Crisi Del Terzo Disco? No, E’ Il Più Bello Dei Tre. The Secret Sisters – You Don’t Own Me Anymore

secret sisters you don't own me anymore

The Secret Sisters – You Don’t Own Me Anymore – New West CD

Devo fare una doverosa premessa: questa recensione sarà ricca di aggettivi altisonanti, e prima che pensiate che ho esagerato vi confermo che sono tutti meritati. Le sorelle di Muscle Shoals Laura e Lydia Rogers, in arte The Secret Sisters, hanno fatto parlare molto di loro con i primi due album: il primo, omonimo, del 2010 è stato un fulmine a ciel sereno, un bellissimo disco di puro country e folk nel quale le due ragazze rivisitavano diversi brani della tradizione e canzoni di Hank Williams, George Jones, Bill Monroe e Buck Owens, oltre a comporne un paio per conto loro, seguite in studio nientemeno che da Dave Cobb (all’epoca non così “prezzemolo” come oggi) e T-Bone Burnett come produttore esecutivo http://discoclub.myblog.it/2010/10/30/a-dispetto-del-nome-chiaramente-country-the-secret-sisters/ . Un album che ha ricevuto critiche positive quasi ovunque, pur non conseguendo vendite soddisfacenti; ben quattro anni dopo ecco il seguito, Put Your Needle Down, ancora con Burnett in regia e con stavolta la maggior parte dei brani ad opera delle due sisters: il risultato commerciale è stato ancora più deludente, e c’è stata stavolta anche qualche critica qualitativa non positiva, al punto che la Universal ha poi deciso di sciogliere il contratto delle ragazze. A tre anni di distanza, e con un nuovo accordo con la New West, ecco il terzo album delle Sorelle Segrete, You Don’t Own Me Anymore, per il quale è stato chiesto l’aiuto in sede di produzione della brava Brandi Carlile (e anche dei gemelli Tim e Phil Hanseroth, da sempre inseparabili collaboratori della cantautrice di Washington): ebbene, sarà per l’apporto di Brandi (che ha scritto anche diversi brani insieme alle Rogers), la quale ha dato sicuramente nuovi stimoli ed una visione differente da quella di Burnett, sarà per la grande forma compositiva di Laura e Lydia, ma You Don’t Own Me Anymore non solo è il miglior disco delle Secret Sisters, ma è anche un grande album in his own right.

Lo stile di partenza è sempre lo stesso, una musica giusto a metà tra country e folk con uno stile che rimanda a sonorità d’altri tempi, ma qui troviamo anche canzoni dall’approccio più moderno, che in un paio di casi arrivano a sfiorare il rock, il tutto dovuto senz’altro alla presenza tra i musicisti della stessa Carlile e degli Hanseroth Twins (e le Sisters hanno restituito il favore partecipando con una canzone a Cover Stories, il bellissimo tributo all’album The Story della Carlile): ma quello che fa la differenza è certamente la bellezza delle canzoni, ispirate come non mai, e le splendide e cristalline armonie vocali di Laura e Lydia, vero punto di forza del duo. Per avere un’idea di come sarà il CD basta ascoltare l’iniziale Tennessee River Runs Low, con strepitoso attacco a cappella ed atmosfera subito vintage, poi entrano in maniera potente i musicisti (che però usano strumenti acustici, ma la sezione ritmica c’è e si sente), con il banjo a dare un sapore dixieland, ottimo uso del piano, grandi voci e suono splendido. Molto bella anche Mississippi, una ballata dal sapore folk ma con un arrangiamento di grande forza, un drumming secco ed una melodia bellissima, nobilitata da un notevole crescendo; Carry Me è un’altra ballata profonda e toccante, con un arrangiamento più moderno ma non per questo meno emozionante, con le voci purissime delle due ragazze ed una chitarra twang a guidarle, mentre King Cotton è un irresistibile country-folk dal sapore antico, che sembra balzato fuori dalla colonna sonora di O Brother, Where Art Thou?, davvero splendida anche questa.

