Un Nuovo Cofanetto “A Puntate” Per David Bowie. Volume 4: Look At The Moon!

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David Bowie – Look At The Moon! – Parlophone/Warner 2CD – 3LP

E siamo arrivati al giro di boa anche per il box dal vivo di David Bowie Brilliant Live Adventures, che si occupa di riunire concerti che il Duca Bianco tenne negli anni novanta e che in qualche caso erano usciti solo in streaming: è stato infatti pubblicato da poco (ed andato esaurito quasi subito) il quarto volume Look At The Moon!, il primo della serie in doppio CD (o triplo LP). Completamente inedito fino ad oggi, questo album documenta l’intero show di Bowie al Phoenix Festival il 20 luglio 1997, dove Phoenix è inteso come Fenice e non la città dell’Arizona, dal momento che la location è il villaggio di Long Marston in Inghilterra https://www.youtube.com/watch?v=5334YGBvuHI . Diciamo subito che Look At The Moon! è superiore al precedente LiveAndWell.com, che a mio parere era troppo sbilanciato verso le canzoni degli ultimi due album di David all’epoca, Outside e Earthling, due dei lavori più ostici dell’artista britannico con largo uso di elettronica e sonorità tecnologiche (ma i brani erano presi da varie date).

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Qui abbiamo una setlist più equilibrata con più di uno sguardo al passato ed anche un paio di sorprese nel finale, anche se va detto che delle hits bowiane che conoscono tutti (Space Oddity, Starman, Changes, Life On Mars) non ce n’è mezza. La performance del nostro è comunque una delle più valide tra quelle ascoltate finora in questo “box in progress”, merito di un eccellente stato di forma e della solida band che lo accompagna: Reeves Gabriels alle chitarre, Gail Ann Dorsey al basso e voce, Zachary Alford alla batteria e Mike Garson alle tastiere. Forse sei canzoni tratte da Earthling sono ancora troppe, ma se I’m Afraid Of Americans, Battle For Britain (The Letter), Looking For Satellites e Little Wonder non incontrano i miei gusti, Seven Years In Tibet è un pezzo abbastanza riuscito nonostante la veste sonora ultra-moderna, ed anche la pulsante Dead Man Walking risulta abbastanza piacevole (e presenta una notevole performance chitarristica da parte di Gabriels). Da Outside le scelte sono soltanto due, e se Hallo Spaceboy è uno dei brani più orecchiabili degli anni novanta bowiani, anche la cupa The Hearts Filthy Lesson a forza di sentirla riesco quasi a digerirla.

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Tra i classici in scaletta effettivamente qualche successo c’è, a partire da una coinvolgente rilettura della saltellante The Jean Genie, proposta in un inedito arrangiamento boogie-blues (ed infatti è in medley con lo standard di Charles Brown Driftin’ Blues), e proseguendo con il duetto con la Dorsey su Under Pressure (ma Freddie Mercury era su un altro pianeta) e con il funkettone Fame, che non mi ha mai fatto impazzire ma in mezzo alle canzoni di Earthling fa un figurone. Poi abbiamo le title tracks di due album del periodo classico di David, ovvero una The Man Who Sold The World rifatta con i dettami sonori di Earthling ed una spedita e coinvolgente Scary Monsters (And Super Creeps), album dal quale viene tratta anche la danzereccia Fashion https://www.youtube.com/watch?v=BiB356hH0L0 ; ho tenuto per ultima (bis a parte) la canzone di apertura dello show, cioè una splendida rivisitazione della rock ballad Quicksand, un classico minore proveniente da Hunky Dory che viene suonata in maniera “normale” e che rappresenta uno dei momenti migliori della serata.

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Il finale mette in fila una rockeggiante versione della nota White Light/White Heat dei Velvet Underground, che Bowie era solito eseguire anche nei seventies, un’inattesa O Superman, unica hit della carriera di Laurie Anderson (quindi in pochi minuti abbiamo un pezzo di Lou Reed ed uno della sua futura consorte), cantata dalla Dorsey, e la meno nota Stay, brano di Station To Station che si adatta benissimo alle sonorità anni novanta del nostro. Al momento di scrivere queste righe non è ancora noto il contenuto del quinto e penultimo volume della serie, ma voci di corridoio parlano del concerto di Parigi del 1999.

Marco Verdi

 

Uno Splendido Disco Restaurato E Ristampato. Butterfield Blues Band – Live

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Paul Butterfield Blues Band – Live  – 2 CD Elektra/Wounded Bird      

Come recitava il titolo di una delle sue canzoni più famose (anche se scritta dall’amico Nick Gravenites) I Was Born In Chicago, Paul Butterfield è stato con la sua Blues Band, sin dal 1964/65, uno dei grandi “padri bianchi” della rinnovata ondata delle 12 battute, che seguiva gli anni d’oro caratterizzati principalmente dagli artisti  neri che negli anni ’50 avevano inciso per l’etichetta Chess nella Windy City, ma anche un poco dovunque sul territorio americano. Quando nasce la Butterfield Blues Band negli States, e in Inghilterra i gruppi di Ciryl Davies, Alexis Korner, e soprattutto i Bluesbreakers di John Mayall, il R&R sta diventando rock, il folk diventa elettrico a Newport, anche grazie alla presenza di alcuni membri della band di Butterfield al concerto di Bob Dylan. Ma il periodo inarrivabile del gruppo coincide con i primi due album, quelli con Bloomfield e Bishop alle chitarre, e Mark Naftalin alle tastiere, ma Paul, come Mayall dall’altra parte dell’oceano, seppe rinnovarsi, introducendo prima l’uso di una gagliarda sezioni fiati, e partecipando ad importanti kermesse sonore come il Festival di Woodstock nel 1969.

