Mentre Il Capo Non C’è Mi Faccio Un Bel Disco Dal Vivo. Nils Lofgren – Weathered

nils lofgren weathered

Nils Lofgren – Weathered Live – 2 CD Cattle Track

In questi tempi nei quali il suo datore di lavoro Bruce Springsteen è stato impegnato con altri progetti, e quindi la E Street Band era in stand-by, Nils Lofgren ha avuto molto più tempo per dedicarsi ai suoi progetti solisti, che peraltro avevano preso l’abbrivio già nel 2014 con la pubblicazione dell’ottimo box retrospettivo Face The Music. In attesa che il grande capo li chiami di nuovo all’opera (e si vociferava che il Boss si stesse disputando l’uso del loro studio di registrazione casalingo, dove la moglie Patti Scialfa sta completando il suo album, per non meglio specificati progetti, leggi nuove canzoni *NDB Tra pochi giorni una realtà con il nuovo album Letter To You), Nils Lofgren ha pubblicato nel 2019 il suo album solo Blue With Lou https://discoclub.myblog.it/2019/05/08/non-un-capolavoro-ma-un-disco-onesto-e-personale-nils-lofgren-blue-with-lou/ , comprendente anche alcuni brani rimasti inediti dalla sua passata collaborazione con Lou Reed.

Ovviamente, visto che non c’era ancora la pandemia, Nils ha pensato bene di portare in tour quell’album e anche molti brani del suo enorme repertorio (oltre trenta album tra studio e live, compresi i Grin) : e per fare questo ha scelto una formidabile band per accompagnarlo, rispolverando dal doppio dal vivo del 1977 Night After Night il fratello Tom Lofgren a tastiere e chitarra, e una sezione ritmica con Kevin McCormick al basso e Andy Newmark alla batteria, già utilizzata nel disco in studio, e molte altre volte in passato, come pure la vocalist aggiunta Cindy Mizelle. Sedici canzoni in tutto, eseguite con foga e classe: Lofgren non hai mai avuto una grande voce, per quanto subito riconoscibile, ma come chitarrista è uno dei migliori su piazza, come mette subito in chiaro la potente Daddy Dream dal disco Wonderland del 1993, la ritmica scandisce il tempo, la Mizelle “aiuta” e sostiene Nils con la sua voce ricca di soul, ma quando il leader inizia a mulinare la sua chitarra in una lunga serie di assoli nei nove minuti del brano, il pubblico presente, pure non molto numeroso pare di capire, non può non apprezzare, fratello Tom aggiunge l’organo e il brano fila liscio come l’olio.

Sempre dallo stesso album (dove apparivano Newmark e McCormick) arriva anche Across The Tracks, tirata e a tutto riff, benché più contenuta come durata, Rock Or Not è una delle canzoni nuove, sempre aggressiva e tirata, più immediata della versione in studio, che lascia poi spazio a Girl In Motion, uno dei brani migliori di Silver Lining del 1991, qui in versione monstre da oltre 14 minuti, con la band che dà il meglio di sé, inclusi Newmark e McCormick che apparivano di nuovo nel disco originale. dove Kevin era anche il co-produttore, con Lofgren che racconta un episodio dell’epoca relativo a Ringo Starr, presente nell’album, ma a quanto mi risulta non in questo pezzo, ma si sa che le nebbie del tempo confondono le idee, e la canzone rimane comunque eccellente, soprattutto in questa versione allungata con grande assolo di Nils. E sempre dallo stesso album molto buona anche una vibrante Walkin’ Nerve, cantata a due voci con la Mizelle, seguita da Too Many Miles, scritta in origine per Bonnie Bramlett, un sinuoso blues, sempre con notevole lavoro della solista, Too Blue To Play, dal nuovo album è una ballata acustica, con i fremiti soul di Big Tears Fall, in origine su Back It Up Live cantati dalla Mizelle.

Don’t Let Your Guard Down e la lunga e improvvisata Give, sono altre due delle collaborazioni con Reed, entrambe più vibranti ed incisive nelle versioni live. Tender Love era una ballata in duetto con la Bramlett, qui sostituita dalla Mizelle, forse un po’ troppo zuccherosa ma non disprezzabile, stesso discorso per Like Rain, vecchio brano anni ‘70, più incisivo, con la Mizelle che sovrasta Lofgren, ma nell’insieme non dispiace, gradevole anche No Mercy, una ballata rock più elettrica e con la chitarra che torna a brillare. Mind Your Own Business è una strana cover di un pezzo country di Hank Williams, cantata con i tre fratelli di Lofgren, non malvagia e con Nils che va di slide, ma non si capisce cosa c’entri con il resto, molto meglio la cover di Papa Was A Rolling Stone dei Temptations, con jam annessa, che poi confluisce nel gran finale di I Came To Dance, uno dei brani migliori in assoluto di Nils Lofgren, oltre dieci minuti di rock (and roll) a tutto tondo, con chitarra fumante e band in grande spolvero, che chiude un album dal vivo più che soddisfacente nell’insieme e che conferma la sua fama di performer.

Bruno Conti

Torna Lo Springsteen Della Domenica: Una “Calda” Serata Autunnale Londinese! Bruce Springsteen – Wembley Arena, November 11, 2006

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Bruce Springsteen – Wembley Arena, November 11, 2006 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Quando si pensa ai concerti dal vivo di Bruce Springsteen il pensiero va ovviamente alle ben note scorribande con la E Street Band, molte delle quali leggendarie, ma indubbiamente uno dei tour in assoluto più coinvolgenti e divertenti del Boss è stato quello del 2006 con la cosiddetta Sessions Band, un combo numerosissimo nato per accompagnare il nostro nello splendido We Shall Overcome: The Seeger Sessions, album composto da brani della tradizione che avevano il comune denominatore di far parte dell’immenso repertorio del grande folksinger Pete Seeger: io stesso avevo visto due show da quel tour, a Milano e Torino, e mi ero divertito come poche altre volte. La serie di uscite mensili degli archivi live di Bruce fino ad oggi non ha dato molto spazio a questa tournée, pubblicando solo il concerto inaugurale a New Orleans (ma nel 2007 era uscito il bellissimo ufficiale Live In Dublin), ora fortunatamente ci regala un’altra performance anche migliore di quella tenutasi nella metropoli della Louisiana, grazie soprattutto all’intesa migliorata nel corso del tour.

