro.

Visto che la produzione è immane (circa una cinquantina di dischi e DVD in venti anni) per evitare di trasformare l’articolo in un romanzo cercherò di concentrare i contenuti, ma dubito di farcela. Sempre nel 2002 esce

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So It’s Like That – 2002 Medalist **1/2 prodotto da Cliff Magness, noto per il suo lavoro con Avril Lavigne (?!?): un disco di transizione, dove Bonamassa scrive tutti i brani insieme ad altri, il lavoro della chitarra è spesso fantastico come nella iniziale My Mistake, ma molte delle canzoni virano verso un hard rock di maniera, per quanto Czar e Kramme siano una buona sezione ritmica, Joe all’epoca non era ancora un grande autore, e non si vive di soli assoli, per quanto nello shuffle blues della title track e nella lunga e tirata Mountain Time ci dia dentro alla grande. Ma già l’anno dopo realizza un disco quasi completamente dedicato alle 12 battute, sin dal titolo, uno dei suoi migliori in assoluto

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Blues DeLuxe – 2003 Medalist Records **** Anche ottimo il produttore Bob Held, pure lui con un passato “metallurgico” qui però dimenticato, il repertorio è impeccabile, Jon Paris di winteriana memoria viene aggiunto all’armonica e Benny Harrison all’organo: You Upset Me di B.B,.King, con un approccio non dissimile da quello di Gary Moore, il boogie Burning Hell di John Lee Hooker dove sembra di ascoltare gli ZZ Top, i Canned Heat o Johnny Winter https://www.youtube.com/watch?v=zDoJPKR7Xz4 , una formidabile versione appunto del super lento Blues DeLuxe di Jeff Beck, con un assolo soffertissimo https://www.youtube.com/watch?v=7hQPDQidI2c , e ancora la funky Man Of Many Words di Buddy Guy, l’acustica Woke Up Dreamng scritta dallo stesso Joe, che firma anche l’ottima blues ballad I Don’t Live Anywhere, degna dei Bluesbreakers di Mayall, prima di andare di bottleneck in una fremente Wild About You Baby di Elmore James, e lavorare di fino in Long Distance Blues di T-Bone Walker, prima di scatenare la potenza della band in Pack It Up di Freddie King e nello strumentale Left Overs di Albert Collins, e il rigore blues di Walking Blues di Robert Johnson. Insomma Bonamassa mette a frutto gli anni di ascolto sui dischi del babbo, mentre l’anno dopo esce il primo disco per la Provogue con il ritorno al rock-blues, ma variegato e raffinato di

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Had To Cry Today – 2004 Mascot Provogue ***1/2 Bob Held è di nuovo il produttore, i musicisti (che ho rivalutato, ascoltando i dischi, dopo anni che non li sentivo) sono gli stessi del precedente CD: un misto di cover e brani originali di Bonamassa, che migliora come autore, con delle punte di eccellenza in Never Make Your Move To Soon dal repertorio di B.B. King, bonamassizzata (se si può dire) per l’occasione, una vorticosa Travelin’ South di Albert Collins a tutta slide, l’intenso lento Reconsider Baby di Lowell Fulson, fatto anche da Clapton e Gregg Allman, molto buona anche l’elettrocustica Around The Bend, dai retrogusti country, firmata dal nostro amico, che poi rende omaggio prima a Danny Gatton nella twangy Revenge Of The 10 Gallon Hat, alla faccia di chi dice che non abbia una grande tecnica, e anche all’amato Eric nella cover di Had To Cry Today, il bellissimo pezzo di Steve Winwood per i Blind Faith , dove gli assoli di Bonamassa rivaleggiano con quelli di Manolenta https://www.youtube.com/watch?v=XPYpPwGm5GY , eccellente anche lo strumentale acustico Faux Martini con influenze flamenco. A questo punto il nostro rovina un po’ la media delle uscite perché nel 2005 non esce nulla, ma l’anno dopo ecco arrivare

