Una Gran Bella Compilation Ma…Che Razza Di Anniversario E’ Il Ventunesimo? VV.AA. – Appleseed’s 21st Anniversary: Roots And Branches

appleseed's 21st anniversary

VV.AA. – Appleseed’s 21st Anniversary: Roots And Branches – Appleseed 3CD

La Appleseed è una casa discografica fondata nel 1997 da Jim Musselman, un avvocato attivista ed appassionato di musica folk, che aveva l’ambizione di creare un’etichetta che si ispirasse all’età d’oro del cosiddetto folk di protesta, in auge in America negli anni cinquanta e sessanta, e a gloriose label del passato come la Smithsonian Folkways, con l’intento di creare un roster di artisti di spiccata rettitudine morale e con un debole per le cause umanitarie, oltre che per il recupero di canzoni popolari del passato. E Musselman ha visto in breve tempo realizzarsi il suo sogno, dato che negli anni hanno inciso per la Appleseed, tra i tanti, vere e proprie leggende del folk come Pete Seeger e Ramblin’ Jack Elliott, o comunque grandi artisti come Tom Paxton, Tom Rush, Eric Andersen e John Stewart, ed è riuscito a coinvolgere nei vari progetti (come i tre tributi a Seeger o l’album benefico per i senzatetto Give Us Your Poor) anche musicisti non affiliati all’etichetta ma sensibili a certe cause, come Bruce Springsteen e Jackson Browne. Già nel 2007 era uscita una compilation, Sowing The Seeds, che riepilogava il meglio dei primi dieci anni della label, ma ora con questo Roots And Branches Musselman ha fatto le cose in grande, celebrando il ventunesimo anniversario (scelta che in realtà capisco poco, l’unica cosa che mi viene in mente è che in America i 21 anni sono la maggiore età) con uno splendido triplo album, che raccoglie il meglio della Appleseed, appunto nel periodo trattato, mettendo in fila una bella serie di brani comunque rari (sfido infatti chiunque ad averli tutti) ed aggiungendo ben nove canzoni nuove di zecca, tra inediti e pezzi incisi apposta per il progetto.

I tre dischetti sono divisi per vari temi: Let Truth Be Told, che riunisce canzoni di denuncia sociale, The Wisdom Keepers, con artisti di spiccato carisma ed importanza, e Keeping The Songs Alive, che comprende brani della tradizione. Vorrei soffermarmi nel dettaglio sui nove inediti, che iniziano proprio con Bruce Springsteen che propone una intensa versione del classico di Seeger If I Had A Hammer (la presenza di Pete aleggia costante in questo triplo, sia come artista che come autore), molto folk e piuttosto lontana dal brano allegro che conosciamo: inizio lento e quasi drammatico, poi il ritmo prende corpo e gli strumenti si intrecciano abilmente, con un dominio di chitarre, banjo, violino e fisarmonica (Bruce usa musicisti insoliti per lui, con l’eccezione di Charlie Giordano, Soozie Tyrell, e della moglie Patti Scialfa), tanto che, per stare in tema, sembra un pezzo tratto dalle Seeger Sessions. L’amico del Boss Tom Morello si cimenta con una rilettura folk-rock di Dirty Deeds Done Dirt Cheap degli AC/DC, scelta strana anche se bisogna dire che del brano originale non è rimasto molto: versione discreta, ma non indispensabile, anche perché Morello come cantante non è il massimo. Bravissimo invece l’attore Tim Robbins con una strepitosa Well May The World Go (ancora di Seeger), arrangiata in puro stile Irish folk: gran ritmo, melodia squisitamente tradizionale e feeling enorme, sembrano quasi i Pogues. Splendida anche Across The Border, canzone di Springsteen (era una delle più belle su The Ghost Of Tom Joad) affidata alla voce di Tom Russell, un altro che più invecchia e più migliora: il brano, registrato insieme a Jono Manson ed alla fisa di Max Baca, sembra proprio scritto da Tom, ha il suo passo ed anche le sue tematiche.

