Il Primo Album “Diversamente Bello” Della Band Inglese! Jethro Tull – A (La Mode)

jethro tull A la Mode front

Jethro Tull – A: 40th Anniversary Edition – Parlophone/Warner 3CD/3DVD Box Set

Per rispetto verso il lavoro altrui, non amo mai definire “brutto” un disco, a meno che non siamo di fronte a qualcosa di quasi inascoltabile: ancora meno mi piace farlo nel caso dei Jethro Tull, che nel periodo dal 1968 al 1979 seppur con alti a bassi non avevano mai sbagliato un album. Non posso esimermi però di far notare che A, lavoro del gruppo inglese uscito nel 1980, non fosse esattamente un capolavoro, cosa che la critica dell’epoca non mancò di far notare stroncando sia il songwriting ma soprattutto gli arrangiamenti moderni che anticipavano il sound della nuova decade, con un uso massiccio di sintetizzatori. Ma A non doveva essere nemmeno un disco dei Tull, bensì il primo lavoro solista del leader Ian Anderson (il titolo dell’album era preso dalla scritta che compariva sulle scatole dei nastri delle sedute, A come Anderson), che si tramutò nel tredicesimo LP del gruppo su pressioni della Chrysalis, la loro etichetta all’epoca.

jethro tull A la Mode box

I musicisti coinvolti nelle sessions si ritrovarono quindi all’improvviso ad essere i nuovi membri della band, e se per il chitarrista Martin Barre non era una novità, per il bassista ex Fairport Convention Dave Pegg e per il batterista Mark Craney sì (ma mentre Pegg rimarrà con Anderson fino al 1995 dividendosi con i riformati Fairport, Craney si rivelerà una meteora), mentre il tastierista e violinista Eddie Jobson, vero responsabile del sound modernista del disco, venne accreditato solo come ospite esterno. Ora A esce in versione deluxe proseguendo la serie di ristampe a cofanetto dei Tull, nella consueta bella confezione a libro e con ben tre CD ed altrettanti DVD (che però contengono come vedremo a breve le solite ripetizioni), con il titolo “aggiornato” A (La Mode): come sempre la parte sonora è nelle mani di Steven Wilson, che oltre a rimasterizzare il tutto si occupa anche del remix, con il risultato che un po’ di patina di antico è venuta via, anche se non si poteva certo fare il miracolo di trasformare un disco traballante in un lavoro imperdibile; in compenso il box offre la solita generosa dose di bonus tracks, cioè una manciata di outtakes nel primo dischetto ed un concerto completo negli altri due.

L’album originale risentito oggi non è neanche così orrendo (secondo me il fondo i nostri lo toccheranno nel 1984 con Under Wraps): Crossfire ha una melodia tipica di Anderson, con una base strumentale leggermente funky-disco ma non spregevole, l’incalzante Flyingdale Flyer è un pop-rock gradevole ed abbastanza coinvolgente specie nel refrain, Working John, Working Joe, unico singolo estratto (senza alcun successo), è una rock song energica e dal ritmo sostenuto ma con un occhio al sound radiofonico. Un brutto intro di synth cede per fortuna il passo ad un arrangiamento più rock nella non disprezzabile Black Sunday, Protect And Survive non è niente di speciale, mentre la frenetica Batteries Not Included, già non un capolavoro, è rovinata da un florilegio di tastiere elettroniche. Il violino elettrico dona a Uniform un discreto sapore folk-rock, 4.W.D. (Low Ratio) è un midtempo piuttosto nella media e leggermente caotico, ma il folkeggiante strumentale The Pine Marten’s Jig è il pezzo più comparabile al classico suono Tull, e la rock ballad And Futher On, che chiude il disco del 1980, di sicuro non è il miglior brano dei nostri ma almeno non fa danni.