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You And Me – 2006 Mascot Provogue – ***1/2 il primo album con il produttore Kevin Shirley, che d’ora in avanti sarà alla guida di tutti i suoi dischi. Solita formula, rock con venature blues o viceversa, ma nuova band, Carmine Rojas al basso, che rimarrà con Joe fino a metà della successiva decade, Jason Bonham alla batteria, solo in questo album (ma poi presenza costante nei Black Country Communion), forse scelto anche perché nel disco c’è una cover di Tea For One dei Led Zeppelin, dove per la prima volta Shirley inizia ad usare gli archi in un disco di Bonamassa, che rilascia un assolo da sballo, grande versione comunque https://www.youtube.com/watch?v=mkpIsv7XHLE , cantata splendidamente da Doug Henthorn, che poi apparirà spesso come vocalist aggiunto negli anni a venire, Rick Melick è alle tastiere. Molto buone anche l’iniziale High Water Everywhere una cover di Charley Patton, molto rock 70’s, Bridge To Better Days tra Free, Bad Company e Foghat con Pat Thrall alla seconda chitarra, Asking Around For You una blues ballad con archi, So Many Roads di Otis Rush, ma la faceva anche Peter Green con John Mayall e Gary Moore. E che dire di una inconsueta e swingata I Don’t Believe di Bobby Bland, o del tradizionale con slide acustica Tamp Em Up Solid che faceva pure Ry Cooder, alla faccia di nuovo di chi dice che Bonamassa non sia eclettico e capace di suonare tutti gli stili, come dimostrano l’epica Django o il blues puro di Your Funeral My Trial di Sonny Boy Williamson tramutato in un rock violento, con il giovanissimovirtuoso dell’armonica L.D. Miller, all’epoca 12 anni, non si sa poi che fine abbia fatto, ma forse non era disponibile John Popper. L’anno successivo in estate esce il settimo album di studio

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Sloe Gin – 2007 Mascot Provogue ***1/2 il primo disco ad entrare nelle classifiche americane, ben al 184° posto, per quanto in alcuni paesi europei la fama di Bonamassa cominci a diffondersi. Quasi in equilibrio brani originali e cover, 6 a 5, e un altro nuovo ingresso nella formazione con l’arrivo di Anton Fig alla batteria, da allora sempre presente sullo sgabello in tutti gli album, una garanzia con la sua classe mista a forza esplosiva, a seconda di quello che serve. Ball Peen Hammer, un intenso brano in bilico tra acustico ed elettrico di Chris Whitley apre l’album, con il solito uso degli archi di Shirley, a seguire One Of These Days uno dei classici rock-blues originali dei Ten Years After, con Joe alla slide  , Seagull, una morbida ballata dei Bad Company di Paul Rodgers, Sloe Gin è una robusta cover orchestrale di un pezzo di Tim Curry, il vecchio protagonista del Rocky Horror Picture Show, non manca il blues-rock di Another Kind Of Love, un brano non molto conosciuto di John Mayall, Bonamassa poi si confronta con il blues lento e tirato di Black Night, un brano di Charles Brown e a sorpresa con una intricata cover di Jelly Roll, un pezzo acustico di John Martyn, e infine uno strumentale orientaleggiante come India. Un altro bel disco, che viene bissato sul finire dell’anno dal secondo album live

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Shepherds Bush Empire – 2007 Mascot Provogue **** Solo 5 brani, ma non è un mini CD, spiccano i 15 minuti clamorosi di Just Got Paid, il famoso pezzo degli ZZ Top, da sempre uno dei cavalli di battaglia dei suoi show, quando usa la famosa Gibson a freccia e parte per la stratosfera del rock, in un medley che include anche una fantastica Dazed And Confused dei Led Zeppelin, eccellenti anche le cover di Walk In My Shadow e Blues DeLuxe https://www.youtube.com/watch?v=x-EhuaZN-XE . Dal vivo non delude mai, tanto che a breve distanza esce un altro CD dal vivo, il doppio

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Live From Nowhere In Particular – 2008 Mascot Provogue ***1/2 registrato durante il tour di Sloe Gin, dal quale vengono estratti cinque brani, ma anche gli altri dischi sono ben rappresentati: ottime Bridge To Better Days, So Many Roads, il medley esotico di India/Mountain Time e quello di Just Got Paid questa volta accoppiata con Django, l’intermezzo acustico con If Heartaches Were Nickels e Woke Up Dreaming, oltre alla conclusiva A New Day Yesterday con lunga citazione finale di Starship Troopers degli Yes https://www.youtube.com/watch?v=ptMM2DKDH5Y . L’anno successivo esce