Kathy’s Song è proprio il classico brano di Simon & Garfunkel, e le ragazze mantengono intatta la bellezza dell’originale, He’s Fine è semplicemente formidabile, una folk song in purezza, dal ritmo sostenuto ma strumentazione parca, melodia cristallina e pathos incredibile; To All The Girls Who Cry è uno slow pianistico di grande intensità, mentre Little Again è giusto a metà tra una western ballad ed una scintillante folk song, anche qui con un motivo di prim’ordine. La title track è una ballata dal delicato sapore anni sessanta, la sinuosa The Damage è invece una raffinata canzone tra country, folk e jazz, davvero squisita, ‘Til It’s Over è toccante, ancora purissima e cantata in maniera eccellente, Flee As A Bird, unico traditional presente, chiude l’album con una folk song incontaminata, solo due voci ed un banjo. Mi rendo conto, come ho scritto all’inizio, che ho speso diversi aggettivi “importanti” per descrivere questo terzo disco delle Secret Sisters, ma non ho dubbi che, se vorrete farlo vostro, la penserete come me.

Marco Verdi

*NDB Anche questo uscirà il prossimo 9 giugno, così concludiamo la trilogia delle anteprime della settimana, domenica un’altra.

Nella Vecchia Fattoria…! Over The Rhine – Live From The Edge Of The World

over the rhine live from the edge of the world

Over The Rhine – Live From The Edge Of The World – Great Speckled Bird – 2 CD Limited Edition

Fin dalla prima volta che li ho visti dal vivo, e precisamente a Chiari (BS), se non ricordo male nel lontano 2001, ho subito pensato che c’era più di una ragione che accomunava gli Over The Rhine ai Cowboy Junkies: ballate lente, malinconiche, costruite su un gioco di coppia complice e silenzioso che, oggi come ieri, sono unicamente nelle corde di due personaggi dalle chiarissime idee musicali, come la brava cantante Karin Bergquist e il bravissimo polistrumentista Linford Detweiler (coppia in arte come pure nella vita), con la differenza che il suono dei primi è fondato sulla voce di Karin e le tastiere di Linford, (più folk), mentre quello dei secondi gira attorno ai fratelli Timmins, la bella Margo e Michael, rispettivamente voce e chitarre (più blues). Gli Over The Rhine sono attivi dall’inizio del ’91, e fino ai giorni nostri hanno prodotto qualcosa come 22 album, di cui sei dal vivo e tre raccolte, tutti lavori che a livello artistico hanno tracciato una parabola in costante ascesa (con una menzione particolare per il doppio Ohio (03), fino ad arrivare ai più recenti The Long Surrender (11) e Meet Me At The Edge Of The World (13), recensiti puntualmente su queste pagine dall’amico Bruno http://discoclub.myblog.it/2013/08/29/a-prescindere-dal-genere-gran-disco-over-the-rhine-meet-me-a/ . Per festeggiare i venticinque anni del loro sodalizio, la bionda Karin e il marito Linford hanno radunato nella loro fattoria dell’Ohio un gruppo di musicisti, definiti The Band Of Sweethearts, composto da Jay Bellerose alla batteria e percussioni, Jennifer Condos al basso, Eric Heywood alla chitarra elettrica e pedal steel e Bradley Meinerding alle chitarre elettriche e acustiche e mandolino, per registrare due esibizioni fatte nel corso di un week-end e tenute nel fienile di famiglia il 24 e 26 Maggio del 2015, dando così vita ad un concerto straordinario che tende vieppiù a caratterizzare le sonorità elettroacustiche della band e la voce della bionda Karin.

