Speriamo Che Abbia Portato Con Sé Il Banjo: Un Ricordo Di Eric Weissberg.

L’altro ieri è scomparso all’età di 80 anni (pare per complicazioni dovute al morbo di Alzheimer che lo affliggeva da anni) Eric Weissberg, un nome che forse al grande pubblico dice poco, ma che divenne celeberrimo nel biennio 1972/73 allorquando incise insieme a Steve Mandell lo strumentale Dueling Banjos per la colonna sonora del film di John Boorman Deliverance (in Italia Un Tranquillo Weekend Di Paura), famoso thriller “boscaiolo” con Burt Reynolds e Jon Voight, in cui una delle scene più famose fu proprio quella del duello banjo-chitarra con il brano in questione, dove però sullo schermo i contendenti erano Ronny Cox (uno dei quattro amici protagonisti) ed un bambino autistico. Fino a quel momento la carriera di Weissberg era simile a quella di molti altri sessionmen: originario di New York, Eric si laureò all’Università della Musica e Arte della Grande Mela ed entrò a far parte brevemente (inizialmente come bassista) dei Greenbriar Boys alla fine degli anni cinquanta, e soprattutto fu un membro dei Tarriers nei primi sixties, gruppo con il quale sviluppò una tecnica sopraffina nel suonare tutti gli strumenti a corda, con una particolare predilezione per il banjo, pubblicando anche un album nel 1963 insieme a Marshall Brickman ed al futuro Byrd Clarence White, New Dimensions In Banjo And Bluegrass. I Tarriers vennero ingaggiati da Judy Collins per un tour in Polonia e Russia e fu allora che Judy, impressionata dall’abilità strumentale di Eric, lo volle anche sul suo Fifth Album dando di fatto il via alla carriera di sessionman del musicista newyorkese.

Eric non era un songwriter ma “solo” un fuoriclasse dello strumento, ed era quindi ben lontano dall’essere considerato un pioniere del genere bluegrass come altri banjoisti famosi (Bill Monroe, Ralph Stanley, Earl Scruggs), e la sua carriera sarebbe quindi continuata come musicista per conto terzi se non fosse stato appunto per il suo coinvolgimento nel film di Boorman. Dueling Banjos andò al secondo posto nella classifica dei singoli sia in USA che in Canada diventando in breve tempo disco d’oro, ed Eric fu abile a capitalizzare il successo (a differenza di Mandell), pubblicando ben due album nel 1973: uno era una mezza truffa, nel senso che si trattava della ristampa del disco del 1963 con due pezzi in meno e con l’aggiunta appunto di Dueling Banjos (che fu anche il titolo dell’LP), l’altro era un nuovo lavoro vero e proprio e ad oggi l’unico “vero” album solista di Weissberg, intitolato Rural Free Delivery ed accreditato ad Eric insieme ai Deliverance (come il film che gli diede la celebrità), band creata per l’occasione e con la quale pubblicherà solo più un singolo nel 1975, una versione del classico Yakety Yak.

(NDM: Dueling Banjos fu anche oggetto di una causa legale da parte di Arthur “Guitar Boogie” Smith, autore del brano Feudin’ Banjos al quale Eric si ispirò per registrare il suo pezzo. La causa fu poi vinta da Smith che ottenne il diritto di inserire il suo nome tra gli autori del brano di Weissberg). Da lì in poi Eric divenne sempre più richiesto come sessionman, ed è famosa la sua partecipazione con tutti i Deliverance sul capolavoro di Bob Dylan Blood On The Tracks (anche se la collaborazione durò solo due giorni in quanto la band non si amalgamò con Dylan, e l’unico brano che venne pubblicato ufficialmente fu Meet Me In The Morning). Negli anni potremo trovare il nome di Weissberg negli album di Tom Paxton (con il quale andò anche in tour), Billy Joel (Piano Man), Richard Thompson, Nanci Griffith, Jim Croce, John Denver, Art Garfunkel, Doc Watson e perfino Frankie Valli ed i Talking Heads; l’ultimo lavoro in cui Eric compare con un brano a suo nome è Banjo Jamboree, una compilation del 1996 con dentro anche Roger McGuinn, Mike Seeger, David Lindley ed altri.

