Dopo Willie Nelson, Ecco Una “Giovane Promessa” Al Femminile! Loretta Lynn – Still Woman Enough

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Loretta Lynn – Still Woman Enough – Legacy/Sony CD

Se Willie Nelson a quasi 88 anni pubblica ancora grande musica con sorprendente regolarità, lo stesso si può dire di quella che può essere definita la sua controparte femminile, cioè la leggendaria Loretta Lynn, che di anni ne sta per compiere 89 (sia lei che Willie sono nati ad aprile). Tornata ad ottimi livelli, anche di vendite, nel 2004 con Van Lear Rose (prodotto da Jack White), la Lynn si è poi presa una lunga vacanza per ritornare più agguerrita che mai nel 2016 con l’altrettanto riuscito Full Circle, il primo di cinque album pianificati con la produzione di John Carter Cash, figlio del grande Johnny Cash. Dopo il natalizio White Christmas Blue ed il sempre valido Wouldn’t It Be Great del 2018 https://discoclub.myblog.it/2018/10/07/appendere-la-chitarra-al-chiodo-magari-tra-dieci-anni-loretta-lynn-wouldnt-it-be-great/ , ora Loretta torna tra noi con un altro bellissimo lavoro intitolato Still Woman Enough (stesso titolo della sua autobiografia pubblicata nel 2002), sotto la supervisione della figlia Patsy Lynn Russell e del solito Cash Jr. Still Woman Enough non sposta di una virgola il suono e lo stile della Lynn (ma a quasi novant’anni mi stupirei del contrario), country che più classico non si può, cantato alla grande con un timbro vocale decisamente giovanile (anche Nelson, tanto per continuare col parallelo, ha ancora una grande voce, ma dimostra tutti i suoi 87 anni) e suonato con classe immensa da un manipolo di luminari di Nashville.

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Un gruppo folto di musicisti con al loro interno nomi notissimi come Paul Franklin alla steel, Ronnie McCoury al mandolino, Shawn Camp e Randy Scruggs alle chitarre, Dennis Croutch e Dave Roe al basso, Matt Combs al violino e, come vedremo tra poco, una manciata di famose colleghe di Loretta a duettare con lei. Puro country, di piacevolissimo ascolto e che una volta di più ci mostra un’artista che, nonostante l’età e la splendida carriera ricca di successi, non ha ancora perso la voglia di fare musica. L’album, tredici canzoni, è diviso a metà tra rifacimenti di brani già interpretati in passato ed altri affrontati per la prima volta: l’unico pezzo veramente nuovo è la title track che apre il CD (scritta da Loretta insieme alla figlia), un country-rock elettrico e sorprendentemente grintoso specie per un’ottuagenaria: gran voce, ritmo cadenzato, un bel mix di chitarre acustiche, elettriche e dobro con la ciliegina della presenza di Reba McEntire e Carrie Underwood ad alternare e sovrapporre le loro ugole a quella di Loretta https://www.youtube.com/watch?v=BB5FHS3eJ_c . I brani “nuovi” proseguono con due omaggi alla Carter Family, una deliziosa e cristallina ripresa della popolare Keep On The Sunny Side in puro stile bluegrass (grande canzone e grandissima voce, una cover da brividi) ed una limpida I’ll Be All Smiles Tonight, dal motivo ammaliante e gustoso accompagnamento per sole chitarre, mandolino ed autoharp.

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Chiudono il lotto dei pezzi mai incisi prima dalla Lynn due riprese di altrettanti traditionals: la solare I Don’t Feel At Home Anymore, ancora dal sapore bluegrass tra dobro, chitarra e mandolino, e la nota Old Kentucky Home (di Stephen Foster, quello di Oh, Susanna! e Hard Times Come Again No More), con quattro strumenti in croce e la voce inimitabile di Loretta per un altro esempio di eccellente country d’altri tempi, oltre ad una trascinante e ritmata rilettura dell’evergreen di Hank Williams I Saw The Light, tra country e gospel, suonata in modo eccelso. E veniamo alle riproposizioni di brani già pubblicati in passato, a partire dall’incantevole Honky Tonk Girl, luccicante esempio, indovinate, di honky-tonk classico suonato in maniera sopraffina (splendidi il pianoforte e la steel), seguita da una versione particolare di Coal Miner’s Daughter, la signature song di Loretta, che non canta ma si limita a recitare il testo in maniera indubbiamente suggestiva, accompagnata solo da un banjo. One’s On The Way è uno splendido honky-tonk elettrico (l’autore è il grande Shel Silverstein) con ben cinque chitarre più la steel e la seconda voce di Margo Price, due ugole strepitose al servizio di una melodia di prim’ordine https://www.youtube.com/watch?v=tmH95_a2Vtk .