Quando arriva il 1970, l’anno in cui esce questo doppio LP Live, i grandi solisti come quelli citati, e anche gente come David Sanborn al sax e” Buzz” Feiten alla chitarra non ci sono più, ma il gruppo rimane una entità solida, con l’armonica di Butterfield sempre al centro della scena, oltre alla sua voce vibrante, ben coadiuvato da solisti come Gene Dinwiddie (già con James Cotton) e Trevor Lawrence ai sax, l’ottimo Steve Madaio alla tromba, un trio di musicisti che poi troveremo in decine di album nel corso degli anni a venire, nonché i bravi Ted Harris al piano e Ralph Walsh alla chitarra, con George Davidson alla batteria e Rod Hicks, uno dei primi ad utilizzare il basso fretless, a completare la formazione. Questo album è uscito varie volte nel corso degli anni, prima in doppio vinile nel 1970, poi è stato pubblicato brevemente come doppio CD (aggiungendo un dischetto di materiale inedito all’album originale) nel 2004 dalla Rhino Handmade, fuori catalogo da parecchi anni, sempre in questa versione era uscito nel cofanetto da 14 CD Complete Albums 1965-1980, ancora della Rhino, ed ora è di nuovo disponibile tramite la rinata Wounded Bird.

E rimane sempre un gran bel disco dal vivo, registrato nel corso di due serate, il 21 e 22 marzo del 1970 al Troubadour di Los Angeles, cattura la band in un momento di transizione, ma anche in grandissimo spolvero. Butterfield è autore di pochi brani, ma conduce il gruppo con grande autorità, sin dalla scintillante rilettura di Everything Going To Be Alright il classico brano di Little Walter che si dipana ben oltre i dieci minuti, con l’armonica di Paul subito protagonista assoluta, mentre il resto del gruppo macina un blues jazzato, ma sempre con quelle nuances rock ed improvvisative che hanno reso unica questa band formidabile, grazie ai fiati spesso in fibrillazione all’unisono e con Walsh che ci regala un bel assolo di chitarra, mentre Paul è in pieno controllo anche alla voce; la breve e swingante Love Disease scritta da Dinwiddie è stretta parente di quel rock alla Blood, Sweat And Tears che imperava in quegli anni, con un prodigioso Hicks al basso, e proprio Hicks è l’autore di The Boxer, un eccellente esempio dell’errebì vigoroso che erano in grado di generare, mentre Butterfield scrive e canta con passione una vibrante e nerissima No Amount Of Loving, seguita da Driftin’ And Driftin’ un classico brano mellifluo di Charles Brown, uno slow blues tiratissimo che è l’occasione per improvvisare alla grande in oltre tredici minuti di musica sublime, dove tutti i solisti si alternano, sempre con Paul “primo inter pares”, ma anche Walsh non scherza. Segue la presentazione della band e poi un’altra cavalcata di dieci minuti in Number Nine, un pezzo firmato dal pianista Ted Harris, uno strumentale dove sembra di ascoltare i B, S & T più sperimentali, ma sempre con quella magica armonica ad aleggiare.

I Want To Be With You è cantata dal suo autore Gene Dinwiddie, una bella ballata soul di buona fattura, prima di tornare al blues fiatistico con una cover notevole di Born Under A Bad Sign, seguito da un gospel-soul-rock caldo, cantato coralmente e in modo coinvolgente come Get Together Again, chiude il primo disco un altro brano pimpante, da soul revue scatenata e a tutto fiati,  So Far So Good, cantata ad ugola spiegata da un trascinante Butterfield. Il secondo CD inizia con Gene’s Tune, altri 12 minuti micidiali di improvvisazione pura, tra blues, soul e jazz, a cui la BBB fa seguire una accorata versione di uno dei brani più belli tra quelli meno noti di Otis Redding, Nobody’s Fault But Mine, e poi un altro brano firmato da un maestro come Ray Charles, ovvero Losing Hand, in cui arriviamo a quattordici minuti di goduria pura, in un lento sontuoso, dove Paul e il chitarrista Ralph Walsh si superano ai rispettivi strumenti.  All In A Day, di nuovo di Hicks, è un altro limpido esempio del loro rock-blues-jazz trascinante, ribadito nella tirata Feel So Bad, un brano di Chuck Willis più vicino al rock chitarristico dell’epoca, Except You di Jerry Ragavoy (quello per intenderci che ha scritto Time Is On My Side,Stay With Me e Cry Baby) è una splendida ballata strappalacrime cantata con grande pathos da Butterfield, che poi si riappropria delle proprie radici blues con You’ve Got To Love Her With  A Feeling, una grandissima canzone dal repertorio di Freddie King.  E per chiudere alla grande la serata ci regalano un’altra dozzina d minuti di grande musica con la divertente e scatenata Love March. Grande ristampa, forse non è uno dei Live fondamentali della storia della musica rock, ma sta subito sotto, non lasciatevelo fuggire, vi sorprenderà.

Bruno Conti