Uno Dei “Figli Di…” Migliori In Circolazione! AJ Croce – By Request

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AJ Croce – By Request – Compass Records

Nell’ampia categoria che include i “figli di” AJ Croce è sicuramente uno dei più validi ed interessanti (senza fare la lista della spesa, lo metterei più o meno a livello di Jeff Buckley, Jakob Dylan, Adam Cohen, i primi che mi vengono in mente): una vita ricca di tragedie, orfano a meno di due anni per la morte del padre Jim Croce, a quattro anni cieco completamente, anche se poi ha riacquistato parte della visione dell’occhio sinistro, a quindici anni l’incendio della casa in cui aveva sempre vissuto con la madre Ingrid, con la quale ha avuto un rapporto complesso e turbolento, nel 2018 la moglie Marlo, con lui da 24 anni, è morta di una rara malattia cardiaca, lasciandolo con due figli. Nonostante la pesante eredità del padre Jim ha saputo creare un suo approccio alla musica, non seguendo pedissequamente lo stile del babbo, ma ispirandosi al blues, al soul (punti di riferimento Ray Charles e Stevie Wonder), ma con elementi rock, a tratti country, e anche di pop raffinato, grazie all’uso costante del piano di cui AJ è una sorta di virtuoso, ma suona anche tastiere assortite e chitarre: ha realizzato una serie di 10 album, incluso questo By Request, più un disco di rarità dai primi anni di carrierahttps://discoclub.myblog.it/2017/08/20/di-padri-in-figli-aj-croce-just-like-medicine/.

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Dopo la morte della moglie Croce ha voluto rientrare, come suggerisce il titolo, con un disco di cover, realizzate con garbo, classe e ottimi risultati, un album veramente godibilissimo: aiutato da una piccola pattuglia di ottimi musicisti, tra i quali spiccano Gary Mallaber alla batteria, Jim Hoke a sax vari, armonica e pedal steel, David Barard al basso, Bill Harvey e Garrett Stoner alle chitarre, Scotty Huff alla tromba e Josh Scaff al trombone, più un terzetto di backing vocalist, in pratica la sua touring band e con la presenza di Robben Ford in un brano, AJ sceglie una serie di canzoni molte adatte al suo stile, in base alla formula “a gentile richiesta” che si applica nei concerti più intimi. E così ecco scorrere Nothing From Nothing, un vecchio brano di Billy Preston, con i fiati molto in evidenza, in questo classico e mosso R&B dove Croce si disbriga con classe al piano https://www.youtube.com/watch?v=dp2sd7IhGsg , la molto più nota Only Love Can Break Your Heart di Neil Young, una delle ballate più belle del canadese, resa molto fedelmente da AJ e soci che però aggiungono un retrogusto da blue eyed soul o country got soul, con la voce sottile di Croce che ricorda quelle dei Bee Gees degli inizi https://www.youtube.com/watch?v=SKy_PcSEyR0 ; scatenata la versione di Have You Seen My Baby di Randy Newman, un’altra delle maggiori influenze del nostro https://www.youtube.com/watch?v=K-Ec5Od0WsI , Nothing Can Change This Love è un oscuro ma delizioso brano di Sam Cooke, con elementi doo-wop, e il piano che viaggia sempre spedito https://www.youtube.com/watch?v=FmeCGbt7glE , Better Day è un country-blues-swing di Brownie McGhee, con Robben Ford alla slide che contrappunta in modo elegante il lavoro della band https://www.youtube.com/watch?v=nQuHTW7viVc . O-O-H Child è il vecchio brano soul dei Five Stairsteps che ultimamente pare tornato di moda, visto che appare anche nel recente disco Paul Stanley con i Soul Station https://discoclub.myblog.it/2021/03/20/ebbene-si-e-proprio-lui-si-e-dato-al-funky-soul-con-profitto-paul-stanleys-soul-station-now-and-then/ , versione adorabile e delicata. https://www.youtube.com/watch?v=56btlAqRZLY 

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A seguire una robusta rilettura di Stay With Me il classico R&R di Rod Stewart con i Faces, con AJ al piano elettrico e una ficcante slide, Harvey per l’occasione. a ricreare lo spirito ribaldo del brano originale, e non manca neppure il New Orleans soul di Brickyard Blues una canzone di Allen Toussaint, qui resa in una versione a metà strada tra Dr. John e i Little Feat, grazie all’uso del bottleneck del chitarrista Garrett Stoner che interagisce con il piano di Croce, ricreando il dualismo Lowell George/Bill Payne https://www.youtube.com/watch?v=mH-dKTFOfbU . Incantevole anche la versione di San Diego Serenade di Tom Waits, con un arrangiamento che ricorda lo stile dei brani “sudisti” della Band, con tanto di pedal steel sullo sfondo https://www.youtube.com/watch?v=CinzazO7Ti8 , e che dire di una versione barrelhouse blues di Sail On Sailor dei Beach Boys? Geniale e sorprendente! Tra i brani poco noti anche Can’t Nobody Love You di Solomon Burke: non potendo competere con la voce del “Bishop of Soul” AJ opta per un approccio gentile e minimale, con l’organo a guidare e con le coriste che danno il tocco in più, e per completare un disco di sostanza arriva infine Ain’t No Justice un esaltante funky-soul strumentale di Shorty Long targato Motown 1969.