Sto parlando dello show svoltosi l’11 novembre alla Wembley Arena di Londra, un doppio CD che ci presenta il Boss ed il suo esteso gruppo (compreso il leader sul palco sono in 17, e manca Patti Scialfa che era a casa a badare ai figli) intrattenere alla grande il pubblico inglese per due ore e mezza. Le canzoni di We Shall Overcome erano già irresistibili in studio, figuriamoci in queste riletture live gioiose, colorate e trascinanti più che mai, in cui la folta band di musicisti e coristi fornisce una perfetta miscela di folk, country, gospel, old time music, bluegrass e dixieland, con chitarre, banjo, mandolino, violino, fisarmonica e fiati che si rincorrono in ogni brano con assoli a ripetizione ed il pubblico che canta come se fossero classici di Bruce e non canzoni con anche più di cento anni sulle spalle. In questo concerto ascoltiamo quindi versioni entusiasmanti di Old Dan Tucker, Jesse James, Jacob’s Ladder, O Mary Don’t You Weep, Erie Canal, My Oklahoma Home e Pay Me My Money Down, ed altre assolutamente toccanti di Mrs. McGrath, Eyes On The Prize e How Can A Poor Man Stand Such Times And Live?

Ovviamente non possono mancare i brani a firma di Springsteen, ed una particolarità di questo tour era che canzoni più o meno note venivano volutamente rese quasi irriconoscibili da arrangiamenti completamente diversi dagli originali, al limite della riscrittura: così l’iniziale Blinded By The Light diventa un travolgente pezzo di ispirazione klezmer, Atlantic City un folk-grass elettrificato dal ritmo nettamente accelerato, Growin’ Up si trasforma in un sorprendente crossover tra country music e Bob Dylan e Open All Night, uno degli highlights della serata, in un torrido boogie-woogie in stile big band che sembra uscire da una revue di Chicago dei primi anni cinquanta, con Bruce che si lavora il pubblico come solo lui sa fare. Ci sono tre brani dall’allora recente Devils And Dust (la title track, Long Time Comin’ e Jesus Was An Only Son), abbastanza simili agli originali ma suonate con una veste più roots, una swingatissima You Can Look (But You Better Not Touch) che prelude ai bis ed un’anteprima mondiale di Long Walk Home (che uscirà l’anno dopo in Magic), eseguita acustica e rallentata, quasi una sorta di work in progress (con Bruce che la introduce riferendosi ad un concerto di Lucinda Williams al quale aveva assistito la sera prima, nel quale la rockeuse aveva suonato diversi pezzi inediti).

Il finale della serata è introdotto da una versione lenta e decisamente toccante del traditional When The Saints Go Marching In, seguita da una spiritata rilettura del gospel This Little Light Of Mine, dalla contagiosa giga rock American Land (che all’epoca era ancora inedita), per concludere con la filastrocca folk Froggie Went A-Courtin’, uno dei pezzi delle Seeger Sessions suonati più raramente. Concerto quindi divertentissimo, caldo e coinvolgente, e sono sicuro che il livello si manterrà tale anche nella prossima uscita, che documenterà lo Springsteen bombastico del tour di Born In The U.S.A.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Una Delle Migliori Serate Del “Reunion Tour”. Bruce Springsteen & The E Street Band – Philadelphia 1999

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Bruce Springsteen & The E Street Band – First Union Center, Philadelphia September 25, 1999 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Dopo essersi meritatamente conquistato la reputazione di formidabile performer dal vivo, Bruce Springsteen aveva deciso alla fine del tour del 1988 di sciogliere l’amata E Street Band, prendendosi una lunga pausa e gettando i fans nello sconforto. Era tornato nel 1992 con i due discussi album Human Touch e Lucky Town, e soprattutto per supportarli aveva deciso di usare un gruppo eterogeneo di musicisti che nulla aveva a che fare con il suo passato (a parte Roy Bittan), con il risultato di offrire prestazioni ben lontane da quelle leggendarie insieme ai suoi vecchi compagni. Il Greatest Hits uscito a inizio 1995, con gli E Streeters riuniti per i quattro brani nuovi, aveva ridato qualche speranza ai fans, ma il suo album successivo pubblicato alla fine dello stesso anno, The Ghost Of Tom Joad, vedeva di nuovo musicisti estranei al suo gruppo storico, e addirittura il Boss decise di promoverlo con una tournée acustica in completa solitudine.

Ci si cominciava dunque a chiedere se Bruce avesse ancora voglia (o fosse ancora in grado) di imbarcarsi in lunghi tour da rocker come una volta e con il gruppo “giusto”, e la risposta a queste domande arrivò nel 1999 quando finalmente il Boss riunì i suoi ex compagni (mettendo insieme per la prima volta sia Little Steven che il suo sostituto negli anni ottanta Nils Lofgren) per intraprendere una tournée di due anni che iniziò in Europa per proseguire tra fine anno e tutto il 2000 negli Stati Uniti, durante la quale il nostro dimostrò che i dubbi sulla sua capacità di entusiasmare ancora le folle erano assolutamente malriposti. Il live di cui mi occupo oggi, registrato il 25 settembre del 1999 a Philadelphia (l’ultimo di sei consecutivi al First Union Center), è considerato a ragione uno dei concerti migliori del periodo, con Springsteen in forma strepitosa sia dal punto di vista vocale che da quello della resa sul palco, e con la band in tiro come non si sentiva dal tour di Born In The U.S.A. Che la serata è di quelle giuste lo si capisce fin dal brano d’apertura, una formidabile, potente ed ispirata versione di Incident On The 57th Street, una canzone “antica” che Bruce non suonava dal vivo addirittura dal 1980 (ed anche all’epoca fu eseguita una sola volta in tutto il The River Tour), un pezzo che manda subito i fans in visibilio.