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The Ballad Of Joe Henry – 2009 Mascot Provogue ****, uno dei suoi migliori dischi di studio, che ottiene un buon successo di vendite in giro per il mondo, soprattutto in Inghilterra e Olanda dove entra nella Top 30. La title track adattata da un brano di Mississippi John Hurt, vive su un equilibrio sonoro tra sfuriate zeppeliniane e inserti orchestrali ricercati, Stop è una bella ballata della cantante pop britannica Sam Brown, Last Call è un furioso rock-blues scritto dallo stesso Joe, che ben si adatta all’uso della doppia batteria (Bogie Bowles) e della chitarra ritmica di Blondie Chaplin. Nell’album per la prima volta a tratti cominciano ad apparire i fiati e lo spettro musicale si allarga, come nella cover di Jockey Full Of Bourbon di Tom Waits, o in quella di Funkier Than A Mosquito’s Tweeter, un brano scoppiettante con uso di fiati di Ike And Tina Turner https://www.youtube.com/watch?v=cqV9XkgIsZM , oppure nel duro swamp-rock di As The Crow Flies di Tony Joe White https://www.youtube.com/watch?v=tZvHPaIoR4Y . Sulla scia del successo Bonamassa arriva anche a registrare un doppio CD e DVD dal vivo

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Live from the Royal Albert Hall2009 2CD/2DVD **** il quarto della decade e uno dei migliori in assoluto della sua carriera, grazie alla location fantastica, al repertorio, alla presenza di un paio di ospiti, uno in particolare, di cui tra un attimo. Magari non ve ne frega niente, ma in quel periodo ho assistito anch’io ad un suo concerto a Milano e sono rimasto molto soddisfatto di quanto visto e sentito. Ormai la doppia batteria è un fatto acquisito, come la presenza dei fiati: vi consiglierei la versione in DVD, perché la parte visiva, specie per uno show alla RAH ha una sua importanza. Quasi due ore e mezza di spettacolo, 19 brani dove esplora tutto il proprio repertorio, con un suono “maestoso”: Django e The Ballad Of Joe Henry illustrano il suo lato più progressive e 70’s rock, So It’s Like That quello blues, con l’intermezzo rock citazionista di Last Kiss, poi c’è la lunga sequenza sulle 12 battute, So Many Roads, Stop!, prima di chiamare sul palco il suo idolo e mentore Eric “Slowhand” Clapton per un duetto/duello nella splendida Further On Up The Road, presenza che realizza un sogno, con i fiati che punteggiano il suono spesso durante il concerto https://www.youtube.com/watch?v=iz41Ea4Kfvk . Intermezzo acustico con la lunga Woke Up Dreaming e la scandita High Water Everywhere con doppia batteria. Di nuovo rock con Sloe Gin e Lonesome Road Blues, poi nella seconda parte di nuovo blues, prima con Paul Jones che sale sul palco con la sua armonica per Your Funeral My Trial, seguita da una strepitosa Blues DeLuxe fiatistica dove Bonamassa distilla il meglio dalla sua chitarra. E gran finale con il trittico finale, Just Got Paid degli ZZ Top con la sua Flying V, brano ricco di citazioni degli Zeppelin https://www.youtube.com/watch?v=0ThfM81Y0ng , la sontuosa e suggestiva Mountain Time https://www.youtube.com/watch?v=xiMqvPYPvQ0  e la deliziosa blues ballad Asking Around For You che conclude un concerto strepitoso.

Fine della prima parte.

Bruno Conti

Non Solo Un Gregario, Ma Uno Dei Migliori Chitarristi Su Piazza. Kirk Fletcher – My Blues Pathway

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Kirk Fletcher – My Blues Pathway – Cleopatra Blues

Kirk Fletcher in ambito blues non è il primo pirla che passa per strada, al contrario si tratta di un esperto musicista cresciuto a pane e West Coast Blues nella natia California, poi ha suonato agli esordi nella Hollywood Fats Band, si è creato un nome suonando con Kim Wilson, che poi lo ha voluto nei Fabulous Thunderbirds, e anche con un altro grande armonicista come Charlie Musselwhite (e Fletcher è pure all’occorrenza armonicista, oltre che chitarrista di grande spessore https://www.youtube.com/watch?v=wnBx4CNSvbc ); nel suo secondo CD solista del 2003 Shades Of Blue come ospiti c’erano Janiva Magness, Finis Tasby e lo stesso Wilson, l’album del 2010 My Turn era prodotto da Michael Landau, e il nostro amico Kirk ha suonato anche nei Mannish Boys, ma per portare a casa la pagnotta pure nei dischi di Eros Ramazzotti (ebbene sì), e in seguito è stato per alcuni anni nella touring band di Joe Bonamassa, dove svolgeva le funzioni di secondo chitarrista, anche negli strepitosi Live a Red Rocks e Greek Theater.

