Una Band Formidabile, Assolutamente Da Riscoprire. Georgia Satellites – Ultimate

georgia satellites ultimate

Georgia Satellites – Ultimate – Lemon/Cherry Red 3CD

Musicalmente parlando gli anni ottanta, oltre al synth-pop con tastiere e batterie elettroniche ed al cosiddetto genere “hair metal”, hanno prodotto una lunga serie di rock’n’roll band di culto che solo in pochi casi sono sopravvissute artisticamente a quella decade (anche se alcune si sono riformate in seguito), con nomi che hanno raggiunto una certa notorietà come Blasters, Dream Syndicate e Green On Red ed altre più “sotterranee” come Del Fuegos, Lone Justice, Del-Lords e Georgia Satellites. Proprio a questi ultimi, un quartetto proveniente da Atlanta, di recente la Cherry Red ha dedicato un cofanettino triplo intitolato Ultimate e contenente i tre album da loro pubblicati negli eighties, tutti arricchiti da una buona dose di bonus tracks https://www.youtube.com/watch?v=FGXlMvmu7jY . Ma andiamo con ordine: nel 1980 il gruppo nasce per iniziativa dei chitarristi Dan Baird e Rick Richards, che una volta arruolati un bassista ed un batterista formano i Satellites, bar band che si esibisce nei locali di Atlanta; dopo aver sostituito un paio di volte la sezione ritmica ed aver aggiunto “Georgia” al nome, i nostri nel 1985 pubblicano un EP che accende l’attenzione degli addetti ai lavori, e con la formazione definitiva che vede Rick Price al basso e Mauro Magellan alla batteria firmano un contratto con la Elektra, entrando in studio con il noto produttore Jeff Glixman (Kansas, Gary Moore, Black Sabbath).

georgia satellites ultimate box

L’omonimo album di esordio del 1986 Georgia Satellites fa il botto e si piazza al quinto posto della classifica di Billboard, aiutato dal singolo Keep Your Hands To Yourself che arriva addirittura al secondo (battuto solo dai Bon Jovi di Livin’ On A Prayer), ed il tutto senza annacquare il loro sound, un roboante rock’n’roll di matrice sudista che definire trascinante è poco, musica al 100% da bar band con ritmo alto, chitarre a manetta ed un feeling formidabile: se vogliamo semplificare, pensate ad un mix di Rolling Stones, Creedence e Ian Hunter con l’aggiunta di un pizzico di Tom Petty. Il successo però dura poco, e già Open All Night del 1988 viene quasi ignorato fermandosi alla posizione numero 77, ma ancora peggio va all’ottimo In The Land Of Salvation And Sin dell’anno seguente, che non entra neppure nella Top 100. A questo punto Baird lascia la band per mettersi in proprio, e Richards assume il bastone del comando rifondando però il gruppo con altri musicisti: in teoria sono insieme ancora oggi, ma in tutto questo tempo sono riusciti a pubblicare solo l’altalenante Shaken Not Stirred nel 1997 (costituito peraltro in buona parte da rifacimenti delle loro canzoni più note), cosa comprensibile dato che il leader del gruppo nonché principale autore era proprio Baird.

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Ultimate ci presenta quindi la “golden age” completa dei Satelliti (con un booklet che include nuove testimonianze da parte di tutti e quattro i membri), ed è una vera goduria scoprire, o riscoprire, un gruppo che avrebbe meritato ben altra sorte e che all’epoca era tra i pochi a proporre un certo tipo di musica.

georgia satellites first

L’omonimo primo album inizia proprio con la già citata Keep Your Hands To Yourself, trascinante rock’n’roll song chitarristica dal tiro irresistibile (che bello quando certe canzoni andavano anche in classifica) https://www.youtube.com/watch?v=PdpAop7gp0w , ma il disco è anche molto altro, come lo scatenato boogie Railroad Steel, la contagiosa Battleship Chains, dal ritmo ancora rock’n’roll ma ritornello da pop song https://www.youtube.com/watch?v=nUXA3KkKIZE , la sudista Red Light, un godimento a base di ritmo e chitarre. Il rock’n’roll domina comunque in lungo e in largo: sentite il riff alla Stones che apre The Myth Of Love (e pure il resto del brano, meglio tra l’altro di ciò che proponevano in quel periodo Jagger e soci), o la travolgente Can’t Stand The Pain, tra le più riuscite e con una slide appiccicosa in sottofondo  , o ancora la splendida ed ariosa rock ballad Golden Light, dalle parti di Petty, l’avvincente Over And Over, molto John Fogerty, Nights Of Mystery, altro rockin’ tune come oggi non si usa più fare, e la cover decisamete ruspante di Every Picture Tells A Story di Rod Stewart  . Come bonus, a parte due diversi remix di Battleship Chains, abbiamo la b-side Hard Luck Boy, rockabilly con slide suonato ai cento all’ora, e cinque strepitosi pezzi dal vivo: The Myth Of Love, Red Light, una infuocata rilettura alla Thorogood di No Money Down di Chuck Berry e Nights Of Mystery suonata in medley con I’m Waiting For The Man dei Velvet Underground https://www.youtube.com/watch?v=T5f8ovhMy-4 .