Come bonus sul primo CD abbiamo cinque outtakes inedite: a parte una versione estesa di Crossfire, una alternata di Working John, Working Joe ed il breve frammento di 39 secondi Cheerio, il meglio si ha con Coruisk, evocativa canzone strumentale tra rock e folk che era meglio di molto del materiale finito su A (ci sarebbe anche Slipstream Introduction, un breve brano in stile ambient usato all’epoca per aprire i concerti, ma non è il massimo). Gli altri due CD documentano uno show del gruppo, con la stessa lineup del disco, tenuto il 12 novembre del 1980 alla Sports Arena di Los Angeles: un buon concerto, che presenta ben sette pezzi tratti da A, con gli stessi pregi e difetti anche se on stage la componente rock è decisamente più accentuata grazie al maggior spazio riservato a Barre. Purtroppo però ci sono anche lunghe improvvisazioni strumentali che rompono un po’ il ritmo del concerto, specie i lunghi ed autoindulgenti assoli di tastiera e batteria.

La parte migliore è quindi riservata ai brani dei dischi precedenti ad A, con belle riletture delle allora recenti Songs From The Wood, Hunting Girl e Heavy Horses, un paio di classici minori tratti da War Child (Skating Away On The Thin Ice Of The New Day e Bungle In The Jungle), ed il consueto bis che non fa prigionieri, forse prevedibile ma se uno va ad un concerto dei Tull si incazza se non le suonano: una splendida Aqualung di quasi dieci minuti e la sempre trascinante Locomotive Breath, che neanche il synth riesce a rovinare. I tre DVD contengono le stesse cose dei CD, in vari formati audio compreso “l’indispensabile” (per qualcuno) 5.1 surround, e nella parte video il film Slipstream uscito all’epoca in VHS, uno strano lungometraggio che alterna videoclip, sezioni animate, brani presi da concerti e parti recitate dai membri del gruppo (con Anderson nel doppio ruolo di Aqualung e…Dracula!). L’anno prossimo le ristampe dei Tull si prenderanno una vacanza (ma A sarebbe dovuto uscire nel 2020, poi la pandemia si è messa di mezzo) fino al 2022 quando toccherà al discreto The Broadsword And The Beast, anche se alcune voci parlano per fine 2021 di un “recupero” di Benefit del 1970, l’unico a non aver ancora beneficiato (nonostante il titolo…) dell’edizione “a libro”.

Marco Verdi

Un Ritorno Alle Origini In Un Tempio Della Musica. Bryan Ferry – Live At The Royal Albert Hall 1974

bryan ferry live at the royal albert hall

Bryan Ferry – Live At The Royal Albert Hall 1974– BMG Rights Management – CD Deluxe Edition – 2 LP

Di questa vera icona rock britannica mi ero già occupato recensendo su queste pagine, sul finire del 2013 un eccellente DVD Live In Lyon https://discoclub.myblog.it/2013/11/21/intramontabile-dandy-del-rock-bryan-ferry-live-in-lyon/ , e ora con piacere mi accingo a parlarvi di questo Live At The Royal Albert Hall uscito da pochi giorni nei negozi e su tutte le piattaforme musicali. In questo concerto Bryan ripropone i suoi primi due dischi da solista These Foolish Things (73) e Another Time, Another Place (74), due album di “covers” , in quanto in quel periodo Ferry avvertiva il bisogno direi quasi fisiologico di misurarsi con brani di altri artisti, e mettersi in competizione con loro in un ideale e immaginario “braccio di ferro”, rischiando la propria reputazione artistica. Così nella serata del 19 Dicembre 1974 sale sul palco della mitica Royal Albert Hall di Londra (e se passate da quelle parti è d’obbligo visitarla), accompagnato da un’orchestra di 30 elementi diretta da Martyn Ford, con il sostegno dei fidati “pard” dei Roxy Music Phil Manzanera alla chitarra, Paul Thompson alla batteria, Eddie Jobson al piano e violino, e con il contributo di John Porter e  John Wetton al basso, e l’aggiunta delle belle e brave coriste Vicki Brown, Doreen Chanter, Helen Chappelle, per un lungo viaggio musicale attraverso alcuni classici del passato, che spaziano dagli anni ’30 ai ’60, scegliendo le canzoni con cui Bryan si era musicalmente formato, e che nell’occasione vengono riproposte e personalizzate in questo live con la sua abituale classe, marchio distintivo di tutta la sua  carriera.