Spero che Weissberg salendo in cielo si sia ricordato di portarsi il banjo: Mandell lo sta aspettando da due anni per ricominciare a duellare.

Marco Verdi

Recensioni Cofanetti Autunno-Inverno 4. Un Album Leggendario…Minuto Per Minuto! Bob Dylan – More Blood, More Tracks – Parte 2: Il Box.

bob dylan more blood more tracks

Ecco quindi la seconda parte del mio post dedicato al quattordicesimo episodio delle Bootleg Series di Bob Dylan, box che riassume le sessions complete di New York (dal 16 al 19 Settembre 1974) e quel poco che è rimasto di quelle di Minneapolis (27 e 30 Dicembre), riguardanti il capolavoro Blood On The Tracks (ebbene sì, un disco di questa portata è stato inciso in appena sei giorni!).

CD1: undici brani con il solo Dylan presente, voce, chitarra ed armonica, come se si trattasse di una serie di demo. Si parte con due versioni della struggente If You See Her, Say Hello (la Girl From The North Country di Sara?), entrambe già splendide seppur diverse nella tonalità vocale, con Bob che canta con un’intensità da brividi; seguono tre takes di You’re A Big Girl Now, tutte estremamente rilassate e con il nostro che sillaba le parole con grande chiarezza (splendida la prima, al punto che alla fine sentiamo Ramone esclamare “Great song!”). Poi abbiamo due prime versioni di Simple Twist Of Fate, già bellissima e superbamente eseguita, e due prove di Up To Me (una delle quali appena accennata), un brano che non verrà messo sul disco originale in favore della musicalmente simile Shelter From The Storm. La chicca del primo CD sono però le due performances che lo chiudono, cioè le uniche due letture incise a New York di Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts, un pezzo da sempre legato alle sessions di Minneapolis con la band, ma che anche in solitaria è di una bellezza radiosa (specie la seconda versione, completa e con un verso in più rispetto a quella nota): una vera sorpresa.

CD2: per certi versi il dischetto più interessante del box, dato che viene documentata la sfortunata session di Bob con i Deliverance, che ci fa intuire come avrebbe potuto essere il disco se solo si fosse accesa la scintilla. Si inizia con tre diverse Simple Twist Of Fate, ed almeno la prima è davvero splendida, una grande ballata vista da una prospettiva inedita, con un delizioso interplay tra chitarre ed organo, ed una sezione ritmica discreta ma impeccabile: tra gli highlights assoluti del box (mentre le due che seguono non hanno la stessa intensità). Poi troviamo due versioni di Call Letter Blues (tra cui quella finita sul primo Bootleg Series) ed una di Meet Me In The Morning (la take finita sul disco originale, ma qui più lunga e con un verso in più), in pratica lo stesso blues con parole diverse, entrambi ispirati da 32-20 Blues di Robert Johnson, ma soprattutto cinque takes consecutive, solo Dylan con Brown al basso, della straordinaria Idiot Wind, uno dei testi più caustici di Bob e forse il brano più bello di queste sessions: sinceramente non saprei quale versione scegliere, il pathos si tocca quasi con mano, pur essendo il nostro più rilassato e meno “arrabbiato” che nella rilettura di Minneapolis. Alla fine del CD abbiamo ben nove takes di You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go, affrontate da Dylan e band con spirito country-rock: ci sono prove, interruzioni e versioni finite, ma la sensazione chiara e lampante è quella di un gruppo che fatica ad adattarsi all’approccio informale del leader, ed infatti saranno le ultime incisioni full band di New York.

