Forse Era Meglio Se Continuava A Fare Il Batterista? Simon Kirke – All Because Of You

simon kirke all because of you

Simon Kirke  – All Because Of You – BMG/The End Records     

Di batteristi/cantanti non ne esistono moltissimi, ma non è neppure una categoria poco frequentata: il più famoso (o forse il più bravo) è Don Henley, se non consideriamo lo scomparso Levon Helm della Band. Anche se forse il primo nome che viene in mente è quello di Ringo Starr. Ma come dimenticare Phil Collins o Dave Grohl (ora chitarrista), oppure in un ambito più leggero Karen Carpenter o Peter Criss dei Kiss, nel passato mi viene in mente Dave Clark, ma anche, in ambiti ancora diversi, Roger Taylor dei Queen e Grant Hart degli Husker Du. Quindi, a ben vedere, potremmo andare avanti per ore, ma ci fermiamo qui: uno degli ultimi arrivati, non per la lunghezza della militanza (è stato il batterista di due delle migliori formazioni rock del passato, Free e Bad Company), potrebbe essere Simon Kirke, che improvvisamente, dagli anni ’00, 2005 per la precisione, si è scoperto anche cantante. Questo All Because Of You è il suo terzo album da solista, e per l’occasione ha deciso di unire le forze con una band già esistente, gli Empty Pockets, un gruppo “famoso” per essere la touring band di gente come Al Stewart e Gary Wright.

E i nomi non sono casuali in quanto il suono di questo disco, più al rock grintoso che siamo soliti accostare a Kirke si muove in una sfera musicale di tipo soft, se non temessi di essere irrispettoso parlerei di “bland rock”, volendo essere forse più obiettivi e molto munifici, diciamo singer-songwriter, considerando che il buon Simon firma, da solo o in compagnia, tutti i brani contenuti in questo CD, eccetto Feel Like Making Love, uno dei brani più famosi dei Bad Company, di cui sono autori Paul Rodgers e Mick Ralphs, anche se, generosamente, qualcuno in rete lo ha attribuito a Kirke, che comunque in passato ha scritto canzoni sia per i Free come i Bad Company. E partiamo proprio da questa canzone: uno dei riff più famosi del rock, viene trasformato in una versione per ukulele (suonato dal nostro, impegnato anche a tastiere e chitarra) e gruppo: l’idea di per sé non sarebbe neppure peregrina, penso a cosa ha fatto Paul McCartney (uno dei preferiti del giovane Kirke) per Something di George Harrison. Ma evidentemente non siamo nella stessa categoria e il risultato finale è appena accettabile, Kirke ha una voce discreta ma non memorabile (non per nulla lo facevano cantare raramente), gli Empty Pockets non sono dei rockers indemoniati, e lui stesso, che ha co-prodotto l’album, non ha curato molto il suono della batteria, che risulta quasi sempre stranamente priva di spessore sonoro e grinta.

D’altra parte abbiamo anche brani dove appare un quartetto d’archi come Maria, una via di mezzo tra un prog morbido e le canzoni melodiche di Macca, giocata su una acustica arpeggiata, oppure Friends In The Wood, dove l’ottimo Josh Graboff è ospite alla pedal steel, per un altro pezzo molto melodico sempre influenzato da Sir Paul, con tanto di cinguettii sullo sfondo. E l’assolo di sax in Melting On Madison più che a Bobby Keys o Clarence Clemons mi ha fatto pensare a Fausto Papetti. Ogni tanto, raramente, il nostro amico si ricorda che è stato (ed è tuttora, perché sono ancora in attività) il batterista dei Bad Company, ma il massimo che ci regala è buon mid-tempo rock come Warm Gulf Water dove quantomeno si sentono le chitarre, o Into The Light, dove ci scappa anche qualche rullata e riff di chitarra, con massiccio, e un po’ pomposo, coro di una decina di elementi che ricorda vagamente i Foreigner.

Fa eccezione Trouble Road dove alla chitarra c’è Warren Haynes, niente per cui strapparsi i capelli (se li avete), ma comunque un pezzo rock di buona qualità, subito dimenticato grazie ad una soporifera Stay With Me che conclude il disco, anche con una fischiettata francamente imbarazzante. Tra i brani da salvare, forse, Lie With You, una ballata dalla buona melodia con spazzolate di organo e piano, e l’iniziale, piacevole e ritmata, All Because Of You, che non lascia presagire quello che verrà dopo. Insomma se non siete collezionisti accaniti e compulsivi di Free e Bad Company (con cui peraltro non c’entra nulla), anche se c’è in giro di peggio e il contenuto non poi è orribile, diciamo non indispensabile, potete tranquillamente fare a meno di questo disco!

Bruno Conti