Il concerto inizia alla grande con una rilettura “satanica” di Sympathy For The Devil degli Stones, con subito le coriste in evidenza, per poi recuperare un brano degli anni ’60 I Love How You Love Me, portato al successo dal trio femminile The Paris Sisters, con una bella sezione fiati a dettare il ritmo, seguito dal rock’n’roll scatenato di una Baby I Don’t Care (uno dei punti di forza del primo Elvis Presley con il “prefisso” (You’re So Square),,, e ripreso tra i tanti anche da Joni Mitchell e Led Zeppelin), per poi passare ai ritmi pop di una piacevole It’s My Party, cantata ai tempi (sempre anni ’60) da Lesley Gore che vendette a vagonate. Il Ferry di quel periodo alternava l’approccio pop al rock dei Roxy Music, e la dimostrazione lampante è la seguente Don’t Worry Babe dall’album Shut Down Vol .2 dei Beach Boys, con le tre coriste in formato “Stax”, a cui fanno seguito il rock sincopato di Another Time, Another Place, dello stesso Ferry, l’omaggio a Ike & Tina Turner andando a recuperare una Fingerpoppin’ con largo uso di una intrigante sezione fiati, per poi rispolverare meritoriamente un classico come The Tracks Of My Tears, portata al successo dal grande Smokey Robinson con i suoi Miracles.

Dopo una buona dose di applausi, le riletture proseguono, sorprendentemente andando a recuperare dal vasto repertorio di Lennon-McCartney una poco conosciuta You Won’t See Me (la trovate su Rubber Soul), per poi commuovere il pubblico in sala con una stratosferica versione di Smoke Gets In Your Eyes dei Platters con il sax di Chris Mercer in evidenza (brano eseguito anche da artisti del calibro di Dinah Washington, Sarah Vaughan, Eartha Kitt, Patti Austin e perfino Thelonious Monk), e poi finalmente cantare la lucida follia di A Hard Rain’s A-Gonna Fall del grande Bob Dylan, con una versione dal crescendo “rossiniano” che mette in risalto ancora la bravura delle soliste. Dopo una lunga e meritata ovazione in sala, ci si avvia alla fine del concerto con Bryan Ferry che recupera dall’appena oubblicato Country Life dei suoi Roxy Music, un brano d’atmosfera con i violini in sottofondo come A Really Good Time, per poi ritornare al suono R&B con una mossa The ‘In’ Crowd, portata al successo da Dobie Gray, e poi andare a chiudere con un brano del lontano 1936 scritto da tale Jack Strachey, una These Foolish Things suonata e cantata in perfetto stile “ragtime”. Sipario, nuovaovazione e applausi più che meritati. Tutta la vicenda artistica dell’eterno “dandy” del pop è stata un continuo percorso in bilico tra la sua appartenenza al suo gruppo i Roxy Music e la parallela carriera solista iniziata negli anni ’70, un signore ricordo che nel corso di una lunga e gloriosa carriera ha venduto la bellezza di oltre 30 milioni di dischi, con un patrimonio di canzoni che ha influenzato intere generazioni, con il suo stile da “crooner” futurista, accompagnato da un’eleganza sopraffina, e, cosa più importante, sempre con uno stuolo di formidabili musicisti e “sessionmen” ad assecondarlo.

Anche se i tempi sono cambiati, per parafrasare il suo mito Bob Dylan, questo Bryan Ferry Live At The Royal Albert Hall è un album che, nonostante sia rimasto inedito per 46 anni, è stato giusto portare alla luce, in quanto certifica l’inizio della carriera solista di Ferry, in un concerto che è un’istantanea straordinaria di brani famosi e non, che sono “amplificati” dai pard nella sua band ( leggi Roxy Music), potenziati dalla sezione archi e corni di una meravigliosa orchestra, e dalla contagiosa esibizione canora, ovviamente in smoking, sul palco del celebre teatro londinese da parte del nostro amico Bryan Ferry. NDT*: Per completezza di informazione aggiungo che il 29 Marzo del 2019, Bryan Ferry e la sua band, i Roxy Music, hanno fatto ingresso nella famosa e istituzionale Rock And Roll Hall Of  Fame.

