Per La Serie: Chi Si Accontenta Gode! Jeff Lynne’s ELO – Alone In The Universe

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Jeff Lynne’s ELO – Alone In The Universe – Columbia/Sony CD

Da quando ho iniziato a collaborare a questo blog mi sono tolto parecchie soddisfazioni, commentando lavori di alcuni tra i miei musicisti preferiti e, grazie alla magnanimità del titolare, anche di qualcuno dei miei cosiddetti “piaceri proibiti”. Tra questi, uno dei principali è sicuramente Jeff Lynne: da sempre guardato dall’alto in basso da una certa critica (ma anche da diversi ascoltatori) per il suo passato commerciale come leader della Electric Light Orchestra, Jeff è a mio giudizio un vero architetto pop, dal gusto melodico sopraffino (e molto beatlesiano), che credo abbia dimostrato con le sue produzioni post-ELO tutta la sua bravura, anche se capisco che i suoi dischi a capo dell’Astronave da Discovery in poi possano risultare indigesti per qualcuno (ma che, paragonati a certe immondizie che vanno in classifica oggi, sono sinfonie). Dopo anni di quasi totale inattività (solo qualche nuova canzone sparsa come bonus nelle ristampe della ELO e del suo unico album solista Armchair Theatre), ha prima rialzato la testa nel 2012 con il disco di cover Long Wave e con l’antologia mascherata Mr. Blue Sky (cioè nuove versioni di vecchi successi del suo gruppo storico) http://discoclub.myblog.it/2013/04/13/ristampe-che-passione-2-elo-jeff-lynne/ , per ritornare prepotentemente sul mercato negli ultimi mesi: da Settembre ad oggi, prima il live registrato lo scorso anno a Hyde Park, con il suo nuovo moniker Jeff Lynne’s ELO  http://discoclub.myblog.it/2015/09/26/ritorno-grande-stilejeff-lynnes-elo-live-hyde-park/ (per ragioni di marketing, oltre che per distinguere i nuovi lavori dalle mille antologie e per dissociarsi dalla ELO Part II, tristissima cover band formata da ex membri del vecchio gruppo), poi con la produzione del nuovo Get Up! di Bryan Adams (quasi un disco di Jeff cantato da un altro) http://discoclub.myblog.it/2015/10/22/la-cura-jeff-lynne-ha-fatto-bene-anche-bryan-adams-get-up/ , ed ora con quella che dovrebbe essere la punta di diamante dell’intera operazione di rilancio, cioè un nuovo album intitolato Alone In The Universe.

Dopo lo scioglimento della ELO nel 1986, a seguito di Balance Of Power, Lynne ha troncato i rapporti con tutti i suoi ex compagni (tranne Richard Tandy), trattando da allora la ELO come un giocattolo personale: il suo ritorno sulle scene del 2001, Zoom, peraltro di scarso successo, era un album solo di Jeff in tutto e per tutto, in quanto il suono solo relativamente richiamava quello della vecchia band, ma era più in linea con la sonorità da lui create per le sue produzioni conto terzi. Con Alone In The Universe (primo disco di canzoni nuove da Zoom) il discorso cambia: Jeff è sempre solissimo (c’è solo la figlia Laura ai cori in un paio di pezzi ed il sound engineer Steve Jay al tamburello e shaker), ma le canzoni presenti richiamano direttamente la golden age dell’Astronave, con continui rimandi sia ai gloriosi anni 70 che ai più criticati anni 80, un album quasi “citazionista” che manderà in brodo di giuggiole i fans (ed i primi dati di vendita paiono incoraggianti, al punto che Jeff ha già messo a punto una tournée per l’anno prossimo che al momento non tocca il nostro paese) e continuerà a suscitare perplessità tra i detrattori. Io mi ritengo un fan critico, e credo che Alone In The Universe sia un disco molto piacevole, che scorre via abbastanza facilmente, anche se Jeff sembra non abbia osato più di tanto, ma che abbia voluto scientemente accontentare i suoi ammiratori con delle sonorità “prevedibili”, che però difficilmente attireranno nuovi acquirenti: non capisco poi il senso delle due edizioni (tre se contiamo quella giapponese con tredici canzoni), dato che quella normale con dieci brani dura appena mezz’oretta, e quella “deluxe” con dodici solo cinque minuti in più.

L’album si apre con il primo singolo When A Was A Boy, una ballata tipica del suo autore, con una struttura simile a classici come Can’t Get It Out Of My Head o Telephone Line, cantata molto bene e con una melodia di quelle che non ti mollano più: al limite sorprende che sia stata messa all’inizio del disco, dato che di solito si usa esordire con un brano più potente. Il singolo è anche corredato da un bellissimo video autobiografico (sullo stile di quello di Free As A Bird dei Beatles) che ripercorre i momenti salienti della carriera del nostro: particolarmente toccante il momento in cui vengono ricordati i Traveling Wliburys e lo scomparso Roy Orbison). La cadenzata Love And Rain rimanda direttamente a metà anni 70 e a brani pop-errebi come Showdown, uno stile che Lynne non riprendeva in mano da anni: se Zoom era un disco di pop-rock contemporaneo, da questi due brani si capisce subito che la sigla ELO qui ha più senso.

L’orecchiabile Dirty To The Bone ha una melodia solare ed il classico wall of sound lynniano, mentre When The Night Comes è pop-rock di gran classe, che invece ricorda la ELO post-disco dei primi anni 80, anche se con minor uso di synth (il ritornello è molto simile a quello di Not Alone Anymore dei Wilburys, ma al massimo è auto-plagio). The Sun Will Shine On You è una ballata caratterizzata dal tipico big sound di Jeff, con la voce in primissimo piano, anche se non è tra le mie preferite; Ain’t It A Drag è invece un rock’n’roll with a pop touch, che risente in parte dell’influenza di Tom Petty, mentre All My Life è uno slow decisamente melodico e riuscito, con uno dei migliori refrain del CD ed un suono più Wilbury che ELO. I’m Leaving You ha un delizioso feeling pop anni sessanta (tracce di Orbison), e Jeff canta davvero bene, One Step At A Time sembra una outtake (con una pulizia sonora migliore) di un suo album dei tardi anni settanta (e qui i vecchi fans della ELO esulteranno), mentre la title track chiude la versione “normale” del CD, un brano minore, gradevole ma nulla più. Le bonus tracks sono Fault Line, un divertente rockabilly del tipo che Lynne scrive anche dormendo e la bella Blue, ancora dal deciso sapore sixties (un pezzo che non avrebbe sfigurato tra le dieci della versione normale); discorso a parte per On My Mind, una vibrante rock ballad dalla melodia solida e train sonoro coinvolgente, un peccato che sia solo per i giapponesi.

Quindi un disco fresco e piacevole, che scorre leggero e senza problemi, ma probabilmente senza regalarci un nuovo classico da greatest hits (tranne credo When I Was A Boy): forse sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosina in più, ma di questi tempi (se vi piace il genere, è chiaro) ci si può anche accontentare.

Marco Verdi