Bruno Conti

Steve Miller Band – Tra Blues, Rock E Psichedelia! Parte II

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Seconda parte.

Gli Anni del Grande Successo 1976-1983 (Mercury Years In Europa)

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Fly Like An Eagle – Capitol 1976 ****

Da questo album in avanti I dischi della Steve Miller Band in Europa cominciano ad uscire per la Mercury, mentre in America rimangono su etichetta Capitol. Il successo si fa travolgente, i dischi vendono a vagonate (questo LP 4 milioni di copie) ma la qualità è ottima, come pure le critiche: ormai il nostro amico ha perfezionato quello space-rock-blues (esemplificato dalla Space Intro posta in apertura) che aveva sperimentato per la prima volta su The Joker. Aiutato dal suo “nuovo” trio dove Lonnie Turner è rientrato al basso e Gary Mallaber è il batterista perfetto, Miller è diventato anche un provetto creatore di singoli di successo, con riff immediati e un suono solare ed accattivante, Fly Like An Eagle, Take the Money And Run e Rock’n Me sono tre perfetti esempi di questo rock fruibile, “scivolante” e tipicamente americano, con Steve che oltre a suonare le chitarre si occupa anche delle tastiere, tra cui il famoso synth ARP Odyssey per gli effetti spaziali, e produce pure.

Forse non tutto l’album è indimenticabile come i tre brani principali, ma Wild Mountain Honey, con Miller anche al sitar, è fascinosa e sognante, la cover di Mercury Blues di KC Douglas (di cui ricordo una versione micidiale di David Lindley su El-Rayo X), ancora una volta attinge dal suo grande amore per le 12 battute, Serenade ha lo stesso incipit di All Along The Watchtower, e Dance Dance Dance, con John McFee al dobro, sembra un brano di John Denver o dei Poco, ma di quelli belli, e pure la cover di You Send Me di Sam Cooke non sfigura. Sweet Maree è il blues che non può mancare, con James Cotton all’armonica e anche la dolce The Window posta in conclusione è un buon brano.

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Book Of Dreams – Capitol 1977 ****

Le canzoni di questo album sono state registrate, come detto, nelle stesse sessions del precedente disco, quindi il suono e l’approccio musicale sono gli stessi: Jet Airliner è il mega successo del LP, ma anche gli altri due singoli Swingtown e Jungle Love, scritta con Greg Douglass, che suona la slide nel brano, sono di ottima fattura. Solita intro spaziale in Threshold, seguita dal riff irresistibile di Jet Airliner, poi Winter Time, con l’amico Norton Buffalo all’armonica, delicata ballata elettroacustica di stampo West Coast, la galoppante Swingtown, questa volta con il coretto preso in prestito da The Lion Sleeps Tonight, e un altro tuffo nei sixties “millerizzati” di True Fine Love.

Mentre tra i brani non memorabili il pseudo prog della sintetica Wish Upon A Star e il finto celtic rock di Babes In The Wood.  Decisamente meglio la ricordata Jungle Love, altro riff’n’roll à la Miller, la morbida psichedelia di Sacrifice e My Own Space, The Stake che ricorda (vagamente) Rocky Mountain Way di Joe Walsh. Forse un filo inferiore a Fly Like An Eagle, ma ancora un ottimo album. Nel 1978 esce Greatest Hits 1974-1978****, che vende un “gazilione” di copie (14 milioni per la precisione) e contiene ben sette brani di Book Of Dreams.

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Circle Of Love – Capitol 1981 ***

A questo punto si poneva il problema di un nuovo album, Byron Allred è il nuovo tastierista, ma Miller sembra avere esaurito il meglio del suo repertorio e anche se “Paganini non ripete”, lui lo fa, in peggio, con le canzoni del nuovo album. La lunga Macho City che occupa l’intera seconda facciata del disco è un cosiddetto space blues, che però vira pericolosamente verso il disco-rock e l’approccio parlato che vorrebbe essere simile allo Zappa  più commerciale in effetti è solo noioso e ripetitivo, e si anima solo per brevi tratti. Le quattro canzoni del primo lato forse sarebbero state un discreto mini album: Heart Like A Wheel, tra surf e Buddy Holly, Get On Home, un rockettino leggero leggero, il doo-wop di Baby Wanna Dance e la title track Circle Of Love un pop gradevole alla Beach Boys con belle armonie vocali e un paio di assoli raffinati di Miller, un po’ poco invero, e il disco non vendette neppure molto.