Non avendo un disco nuovo da promuovere i nostri spaziano poi tra i classici del songbook springsteeniano, con riletture da manuale di brani del calibro di The Ties That Bind (grande versione di una delle canzoni più coinvolgenti del Boss), Prove It All Night, Two Hearts, Atlantic City rigorosamente elettrica (da non perdere il boato del pubblico, vista la location, nel sentire i primi versi “They blew up the chicken man in Philly last night”), Badlands, Out In The Street, una Tenth Avenue Freeze-Out di ben 19 minuti nella quale Bruce assume il ruolo di predicatore rock, una Sherry Darling più gioiosa che mai; particolarmente belle e toccanti due rese della splendida Factory in versione molto più country che su disco (e se non vi commuovete all’ascolto, per dirla con Gigi Buffon, avete un bidone dell’immondizia al posto del cuore https://www.youtube.com/watch?v=GKiQ8QkF1dQ ) e della drammatica Point Blank. Sono presenti anche pezzi all’epoca recenti come l’elettrica e coinvolgente Murder Incorporated, una Youngstown trasformata in un selvaggio rock-blues e, visto il luogo del concerto, una bella resa della struggente Streets Of Philadelphia, che nei tour seguenti verrà ripresa pochissime volte; la prima parte della serata si conclude come era iniziata, e cioè con una monumentale rivisitazione di un pezzo appartenente agli esordi del Boss, nella fattispecie l’epica New York City Serenade.

Dopo la potentissima Light Of Day (che non ho mai amato più di tanto) e la sempre splendida Jungleland, lo show, finora da cinque stelle, cala un po’ nei bis. Intendiamoci, il gruppo è in serata di grazia e renderebbe imperdibile anche un brano di Tiziano Ferro, ma è la scelta delle canzoni che forse lascia in bocca un sapore un po’ di incompletezza: se Born To Run e Thunder Road è normale che ci siano, e la versione corale di If I Should Fall Behind è tipica di questo tour, forse il finale con l’allora nuova Land Of Hope And Dreams (non una grande canzone, ed anche troppo lunga) ed una seppur pimpante Raise Your Hand di Eddie Floyd https://www.youtube.com/watch?v=ZhIcXjmMLnU  (che da lì ad una decina d’anni verrà “retrocessa” a base strumentale quando Bruce a metà concerto scenderà tra il pubblico a raccogliere i cartelli con le richieste) manca dell’esplosività tipica di altri spettacoli del nostro, quando sarebbe bastato un bel Detroit Medley per portare anche il terzo CD al livello dei primi due.

Ma sono (forse) quisquilie da fan: lo show è per almeno due terzi imperdibile, ed è una più che adeguata aggiunta ad una serie di pubblicazioni che spero vada avanti ancora a lungo.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Boss In Tono Minore, Più Folksinger Che Rocker. Bruce Springsteen – Stockholm 2005

bruce springsteen stockholm 2005

*NDB Causa problemi tecnici di connessione, ovviamente non dipendenti dalla mia volontà, ma generalizzati nella zona di Milano, da cui opero con il Blog, per un paio di giorni non è stato possibile inserire aggiornamenti con nuovi Post. In extremis, visto il titolo, aggiorno con questo nuovo articolo scritto da Marco, sulla serie dei concerti ufficiali del Boss. Poi da domani, sperando che il problema sia risolto in modo definitivo, provvederò a recuperare i Post mancanti. Per il momento buona lettura, e scusate il titardo.

Bruce Springsteen – Stockholm 2005 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 2CD – Download

Sono pronto a scommettere che se doveste chiedere a cento fans di Bruce Springsteen quale tournée tra quelle intreprese dal loro idolo sia la preferita, nessuno sceglierà i due tour acustici rispettivamente del 1995-1997 e del 2005: questo non perché in quelle due serie di spettacoli in solitaria il Boss abbia deluso, ma non si può ignorare che la fama di più grande intrattenitore dal vivo al mondo il nostro se la sia fatta come rocker a capo della E Street Band. Io stesso, che ho visto Bruce una decina di volte, pur avendone la possibilità non ho mai preso i biglietti per i due tour di cui sopra, in quanto a mio parere anche per un fuoriclasse come lui è dura mantenere desta l’attenzione per due ore e mezza da solo sul palco. Questo cappello serve per introdurre la penultima uscita della serie live tratta dagli archivi del Boss, che documenta appunto una serata presa dalla tournée del 2005 seguita alla pubblicazione dell’album Devils And Dust, e per l’esattezza uno show del 25 giugno all’Hovet, un impianto polisportivo che sorge a Stoccolma (comincio a pensare che tra i curatori di questa serie ci sia qualche scandinavo, dato che è la quinta uscita a riguardare un concerto tenuto nella penisola nordica, tre in Svezia e due in Finlandia).

Bruce come ho già detto in altre occasioni si presenta da solo (c’è però una tastiera “off-stage”, suonata da Alan Fitzgerald), ma a differenza del tour di The Ghost Of Tom Joad in cui si limitava a strimpellare la chitarra acustica ed a soffiare nell’armonica, qui si cimenta con chitarre sia acustiche che elettriche, ovviamente ancora armonica, ukulele, piano ed organo a pompa. Il pubblico svedese è caldo e partecipe, ed il Boss si presenta in buona forma anche se, come ho già accennato, lo Springsteen rocker è tutt’altra cosa rispetto alla versione folksinger: la classe però è la stessa e lo show è comunque godibile anche se qualche momento meno riuscito c’è, soprattutto a causa della decisione del nostro di stravolgere l’arrangiamento di alcuni pezzi con risultati alterni. I brani di Devils And Dust la fanno prevedibilmente da padroni, con ben otto selezioni (ed un cenno speciale lo meritano Long Time Comin’, Black Cowboys, Jesus Was An Only Son e Matamoros Banks), mentre stranamente da Tom Joad viene suonata solo la peraltro bellissima Across The River e da Nebraska (che poi è l’unico album di studio di Bruce veramente acustico) una Reason To Believe solo per armonica e voce filtrata, uno stravolgimento che reputo poco riuscito e difficilmente digeribile.