Tino Montanari

Era Matto Come Un Cavallo, Ma Anche Un Grandissimo Musicista! Frank Zappa – Zappa In New York Deluxe Edition

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Frank Zappa – Zappa In New York Deluxe 40th Anniversary Edition – Zappa Records/UMG 3LP – 5CD Box Set

Ci risiamo: se si doveva commemorare il quarantennale dei famosi concerti di Frank Zappa al Palladium di New York nel Dicembre 1976 (quattro serate tra Natale e Capodanno) prendendo in esame la data di pubblicazione della prima versione poi ritirata (1977), questo box doveva uscire nel 2017, mentre se, come si è fatto, l’album di riferimento è il doppio LP uscito nel 1978, siamo comunque in ritardo di un anno sulla ricorrenza. Ma andiamo con ordine. Nel 1976 Frank Zappa era forse nel suo momento di maggior fama, dato che aveva da poco pubblicato tre tra i suoi album più popolari (Over-Nite Sensation, Apostrophe e Zoot Allures) oltre al famoso live Roxy & Elsewhere, ed i suoi quattro concerti newyorkesi post-natalizi erano stati registrati per un nuovo disco dal vivo. Zappa In New York fu però un album dalla gestazione molto travagliata, e che incrinò non di poco i rapporti tra il nostro e la Warner, che fece ritirare la prima versione del 1977 (uscita in poche copie solo in Inghilterra, copie che adesso valgono una fortuna), contravvenendo all’accordo tra le due parti che riconosceva a Zappa il totale controllo del suo materiale: la materia del contendere era soprattutto il brano Punky’s Whips, dedicato sarcasticamente a Punky Meadows, chitarrista degli Angel, la cui immagine eterea ed effeminata fu bersaglio dei lazzi di Frank con un testo obiettivamente un tantino “oltre” (anche se pare che Meadows stesso avesse preso la cosa con leggerezza ed ironia).

Nel 1978 uscì dunque la versione definitiva del live, ma anche qui ci furono problemi di censura per alcuni titoli come Titties & Beer e I Promise Not To Come In Your Mouth, e per le tematiche affrontate in pezzi come The Illinois Enema Bandit (che “celebrava” la figura realmente esistita di Michael Kenyon, un criminale che usava rapinare le donne e poi costringerle a subire dei clisteri d’acqua calda) e Honey, Don’t You Want A Man Like Me?, una love song dalle liriche piuttosto scurrili. Zappa riuscì finalmente a pubblicare una versione definitiva dell’album su doppio CD nel 1991, ma ora la label gestita dai suoi eredi ha fatto le cose in grande, pubblicando un’edizione deluxe (per usare un eufemismo, abbastanza costosa) con all’interno cinque CD ed un corposo libretto con foto inedite, note ed anche i testi dei brani, in una curiosa confezione tonda in latta che raffigura un tipico tombino di New York (ma alla fine sembra più una scatola di cioccolatini, e presenta pure qualche problema logistico di sistemazione sugli scaffali). Il primo CD contiene la versione originale del 1978, opportunamente rimasterizzata, mentre nei restanti dischetti vi è una selezione con il meglio delle quattro serate: non gli show completi, ma ogni canzone eseguita nella sua versione più riuscita (infatti nel 1978 erano stati scelti quasi totalmente brani all’epoca inediti, suonati per la prima volta in quegli spettacoli).

