Meglio Da Solo Che Male Accompagnato? Non Sempre Vale La Regola! Dave Edmunds – Alive And Pickin’

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Dave Edmunds – Alive And Pickin’ – It’s About Music.com

Questo è uno strano CD: uscito una prima volta nel 2005, solo come mail order per il Canada, poi nuovamente, ed è la edizione che circola ora, nel 2008, autogestito dallo stesso artista tramite la It’s About Time. Sta di fatto che il disco è sempre stato raro, abbastanza difficile da reperire, e forse se ne sono accorti solo i fan più accaniti, per cui vale comunque la pena di parlarne. Tra l’altro l’album, registrato probabilmente all’inizio degli anni 2000, non riporta altre informazioni, se non i titoli dei brani, ed il fatto di essere stato registrato alla Saints David Hall di Cardiff, quindi il nostro gioca in casa. Non ci sono i nomi dei musicisti, perché Dave Edmunds, nonostante la bella Fender elettrica con cui è immortalato sulla foto di copertina, suona da solo, in versione perlopiù acustica, da cui il titolo Alive And Pickin’, e il fatto che nel corso del concerto ci siano parecchi brani strumentali in versione “picker” appunto, e molti classici del passato, brani del repertorio di Merle Travis, pezzi blues, classici assoluti della canzone, oltre a molti brani dello stesso Dave, dei Love Sculpture e dei Rockpile.

Il nostro amico era lontano dalle scene da parecchio tempo, e comunque negli ultimi venti anni praticamente ha registrato solo quattro canzoni nuove, per il disco Again, uscito nel 2013, ma che riportava registrazioni degli anni ’90, e anche il disco del 2015, On Guitar – Rags And Classics, completamente strumentale, riportava registrazioni nuove, sette, e brani ripescati dal passato, versioni piacevoli ma non memorabili di pezzi famosissimi, A Whiter Shade Of Pale, God Only Knows, Wuthering Heights, Your Song e così via http://discoclub.myblog.it/2015/07/23/esperimento-riuscitosolo-metadave-edmunds-on-guitarrags-classics/ . Anche il il Live che stiamo esaminando le sue tre stellette (di stima) se le meriterebbe, ma ovviamente Edmunds sarebbe da gustare con un bel gruppo rock alle spalle, magari proprio i Rockpile dell’amico Nick Lowe, ma anche in questa ambientazione sonora più succinta la classe del performer si gusta sempre, Dave ha una ottima voce, da perfetto rocker, ma è anche un vero virtuoso dello strumento, come aveva dimostrato, ad inizio carriera, con la sua famosa rivisitazione elettrica della “danza delle spade” di Khachaturian, diventata Sabre Dance, pubblicata dal suo primo gruppo, i Love Sculptures, che per il resto facevano dell’ottimo British Blues, e il brano c’è, conclude il disco in una versione vorticosa, che sembra provenire da un’altra serata, visto che si sono anche basso e batteria, o forse è una base preregistrata, anche se non sembra, però…

Così nel corso del concerto ascoltiamo, alla rinfusa, I Hear You Knocking, il suo primo successo della fase rock successiva, per quanto sempre del 1970, qui proposta in medley con Mess Of Blues di Elvis Presley, acustiche entrambe, ma ricche di grinta. Poi arriva il periodo dell’invenzione del pub-rock, insieme ai Brinsley Schwarz dell’amico Nick, ai Ducks De Luxe, ed altre band successive, il tutto con un disco del 1972 Rockpile, che diventerà anni dopo il nome della sua band più nota, e uno dei migliori gruppi R&R di sempre, un solo disco, ma tanti concerti e in Repeat When Necessary del 1980 erano comunque sempre loro. In ogni caso il concerto si apre con il bluegrass di Blue Moon Of Kentucky di Bill Monroe, che sarebbe diventato il R&R di Elvis, con il grande picking di Edmunds, vero virtuoso dell’acustica, ma ci sono, sparsi qui è là, i suoi classici rock, come Girls Talk, il secondo brano, una Lady Madonna dei Beatles, in versione strumentale quasi irriconoscibile, e poi Queen Of Hearts, I Knew The Bride. Troviamo vari altri strumentali, Blue Smoke, un Welsh Medley quasi classico, Swingin’ 69 di Jerry Reed, ma anche una ottima Mystery Train, sempre Elvis, che poi diventa un travolgente strumentale in fingerpicking. Ancora strumentali Love Letters On The Sand, Sweet Georgia Brown e una strana Sukyyaki, nonché Smile. Mentre per Let It Rock basta il titolo, peccato che non ci siano più brani di questo tenore, a favore di un lungo strumentale Allegro, che è un medley di brani di musica classica. Insomma, ripeto, un dischetto “strano” per vari motivi, forse indirizzato più ai fan(atici) di Dave Edmunds, ma non disprezzabile nell’insieme, accompagnato comunque è molto meglio!