Ci sono altri arrangiamenti particolari, come l’opening track Downbound Train molto rallentata per voce ed organo, una The River pianistica (non male) ed una Point Blank in cui il Boss si accompagna al piano elettrico togliendole un pizzico di pathos; per contro, la My Hometown eseguita anch’essa al piano (acustico) è forse addirittura meglio di quella “lavorata” di Born In The U.S.A. Non mancano le rarità in scaletta, sia rispetto alle setlist abituali di questo tour (la discreta Empty Sky e la sempre stupenda Lucky Town) che in assoluto, come la b-side Part Man, Part Monkey e la pochissimo eseguita Walk Like A Man (tratta da Tunnel Of Love). E poi, visto che siamo pur sempre parlando di un concerto di Springsteen, ci sono anche diversi “magic moments” come la pianistica e toccante The Promise, un’intensa The Rising, convincente anche in questa veste spoglia, e la folkeggiante This Hard Land. La parte finale dello show inizia benissimo, con una coinvolgente Ramrod arrangiata quasi cajun, un’ottima Bobby Jean molto folk ed una pimpante ed energica Blinded By The Light, ma poi a mio parere si sgonfia negli ultimi due brani (cosa inaudita per un live del Boss, che è abituato a dare il meglio proprio nei bis), cioè una The Promised Land rallentatissima ed irriconoscibile (e francamente noiosa) ed una rilettura per voce ed organo di Dream Baby Dream dei Suicide, ripetitiva e troppo lunga.

Gli estimatori dello Springsteen elettrico (cioè tutti) si potranno ampiamente rifare con la prossima uscita, che documenterà una delle serate considerate migliori del famoso Reunion Tour del 1999 con la E Street Band.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: L’Aria Di Casa Fa Sempre Bene! Bruce Springsteen & The E Street Band – Brendan Byrne Arena 1981

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Brendan Byrne Arena 1981 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Mi rendo conto che non è facile avere a che fare ogni mese con un album dal vivo di Bruce Springsteen e dover trovare nuovi aggettivi per descriverlo, dato che stiamo parlando del miglior performer di musica rock sulla faccia della terra e poi perché chi cura i suoi archivi live cerca sempre di scegliere per il meglio. A fianco quindi di concerti universalmente riconosciuti storici come Roxy 1975 oppure Agora Ballroom e Passaic 1978 spesso vediamo spuntare serate magari non così famose ma ugualmente spettacolari: è il caso per esempio della penultima uscita, Gothenburg 2012, show al quale nella recensione avevo attribuito un ipotetico punteggio di cinque stelle. Ebbene, a conferma che tutto è relativo, se al concerto in terra svedese di otto anni fa ho dato il massimo, per la performance di cui mi accingo a scrivere di stelle dovrei darne sei o sette.

Stiamo parlando infatti di una serata della tournée di The River del 1981 (il 9 luglio) alla Brendan Byrne Arena di East Rutherford in New Jersey, quindi il miglior tour di sempre del Boss (*NDB Confermo, io ero presente alla data all’Hallenstadion di Zurigo dell’11 aprile) assieme a quello del 1978, in una location “casalinga” nella quale il nostro è sempre stato portato a dare qualcosa di più. Il concerto, poco meno di tre ore, è quanto di più vicino ci sia alla perfezione, con il nostro e la sua E Street Band che riescono a mantenere la performance su livelli di assoluta eccellenza dalla prima all’ultima canzone ed una scaletta decisamente spostata sul lato rock’n’roll, anche se quando è il turno delle ballate i brividi e la pelle d’oca si sprecano. Già l’inizio, con una delle migliori Thunder Road mai sentite, è commovente (ci si può commuovere fin dalla prima canzone? In un concerto di Springsteen sì), ma poi abbiamo un uno-due al fulmicotone con Prove It All Night (grande assolo di chitarra) e The Ties That Bind, seguite dalla sempre splendida Darkness On The Edge Of Town. Dopo una versione quasi a cappella di Follow That Dream di Elvis ed una struggente Independence Day con tanto di dedica da parte di Bruce a suo padre, abbiamo due scintillanti Two Hearts e The Promised Land seguite da una folkeggiante e lenta ripresa dell’inno americano non ufficiale This Land Is Your Land, preceduto da un’invettiva del nostro verso un idiota del pubblico che ha fatto scoppiare un petardo (“Se lo individuate, buttatelo fuori a calci”) e dal capolavoro The River.

Dopo una maestosa Trapped di Jimmy Cliff ecco il momento più rock’n’roll della serata, con una sequenza da lasciare senza fiato che vede una dopo l’altra Out In The Street, Badlands, You Can Look (But You Better Not Touch), Cadillac Ranch e Sherry Darling. Dopo il consueto singalong di Hungry Heart Bruce dà il colpo di grazia al pubblico, invitando sul palco Gary U.S. Bonds e cantando con lui la travolgente Jole Blon e lasciandogli il microfono per una scoppiettante This Little Girl (brano scritto dal Boss). Ancora due toccanti ballate (l’inedita Johnny Bye-Bye e Racing In The Street) subito doppiate da due esplosive riletture di Ramrod e Rosalita; i bis, oltre ad una immancabile Born To Run, ci regalano due favolose versioni di Jersey Girl di Tom Waits (che il nostro non manca mai di eseguire quando si esibisce nel suo stato di nascita) e di Jungleland, che vede la solita prestazione strepitosa di Roy Bittan. Il finale, con un eccezionale Detroit Medley di un quarto d’ora, riesce a stendere i pochi spettatori ancora in piedi.