georgia satellites open all night

Open All Night, ancora prodotto da Glixman e con l’ex Faces Ian McLagan alle tastiere in tre pezzi, non suscita ricordi positivi in Baird, che nelle note interne adatta al secondo album del gruppo il vecchio adagio che recita più o meno:”hai tutta la vita per scrivere il primo disco e solo due mesi per il secondo”. Sinceramente non me la sento di condividere i sentimenti di Baird, dato che siamo di fronte ad un lavoro solo leggermente inferiore al primo ma comunque un signor disco di rock’n’roll fin dalla title track che incrocia Bob Dylan ed i Blasters https://www.youtube.com/watch?v=GdHeXqUxG2w , per continuare con l’irresistibile Sheila che ricorda il miglior Dave Edmunds e con la potente e creedenciana Cool Inside. Ci sono due formidabili cover, la prima del classico di Jerry Lee Lewis Whole Lotta Shakin’ (Goin’ On), una fucilata (con McLagan che fa il Killer) https://www.youtube.com/watch?v=R1G4VmTEK_4 , ed una rilettura decisamente accelerata di Don’t Pass Me By dei Beatles (il primo brano scritto dal solo Ringo Starr), con un approccio alla Jason & The Scorchers https://www.youtube.com/watch?v=5PJ4bQNoZEY . Il rock’n’roll party continua con la coinvolgente My Baby, il country-rock sanguigno di Mon Cheri ed un finale a tutta birra con le robuste Down And Down, Dunk’n’Dine e Baby So Fine e la splendida e calda southern ballad Hand To Mouth. Le tracks aggiuntive presentano tre brani live (due travolgenti Battleship Chains e Railroad Steel ed un altro omaggio a Berry con Let It Rock), un remix di Sheila, un ottimo medley che unisce due classici di Fogerty come Almost Saturday Night e Rockin’ All Over The World https://www.youtube.com/watch?v=BwpE4YuUzmE  e la cover al fulmicotone di Hippy Hippy Shake (hit del 1963 degli Swinging Blue Jeans ma inciso anche dai Beatles per la BBC), uscita nella soundtrack del film Cocktail https://www.youtube.com/watch?v=Rk7F2t1M1y0 .

georgia satellites in the land of salvation and sin

In The Land Of Salvation And Sin è invece il disco preferito da Baird, ed è infatti un altro grande album che a differenza dei due precedenti è stato inciso a Memphis, prodotto da Joe Hardy ed ancora con McLagan in session. Il rock’n’roll la fa sempre da padrone, con brani strepitosi dal ritmo a palla e chitarre al vento come le scatenate I Dunno, Slaughterhouse e Dan Takes Five https://www.youtube.com/watch?v=CPVqSC0bDco , le rollingstoniane Bottle O’Tears https://www.youtube.com/watch?v=CPVqSC0bDco , Six Years Gone (la Tumbling Dice dei Satellites?) e Stellazine Blues, la cadenzata ed orecchiabile Bring Down The Hammer. In questo disco il suono è però più variegato e non mancano intense ballate in odore di rock come l’epica All Over But The Cryin’ (bellissima, uno dei loro brani migliori) https://www.youtube.com/watch?v=BCBvCpx47Sg , Shake That Thing che è una via di mezzo tra la southern music e Bo Diddley, una rutilante cover del classico di Joe South Games People Play in stile boogie con slide https://www.youtube.com/watch?v=3iHYAfRFKOc , il country-blues acustico Another Chance, molto simile a certe cose future dei Black Crowes con la spina staccata, la languida Sweet Blue Midnight, puro romanticismo sudista. E mi fermo qui per non citarle tutte e 14. Le bonus tracks si limitano a tre versioni “edit” di Another Chance, Shake That Thing e All Over But The Cryin’ ed alle due b-sides Saddle Up e That Woman, ancora rock’n’roll gagliardo e potente https://www.youtube.com/watch?v=lKwdwtSiHx4 .

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Ultimate è quindi un triplo CD da avere assolutamente (forse costa anche troppo, circa 35 euro, o giù di lì, non sono poi pochi per un triplo), a dimostrazione che gli anni ottanta non erano solo capelli cotonati, spandex e giacche con le spalline rinforzate.