Wesley Stace in arte John Wesley Harding rifà una sua vecchia canzone, Scared Of Guns (con un reading da parte della figlia), un pezzo molto elettrico e dal ritmo sostenuto, cantato con voce “costelliana”; Anne Hills ci delizia con una versione pura e cristallina del classico di Bert Jansch Needle Of Death, riuscendo ad emozionare con due strumenti in croce, ed anche Donovan non è da meno con una rilettura ricca di pathos della nota ballata di origini irlandesi Wild Mountain Thyme, incisa insieme a due leggende come Danny Thompson, ex bassista dei Pentangle, e lo straordinario drummer Jim Keltner. Gli ultimi inediti sono di due artisti che non sono più tra noi: Jesse Winchester commuove con Get It Right One Day, gentile e stupenda ballata nel suo tipico stile garbato (era incompleta, l’ha terminata Mac McAnally), mentre There Is Love ci fa risentire la voce del grande John Stewart, per un brano con un’intensità da brividi. Il resto del triplo è quindi composto da brani già editi, ma risentiamo (ed in alcuni casi sentiamo per la prima volta, dato che è difficile possedere il catalogo completo della Appleseed) con grande piacere collaborazioni come una meravigliosa versione dell’inno pacifista Bring Them Home ad opera di Pete Seeger, Billy Bragg, Anne Hills, Ani DiFranco e Steve Earle, un reggae decisamente orecchiabile come Kisses Sweeter Than Wine, che vede Jackson Browne duettare con Bonnie Raitt, la poco nota Stepstone di Woody Guthrie, un brano folk di straordinaria intensità che vede un quartetto formato da Joel Rafael, ancora Browne, Jimmy LaFave ed Arlo Guthrie, ed una spettacolare Bring It With You When You Come con David Bromberg e Levon Helm.

Poi, ovviamente, altre grandi canzoni come Give Me Back My Country, splendido country-rock, limpido e solare, ad opera dei Kennedys, o ancora Tom Morello che stavolta ci regala una versione corale e deliziosa dell’inno americano non ufficiale, cioè This Land Is Your Land, o di nuovo Springsteen con il superclassico folk We Shall Overcome, diversa da quella finita sulle Seeger Sessions. Il redivivo Al Stewart ci delizia con la scintillante folk song Katherine Of Oregon, bellissima, la Angel Band con la travolgente Jump Back To The Ditch, tra folk e gospel, Tom Rush con la squisita What I Know (che classe), Lizzy West And The White Buffalo con l’altrettanto bella Portrait Of An Artist As A Young Woman. Infine, non mancano emozionanti riletture di traditionals e brani di dominio pubblico, vere e proprie gemme tra le quali non posso non ricordare The Water Is Wide (John Gorka), Rovin’ Gambler (Ramblin’ Jack Elliott), John Riley (Roger McGuinn con Judy Collins), fino ad una fulgida Where Have All The Flowers Gone, tra le più belle folk songs di sempre, da parte di Tommy Sands, Dolores Keane e Vedran Smailovic. Una collezione preziosa quindi, sia dal punto di vista artistico che culturale, e perfetto regalo natalizio per qualsiasi appassionato di musica folk.

Marco Verdi

Lo Springsteen “Europeo” … Un’Altra Tappa All’Estremo Nord! Bruce Springsteen & The E Street Band – Helsinki, June 16 2003

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Helsinki, June 16 2003 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Era da parecchio tempo che i fans di Bruce Springsteen si auguravano che una delle uscite mensili dei concerti dal vivo dagli archivi fosse dedicata ad una serata del “The Rising Tour” del 2003, pur essendo una delle rare tournée già documentata da un DVD ufficiale (Live In Barcelona, ottimo). Ma si sa, i fans non si accontentano mai, e per quest’ultima uscita sono stati almeno in parte accontentati: ho detto in parte perché nessuno si sarebbe aspettato che l’onore sarebbe toccato alla serata del 16 Giugno, all’Olympiastadion di Helsinki, Finlandia, dato che gli show più “desiderati” erano altri (soprattutto le serate finali americane allo Shea Stadium), ma la spiegazione indicata sul sito che si occupa di vendere questi concerti ha lasciato poche speranze, dato che vi si asserisce che la maggior parte delle date di quel tour sono indisponibili per problemi tecnici, e quella di Helsinki era una delle poche pubblicabili.

The Rising vedeva il ritorno su disco di Bruce con la E Street Band per la prima volta da Tunnel Of Love (a parte i brani inediti del Greatest Hits del 1995), e la tournée che era seguita aveva attirato una grande attenzione, in parte grazie al successo del Reunion Tour del 1999-2000, in parte pure al fatto che The Rising era un grande disco, con testi che testimoniavano la situazione di un’America ferita dai fatti dell’11 Settembre 2001, ma con una gran voglia di non arrendersi e di risorgere. In realtà va detto che le scalette di quel tour offrivano meno sorprese del solito, Bruce e i suoi andavano piuttosto sul sicuro con una sorta di Greatest Hits ambulante e numerosi pezzi dal disco nuovo, ed anche quella serata in Finlandia (prima volta in assoluto per il Boss, ma sarebbe tornato nel 2012 come leggete qui https://discoclub.myblog.it/2017/07/16/supplemento-della-domenica-se-quattro-ore-abbondanti-di-rocknroll-vi-sembrano-poche-bruce-springsteen-the-e-street-band-olympiastadion-helsinki-july-31s/ ) non si sottrae all’andazzo. Un buon concerto quindi, con il nostro che si scalda man mano che lo show procede (all’inizio sembra un po’ imballato, cosa stranissima per lui) e con gli E Streeters che suonano con la consueta potenza, spettacolo che secondo me si colloca un gradino sotto le migliori uscite di questa serie. Intendiamoci però: un buon concerto di Springsteen equivale comunque ad un grandissimo concerto per il 95% dei musicisti al mondo, e quindi questo triplo CD (o download se siete tecnologici) offre due ore e mezza abbondanti di rock’n’roll e ballate ad alto tasso di godibilità.