Altro concerto imperdibile quindi (cominciano ad essere tanti): il prossimo episodio dovrebbe farci tirare un po’ il fiato, in quanto vedrà Bruce sul palco come protagonista solitario in una serata svedese del 2005.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Senza Tanti Giri Di Parole, Uno Dei Migliori Live Della Serie! Bruce Springsteen & The E Street Band – Gothenburg July 28, 2012

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Gothenburg July 28, 2012 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Quando si pensa ai concerti che hanno fatto la storia del rock la mente va subito agli anni settanta, che è stata indubbiamente la decade dei grandi dischi dal vivo: quando poi nello specifico si pensa a Bruce Springsteen (cioè uno dei migliori performers di sempre), gli anni “magici” sconfinano anche negli eighties, in quanto oltre ai leggendari show del 1978 bisogna mettere sullo stesso piano anche quelli del biennio 1980-81 e qualcosa anche dal tour di Born In The U.S.A. (come Los Angeles 1984, già pubblicato nella serie mensile dei live del Boss, o San Siro 1985). Ma chi ha detto che anche ai nostri giorni non si possa scrivere la storia delle performance dal vivo? Una dimostrazione in tal senso è sicuramente la penultima uscita degli archivi live di Bruce, che documenta il concerto che il nostro e la sua E Street Band hanno tenuto il 28 luglio 2012 all’Ullevi Stadium di Goteborg (o Gothenburg, per dirla all’inglese), uno show che i fans hanno sempre considerato come uno degli spettacoli migliori del tour europeo in supporto all’album Wrecking Ball ed in generale di tutta la decade, impressione confermata anche da Little Steven in persona che l’ha giudicata “una serata da ricordare”.

E dopo aver ascoltato questo triplo CD non posso che confermare: il nostro è in una forma semplicemente spettacolosa, e guida alla grandissima il suo gruppo storico (potenziato da quattro coristi ed altrettanti fiati, ma senza Patti Scialfa) in tre ore e quaranta minuti di rock’n’roll come se non ci fosse un domani, dove anche le ballate sono suonate con un impeto ed una potenza da lasciare a bocca aperta; tra l’altro, quel 28 luglio a Goteborg pioveva in maniera insistente, e sappiamo che il Boss in queste occasioni è spronato a dare quel 20% in più in aggiunta all’abituale 100%, come per ringraziare la folla che si prende tutta l’acqua a causa sua. Solitamente anche nei migliori concerti del nostro la fase iniziale è di riscaldamento, ma qui si parte subito a bomba con una splendida versione del classico dei Creedence Clearwater Revival Who’ll Stop The Rain, subito seguita da quattro dei brani più trascinanti, due a testa, presi da The River (The Ties That Bind, praticamente perfetta, e Out In The Street) e da Born In The U.S.A. (Downbound Train ed una delle più belle I’m Goin’ Down mai sentite); perfino la ritmata My Lucky Day, canzone “normale” tratta da Working On A Dream, qui sembra un grande brano.

Bruce poi regala ai fans una meravigliosa Lost In The Flood, rilettura di un’intensità da pelle d’oca, per poi suonare i primi tre pezzi provenienti da Wrecking Ball, cioè una potente We Take Care Of Our Own, non uno dei brani migliori del Boss ma dotata di un riff trascinante, una vigorosa title track (con un crescendo splendido), e l’appassionante folk-rock di stampo irlandese Death To My Hometown. Chiudono il primo CD il bellissimo R&B/soul di My City Of Ruins, uno dei brani migliori di Springsteen negli anni duemila, ed un salto nel passato con una mossa e rockeggiante ripresa di It’s Hard To Be A Saint In The City. Il secondo dischetto alterna magnifiche versioni di classici del passato (The River, Because The Night, Hungry Heart, una Backstreets fantastica, Badlands) ad altre di brani più recenti (Lonesome Day, Waitin’ On A Sunny Day, il travolgente gospel-rock Shackled And Drawn, Land Of Hope And Dreams), con in più un paio di chicche prese dal cofanetto di inediti del 1998 Tracks, e cioè l’ariosa ballata Frankie e la godibile rock’n’roll song Where The Bands Are.

Come bis, a parte i brani che ad un concerto del Boss non mancano quasi mai (Thunder Road, Born To Run, Dancing In The Dark e Tenth Avenue Freeze-Out, quest’ultima con una lunga pausa commemorativa per Clarence Clemons, che all’epoca era scomparso da solo un anno), abbiamo una rigorosa ma sempre coinvolgente Born In The U.S.A., la divertente Ramrod ed un finale splendido, durante il quale Bruce prima commuove il pubblico con una maestosa Jungleland dedicata proprio a Clarence, e poi lo stende definitivamente con una irresistibile e potentissima Twist And Shout di dodici minuti. Uno show da cinque stelle quindi, ed anche il prossimo episodio non dovrebbe essere da meno, in quanto relativo ad un concerto in New Jersey (quindi a casa del Boss) tratto dalla mitica tournée di The River del 1981.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica Anche In Tempi Di Coronavirus: Una Serata Di “Ordinaria Amministrazione”, Ma Con Un Finale Da Paura! Bruce Springsteen & The E Street Band – Detroit 1988

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Joe Louis Arena, Detroit 1988 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Di tutte le tournée intraprese da Bruce Springsteen nella sua carriera, quella del 1988 è sempre stata una di quelle che mi ha convinto di meno, e forse la meno brillante di tutte quelle con la E Street Band, non solo per il grande spazio dato all’allora nuovo album Tunnel Of Love (un disco con il quale ho sempre avuto un rapporto complesso fin dai tempi della sua uscita), ma anche per certe performance un po’ con il freno a mano tirato. Intendiamoci, stiamo parlando di Springsteen, uno che ha completamente ridefinito gli standard delle esibizioni dal vivo, e quindi ogni giudizio va rapportato a quello che lui e la sua band “storica” hanno negli anni dimostrato di saper fare su un palco. La penultima uscita della serie di album dal vivo tratti dagli archivi del Boss si rivolge proprio a questo tour (per la quarta volta) con uno dei suoi primi show, registrato il 28 marzo 1988 alla Joe Louis Arena di Detroit: un buon concerto, godibile e con i nostri in ottima forma, che pur non essendo al livello di altri spettacoli usciti in questa serie non farà rimpiangere i soldi spesi per l’acquisto (download o “fisico” che sia), soprattutto per una parte finale nella quale per un attimo ricompare il Bruce da leggenda degli anni settanta.