Bruno Conti

 

Piacessero o Meno, Dal Vivo Non Avevano Paura Di Nessuno! Queen – On Air

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Queen – On Air – Virgin Emi/Hollywood/Universal 2CD – Deluxe 6CD Box Set

I Queen sono, da almeno quarant’anni, una delle band più popolari del pianeta, e di conseguenza una gallina dalle uova d’oro per le varie case discografiche che sono state proprietarie del loro catalogo nel corso degli anni (principalmente la EMI, da tempo passata in parte al gruppo Universal): quale migliore occasione quindi alll’avvicinarsi delle feste natalizie, oltre al 25° anniversario della morte del frontman dal gruppo Freddie Mercury (avvenuta il 24 Novembre del 1991 a causa dell’AIDS) per immettere sul mercato un nuovo prodotto del celebre quartetto inglese? Non essendoci, pare, altri inediti di studio, e non volendo pubblicare l’ennesimo concerto d’archivio, si è optato (ed è strano che non ci avessero pensato prima) per rendere disponibili tutte le sessions effettuate dai nostri negli anni settanta per la mitica BBC, in un doppio CD che rende praticamente inutile l’album del 1989 Queen At The Beeb, che conteneva appena otto pezzi. Esiste anche una bella versione in sei CD (che è quella di cui mi occupo oggi), in un pratico ed elegante boxettino e con l’aggiunta di un terzo dischetto con frammenti di tre concerti del 1973, 1981 e 1986, non incisi dal vivo in studio come i primi due, ma veri e propri live con il pubblico, che però all’epoca erano stati passati in diretta radiofonica; purtroppo però nel cofanetto trovano posto altri tre CD quasi completamente inutili, che servono solo a far salire il prezzo, in quanto sono interamente composti da interviste rilasciate dai membri della band tra il 1976 ed il 1992, quasi quattro ore che sfido chiunque, anche chi capisce l’inglese alla perfezione, ad ascoltare per intero.

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Ma di musica comunque ce n’è a sufficienza, anche per chi non ha mai digerito la svolta commerciale dei quattro: si sa infatti che, dopo gli inizi quasi hard rock, il gruppo ha presto differenziato (ed ammorbidito) le sonorità in modo da vendere più dischi possibili, sfruttando anche le indubbie capacità di tutti e quattro i componenti di scrivere hits come se piovesse; su una cosa però c’è quasi unanimità, e cioè che sul palco i nostri fossero formidabili, una vera e propria macchina da guerra (basti ascoltare Live Killers, uno dei migliori album dal vivo dei tardi anni settanta), grazie alle loro enormi doti tecniche individuali. Oltre a Mercury, un animale da palcoscenico come ce ne sono stati pochi (a quei livelli mi vengono in mente solo Mick Jagger e, forse, Bruce Springsteen), ed in più dotato di una delle più formidabili voci che il panorama rock ricordi, non bisogna dimenticare la sopraffina tecnica chitarristica di Brian May, dotato di un fraseggio unico e capace di passare con disinvoltura dai toni più duri a quelli più raffinati, oltre alla potenza di Roger Taylor, uno dei migliori batteristi rock di sempre (e dotato anche di un ottima voce) ed alla precisione di John Deacon, bassista silenzioso e riservato ma indispensabile nelle dinamiche del gruppo. Il primo CD è interamente basato su sessions del 1973, gli otto brani incisi a Febbraio e Dicembre che costituivano Queen At The Beeb più quattro inediti provenienti da registrazioni di Luglio: i nostri hanno all’attivo un solo album, l’omonimo Queen, e tutti i pezzi sono tratti da quel disco, tranne Ogre Battle che è un antipasto di Queen II, e le sonorità sono quelle tipiche degli inizi, dure, quasi grezze in alcuni momenti, a metà tra l’hard rock di gruppi come i Deep Purple e tentazioni prog, ma con più di un’avvisaglia delle potenzialità dei quattro, soprattutto nelle performance di May (grande protagonista del suono dei primi Queen) e di un Mercury già pronto al grande salto.