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Ha pubblicato un disco dal vivo nel 2014 e un altro in studio nel 2018, entrambi auto prodotti e scarsamente reperibili, mentre questo My Blues Pathway esce per i miei amici della Cleopatra che per l’occasione, lo ammetto, hanno fatto un ottimo lavoro. Accompagnato da Travis Carlton al basso, Jeff Babko alle tastiere, e con Lemar Carter e David Kida che si alternano alla batteria, con il vecchio pard di Robert Cray Richard Cousins che firma due brani con lui, e Joe Sublett al sax e Mark Pender alla tromba, sezione fiati aggiunta. Nel disco troviamo dell’ottimo blues, anche “contemporaneo”, come nella iniziale melliflua Ain’t No Cure For The Downhearted, che ricorda molto il citato Robert Cray, con Fletcher che fa cantare la sua solista, e si dimostra, se mi passate la ripetizione, cantante più che adeguato, non al livello di Cray, ma con un bel timbro vocale https://www.youtube.com/watch?v=r80dOwqg7AA , come ribadisce nel funky-blues fiatistico con retrogusto soul di No Place To Go, scritta con Cousins, Love Is More Than A Word, l’altra firmata con Cousins, è una deep soul ballad tra Stax e Motown, con fiati e organo “scivolante”, e la solista che cesella un assolo finissimo https://www.youtube.com/watch?v=EqCPZewZix4 , sempre a proposito di Stax Struggle For Grace è un super blues con uso fiati alla Albert King, chitarra “friccicarella” e grande tecnica e feeling in mostra negli assoli, insomma siamo fronte ad uno di “quelli bravi” https://www.youtube.com/watch?v=ECQ6VKbByoA .

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I’d Rather Fight Than Switch è un shuffle del sassofonista A.C. Reed, classico Chicago Blues con la chitarra pungente di Fletcher sempre in bella evidenza, mentre i fiati decorano sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=I_6Ox3548Dk , Heart So Heavy è uno slow di quelli duri e puri, di grande fascino ancora una volta, con la solista che viaggia con estrema confidenza tra i temi classici delle 12 battute https://www.youtube.com/watch?v=-vxW80vPgQA , ribaditi nella cover di Fatteming Frogs For Snakes, un brano di Sonny Boy Williamson dove l’armonica viene sostituita dalla chitarra come strumento guida, con risultati sorprendenti, prima di tornare con Place In This World alle atmosfere ricche di elementi funky-blues alla Cray, di nuovo con la fluida solista di Fletcher a disegnare linee di grande raffinatezza nel suo incedere e non manca neppure un classico brano strumentale old school come D Is For Denny, che ricorda certe cose alla Booker T & The Mg’s https://www.youtube.com/watch?v=xjF_OvGEak0 , mentre la chiusura è affidata al Delta Blues acustico di una vivida ed intensa Life Gave Me A Dirty Deal, con Charlie Musselwhite all’armonica e Josh Smith alla resonator guitar. Fletcher quindi si conferma, o si rivela per chi non lo conoscesse, bluesman di vaglia e uno dei migliori chitarristi su piazza, non solo un gregario. Consigliato.

Bruno Conti

Tra Texas E Louisiana Un Altro “Sfizioso” Artista Di Culto Da Scoprire. Johnny Nicholas – Mistaken Identity

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Johnny Nicholas – Mistaken Identity – Valcour Records

Nel CV di Johnny Nicholas una delle prime cose che viene evidenziata è quella di essere stato un componente degli Asleep At The Wheel: ma poi se approfondiamo scopriamo che Nicholas ha fatto parte della band solo dal 1978 al 1981, apparendo in un disco, il pur ottimo Served Live, dove cantava alcuni brani e suonava chitarra ritmica, piano e armonica, non in un ruolo di primo piano. Questo non per dire che non sia bravo, tutt’altro, ma quanto spesso le biografie siano fuorvianti. Il buon Johnny appartiene anche lui alla categoria dei “diversamente giovani”, avendo ormai superato i 70 anni; una lunga carriera che negli inizi di metà anni ‘60 lo vede nel Rhode Island con la Black Cat Blues Band insieme a Duke Robillard, poi passando brevemente per la California, arriva a Chicago e suona con Big Walter Horton e Robert Lockwood Jr., in seguito di nuovo nel Rhode Island in una band con Ronnie Earl, a questo punto arriva l’esperienza con gli Asleep, ma anche “visite musicali” dalle parti della Louisiana, e che ti fa poi il buon Johnny?

