L’Integrale Di Uno Dei (Pochi) Grandi Musicisti Italiani! Francesco De Gregori – Backpack Prima Parte

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Francesco De Gregori – Backpack – RCA Box Set 34CD

Qualche cantante famoso all’estero lo abbiamo anche in Italia, ma sono perlopiù nomi che su questo blog non leggerete mai (Laura Pausini, Il Volo, Andrea Bocelli, Zucchero), di bravi ne abbiamo tanti (due nomi a caso: Massimo Bubola e Fiorella Mannoia), ma, a mio parere, nel nostro paese abbiamo avuto negli anni ben pochi musicisti, tra quelli famosi, che potessero essere messi sullo stesso livello delle grandi star internazionali, anzi direi che si possono contare sulle dita di una mano: Fabrizio De Andrè, Franco Battiato (che però spesso parte per la tangente), Paolo Conte e quello che considero il migliore di tutti (su De Andrè di poco però), cioè Francesco De Gregori (e no, non ho dimenticato Lucio Battisti, semplicemente non mi ha mai fatto impazzire).

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Il musicista romano oggetto del post odierno è, sempre a mio parere, il miglior cantautore nostrano degli ultimi 45 anni: De Gregori infatti, dopo gli inizi incerti tra folk e pop, ha subito maturato un suo stile ben preciso (anche se l’influenza di Bob Dylan è sempre stata ben presente, e spesso Francesco su questo ci ha giocato), fatto di canzoni profondamente diverse dal solito cliché voce-chitarra-armonica, ma introducendo sin dai primi anni sonorità e ritmiche molto poco italiane, guardando spesso oltreoceano, e scrivendo testi talvolta ermetici, talvolta poetici, qualche volta politici, altre volte profondamente sarcastici, ma mai banali o risaputi, arrivando a poco a poco (verso la fine degli anni ottanta) ad introdurre suoni decisamente rock, specie dal vivo, dove spesso cambia anche gli arrangiamenti delle sue canzoni più note, rinnovandole di volta in volta.

L’occasione di parlare della discografia del Principe (il suo soprannome “ufficiale”) mi è data dalla pubblicazione, giusto prima del Natale scorso, di questo sontuoso cofanetto, piccolo e compatto nel formato ma ricco nei contenuti: il titolo è Backpack, e contiene l’opera omnia del nostro, 32 album tra studio e live (due sono doppi), completamente rimasterizzati (ma senza bonus tracks) ed in pratiche confezioni in simil-LP, accompagnati da uno splendido libro a cura di Enrico Deregibus, che narra disco per disco la storia di Francesco, corredando il tutto con diverse foto rare (NDM: il sottotitolo del box è Le Registrazioni Originali 1970-2015, e sinceramente non capisco perché, dato che il primo album incluso è del 1972). Un’opera importante (anche nel prezzo), che di solito le case discografiche dedicano solo ai loro artisti di punta: gli album ci sono proprio tutti, ad eccezione del live del 2010 con Lucio Dalla Work In Progress (ma c’è lo storico Banana Republic), il collettivo In Tour (con Pino Daniele, la Mannoia e Ron) ed il semi-antologico, ma con diversi inediti anche dal vivo, Mix del 2003. Procederei dunque ad una (rapida?) disamina.

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Theorius Campus (1972): album inciso in duo con Antonello Venditti, ci mostra un De Gregori ancora acerbo ed indeciso su quale direzione prendere, con diversi elementi pop alla Donovan che non ritroveremo in seguito, un brano in inglese (Little Snoring Willy) e la bella Signora Aquilone, che pur con qualche ingenuità ci fa intravedere il talento del nostro. Andrà meglio al socio e concittadino Venditti, dato che il disco contiene la famosissima Roma Capoccia.

Alice Non Lo Sa (1973): l’enigmatica quasi-title track (nel senso che si intitola solo Alice) è ancora oggi uno dei brani più popolari di Francesco, ma il resto del disco non ha lo stesso impatto e qualcuno comincia ad accusare il nostro di eccessivo ermetismo, anche se La Casa Di Hilde e la toccante 1940 sono due canzoni di ottimo livello.

Francesco De Gregori (1974): meglio conosciuto come “La Pecora” per via della copertina, questo album si apre con un uno-due magistrale costituito da Niente Da Capire (in cui il nostro si fa beffe di chi tenta di decifrargli i testi) e Cercando Un Altro Egitto, ma il resto, pur non sfigurando, è inferiore e tradisce ancora qualche ingenuità, proseguendo talvolta sulla strada dell’ermetismo (Informazioni Di Vincent è una delle canzoni più incomprensibili del songbook degregoriano). Forse l’album meno amato dal suo autore.

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Rimmel (1975): al quarto disco, il nostro sfonda: Rimmel è uno dei dischi più di successo di Francesco, e per molti ancora oggi è il suo album migliore, con brani magnifici come la splendida title track, una delle più belle canzoni italiane di sempre, il valzer folk Buonanotte Fiorellino, la struggente Pablo (scritta con Dalla), le bellissime Pezzi di Vetro e Piccola Mela, nella quale De Gregori dimostra anche di cavarsela benissimo anche come cantante. (*NDB E Le Storie Di Ieri?)