C’è da dire che, specie nel primo CD, è presente qualche sovrincisione, specie per quanto riguarda i multitrack chitarristici e vocali, ma si tratta di dettagli; in aggiunta, ma solo nella versione sestupla, tra un brano e l’altro possiamo ascoltare i brevi ma significativi commenti del leggendario DJ John Peel. Tra gli highlights troviamo due versioni del loro primo successo minore, la veloce e chitarristica Keep Yourself Alive, le potenti Liar e Son And Daughter (anch’esse in doppia rilettura), con un’ottima prova di May, l’opening track My Fairy King, con Freddie debordante ed eccellente anche al piano, e la rara See What A Fool I’ve Been, originariamente pubblicata solo su una B-side ed in assoluto il brano più blues della carriera della Regina, suonato con grande forza. Il secondo dischetto presenta sette pezzi incisi nel 1974, con estratti dai primi due album ma anche dal terzo, Sheer Heart Attack, tra cui la maestosa White Queen, la bellissima ancorché breve Nevermore, la possente Now I’m Here, perfetto showcase per l’abilità di May, e la dura Stone Cold Crazy, quasi un brano trash ante-litteram (ed infatti i Metallica la adorano), ed altre cinque canzoni del 1977, con i nostri già affermate superstar e decisamente più sgamati anche dal vivo: oltre alla bella e solare Spread Your Wings (con uno strepitoso finale accelerato non presente nell’originale in studio), la chicca del CD è una versione velocissima e molto rock’n’roll del superclassico We Will Rock You (presente comunque anche nell’arrangiamento conosciuto), che all’epoca veniva suonata come apertura dei concerti ma in studio è una vera rarità, e che da sola vale buona parte del prezzo richiesto.

Il terzo CD, quello esclusivo del box, è diviso in tre parti, con la prima ancora appannaggio del 1973 (otto pezzi registrati al Golden Hyppodrome di Londra), con i nostri parecchio aggressivi e con un May superlativo, e come ciliegina una versione a mille all’ora del classico di Elvis Presley Jailhouse Rock, purtroppo sfumata dopo un solo minuto https://www.youtube.com/watch?v=nso4IHBTWv0 . Poi abbiamo sette canzoni a San Paolo in Brasile nel 1981, con l’epica I’m In Love With My Car, cantata da Taylor, e la sempre commovente Love Of My Life, ed infine sei brani incisi nel 1986 (più un’improvvisazione vocale ed il classico finale sulle note pre-registrate di God Save The Queen) a Mannheim in Germania, in quello che sarà l’ultimo tour dei Queen (ma all’epoca non lo potevano sapere), e forse nel loro momento di maggior successo commerciale: dal vivo erano comunque sempre formidabili, basti ascoltare come viene trasformata A Kind Of Magic in un quasi rock’n’roll e come acquisti potenza un pezzo in origine funkeggiante come Under Pressure, per finire con un gradevole medley elettroacustico tra due classici del passato come (You’re So Square) Baby I Don’t Care (ancora Elvis) e Hello, Mary Lou (Goodbye Heart) (scritta da Gene Pitney ma portata al successo da Ricky Nelson) e con la sempre trascinante Crazy Little Thing Called Love.

Se vi piacciono i Queen, ma preferite quelli più genuini degli anni settanta, questo On Air fa per voi, e forse vi può bastare anche la versione doppia: il terzo dischetto comunque merita, ma dovete fare i conti con il fatto che comprerete altri tre CD (le interviste) che non ascolterete mai.