Lo spettacolo inizia con il Boss in solitaria, con una Born In The U.S.A. in versione folk-blues con slide acustica, lo stesso arrangiamento adottato nella tournée di The Ghost Of Tom Joad e nel Reunion Tour, seguita a ruota da The Rising ovviamente full band, un pezzo già coinvolgente che però appare un po’ zoppicante nella resa vocale di Bruce (ma tempo un paio di canzoni e non ci saranno più problemi). The Rising, l’album, la fa da padrone nella setlist con ben nove brani, e se alcuni rimarranno nelle scalette anche negli anni a venire (Lonesome Day, Waitin’ On A Sunny Day), altre saranno fisse solo per questo tour: fra di esse la migliore è la commovente Empty Sky (quella con i riferimenti più diretti all’11 Settembre), mentre sia You’re Missing che Into The Fire che Worlds Apart (quest’ultima uno strano miscuglio tra rock e musica arabeggiante) sono indubbiamente canzoni minori che abbassano il tono della serata. Ma i due highlights tratti dall’allora nuovo album sono senz’altro una chilometrica (17 minuti e mezzo) e festaiola Mary’s Place, una sorta di Rosalita 2.0, e la straordinaria ballata rock-gospel My City Of Ruins, tra le più struggenti del nostro e con un crescendo magnifico. Il resto della scaletta, come dicevo prima, non riserva particolari sorprese, e non mancano di certo i pezzi che tutti si aspettano di ascoltare in uno show di Springsteen (Prove It All Night, grandiosa, The Promised Land, Out In The Street, Thunder Road, Badlands e Born To Run).

Essendo la prima volta in Finlandia, Bruce decide poi di omaggiare il pubblico suonando gran parte del suo album più popolare di sempre, cioè Born In The U.S.A. (7 brani su 12, compresa la già citata title track acustica), con due trascinanti No Surrender e Darlington County, la toccante My Hometown (che ho sempre preferito dal vivo che in studio), e veri e propri “crowd-pleasers” come Bobby Jean e l’uno-due finale di Dancing In The Dark e Glory Days. Nei bis, due dei brani simbolo del divertimento springsteeniano on stage, cioè la saltellante Ramrod (ben tredici minuti, e con una strepitosa improvvisazione pianistica in solitaria di Roy Bittan) e l’irresistibile rock’n’roll di Moon Mullican Seven Nights To Rock. A questo punto, se non ricordo male, gli unici concerti non ancora “coperti” da questa serie di pubblicazioni sono quelli dei primi anni della E Street Band, quando all’interno del gruppo militavano ancora David Sancious e Vini Lopez, e sinceramente un live da quel periodo non mi dispiacerebbe affatto.

Marco Verdi

Il Supplemento Della Domenica Dello Springsteen: Dagli Archivi Live Del Boss: Ottimo Anche Senza La Band! Bruce Springsteen – The Christic Shows 1990

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Bruce Springsteen – The Christic Shows 1990 – live.brucespringsteen.net 3CD – Download

Un po’ di tempo fa, in un post dedicato al riepilogo dei CD dal vivo tratti dagli archivi di Bruce Springsteen http://discoclub.myblog.it/2016/02/14/supplemento-della-domenica-bruce-springsteen-sempre-comunque-grandissimo-performer-il-punto-sugli-archivi-live-del-boss/ , alla fine mi domandavo quale sarebbe stato il prossimo episodio, ma non avrei mai immaginato che ci si sarebbe rivolti ad un momento così particolare come i due show acustici che il Boss tenne allo Shrine Auditorium di Los Angeles il 16 e 17 Novembre del 1990, due spettacoli benefici conosciuti come The Christic Shows, dal nome dell’associazione no profit Christic Institute, una sorta di studio legale che si occupa (esiste ancora) di cause e class actions dedicate a problemi a sfondo ambientale e sociale ed azioni a favore di gruppi o soggetti vittime di soprusi (una cosa che fa molto romanzo di John Grisham). Questi due spettacoli sono sempre stati tenuti in grande considerazione dai fans di Bruce (ed i bootleg di queste due rare serate erano tra i più ricercati), in quanto furono i suoi primi spettacoli acustici di sempre, dato che dopo Nebraska non c’era stato alcun tour e dischi come Tom Joad e Devils & Dust e relativi concerti in solitario erano di là da venire, ma anche perché rompevano un periodo di silenzio che durava da due anni (e ne sarebbe durato ancora due), nel quale il Boss aveva sciolto la E Street Band e non aveva ancora formato il gruppo che lo avrebbe accompagnato a supporto dei futuri album Human Touch e Lucky Town.