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Si ritira per dieci anni per formare e crescere una famiglia, si apre una stazione di servizio, trasformata in ristorante, nel Sud del Texas, ma a inizio anni ‘90 torna alla musica blues, accompagnando Johnny Shines e Snooky Pryor, e proseguendo nella propria carriera solista, che ad oggi consta di otto album, non conosciutissimi ma tutti di buona fattura, benché di non facile reperibilità. Ed eccoci arrivati a questo Mistaken Identity, prodotto dal vecchio amico della Louisiana, il maestro di cajun Joel Savoy, registrato quasi tutto in presa diretta con una piccola pattuglia di ottimi musicisti texani, Scrappy Jud Newcomb (del giro Austin dei Loose Diamonds) a chitarre e mandolino, il bravissimo bassista Chis Maresh (di recente nel Live di David Grissom) e il batterista John Chipman, più alcuni ospiti tra cui spiccano Max e Josh Baca a bajo sexto e accordion, Chris Stafford e Eric Adcock alle tastiere e un gruppetto di vocalist aggiunti.

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Genere musicale potremmo dire blues contemporaneo, con forti componenti roots: Nicholas si scrive quasi tutte le canzoni, con l’eccezione di una bellissima cover di River Runs Deep del compianto Stephen Bruton, posta in chiusura e che da sola vale quasi l’acquisto, un piccolo capolavoro di equilibri sonori, una ballata soffice e sinuosa che profuma di Sud, dove la slide della resonator di Nicholas interagisce con organo e la chitarra di Newcomb e con la voce vissuta ma sicura dello stesso Johnny https://www.youtube.com/watch?v=fmModwL0kZE  Il resto del disco è a tratti decisamente più bluesato, dall’elettrica e grintosa She Stole My Mojo con elementi di southern rock, tra bottleneck e armoniche insinuanti, a Mule And The Devil, più polverosa e sottile, tra mandolini, clavinet, il violino di Savoy e l’armonica con un’aria pigra e indolenta che rimanda sempre alle amate atmosfere roots https://www.youtube.com/watch?v=dUY2lVS44AQ , con il resto della band a far quadrare il cerchio del suono. Spark To A Flame inserisce anche elementi country e l’uso di voci femminili per completare un quadro sonoro più complesso, dove strumenti acustici ed elettrici si intrecciano con grande facilità https://www.youtube.com/watch?v=W3y994qiQ38 , mentre la title track, con un pianino barrelhouse a guidare le danze, sembra uscire da qualche disco di New Orleans, con tocchi R&B e soul, rimandi a Dr. John e JJ Cale, entrambi maestri del laidback sound, e anche qualche tocco sardonico di Randy Newman nella voce di Nicholas https://www.youtube.com/watch?v=4ep4GBzrO0E .

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Deliziosa pure Guadalupe’s Prayer dove bajo sexto e chitarre acustico mi hanno ricordato il suono di un altro grande “sudista di culto” come Grayson Capps  . I Wanna Be Your Baby è un bel blues-rock sempre pigro e indolente, ma con le chitarre decisamente presenti https://www.youtube.com/watch?v=NphjhMBTJY8 , e nella divertente Tight Pants si vira verso il R&R e ritmi molto più mossi e trascinanti, per farsi di nuovo riflessivi e malinconici in una storia tipica della Louisiana come She Didn’t Think Of Me That Way, nella quale l’accordion di Josh Baca e il resonator aggiungono ulteriori tocchi bajou a questa incantevole ballata https://www.youtube.com/watch?v=RKSE9JYkGWc , con Highway 190 che oscilla tra coretti doo-wop e old school R&R, un po’ Chuck Berry e un po’ Fats Domino, comunque assai godibile, come peraltro tutto il disco, della serie non solo blues: da scoprire.

Bruno Conti

Tra Nuovo E Vecchio, Un Outsider Da Scoprire Assolutamente. Steve Azar – My Mississippi Reunion

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Steve Azar – My Mississippi Reunion – Ride Records

Steve Azar è il classico artista di culto, un musicista che ha saputo muoversi tra stili diversi: il country dei primi dischi, la roots music, il soul bianco e nero, lui definisce la sua musica “Delta Soul” , e ha anche fatto un disco con questo titolo, e quindi il blues rimane sullo fondo, visto che viene proprio da Greenville, Mississippi, una delle patrie delle 12 battute. Steve è un cantautore prestato al blues, o forse viceversa, visto che le canzoni se le scrive e se le canta, magari come nel precedente eccellente Down At The Liquor Store, recensito tre anni fa e in cui era accompagnato dai King’s Men, una pattuglia di musicisti che in passato aveva suonato con alcuni Kings, da Elvis a B.B. , da cui il patronimico https://discoclub.myblog.it/2017/10/17/quasi-un-piccolo-classico-del-rock-steve-azar-the-kings-men-down-at-the-liquor-store/ .