E l’ascolto del box si rivela una goduria, in quanto (ma non lo scopriamo oggi) Zappa era un grande intrattenitore, un grandissimo musicista ed un band leader carismatico, che mascherava dietro atteggiamenti e canzoni spesso demenziali una preparazione ed una tecnica mostruose. Zappa In New York è quindi un meraviglioso collage di musica rock, jazz, funky e fusion, con canzoni che sono una fucina di idee e di creatività, suonate da una delle migliori band mai avute dal rocker di Baltimore, un gruppo che comprendeva il chitarrista Ray White, il funambolico batterista Terry Bozzio, il bassista Patrick O’Hearn, Ruth Underwood, indispensabile con i suoi xilofono, marimba e moog, Eddie Jobson alle tastiere e violino ed una eccezionale sezione fiati di cinque elementi, vera colonna portante del suono del gruppo, con i fratelli Mike e Randy Brecker rispettivamente al sax e tromba, il jazzista Ronnie Cuber al sax e clarinetto e, dalla band del Saturday Night Live, Tom Malone e Lou Marini. CD 1: il disco originale, che inizia con la pimpante Titties & Beer, un pezzo tra rock e funky, con un bel suono “grasso”, un grande uso dei fiati (uno stile molto vicino a quello che in futuro avranno i Phish, gruppo senz’altro influenzato da Frank) ed un duetto vocale quasi cabarettistico tra Zappa e Bozzio; segue I Promise Not To Come In Your Mouth, che nonostante il titolo osceno è uno strumentale lento e piuttosto “free”, contraddistinto da un assolo di moog. La breve Big Leg Emma è un godibilissimo rock’n’roll decisamente swingato, musicalmente trascinante e dal testo idiota, Sofa è un altro strumentale dominato dal sax con un potente assolo finale di Frank alla chitarra, mentre Manx Needs Women è un divertissement un po’ folle di appena un minuto e mezzo.

Le due parti di The Black Page danno un’idea dello spirito di improvvisazione dei nostri, che non suonavano mai lo stesso brano due volte allo stesso modo: qui si parte da un lungo assolo di Bozzio (un classico degli anni settanta, l’assolo del batterista), per poi proseguire con gli altri strumenti in totale libertà, pur con un tema melodico ben preciso. Dopo una diretta e divertente Honey, Don’t You Want A Man Like Me?, una canzone quasi normale per gli standard di Zappa, l’album originale si chiude con i due brani più lunghi, e cioè The Illinois Enema Bandit, un rock-blues di 12 minuti cantato da White e suonato in maniera strepitosa, con un ispiratissimo assolo da parte di Frank, ed una monumentale The Purple Lagoon, 17 minuti di pura improvvisazione tra jazz e rock, grandissima musica. CD 2-3-4: il meglio delle quattro serate, tutto ovviamente inedito. Oltre a versioni alternate di tutti i pezzi del primo CD (e The Illinois Enema Bandit qui è ancora meglio), ovviamente non manca la famigerata Punky’s Whips, un brano dal testo divertentissimo cantato in maniera demenziale, mentre dal punto di vista musicale è un altro funk-rock-jazz molto godibile, con qualche somiglianza con lo stile dei Chicago (piccola curiosità: questa canzone fu eseguita in seguito solo nel 1977 e 1978, e poi tolta per sempre dalle scalette).

Da citare ancora la suadente The Torture Never Stops, lenta e quasi ipnotica, con un basso molto pronunciato, un uso creativo delle tastiere ed il solito assolo magistrale di Zappa, una swingatissima America Drinks, puro jazz d’alta classe, la vigorosa e gagliarda I’m The Slime, l’orecchiabile Find Her Finer, una grandiosa Cruisin’ For Burgers, con Frank semplicemente mostruoso alla chitarra, ed una interminabile Black Napkins, 28 minuti di musica totale. Non manca anche qualche classico di Frank, come una maestosa Peaches En Regalia, dominata dai fiati, la sempre impeccabile e contagiosa Montana (richiesta a gran voce dal pubblico) e l’acclamatissima Dinah-Moe Humm, in assoluto uno dei pezzi più immediati del nostro. CD 5: un CD particolare, altre 7 canzoni tratte dagli archivi di Frank, due registrate ai Record Plant di New York nel periodo dei concerti al Palladium (due brevi prove per solo piano di The Black Page) ed altre cinque che sono in realtà un collage tra versioni live e overdubs incisi in studio, una sorta di ibrido che però è rimasto inedito fino ad oggi (i brani in questione sono I Promise Not To Come In Your Mouth, Chrissy Puked Twice – che non è altro che Titties & BeerCruisin’ For Burgers, Black Napkins e Punky’s Whips).

Costo a parte, non spaventatevi per il fatto che Zappa In New York è diventato un cofanetto quintuplo (esiste anche una versione in tre LP, con però una selezione molto ridotta di inediti), in quanto quando arriverete alla fine vi potreste anche rammaricare di non poter inserire il sesto dischetto.

Marco Verdi