Ma la cosa forse più importante da dire riguardo a queste due serate è che Bruce è in forma eccellente, è ispirato e voglioso di suonare (oltre alla chitarra e armonica, si esibisce anche al piano), ma anche di sperimentare arrangiamenti diversi per canzoni famose in altra veste sonora, oltre al fatto che in entrambe le serate presenta alcuni pezzi in anteprima da Human Touch, qualche inedito e, last but not least, una sorpresa finale particolarmente gradita. Due concerti decisamente intensi e coinvolgenti quindi, che non lasciano affiorare la noia neppure per un minuto, merito senz’altro della bellezza delle canzoni ma anche della bravura del nostro come intrattenitore, anche senza l’ausilio di una band alle spalle (forse l’unico pezzo che risente un pochino dell’assenza di un gruppo è Brilliant Disguise, che apre entrambe le serate): i due concerti, più corti delle solite maratone a cui Bruce ci ha abituati (17 canzoni il primo, 18 il secondo), stanno comodamente su tre CD, ordinabili come anche gli altri volumi della serie su una sezione del sito di Springsteen (mentre, per i più tecnologici, c’è la possibilità di scaricare i live in diversi formati). E’ chiaro che la dimensione acustica giova particolarmente ai (molti) brani che Bruce prende da Nebraska nel corso dei due shows (la title track, Mansion On The Hill, State Trooper, la quasi mai eseguita, ma bella, My Father’s House, Reason To Believe, Atlantic City), ma anche all’allora inedita Red Headed Woman, all’intensa Wild Billy’s Circus Story (una rarità, era nel secondo album) ed alla sempre toccante Thunder Road, qui eseguita al piano.

Poi ci sono, come già detto, alcuni brani che dopo due anni compariranno sul controverso Human Touch, come la vibrante Real World, meglio forse in questa versione, la sofferta Soul Driver ed il futuro singolo 57 Channels (And Nothin’ On), che in studio era un vero pastrocchio mentre questa veste spoglia la dona un gradevole sapore rock’n’roll. Alcuni pezzi cambiano volto, come Darkness On The Edge Of Town che riconosco solo quando arriva il ritornello, una curiosa Tenth Avenue Freeze-Out pianistica ma sempre coinvolgente, una My Hometown decisamente più riuscita della versione mainstream apparsa su Born In The U.S.A., ma soprattutto, nel secondo show, una Tougher Than The Rest, ancora al pianoforte, semplicemente da brividi, una rilettura di grande valore per quello che già in origine era il brano più bello di Tunnel Of Love. Tra gli inediti, due canzoni che dopo qualche anno Bruce pubblicherà nel cofanetto Tracks: When The Lights Go Out, non eccelsa, e The Wish, decisamente meglio.

Il doppio CD sarebbe già stato ottimo ed abbondante così, ma poi, in tutte e due le serate, abbiamo lo stesso tipo di finale, e che finale: Bruce viene infatti raggiunto sul palco da Jackson Browne e Bonnie Raitt (i promotori dell’iniziativa benefica), che accompagnano il Boss prima in una versione trascinante di Highway 61 Revisited di Bob Dylan, riletta in puro stile boogie acustico con Bruce all’armonica, Jackson alla chitarra e Bonnie al tamburino (e Browne, per l’arrangiamento che dona al brano, viene scherzosamente soprannominato Jackson Lee Hooker dagli altri due), per finire con una emozionante Across The Borderline, con il bellissimo brano scritto da John Hiatt con Ry Cooder e Jim Dickinson che viene deliziosamente rifatto con il Boss che riprende la chitarra, Browne che si sposta al piano e la Raitt che imbraccia la sua slide. Nell’attesa di godermi l’atteso uno-due di Springsteen a San Siro, questo The Christic Shows 1990 è un validissimo, seppur acustico, antipasto.

Marco Verdi

*NDB Non a caso questo Post viene pubblicato nel giorno del primo dei due concerti di Bruce Springsteen allo stadio di San Siro!