Marco Verdi

Una Riscoperta Quantomeno Opportuna! Roy Orbison – The MGM Years 1965-1973 & One Of The Lonely Ones

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Roy Orbison – The MGM Years 1965-1973 – Universal 13CD (14LP) Box Set 

Roy Orbison – One Of The Lonely Ones – Universal CD

Quando si parla di Roy Orbison, una delle più grandi voci rock di sempre, si tende a considerare principalmente la fase iniziale della sua carriera, quando cioè incidendo per la Monument pubblicò tutti i suoi maggiori successi, da Oh, Pretty Woman a Only The Lonely passando per Running Scared, Crying e In Dreams (solo per citare alcune tra le più note), oppure gli ultimi anni prima dell’improvviso decesso, quando era finalmente riuscito a riassaporare il piacere della popolarità, o perché no i suoi esordi presso la Sun Records, ma spesso ci si dimentica che, tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta Roy si era accasato presso la MGM ed aveva continuato ad incidere con grande regolarità. Anni difficili per The Big O, sia professionalmente (i tempi e le mode stavano cambiando con rapidità, e c’era poco spazio nelle classifiche per le canzoni romantiche del nostro) sia dal punto di vista della vita privata, in quanto nel giro di poco tempo Roy perse in tragiche circostanze sia la prima moglie Claudette che due dei suoi tre figli (rispettivamente in un incidente stradale ed in un incendio casalingo). Ma Orbison non si diede per vinto, e si rifugiò nella musica più che mai, anche se con esiti commerciali incerti: la qualità delle sue incisioni si manteneva comunque su livelli medio-alti, come testimonia questo prezioso box che riunisce tutti i dischi incisi in quel periodo, aggiungendo una compilation di b-sides e brani apparsi solo su singolo, a cura dei tre figli superstiti di Roy (Wesley, Roy Jr. ed Alex), che si occupano degli archivi del padre dopo la scomparsa nel 2011 di Barbara, seconda moglie ed anche manager del cantante texano. Oltre al box The MGM Years (molto ben fatto e con un esauriente libretto di 65 pagine, anche se non a buon mercato – ma i vari CD sono stati ristampati anche singolarmente) i Roy’s Boys, così si fanno chiamare i tre figli, hanno pubblicato separatamente una vera chicca, cioè un intero disco inciso da Roy nel 1969 e mai messo in commercio, intitolato One Of The Lonely Ones, un album inciso di getto in risposta ai tragici eventi della sua vita. Ma andiamo con ordine.

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The MGM Years: come già detto sono presenti gli undici album pubblicati da Roy in quel periodo (There Is Only One Roy Orbison, The Orbison Way, The Classic Roy Orbison, Sings Don Gibson, Cry Softly Lonely One, Roy Orbison’s Many Moods, Hank Williams The Orbison Way, The Big O, Roy Orbison Sings (titoli molto fantasiosi), Memphis e Milestones), rimasterizzati ad arte e presentati in pratiche confezioni simil-LP, una colonna sonora mai realizzata su CD (The Fastest Guitar Alive) ed il già citato B-Sides And Singles. Come già accennato, i dischetti presenti nel box (tutti molto corti e senza bonus tracks, si va da un minimo di 24 minuti ad un massimo di poco più di mezz’ora, a parte la compilation di singoli) sono decisamente godibili, senza particolari differenze di suono e stile tra uno e l’altro: la classe di Roy non la scopriamo certo oggi, ed in più in quegli anni aveva raggiunto una tale potenza e maturità vocale da consentirgli di affrontare con disinvoltura qualsiasi tipo di canzone, un po’ come Elvis negli anni settanta. Roy alterna le sue tipiche canzoni ricche di melodia (molte scritte con i partner abituali Bill Dees e Joe Melson) con altri pezzi più rock’n’roll, un uso degli archi misurato e non pesante e soprattutto la sua formidabile voce a rendere degne di nota anche le canzoni più normali. Qualche titolo sparso (ma potrei citarne il quadruplo): la nota Claudette, dedicata alla moglie quando era ancora in vita https://www.youtube.com/watch?v=tUZBijp0En0 , l’emozionante Crawling Back, Ride Away, la fluida Ain’t No Big Thing, la scintillante Go Away, la trascinante City Life, la drammatica Amy, l’insolita Southbound Jericho Parkway, una mini-suite di sette minuti con elementi psichedelici, non proprio il pane quotidiano per Roy.