CD3: Weissberg ed i suoi se ne sono andati, e questo dischetto vede presenti solo chitarra, basso, piano, organo e talvolta la steel. Fanno qui il loro esordio due dei brani più popolari di Blood On The Tracks, cioè Tangled Up In Blue e Shelter From The Storm, con quattro versioni a testa: la take 1 di Tangled, molto più lenta di quella conosciuta, è bellissima e struggente, quasi una folk ballad, mentre le varie Shelter sono tutte magnifiche (e fra di esse ci sono quella originale e quella finita nel film Jerry MaGuire, ma qui con piano e basso in più). Detto di un paio di prime versioni di Buckets Of Rain, di un ottimo remake di You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go, di una ripresa non troppo convinta di Call Letter Blues e di due eccellenti You’re A Big Girl Now (compresa quella finita su Biograph, meglio a mio giudizio di quella scelta per il disco uscito nel 1975, grazie anche alla languida steel di Cage), la sorpresa del CD è una rilettura del traditional Spanish Is The Loving Tongue per voce, chitarra, basso e pianoforte. Bob doveva amare particolarmente questa canzone, dato che nel periodo dal 1967 al 1975 l’aveva incisa almeno quattro volte: questa è forse la migliore di tutte, ma capisco che c’entrasse poco con il resto del disco e quindi è stata lasciata fuori a ragion veduta.

CD4: qui la parte del leone la fa Buckets Of Rain, con ben dieci tracce su venti totali (di cui quattro con il solo Bob, le uniche takes del 18/9), un brano considerato minore ma comunque diretto e godibile, e con Dylan ottimo anche alla chitarra: le performances migliori sono la seconda da solo, calda ed appassionata, e la quarta con Brown al basso, che poi è quella finita sull’album definitivo. Da segnalare una You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go più lenta ma non meno bella, la If You See Her, Say Hello del test pressing, davvero splendida (tra le più belle del cofanetto), due Meet Me In The Morning molto spontanee e con Bob che suona con piglio da vero bluesman, e cinque diverse Up To Me, una canzone che più la sento e più penso che doveva essere pubblicata. CD5: questo dischetto offre una panoramica abbastanza varia con sei diversi brani, tra cui il “ritorno” di Idiot Wind e Simple Twist Of Fate. Non ci sono molte takes complete, e quelle presenti sono in gran parte già note (la take 4 di Idiot Wind, già sul primo Bootleg Series, è presente due volte, con e senza overdub di organo), ma quella che da sola vale il CD è una Simple Twist Of Fate intima e quasi sussurrata, appena prima di quella definitiva. Ci sono anche due curiosità interessanti: una Tangled Up In Blue interrotta perché Dylan sbaglia le parole e se la prende con sé stesso, e soprattutto un momento in cui sentiamo dalla consolle la voce di Mick Jagger (che era passato a salutare Bob dallo studio attiguo) che consiglia al nostro di suonare Meet Me In The Morning con la slide acustica, ottenendo prima un cortese ma secco rifiuto (“No, I don’t play slide”) e poi fornendo una breve dimostrazione di una tecnica non proprio impeccabile, che costringe Jagger a dare ragione a Dylan.

CD6: il dischetto più breve, solo otto canzoni. Le prime tre sono anche le ultime registrate a New York, ma c’è comunque il tempo per quella che è forse la migliore Tangled Up In Blue di tutte, mentre, come ho già detto, vengono riproposte le cinque takes incise a Minneapolis e finite poi sul disco ufficiale, ma completamente remixate e leggermente rallentate (all’epoca era infatti pratica comune accelerare di poco il nastro), con il risultato di avere un suono più profondo e nitido (cosa evidente in particolare con Idiot Wind). E’ incredibile notare inoltre la differenza di approccio di Bob rispetto ad appena tre mesi prima: se a New York era rilassato, pacato e quasi malinconico, qui il nostro affronta i brani con un piglio fiero ed appassionato, molto simile a quello poi adottato nella tournée con la Rolling Thunder Revue e sull’album Desire. Quindi un altro capitolo delle Bootleg Series imperdibile da parte di Bob Dylan (ma ce ne sono di “perdibili”?), che ci porta veramente all’interno del suo disco più intimo e personale: se Bruno, al momento dell’annuncio su questo blog aveva avuto qualche dubbio, mi sento in tutta serenità di fugarlo.

Marco Verdi