Marco Verdi

Dopo Un Lungo Silenzio E’ Tornato, Ancora Ad Ottimi Livelli! Chris Knight – Almost Daylight

chris kinght almost daylight

Chris Knight – Almost Daylight – Drifter’s Church/Thirty Tigers CD

Negli ultimi anni si è parlato molto poco, per non dire per nulla, di Chris Knight, cantautore del Kentucky con ormai più di vent’anni di carriera sulle spalle. Nel corso di due decadi Chris non ha inciso moltissimo, appena sei album più due CD di demo registrati prima dell’esordio (i due volumi di Trailer), ma l’essersi potuto prendere le sue pause ed avere pubblicato album solo quando si sentiva pronto ha fatto sì che non ci sia un solo episodio sottotono nella sua discografia. Songwriter classico tra country e rock, Knight è sempre stato una sicurezza in ambito Americana, e lavori come The Jealous Kind, Enough Rope e Heart Of Stone (ma anche il suo debutto Chris Knight del 1998) sono sempre stati considerati tra i migliori nel loro genere nei vari anni di uscita. Con il bellissimo Little Victories del 2012 sembrava che Chris avesse prodotto l’album della maturità e che fosse pronto per il grande salto, ma poi il silenzio improvviso per sette lunghi anni lo aveva fatto un po’ sparire dai radar https://discoclub.myblog.it/2012/09/14/ecco-un-altro-che-non-sbaglia-un-colpo-chris-knight-little-v/ .

Ora però Chris è tornato con Almost Daylight, e se qualcuno poteva pensare ad un artista arrugginito basta sentire le prime due-tre canzoni per accorgersi che non è affatto così. Knight se possibile ci ha consegnato un lavoro anche superiore a Little Victories, un album pieno di brani intensi e profondi e con un suono decisamente rock: in sette anni il mondo è cambiato tantissimo e non certo in meglio, e questo si riflette sia nei testi dei nove brani nuovi inclusi nel CD (più due cover), non certo sprizzanti ottimismo, sia nelle performance taglienti ed inquiete che il nostro rilascia. L’album è prodotto da Ray Kennedy (partner per anni di Steve Earle, e già questo ci fa capire la statura raggiunta da Chris), e vede il leader accompagnato da una band molto compatta guidata dall’ex Georgia Satellites Dan Baird, che con la sua splendida chitarra orienta parecchio il suono verso lidi decisamente rock, e completata dalla nota violinista Tammy Rogers, dall’altro chitarrista nonché polistrumentista Chris Clark, dall’organo di Jim Hoke e dalla granitica sezione ritmica di Lex Price (basso) e Lynn Williams (batteria). I brani originali sono scritti tutti da Knight, da solo o con altri collaboratori (tra cui Baird stesso ed il noto songwriter di Nashville Gary Nicholson), ed il country degli inizi è quasi sparito a favore di un suono potente e vigoroso, come nel brano di apertura I’m William Callahan, pezzo chitarristico con il passo della ballata ma con una tensione elettrica da vero rocker, voce arrochita e sezione ritmica tostissima.

Anche Crooked Mile prosegue sulla stessa linea, una rock ballad solida e vibrante contraddistinta da un’atmosfera drammatica e dall’ottima prestazione di Baird (una costante del disco), che tra riff ed assoli accompagna alla perfezione la voce vissuta del nostro. In I Won’t Look Back il ritmo ed il mood chitarristico si fanno ancora più pressanti, Chris canta in maniera tesa ed il brano scorre via diretto, con il tutto appena stemperato dall’armonica: questo è puro rock, di quello coi controfiocchi. Go On è più acustica, compaiono anche mandolino e fisarmonica, ed il brano si rivela essere un country-rock cadenzato e dal piacevole ritornello, in cui comunque la chitarra di Baird non si tira di certo indietro; The Damn Truth è ancora rock al 100%, altro pezzo elettrico dal motivo fluido e scorrevole, sempre però con una tensione di fondo che contraddistingue tutto il lavoro (ma il refrain è di quelli che lasciano il segno), mentre Send It On Down, che vede la seconda voce di Lee Ann Womack, è uno slow profondamente evocativo con un organo hammond a dare più calore ed il solito splendido intervento di Dan.

La title track è una ballata bellissima e toccante, con una melodia di prima qualità e la voce di Chris finalmente più distesa: tra le più belle del CD; Trouble Up Ahead è un notevole rockin’ country, elettrico e trascinante, dal ritmo sostenuto e con un ottimo interplay tra banjo e chitarra, a differenza di Everybody’s Lonely Now che è un altro lento dalla scrittura ludica e con la consueta performance degna di nota dei musicisti coinvolti. Finale con le due cover alle quali accennavo prima, e se Flesh And Blood di Johnny Cash era già apparsa in Dressed In Black, tributo del 2002 della Dualtone all’Uomo in Nero (non è rifatta, è proprio la stessa take, e non capisco perché sia stata riproposta 17 anni dopo, anche se è un piacere risentirla), Mexican Home, brano del 1973 di John Prine, è nuova di zecca e vede il nostro duettare proprio con John, in una rilettura tosta, potente e decisamente più elettrica dell’originale, quasi bluesata per certi versi. Sono contento che Chris Knight abbia ancora voglia di fare musica e la capacità di farlo con questa qualità: speriamo solo in una pausa più breve prima del prossimo disco.

Marco Verdi