Bufalo Bill (1976): altro bel disco, che però non ottiene il successo del precedente. La title track ha una struttura decisamente complessa, quasi fosse una mini-suite di quattro minuti, ed è ancora oggi molto apprezzata, ma gli altri brani sono conosciuti solo tra i fans più assidui, pezzi come Ninetto E La Colonia, L’Uccisione Di Babbo Natale, Santa Lucia e Festival, dedicata a Luigi Tenco. Per anni De Gregori stesso indicherà questo album come il suo preferito.

De Gregori (1978): un disco breve ma bello, che inizia con la classica Generale, uno dei due-tre pezzi del nostro che conoscono tutti, ma che comprende anche il country di Natale, due versioni molto diverse di Renoir e l’autobiografica Il ’56.

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Banana Republic (1979): primo e per molto tempo unico live album del Principe (che però dagli anni novanta assumerà cadenze degne dei Grateful Dead o di Joe Bonamassa), per di più condiviso con Lucio Dalla. Gli highlights sono senz’altro la guizzante title track, traduzione di un pezzo di Steve Goodman, una cover scanzonata di Un Gelato Al Limon (di Paolo Conte), e la hit dell’epoca del duo, Ma Come Fanno I Marinai.

Viva L’Italia (1979): bellissimo disco, curatissimo nei suoni, la cui produzione viene affidata addirittura ad Andrew Loog Oldham, noto per i suoi lavori anni sessanta coi Rolling Stones, e con all’interno musicisti inglesi: la title track è un bellissimo atto d’amore di Francesco verso il nostro paese (pur con tutte le sue contraddizioni), ma nell’album trovano posto anche gemme come Gesù Bambino, Stella Stellina e la lunga Capo D’Africa.

Titanic (1982): tre anni di pausa, ma ne valeva la pena: Titanic non è un vero e proprio concept, ma almeno tre brani girano intorno al famoso transatlantico (e comunque il mare è un argomento che ricorre spesso nei testi di De Gregori), e cioè l’allegra title track e le intense I Muscoli Del Capitano (tra le più amate dal suo autore) e L’Abbigliamento Di Un Fuochista. L’album ha un grande successo, anche per la presenza della splendida La Leva Calcistica Della Classe ’68, una parabola della vita che è anche tra le ballate più note del nostro. Detto anche del quasi rock’n’roll di Rollo & His Jets, l’unica cosa davvero brutta è la copertina.

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La Donna Cannone (1983): primo ed unico EP (all’epoca chiamato QDisc) della discografia degregoriana, inciso dietro la richiesta di musiche per il film Flirt con Monica Vitti. Cinque pezzi in tutto, due strumentali di poco conto e due canzoni di cui non si ricorda nessuno (ma La Ragazza E La Miniera è bella), perché la scena se la ruba tutta la title track, ancora oggi la più celebre canzone di De Gregori, una ballata pianistica di straordinario impianto melodico ed eseguita alla grande (anche se con qualche etto di melassa di troppo), un brano che è diventato un vero e proprio standard della musica italiana. Inutile dire che le vendite andranno alle stelle.

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Scacchi E Tarocchi (1985): tanto languido nei suoni era l’EP La Donna Cannone, quanto tignoso è questo nuovo album, con due brani prodotti da Ivano Fossati e, in altri due, la sezione ritmica più “in” dell’epoca, formata dai giamaicani Sly Dunbar e Robbie Shakespeare (e si sentono). Un disco solido e ben costruito, anche se poco commerciale: il classico è la ballata La Storia (della quale Francesco include il demo, che giudica perfetto così com’è), ma poi ci sono anche la commossa A Pa’ (dedicata a Pasolini), la ritmata Sotto Le Stelle Del Messico A Trapanar e la spigolosa title track. In questo disco si inaugura anche la lunga collaborazione tra Francesco ed il bassista Guido Guglielminetti, ancora oggi direttore musicale della live band del cantautore romano.

Terra Di Nessuno (1987): uno dei dischi meno considerati del nostro, ed uno di quelli che hanno venduto meno, risentito oggi si rivela un lavoro solido e compatto, a cui manca forse il brano di punta (ma la potente Il Canto Delle Sirene è tra le sue più belle degli ultimi anni), ma contiene ottime cose come Capataz, I Matti e l’intensa Pane E Castagne.

Miramare 19.4.89 (1989): uno dei migliori dischi degregoriani, ed il primo ad avere una decisa impronta rock, con uno spostamento abbastanza netto verso testi di scottante attualità (e densi di sarcasmo): la splendida Bambini Venite Parvulos maschera la durezza delle parole dietro uno scintillante arrangiamento folk-rock, la caustica Dr. Dobermann è addirittura reggae, mentre Pentathlon, Carne Di Pappagallo e 300.000.000 Di Topi sono gli altri highlights di un disco di un artista in grande spolvero.

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Catcher In The Sky, Niente Da Capire, Musica Leggera (1990): con una mossa rivoluzionaria (e criticatissima), De Gregori pubblica tre distinti album dal vivo contemporaneamente, con esiti eccellenti. Non sono tre dischi a tema, ed a parte La Storia le canzoni non si ripetono (tranne Alice e Viva L’Italia c’è tutto il meglio del barbuto songwriter): è qui che Francesco inizia a modificare gli arrangiamenti originali ed a rivestire i brani di una patina rock che negli anni si farà sempre più marcata: basti sentire la strepitosa resa di Cercando Un Altro Egitto (praticamente un’altra canzone), ma anche le più recenti Bambini Venite Parvulos ed Il Canto Delle Sirene ne escono rinvigorite.

Fine Prima Parte.

Marco Verdi