Ma andiamo con ordine: il fatto che siamo agli inizi del tour lo si capisce anche dalla scaletta, che nella parte di concerto prima dei bis (i primi due CD) dà grande spazio all’ultimo album del momento ma anche al precedente Born In The U.S.A., eliminando addirittura dalla setlist canzoni che solitamente non mancano mai ad un concerto del Boss, come Badlands, Thunder Road, Darkness On The Edge Of Town e The Promised Land. I pezzi tratti da Tunnel Of Love sono ben nove: si parte proprio con la title track (mai stata una grande canzone, e poi c’è troppo synth), per poi dare spazio ad una serie di ballate di buon livello medio, soprattutto la sixties-oriented All That Heaven Will Allow e la semi-acustica Two Faces, ed anche la poco conosciuta (ed anche poco suonata durante il tour) Walk Like A Man non è male con il suo leggero sapore blue-eyed soul, mentre One Step Up non l’ho mai gradita molto. La quota rock’n’roll è riservata a Spare Parts, brano “cattivo” e piuttosto coinvolgente nonostante il nostro abbia scritto di meglio; capitolo a parte per i due episodi migliori di Tunnel Of Love, cioè l’orecchiabile pop song Brilliant Disguise (che negli anni è cresciuta molto nella mia considerazione) e soprattutto la straordinaria Tougher Than The Rest, una delle ballate più belle del Boss, ancora più emozionante dal vivo che in studio.

Sempre nella prima parte da Born In The U.S.A. abbiamo la title track, Cover Me e le “poppeggianti” I’m On Fire e Dancing In The Dark, mentre il periodo “classico” si limita a soli tre brani: una notevole e deflagrante Adam Raised A Cain, una corretta She’s The One e la trascinante You Can Look (But You Better Not Touch) simile alla prima versione all’epoca inedita, più rock’n’roll e migliore di quella finita su The River. Nei concerti di quel periodo venivano suonati anche diversi brani rari, ed anche a Detroit ne possiamo ascoltare più d’uno: Seeds era abbastanza facile da sentire negli show degli anni ottanta del Boss, a differenza della coinvolgente Roulette che era molto meno frequente, mentre le seppur potenti War (cover di Edwin Starr) e Light Of Day non hanno mai incontrato i miei favori (e c’è anche la godibile I’m A Coward, un inedito pezzo dal sapore errebi con i fiati guidati da Richie “La Bamba” Rosenberg in evidenza). Poi ci sono due canzoni uscite al tempo come lati B, e se la scintillante Be True può essere comparata ai classici del nostro, il reggae di Part Man, Part Monkey è indiscutibilmente un brano minore. I bis iniziano con una Born To Run acustica come si poteva ascoltare solo in quel tour, e proseguono con un paio di “crowd pleasers” (Hungry Heart e Glory Days) e con una sorprendente ed inattesa versione di Love Me Tender di Elvis, discreta ma non imperdibile.

Dopo un omaggio al passato con Rosalita ecco però che il Boss si trasfigura letteralmente e per un quarto d’ora torna ad essere quello leggendario dei seventies, con un formidabile e travolgente Detroit Medley (non poteva mancare vista la location) in una delle versioni migliori mai sentite, quindici minuti di performance assolutamente incendiaria che vince a mani basse il premio di highlight della serata: avrei voluto durasse mezz’ora. Finale con una colorata e festosa Raise Your Hand di Eddie Floyd e, come bonus, una Reason To Believe presa dal soundcheck in una inedita rilettura elettrica full band che in scaletta avrebbe funzionato alla grande (e che non verrà invece mai suonata durante tutto il tour). Arrivederci al prossimo episodio, che vedrà un Boss “europeo” esibirsi in terra svedese in uno show del 2012.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Una Serata “Normale” Per Il Boss…Quindi Eccellente! Bruce Springsteen & The E Street Band – Nassau Coliseum 05.04.09

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Nassau Coliseum 05.04.09 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Spesso le pubblicazioni dei concerti del passato tratti dagli archivi di Bruce Springsteen (che sono da tempo diventati una piacevole abitudine mensile) si sono occupate di serate storiche: penso soprattutto a certi show degli anni settanta come quelli all’Agora Ballroom di Cleveland o al Capitol Theatre di Passaic, ma anche degli eighties come il fantastico live del 1985 a Los Angeles, fino al nuovo millennio con gli ultimi spettacoli con Danny Federici e Clarence Clemons all’interno della E Street Band prima che lasciassero questa valle di lacrime. La penultima uscita prende invece in esame una serata “normale”, nel senso che non presenta particolari connotati storici, e cioè lo show del quattro maggio 2009 al Nassau Coliseum, che non è alle Bahamas ma a Uniondale nello stato di New York (già teatro di due concerti ben più leggendari a fine dicembre 1980, entrambi documentati in uscite precedenti) nell’ambito del tour seguito all’album Working On A Dream, invero uno dei dischi più deboli del Boss.

Il nostro forse all’epoca si era reso conto che il livello di quel lavoro era sotto i suoi standard abituali (avrebbe fatto anche peggio anni dopo con High Hopes), e non insisteva più di tanto a riprenderne i brani nella setlist, e quindi gli show erano una sorta di retrospettiva sulla sua carriera. Ed il tour (che va ricordato è l’ultimo con Clemons) vide alcune performance davvero eccellenti da parte del Boss e dei suoi compagni, dato che anche una serata normale per loro è inarrivabile per il 90% degli acts mondiali: io ho visto Bruce dal vivo dieci volte nella mia vita, ma lo show allo Stadio Olimpico di Torino il 21 luglio di quell’anno lo ricorderò sempre come uno dei più belli, a partire dal saluto iniziale del Boss in dialetto piemontese…Anche la prestazione dei nostri in questo triplo CD (o download se preferite) è davvero notevole, a partire dall’avvio subito trascinante con le splendide Badlands e No Surrender, seguite da due estratti da Working On A Dream (inframezzati da una solida She’s The One), cioè l’epica cavalcata di Outlaw Pete, un brano che dal vivo funziona alla grande (e che risentito oggi sembra una anticipazione dello stile di Western Stars), e la title track che invece giudico una canzonetta piuttosto debole. Dopo un uno-due a tutto rock’n’roll con la rara Seeds ed una travolgente Johnny 99 è la volta della magnifica The Ghost Of Tom Joad, sempre una grande canzone anche in questa veste elettrica con Nils Lofgren protagonista alla chitarra; si prosegue con le richieste, il momento in cui Bruce raccoglie i cartelli fra il pubblico mentre il gruppo suona Raise Your Hand.