loretta lynn - margo price

loretta lynn – margo price

I Wanna Be Free è un country-rock mosso ed orecchiabile, cantato come al solito in modo scintillante, mentre Where No One Stands Alone è un antico gospel di Lister Mosie che Loretta trasforma in una superba country ballad pianistica decisamente toccante al tempo di valzer lento (ma sentite come canta!). Chiudono il CD, forse il migliore tra quelli registrati negli studi del figlio di Cash, la dolce ed emozionante My Love e la guizzante You Ain’t Woman Enough, altra strepitosa honky-tonk song in cui la Loretta divide il microfono con un’altra “ragazzina”, Tanya Tucker https://www.youtube.com/watch?v=8LKJRJYPTZc . Non posso che augurare a Loretta Lynn una vita ancora lunga e piena di salute, in modo da poter godere nell’immediato futuro di altri dischi del livello di Still Woman Enough. 

Marco Verdi

“Nuovi” Dischi Live Dal Passato 3. Heart – Live In Atlantic City

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Heart – Live In Atlantic City – EarMusic/Edel CD/BluRay

Le Heart, noto duo formato da Ann e Nancy Wilson, non si sono mai tirate indietro quando si è trattato di immettere sul mercato degli album dal vivo. Solo negli ultimi cinque anni ci sono state ben quattro uscite registrate on stage (Fanatic Live, il natalizio Home For The Holidays, Live At The Royal Albert Hall con l’orchestra https://discoclub.myblog.it/2016/12/24/un-po-di-sano-classic-rock-al-femminile-heart-live-at-the-royal-albert-hall/  ed il Live At Soundstage), ed ora la label tedesca Edel va ad infittire il gruppo con questo Live In Atlantic City, pubblicato nel doppio formato CD/BluRay e registrato nel marzo del 2006 nell’ambito della trasmissione a sfondo rock Decades Live (la stessa da cui è stato tratto il disco dallo stesso titolo dei Lynyrd Skynyrd uscito lo scorso anno). Mercato inflazionato o no, le Wilson Sisters dal vivo sono sempre un bel sentire, dato che stiamo parlando forse del miglior gruppo rock al femminile in circolazione (in realtà un duo, la backing band è sempre stata molto variabile): Nancy è una valida chitarrista ritmica e ha sempre avuto un’eccellente presenza scenica, mentre Ann, a discapito di un fisico non esattamente da pin-up, ha mantenuto negli anni una potenza vocale formidabile, una sorta di versione femminile di Robert Plant, non a caso il cantante che l’ha influenzata di più.

Live In Atlantic City riassume in quattordici canzoni una performance molto solida del gruppo (completato dal chitarrista Craig Bartok, dalla tastierista Debbie Shair e dalla sezione ritmica formata da Mike Inez e Ben Smith), con l’aggiunta di diversi ospiti la cui presenza, va detto, è sempre in secondo piano rispetto a quella delle due sorelle Wilson, che restano indubbiamente le mattatrici della serata. I primi tre pezzi vedono salire sul palco Dave Navarro, chitarrista di Jane’s Addiction e Red Hot Chili Peppers: l’inizio è appannaggio di Bébé Le Strange, versione potente e decisamente zeppeliniana, con sezione ritmica granitica, chitarre in gran spolvero ed Ann che “addenta” da subito la canzone con la sua solita grinta. Straight On è un bell’esempio di funky-rock godibile dalla prima all’ultima nota, con un refrain diretto e vincente ed Ann che tira fuori una voce della Madonna, mentre Crazy On You è una delle signature songs del duo, un pezzo rock tirato ed elettrico, grande riff d’apertura e ritornello epico. All’epoca di questo show l’ultimo album delle due sorelle era Jupiters Darling, dal quale viene tratta Lost Angel, elettroacustica e folkeggiante (ma sempre alla maniera dei Led Zeppelin); a proposito di Zeppelin, nel CD troviamo due notevoli cover dello storico gruppo di Page e Plant, e cioè una devastante Rock’n’Roll in cui Ann e Nancy sono raggiunte da Gretchen Wilson e, ancora con Navarro, una altrettanto roboante interpretazione di Misty Mountain Hop, che non sfigura di fronte all’originale.

Gretchen (che porta dunque a tre il numero di Wilson sul palco) è presente anche nella rilettura di Even It Up, possente rock’n’roll con ritmo e chitarre come si non ci fosse domani, mentre Dog And Butterfly, una bellissima ballata acustica, viene cantata a due voci insieme a Rufus Wainwright. Non ho mai amato gli Alice In Chains, e sinceramente non capisco la loro “intrusione” (insieme all’ex Guns’n’Roses Duff McKagan) dato che non interagiscono con le Heart ma si limitano ad eseguire due brani del proprio repertorio (Would? e Rooster); per fortuna subito dopo abbiamo una strepitosa versione lenta ed acustica di Alone, forse la ballata più bella di sempre delle Heart, nella quale Ann duetta con Carrie Underwood regalandoci una prestazione vocale da pelle d’oca. Finale senza ospiti con tre classici assoluti del songbook delle due Wilson: la mossa Magic Man, ancora influenzata dal Dirigibile, una fluida e scintillante Dreamboat Annie, molto folk e con assolo di flauto da parte di Ann, e chiusura con la potentissima e sanguigna Barracuda. Non sono contrario di principio al proliferare di album dal vivo delle Heart: finché la qualità è quella di Live In Atlantic City possono pubblicarne anche uno ogni tre mesi, io non mi stanco di sicuro.