Idealmente diviso in due parti, il concerto parte con un set prevalentemente più “rootsy,” con brani tratti prevalentemente dall’ultimo album in studio Meet Me At The Edge Of The World, a partire dalla title track, una magnifica ballata country-folk d’atmosfera, seguita dall’ispirata melodia di Sacred Ground, con il mandolino di Bradley ad accompagnare la voce di Karin, il breve folk acido dello strumentale Cuyahoga, il ritmo sincopato di Gonna Let My Soul Catch My Body, rifatta in una bella versione unplugged, e una Suitcase (recuperata dal capolavoro Ohio), con un arrangiamento ridotto all’osso. Con la strepitosa ballata soul Called Home si alza decisamente il livello del concerto, seguita ancora dalla dolce I’d Want You, dove ritornano le atmosfere “agresti”, per poi andare a rivisitare brani datati e poco eseguiti in concerto, come la travolgente All I Need Is Everything (da Good Dog, Bad Dog), farci sempre commuovere con la melodia vincente di una ballata come Born (la potete trovare su Drunkard’s Prayer), introdotta dalle note del pianoforte di Linford, e cantata con la straordinaria voce di Karin, e rispolverare, sempre da un grande album come il citato Good Dog, Bad Dog, una delicata Poughkeepsie che viene eseguita come una sorta di “ninna nanna” country.

Dopo una breve pausa che viene usata, si presume, per gustare la produzione della fattoria (pane, salumi e uova con del buon vino e birra), si riparte con una deliziosa Making Pictures cantata a due voci da Karin e Linford, per poi rivoltare come un calzino Baby If This Is Nowhere, che viene rifatta in una versione country-blues, nonché riproporre uno dei brani più belli della coppia, I Want You To Be My Love (cercatela sempre su Drunkard’s Prayer), una ballata sorretta dalla scansione ritmica di una chitarra acustica, con la voce suadente della cantante ad intonare una melodia profonda ed emozionante, mentre la seguente Trouble (da The Trumpet Child) è una briosa divagazione in chiave jazz, e passare alle atmosfere sospese fra lounge e jazz della lunga e bellissima All My Favorite People (da The Long Surrender), dove si manifesta ancora una volta la bravura al piano di Detweiler. Nella parte finale del concerto vengono proposte un paio di “cover”, a cominciare dalla notissima It Makes No Difference (di Robbie Robertson della Band), riproposta in versione delicata e notturna, mentre la seguente  The Laught Of Recognition, viene ripescata dall’ottimo The Long Surrender, una meravigliosa ballata folk come The Laugh Of Recognition, con la pedal-steel di Eric Heywood in evidenza, prendere ancora dai solchi di Ohio una nuovamente notturna e “jazzata” Cruel And Pretty, con un piano che suona come ce si trovasse a New Orleans, omaggiare alla grandissima il Neil Young dei primi tempi con una grintosa Everybody Knows This Is Nowhere, e andare a chiudere il concerto, come era iniziato, con una versione solenne e struggente di una ballata stratosferica come Wait, (che era anche il brano di chiusura del citato Meet Me At The Edge Of The World), dove la voce della Bergquist raggiunge vette emotive di grande pathos.

Commozione e applausi nel fienile della fattoria Over The Rhine. Inutile dire che la carta vincente del gruppo è Karen Bergquist che possiede una voce tra le più duttili ed importanti del cantautorato americano (anche se pure Detweiler è un musicista di vaglia), e che riesce ad interpretare con grande classe liriche intense e musica profonda, entrambe costruite su temi melodici e drammatici, malinconici ed evocativi. Come in questo ultimo lavoro live, ma anche di fronte ad ogni disco degli Over The Rhine, viene da chiedersi perché questa band continua ad essere poco considerata e con CD tanto difficilmente reperibili ( in questo caso ancora più degli altri), un disco da non perdere assolutamente, sia per chi già li segue e li conosce, sia per chi non ha ancora avuto questa fortuna:  un approccio ed uno stile per chi ama la musica soffusa e intensa, quindi, come detto poc’anzi, per chi ama il suono onirico alla Cowboy Junkies, una musica per palati ed orecchie fini, ma anche per gli amanti delle atmosfere notturne dalle melodie intense, magari da gustare un po’ alla volta e con ascolti ripetuti, meglio se a notte fonda e in dolce compagnia. Un altro regalo dall’America e dalla fattoria targata  Over The Rhine dove la musica, anzi, per la precisione, la buona musica, è ancora un patrimonio culturale.

Tino Montanari