In quella serata abbiamo una chicca assoluta, cioè l’unica volta in cui i nostri hanno suonato Expressway To Your Heart, un errebi che è stato una hit minore per i Soul Survivors nei sixties (scelta che dimostra la preparazione infinita dei nostri), seguito dalla cristallina For You e dall’irresistibile Rendezvous, per chiudere il mini-set delle richieste con la splendida Night. La seconda parte dello show alterna classici del passato (The Promised Land, Born To Run) con altri più recenti, veri crowd-pleasers come Waitin’ On A Sunny Day, Lonesome Day e le trascinanti The Rising e Radio Nowhere; in mezzo, la migliore canzone di Working On A Dream (The Wrestler, una ballata da brividi) seguita da Kingdom Of Days, discreta ma nulla più. I bis inizano con un altro highlight, una stupenda versione full band elettrica del noto traditional Hard Times (Come Again No More) subito doppiato dall’eccezionale Jungleland, uno dei pezzi che senza Roy Bittan non avrebbe senso suonare. Dopo Land Of Hope And Dreams (che non ho mai amato molto), finale da “tutti in piedi” con una delle migliori American Land mai sentite e due classici come Dancing In The Dark e Rosalita.

Alla prossima uscita, che per la quarta volta da quando è iniziata questa serie si occuperà di un concerto del tour di Tunnel Of Love.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Un Doppio Boss, “Californiano” E Pre-Natalizio, Spettacolare! Bruce Springsteen & The E Street Band – Winterland 1978, December 15 & 16

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Winterland 12/15/78 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Bruce Springsteen & The E Street Band – Winterland 12/16/78 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Nel mese di gennaio da poco trascorso è mancata la solita uscita mensile dagli archivi live di Bruce Springsteen (pare per problemi tecnici), ma la media è stata comunque rispettata in quanto appena prima di Natale sono stati pubblicati ben due live in contemporanea, e non certo due serate qualsiasi. Ormai si sa che la tournée del 1978 è stata una delle più celebrate del Boss, con almeno due concerti che sono entrati di diritto tra le migliori esibizioni di sempre in assoluto e di chiunque (Agora Ballroom a Cleveland e Capitol Theatre a Passaic, entrambe già pubblicate in questa serie), ma lo show del 15 dicembre al Winterland di San Francisco se non è allo stesso livello di leggenda poco ci manca. Uno spettacolo straordinario e più volte “bootlegato”, che vede il Boss e la sua E Street Band rivoltare come un calzino l’ex palazzetto di pattinaggio sul ghiaccio riconvertito dal mitico impresario Bill Graham a luogo per concerti, e che negli anni ha visto esibirsi al suo interno la crema della musica mondiale e la pubblicazione di famosi album dal vivo in esso registrati, totalmente o in parte (Wheels Of Fire dei Cream, Live At Winterland sia di Jimi Hendrix che di Janis Joplin, vari live dei Grateful Dead, Frampton Comes Alive, On Stage di Loggins & Messina, fino al farewell show di The Band The Last Waltz).

La serata del 16 invece è molto meno famosa se non nell’ambito degli springsteeniani più ferventi, ma conoscendo un po’ il Boss è facile immaginare che il livello della performance non sia affatto inferiore: anzi, molto spesso il nostro quando ha due concerti di fila nella stessa location dà il meglio nella seconda serata. Non so se questo sia il caso anche degli show del Winterland, ma quello che posso dire è che, dopo averli ascoltati uno dopo l’altro, non è che abbia trovato chissà quali differenze a favore della serata del 15 (anzi, se proprio devo essere sincero il secondo concerto ha un inizio perfino più coinvolgente). Il primo dei due spettacoli inizia subito in maniera roboante con la prima parte, nella quale su dieci brani ben sette provengono da Darkness On The Edge Of Town (cioè quello che all’epoca era il nuovo album del Boss), con superbe versioni di Badlands (che apre alla grande lo show), Streets Of Fire, la title track, toccanti riletture di Factory e Racing In The Street e forse la migliore Prove It All Night mai sentita, con una lunga e strepitosa introduzione strumentale tipica di quel periodo.

Troviamo poi la sempre sanguigna Spirit In The Night, un’emozionante Thunder Road (non ancora nei bis) ed una straordinaria Jungleland, che vede la solita monumentale prestazione pianistica di Roy Bittan. La seconda parte offre diverse chicche, come la gioiosa Santa Claus Is Coming To Town (che Bruce suona ancora oggi nei concerti pre-natalizi), due anteprime da The River come una The Ties That Bind leggermente diversa da come diventerà ma comunque splendida ed una drammatica ed intensissima Point Blank; non sono da meno la sempre trascinante Because The Night, l’inedita (ma già amatissima dal pubblico) The Fever, raffinata e suonata con grande classe, ed un medley in cui la Mona di Bo Diddley e la She’s The One del Boss sono collegate dalla rarissima Preacher’s Daughter, una outtake di Darkness a tutt’oggi ancora “unreleased” (non un brano imperdibile comunque). Nella parte finale, oltre alle immancabili Rosalita, Born To Run e Tenth Avenue Freeze-Out, abbiamo una Backstreets da urlo, nuovamente con “Professor” Bittan sugli scudi, ed il solito irresistibile Detroit Medley; finale tra rock’n’roll ed errebi con due impetuose versioni di Raise Your Hand di Eddie Floyd e Quarter To Three di Gary U.S. Bonds.

