Terzo Album In 47 Anni Per Una Leggenda Del Songwriting. Dan Penn – Living On Mercy

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Dan Penn – Living On Mercy – The Last Music CD

Nel mondo della “nostra” musica i clamori sono quasi sempre andati giustamente a chi ha fatto la storia davanti ad un microfono o con una chitarra a tracolla (oppure seduto dietro ad una tastiera, o a un drumkit), mentre chi si è “limitato” a dare il suo contributo scrivendo canzoni ha avuto meno riconoscimenti dal punto di vista della popolarità. Tra questi, uno dei nomi più leggendari è sicuramente quello di Dan Penn, songwriter dell’Alabama impiegato ad inizio carriera nei mitici FAME Studios e che è responsabile, da solo o con altri colleghi (tra i quali gente come Chips Moman, Spooner Oldham, Eddie Hinton, Buzz Cason e Donnie Fritts) di alcune tra le più belle canzoni soul degli anni sessanta, brani portati al successo da artisti del calibro di Aretha Franklin, Box Tops, Janis Joplin, James Carr, Percy Sledge, Arthur Conley e Ry Cooder, tanto per citarne qualcuno “abbastanza” famoso.

Anche la lista delle canzoni uscita dalla penna di Penn (nomen omen) è impressionante: The Dark End Of The Street, A Woman Left Lonely, Cry Like A Baby, It Tears Me Up, I’m Your Puppet (della quale una volta Lou Reed disse che, se l’avesse scritta lui, avrebbe poi smesso di comporre in quanto non sarebbe stato in grado di superarla), Do Right Woman Do Right Man, You Left The Water Running, Rainbow Road e molte altre. Nella sua lunga carriera Penn ha anche saltuariamente affiancato l’attività di cantante a quella di songwriter, pubblicando però appena due album dagli anni settanta ad oggi, l’esordio Nobody’s Fool del 1973 ed il bellissimo Do Right Man del 1994, nel quale riprendeva a modo suo alcuni dei suoi capolavori (i successivi Blue Nite Lounge del 1999 e Junkyard Junky del 2008 sono in realtà due collezioni di demo, non incisi originariamente per essere pubblicati). Poche settimane fa Dan si è rifatto vivo alla tenera età di 78 anni (saranno 79 a novembre) con Living On Mercy, terzo “vero” album della sua discografia e nuova eccellente prova d’autore.

Penn ha infatti scritto 13 canzoni nuove di zecca insieme ad alcuni collaboratori storici (Oldham, Cason, Gary Nicholson) ed altri più recenti, eseguendole in perfetto stile blue-eyed soul con una solida ed esperta band che vede Will McFarlane alle chitarre, Clayton Ivey alle tastiere, Michael Rhodes al basso, Milton Sledge alla batteria, una sezione fiati di tre elementi e le backing vocals dello stesso Buzz Cason oltre che di Cindy Walker (che non è ovviamente la celebre songwriter country scomparsa nel 2006) e Marie Lewey. E Living On Mercy, registrato tra Nashville e Sheffield, Alabama, è un signor disco, un album di puro soul ed errebi eseguito da uno di quelli che ha contribuito attivamente allo sviluppo del genere: nonostante gli anni sulle spalle Penn non ha assolutamente perso il tocco per scrivere belle canzoni, ed anche la voce è sorprendentemente profonda ed efficace (personalmente mi ricorda molto quella di Eric Clapton). L’album inizia in modo splendido con la title track, una calda e suadente soul ballad dalla melodia decisamente bella e scorrevole ed un accompagnamento classico che vede piano elettrico ed organo dettare legge. Molto raffinata anche See You In My Dreams, un lento dal sapore errebi suonato in punta di dita e forse un tantino levigato nel suono e nei coretti femminili, ma Penn ha una presenza vocale forte ed il brano si mantiene ampiamente al di sopra del livello di guardia.

Living On Mercy è prevalentemente un disco di ballate, e Dan ce ne offre una di livello superlativo con la pianistica I Do, delizioso pezzo di chiaro stampo sixties dotato di un motivo molto piacevole: probabilmente se fosse stata scritta cinquant’anni fa sarebbe diventata un classico. Bella anche Clean Slate, un blue-eyed soul melodicamente perfetto, suonato con classe e cantato dal nostro con la padronanza ed il carisma che tanti giovani cantanti di “plastic soul” si sognano. What It Takes To Be True è un lento toccante e dal pathos elevato nonostante un synth che scimmiotta una sezione d’archi, I Didn’t Hear That Coming vede aumentare il ritmo e si rivela un pimpante errebi guidato dal piano, anche se nei due bridge il tasso zuccherino si alza leggermente, mentre Down On Music Row fin dalle prime note di piano elettrico si annuncia come una calda e struggente ballata sudista tra soul e gospel, con il suono che ricorda anche certe cose di The Band, soprattutto per l’uso particolare dei fiati: uno dei brani più riusciti del CD.