Marco Verdi

Un Disco Buono Per Un Nuovo Sport: Il Lancio Del CD. Nel Mercato Sottostante! Keith Urban – Ripcord

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Keith Urban – Ripcord – Capitol Nashville CD

Al mondo ci sono molti uomini fortunati (si potrebbe poi filosofeggiare su chi di essi si merita la fortuna e chi no), e tra di loro ce ne sono alcuni più fortunati di altri. Prendete ad esempio Keith Urban, countryman australiano trapiantato in America, che, oltre ad avere avuto un occhio di riguardo da madre natura, tutte le sere quando torna a casa trova Nicole Kidman ad aspettarlo. Poi c’è l’aspetto musicale, e anche lì non si scherza, in quanto ci troviamo di fronte ad uno dei musicisti più di successo nel mondo del country (e non solo), con sei dei suoi otto album pubblicati finora (dopo una partenza in sordina negli anni novanta) ad essere approdati o al primo posto in classifica o al secondo quando le cose sono andate male.

*NDB Questa volta è arrivato solo al n°4 nelle classifiche, ma n°1 in Australia e in quelle country (ma dove?!?). Ho inserito i video, ma li ascoltate a vostro rischio e pericolo!

Oggi Urban più che un musicista è un brand (un po’ quello che era David Beckham nel mondo del calcio), con una militanza come giudice nella versione americana di American Idol ed una linea di chitarre che portano la sua firma (se non altro è uno che alla sei corde ci sa fare, a differenza di molti colleghi che la usano solo per fare le fotografie): siamo dunque arrivati ad un livello tale di popolarità che la qualità della musica da lui proposta è quasi una cosa di secondo piano, tanto i suoi dischi vendono comunque a palate. Io però ho il compito di giudicare, e nello specifico sto parlando del suo nuovo album (il nono), intitolato Ripcord: diciamo tanto per cominciare che verso quelli come Urban sono un po’ prevenuto, in quanto di solito la musica da loro proposta di country ha ormai poco, ma è decisamente imparentata con quel soft pop che a Nashville va per la maggiore, una musica finta ed un po’ plastificata che gli amanti del vero country non vedono di buon occhio; in aggiunta, prima ancora dell’ascolto del CD i miei dubbi sono aumentati, in quanto Ripcord vede in azione ben sette produttori diversi (e questo di solito è sintomo di gran confusione), ben quattro sessionmen ai sintetizzatori (anche se tra i musicisti c’è pure il poderoso bassista rock Pino Palladino, già nel John Mayer Trio e nella live band degli Who), e tra gli ospiti la famosa, bella ma di poco talento Carrie Underwood, ma soprattutto il famigerato Nile Rodgers (ex Chic) ed il rapper Pitbull (?!?) insieme in un brano.

Se poi aggiungiamo che in sede di promozione questo album è stato definito il più sperimentale da quelli pubblicati da Keith finora, allora i miei dubbi si sono tramutati in puro terrore. I primi secondi di Gone Tomorrow (Here Today), con un bel strimpellare di banjo, sembrano promettere bene, ma è forse l’unico momento ascoltabile di tutto il CD, in quanto il brano prende subito una brutta piega, trasformandosi all’istante in un synth-pop con ritmica quasi dance, una porcheria in pratica. John Cougar, John Deere, John 3:16, bel titolo a parte, è da denuncia (e se fossi Mellencamp farei partire immediatamente una querela), il ritornello sarebbe anche orecchiabile ma l’arrangiamento è quanto di più finto possa esistere https://www.youtube.com/watch?v=Gdu8M2val_w , ed anche Wasted Time non migliora le cose, anzi se possibile le peggiora: canzone pessima, plastificata, insignificante, buona per chi di musica non capisce una mazza, il vero “tempo sprecato” del titolo è quello riservato all’ascolto di questo brano. Ed il pezzo con Rodgers ed il rapper? Una vera tragedia, avrei voglia di mettermi a piangere, ma tutto il disco è su questo livello, musicaccia fatta con i piedi (The Fighter, il duetto con la Underwood, è imbarazzante, pura pop-dance per ragazzini imberbi, roba che neanche gli One Direction).

E’ perfettamente inutile proseguire: non ho mai gettato un CD dalla finestra, ma questa volta sono fortemente tentato dal farlo.

Marco Verdi