La serata del 16 ha una scaletta abbastanza simile alla precedente, ma vede in apertura una scatenata cover di Good Rockin’ Tonight (Elvis) e, subito dopo Badlands, l’inedita e travolgente Rendezvous; ancora due pezzi in anteprima da The River, e se Point Blank rimane in setlist The Ties That Bind è rimpiazzata da una struggente e bellissima Independence Day. Il resto è praticamente uguale, anche se dai bis rispetto alla sera prima manca Raise Your Hand (ma il Detroit Medley del 16 è forse ancora più trascinante): l’unica differenza, e non da poco, è una fluida e lucida rilettura di It’s Hard To Be A Saint In The City, decisamente trasformata rispetto alla versione originale. Appuntamento alla prossima uscita, che prenderà in esame un concerto molto interessante e con una scaletta piena di sorprese, anche se proveniente da uno dei tour meno considerati del nostro: quello di Working On A Dream.

Marco Verdi

Lo Springsteen Della Domenica: Tutti Insieme Di Nuovo Nel Nome Del Rock’n’Roll! Bruce Springsteen & The E Street Band – Los Angeles 1999

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Bruce Springsteen & The E Street Band – Los Angeles, October 23 1999 – live.brucespringsteen.net/nugs.net 3CD – Download

Uno degli eventi dal vivo più importante degli anni novanta è stato senza dubbio il Reunion Tour del 1999/2000 di Bruce Springsteen & The E Street Band, dopo ben undici anni di assenza dalle scene, periodo nei quali il Boss aveva girato soltanto con la famigerata “Other Band” nella tournée di supporto agli album Human Touch e Lucky Town ed in totale solitudine in seguito a The Ghost Of Tom Joad: in entrambi i casi i commenti erano stati contrastanti, ma c’era unanimità nel riconoscere che a Bruce mancava tantissimo la “sua” band. Un primo riavvicinamento c’era stato nel 1995 con i quattro pezzi nuovi incisi per il Greatest Hits, ma la molla decisiva pare sia stata la compilazione da parte del rocker di Freehold del box quadruplo Tracks, nel quale trovavano posto molte canzoni inedite registrate con i suoi ex compagni. La macchina si era rimessa quindi in moto nel 1999, con il gruppo tirato a lucido e per la prima volta con sia Little Steven che Nils Lofgren contemporaneamente sul palco (il secondo aveva infatti sostituito il primo a metà anni ottanta), e Bruce che ricominciava ad affrontare platee numerose con rinnovata grinta ed energia.

Non c’era un album da promuovere (fatto più unico che raro per il Boss), e così ogni serata diventava una celebrazione del passato dell’artista, con scalette che riproponevano pochi brani tra quelli recenti ma in maggior parte i classici che tutti volevano risentire suonati come Dio comanda. Il concerto di cui mi occupo oggi, penultima uscita all’interno degli archivi live di Springsteen, documenta la serata del 23 Ottobre 1999 allo Staples Center di Los Angeles, ed è considerato dai fans uno degli show più belli ed intensi di quella tournée lunga due anni (NDM: questo è il terzo spettacolo del Reunion Tour ad essere pubblicato nella serie, dopo New York 2000 e Chicago 1999). Inutile dire che Bruce è in forma strepitosa, ed il gruppo non è certo da meno e rilascia una performance tra le più solide che ho sentito all’interno di queste uscite mensili: le setlist in quel tour avevano delle parti fisse ed altre “intercambiabili”, con diverse chicche suonate ogni sera (particolare strano, in questo concerto californiano non viene eseguito nessun pezzo da Born In The U.S.A., fatto piuttosto inusuale dato che stiamo parlando di uno dei dischi più amati dai fans).

Dopo una partenza scintillante con la rara Take’em As They Come, una outtake di The River pubblicata su Tracks, i nostri si lanciano in una serie di brani che nella prima parte attingono esclusivamente da Darkness On The Edge Of Town (la title track, The Promised Land in una delle migliori versioni mai sentite, una splendida Factory, una Adam Raised A Cain dalla notevole foga chitarristica e la sempre trascinante Badlands) e da The River (The Ties That Bind, Two Hearts, la toccante Independence Day ed una super-coinvolgente Out In The Street), con le uniche eccezioni delle recenti Youngstown, molto più elettrica e tesa che in studio e con grande assolo finale di Lofgren, e della travolgente Murder Incorporated, con Bruce, Nils e Steve che incrociano le chitarre come se fossero spade. Una torrenziale Tenth Avenue Freeze-Out di venti minuti, durante i quali Bruce infila una lunghissima presentazione della band con toni da predicatore gospel, precede la fase più emozionale dell’intera serata, con il nostro che regala al pubblico una straordinaria e struggente Incident On 57th Street, un’inattesa e pimpante For You che precede l’intensa The Ghost Of Tom Joad.

Ma soprattutto un uno-due dal pathos incredibile che inizia con una fantastica The Promise che vede Bruce da solo al pianoforte (per la prima volta dal 1978) ed una Backstreets splendida come sempre, grazie anche al tocco magico di Roy Bittan. Si riprende a tutto rock’n’roll con una potentissima Light Of Day di undici minuti, seguita a ruota dall’irresistibile Ramrod e dai superclassici Born To Run e Thunder Road. C’è ancora spazio per una tenue If I Should Fall Behind, in cui ogni membro “cantante” della band ha a disposizione una strofa, e per l’allora nuova Land Of Hope And Dreams (che sinceramente non mi ha mai fatto vibrare più di tanto): finale a sorpresa con una rara esecuzione di Blinded By The Light, che in questa nuova rilettura brilla particolarmente e chiude degnamente un concerto davvero bellissimo. Nel prossimo episodio troveremo Bruce in una veste sonora completamente diversa, ed anche molto più vicino a casa.

Marco Verdi