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Ma essendo un artista indipendente cerca sempre di sfruttare al meglio il materiale che incide: già Delta Soul conteneva un misto di canzoni nuove (quattro) e rivisitazioni di vecchi brani incisi ex novo (cinque), ma in questo My Mississippi Reunion Azar fa un ulteriore passo avanti, costruendo una sorta di concept album alla rovescia, dedicato alla sua terra di origine, una serie di brani , undici in tutto, di cui otto estratti da vecchi album, alcuni rimasterizzati, altri reincisi, più tre canzoni nuove, di cui una registrata con Cedric Burnside, un perfetto caso di riciclo ecodiscografico, nulla si butta, tutto si riutilizza. Se poi i suoi dischi sono pure poco conosciuti, è una ulteriore spinta per avvicinarsi alla sua musica.

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Anche nelle canzoni nuove, prevale comunque lo stile discorsivo e cantautorale di Steve, in possesso di una bella voce piana, con uno spiccato gusto per le melodie, come per esempio la delicata Rosedale posta in apertura, inizio attendista, con acustiche, organo, piano, violino e archi, poi entra con il botto il resto del gruppo, la musica si anima, sembra di ascoltare ancora una volta i grandi cantautori degli anni ‘70, sparo un po’ di nomi? Guthrie Thomas, i texani doc, ma anche Springsteen, Mellencamp, nelle loro derive più roots https://www.youtube.com/watch?v=LgIO5P0JZt0 , mentre nel secondo brano Midnight, ancorato da un basso pulsante, citerei pure il primo Dirk Hamilton, e come affinità elettive magari gente come Jim Lauderdale, Lyle Lovett o Marty Stuart, quelli che danno del tu al country d’autore , anche se con vocalità e stili differenti, ma la qualità non manca in un brano arioso ed avvolgente, dove spunta anche una tromba e poi c’è un bellissimo assolo di chitarra https://www.youtube.com/watch?v=uz40V0o-myU ; il richiamo del blues è molto più marcato nella sanguigna Coldwater, un duetto a due voci con Burnside, che suona anche una slide tangenziale che impreziosisce questo bellissimo brano, firmato come tutti quelli contenuti nel CD dallo stesso Azar https://www.youtube.com/watch?v=YP6R7OXshrY .

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One Mississippi è un brano commissionato nel 2017 a Steve dal governatore dello stato della Magnolia per il bicentenario, un pezzo mosso e brioso che potrebbe rimandare al sound dei grandi Amazing Rhythm Aces https://www.youtube.com/watch?v=SB5BL8qi8kQ , anche Flatlands che era su Indianola, l’album del 2007 (e pure su Delta Soul), è un pezzo rock tirato e chitarristico, di nuovo con una bella slide in evidenza, con la band che gira alla grande https://www.youtube.com/watch?v=VDI6rhU5rVs , seguita da Rena Lara, un ottimo country got soul posto in apertura di Down At The Liquor Store, con chitarra e organo molto presenti ed inserimenti dei fiati, per un brano veramente bello. Greenville era la canzone che chiudeva il disco appena citato, una ballata pianistica, che ricorda in modo impressionante Jackson Browne https://www.youtube.com/watch?v=AWzRfuEw_4A .

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Sweet Delta Chains viene da Slide On Over Here del 2009, un funky fiatistico coinvolgente, con piano elettrico e chitarre che ricordano il blues-rock meticciato dei Little Feat, grazia anche a una slide malandrina https://www.youtube.com/watch?v=jcDXmqcuv4E ; viceversa Indianola, dal disco omonimo, è una bella ballata mid-tempo sudista, con interplay tra armonica e bottleneck, sempre cantata con grande partecipazione da Azar, con Mississippi Minute, estratta da Delta Soul Volume One, un altro brano in bilico tra rock e blues, con una bella acustica “Harrisoniana”, e in chiusura troviamo Highway 61, il brano scritto con il bravo James House che apriva il disco appena ricordato, con la Weissenborn in primo piano insieme all’organo, pure questa una bella canzone della serie non solo blues https://www.youtube.com/watch?v=RhV7qBNJdFo , per questo riassunto con nuovi brani di questo musicista che si conferma un outsider di lusso da scoprire assolutamente.

Bruno Conti