Ottima e abbondante anche Edge Of Love, con ritmo cadenzato, pianoforte alle spalle e botta e risposta tra fiati e chitarra elettrica (e Dan canta sempre meglio); Leave It Like You Found It non è male specie nella linea melodica (una costante del disco), ma è anche quella più carica di saccarosio, a differenza di Blue Motel che è uno slow cantato col cuore in mano ed uno dei pezzi in cui l’intesa tra voce solista e coro funziona meglio. Il CD termina con Soul Connection, soul-rock immediato e coinvolgente con la chitarra che assume il ruolo di strumento guida, l’elegante Things Happen, con il nostro che fa il romanticone, e One Of These Days, ennesima ballata di grande finezza dotata di un motivo tra i più belli e diretti del lavoro. Chiaramente auguro a Dan Penn una vita ancora lunga e ricca di soddisfazioni, ma non mi stupirei se in ogni caso Living On Mercy fosse il suo ultimo album come artista in proprio: se così sarà, si tratta di un congedo pienamente degno della sua reputazione.

Marco Verdi

Un Concentrato Di Energia Sudista. Arkansas Dave – Arkansas Dave

arkansas dave

Arkansas Dave – Arkansas Dave – Big Indie CD

Arkansas Dave, al secolo David Pennington (nel nome d’arte si cela la sua provenienza – anche se da anni vive in Texas – ma Arkansas Dave era anche il soprannome di Dave Rudabaugh, un fuorilegge vissuto nella seconda metà del 1800) è un esordiente, ma ha già un background musicale notevole, essendo stato per diverso tempo il secondo chitarrista della touring band del grande bluesman Guitar Shorty. Ma Dave non fa blues, è cresciuto a pane, country e southern rock, e la sua musica è il risultato di queste influenze: dopo aver scritto una manciata di canzoni per il suo debut album, le ha incise ad Austin con la sua backing band (Will McFarlane, chitarra, Clayton Ivey, organo, Bob Wray, basso, Justin Holder, batteria e Jamie Evans, pianoforte), ma poi, dopo averle riascoltate, ha pensato mancasse qualcosa, ed allora è andato nei mitici FAME Studios a Muscle Shoals, in Alabama, e ha impreziosito diversi brani con la strepitosa sezione fiati locale. Il risultato è Arkansas Dave, un bellissimo album di southern soul, suonato e cantato alla grande, e con una serie di canzoni di qualità sorprendente per un esordio.

In certi momenti la fusione del suono della band con quello dei fiati mi fa venire in mente i lavori recenti di Nathaniel Rateliff, anche se qui siamo più dalle parti del soul sudista e manca la parte errebi e funky. Comunque un disco altamente godibile, che sembra il frutto di un artista già esperto e non quello di un debuttante. L’album inizia ottimamente con Bad At Being Good, una rock song potente, con un’accattivante miscela tra chitarre ruspanti, sezione ritmica formato macigno e fiati pieni di calore, un muro del suono poderoso e dal feeling enorme. On My Way è un classico boogie, ruvido e diretto, con organo e fiati che provvedono a fornire un bel suono “grasso” (e non manca un ottimo assolo chitarristico): un uno-due veramente micidiale, ma le frecce all’arco di Dave non sono certo finite qui. Decisamente trascinante anche Think Too Much, dallo sviluppo intrigante, con una slide sinuosa ed un mood contagioso, Bad Water sembra il Joe Cocker dei bei tempi, ma sotto steroidi, con uno stile a metà tra boogie e soul, la lenta ed insinuante Chocolate Jesus sa di blues polveroso del Mississippi, fino al momento in cui entrano i fiati a dare un tono dixieland, mentre con Squeaky Clean siamo in pieno territorio southern blues, sporco e limaccioso quanto basta.

Il disco è bello, creativo e ricco di spunti ed idee interessanti: The Wheel è una ballata nella più pura tradizione dei grandi gruppi del sud, epica ed evocativa, con uno splendido ma purtroppo breve finale strumentale, l’attendista Rest Of My Days ha una linea di basso molto pronunciata ed una melodia interessante anche se non “arriva” subito, mentre Jubilee è uno slow fluido e disteso dalle sonorità calde. In Something For Me si fanno risentire i fiati ed il pezzo, un soul molto intenso e cantato benissimo https://www.youtube.com/watch?v=D76_Jt8gh-U , ha qualcosa che rimanda al suono di The Band e alla scrittura di Robbie Robertson, ed anche Diamonds è un bellissimo brano intriso di southern sound, con un notevole crescendo ritmico ed un coro quasi gospel: tra le più riuscite. Il CD, una vera sorpresa, termina con l’acustica e sognante Hard Times https://www.youtube.com/watch?v=nIGbMLbx5gY  e con la tenue e toccante Coming Home, ballata in puro stile gospel-rock. Gran bel dischetto, Arkansas Dave è uno da tenere d’occhio, e secondo me pure dal vivo è in grado di dire la sua.

Marco Verdi