Oppure interi album di alto livello, come Cry Softly Lonely One (che ha punte di eccellenza nella romantica She, la fulgida Communication Breakdown https://www.youtube.com/watch?v=5CHygiovJD8 , la classica title track, puro Orbison al massimo della sua espressività vocale, o il gioiellino pop Only Alive), o i tre album di cover (gli omaggi a due leggende della musica country come Don Gibson e Hank Williams, due dischi coi fiocchi, o Memphis, composto interamente di brani rock e country contemporanei). Per non parlare di The Big O, forse il migliore in assoluto tra tutti, un disco roccato e diretto, con un suono elettrico che ricorda le prime incisioni con la Sun, dove spiccano Break My Mind, con un ritornello corale irresistibile, il rifacimento di Down The Line (periodo Sun), dove Roy assomiglia più a Jerry Lee Lewis che a sé stesso https://www.youtube.com/watch?v=_TxtofIPdFg , la magnifica Loving Touch e la gioiosa Penny Arcade.

E poi ci sono le cover sparse, e Roy con la voce che si ritrovava riusciva a far sua qualsiasi canzone: Unchained Melody (da pelle d’oca), Help Me, Rhonda (Beach Boys), I Fought The Law (sempre bellissima), Sweet Caroline (Neil Diamond), Only You (Platters), Land Of 1000 Dances, Words (Bee Gees) solo per citarne alcune https://www.youtube.com/watch?v=RFIKES6yC1Y . Buon ultimo, The Fastest Guitar Alive, colonna sonora di uno strano western interpretato da Roy stesso, in cui il protagonista girava con una chitarra che all’occorrenza si tramutava in fucile: un dischetto curioso, non il migliore di quelli presenti, ma che contiene almeno due perle come la spedita Rollin’ On e la discreta Best Friend, ma anche cose un po’ ingenue come la stereotipata Pistolero, che sentita oggi fa un po’ sorridere.

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One Of The Lonely Ones: un disco abbastanza in linea con gli standard del periodo, che vede il nostro in ottima forma nonostante i dolorosi fatti privati, anche se con un comprensibile aumento degli elementi malinconici. Dopo un’emozionante rilettura del classico di Rodgers & Hammerstein You’ll Never Walk Alone (un successo per Gerry & The Pacemakers e da sempre inno dei tifosi del Liverpool), con il tipico crescendo di Roy https://www.youtube.com/watch?v=DN9Na5KzRhw , abbiamo una bella serie di ballate ricche di pathos, canzoni mai sentite che finalmente ci vengono svelate, come la tesa Say No More, la deliziosa Laurie (uno come Chris Isaak godrà come un riccio ad ascoltare questi pezzi), la fluida title track, la soul-oriented Little Girl (che voce) o il valzerone countreggiante After Tonight, mentre The Defector è “solo” un buon riempitivo. Ma Roy non tralascia il rock, come la vibrante Child Woman, Woman Child, dal ritmo sostenuto e con diversi punti in comune con Oh, Pretty Woman (poteva diventare un classico) o la mossa Give Up, un rock’n’roll con interessanti cambi di tempo e similitudini con il suono di Buddy Holly. Infine, tre cover, due delle quali di Mickey Newbury (una rilettura pop, ma di gran classe, di Leaving Makes The Rain Come Down e Sweet Memories, che Roy fa sua al 100%) ed una toccante I Will Always ancora di Don Gibson. Peccato per la copertina, una delle più brutte mai viste.

Dopo la fine del contratto con la MGM Roy piomberà nel dimenticatoio per tutto il resto degli anni settanta e la prima metà degli ottanta (solo tre dischi: I’m Still In Love With You, discreto, Regeneration e Laminar Flow, trascurabili), per poi tornare clamorosamente in auge dal 1987 in poi, prima con la compilation di successi reincisi ex novo In Dreams, ma soprattutto con il fantastico A Black And White Night, uno dei migliori live degli anni ottanta (e non solo) https://www.youtube.com/watch?v=_PLq0_7k1jk  e con l’album Volume One ad opera dei Traveling Wilburys. Poi la morte per infarto, improvvisa, nel Novembre del 1988, che non gli ha permesso di vivere il grande successo del suo vero e proprio comeback record Mystery Girl e del singolo You Got It. Ma questa è un’altra storia: intanto godiamoci questi 14 dischetti, ricordandoci che, per parafrasare il titolo del primo CD del box, “di Roy Orbison ce n’è soltanto uno”.

Marco Verdi

P.S: se proprio non volete accaparrarvi il box al completo (in CD, quello in LP ha un costo ridicolmente alto), mi permetto di consigliare i seguenti titoli: The Orbison Way, Crw Softly Lonely One, Hank Williams The Orbison Way, The Big O, Memphis e Milestones. Oltre, ovviamente, a One Of The Lonely Ones.