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Abracadabra –Capitol 1982 **1/2

Il disco seguente è forse anche peggio, molta musica pop ma eseguita con un sound pseudo New Wave, infarcito di tastiere, come nell’iniziale Keeps Me Wondering Why, oppure la disco-rock di Abracadabra molto anni ’80, e pure Something Special nonostante la presenza di Greg Douglass o il singolo sixties Give It Up, tra doo-wop e Beach Boys, non brillano molto. Never Say No ricorda il sound di Greg Kihn che l’anno dopo avrà successo con Jeopardy, Things I Told You sembra un brano dei Police meno ispirati e così via fino alla fine del disco, che però va al n°3 delle classifiche e vende un milione di copie.

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Steve Miller Band – Live! – Capitol 1983  ***1/2

Non un disco dal vivo memorabile, ma ci sono tutti i successi, incisi nel tour del 1982: formazione ampliata per aggiungere i due chitarristi extra, già presenti nel disco precedente, John Massaro e Kenny Lee Lewis, oltre a Norton Buffalo all’armonica che cerca di fare del proprio meglio per dare varietà alle versioni, in parte riuscendoci, anche se sono spesso molto simili a quelle dei dischi in studio: però Gangster Of Love, Rock’n Me, una bluesy Living In The Usa, Fly Like An Eagle, Jungle Of Love, The Joker, una pimpante Mercury Blues, con Steve Miller finalmente grintoso alla chitarra, Take The Money And Run, Abracadbra (no questa no), Jet Airliner, tutte in fila, fanno il loro effetto. Peccato che Buffalo’s Serenade un “bluesone” strumentale di quelli duri e puri non fosse presente nel disco originale, ma solo come bonus nella edizione in CD (però nelle edizioni successive non c’è più, neppure nel box di inediti e rarità Welcome To the Vault).

Dal 1985 a oggi, tra alti (pochi) e bassi.

Italian X-Rays – Capitol 1984  ** Per la serie non c’è fine al peggio Italian X-Rays, come direbbe il La Russa di Fiorello “ è veramente brutto”, un disco elettronico e sintetico dove non si salva nulla, neanche le vendite (forse, a cercare col lanternino Golden Opportunity). Di Living in the 20th CenturyCapitol 1986 – **1/2 salviamo, molto a fatica, la sequenza rock e blues di I Wanna Be Loved, My Babe, Big Boss Man, Caress Me Baby (un bel slow) e Ain’t That Lovin You Baby, anche se il sound è spesso pessimo. Forse la migliore Behind The Barn con doppia armonica, Norton Buffalo/James Cotton. Born To Be Blue – Capitol 1988 – **1/2, il primo disco solo di Steve Miller senza band, sulla carta è interessante, con il ritorno di Ben Sidran alle tastiere, e una selezione di jazz standards, ma il suono, con poche eccezioni, e nonostante la presenza di Milt Jackson e Phil Woods, è spesso turgido, tra smooth jazz e fusion di seconda mano, a meno che amiate il genere.

Wide River – Polydor 1993 *** prova a tornare al rock degli anni ’70, o quantomeno ci prova, diciamo che si lascia ascoltare, ogni tanto c’è anche un po’ di grinta come in Blue Eyes, qualche “riffettino” come in Cry Cry Cry e un accenno di 12 battute in Stranger Blues e nella cover (all’acustica) di All Your Love di Otis Rush, ma l’assolo di sax di Bob Mallach, grazie, ma anche no. Diciamo un 6 politico: dobbiamo poi aspettare 17 anni per avere Bingo! – Roadrunner 2010 ***/12, un più che valido disco di blues elettrico che ci riporta ai temi musicali che tanto lo avevano influenzato nella sua giovinezza.

Il disco vede l’ultima apparizione di Norton Buffalo, scomparso a ottobre del 2009 e comunque nell’insieme fa la sua porca figura, entrando anche nella Top 40 USA: Hey Yeah è un solido pezzo rock-blues scritto da Jimmie Vaughan, con Steve Miller che va anche di Wah-Wah  alla grande, Who’s Been Talkin’ è il classico di Howlin’ Wolf, suonato con forza e impeto, con Norton Buffalo ottimo all’armonica, eccellente All Your Love, con Mike Carabello dei Santana alle percussioni, niente a che vedere con la versione moscia di Wide River, molto buoni anche i due duetti con Joe Satriani, Rock Me Baby di BB King, accelerata e potente, e un brano scritto nel 1994 dalla strana accoppiata Nile Rodgers/ Jimmie Vaughn, la soul ballad Sweet Soul Vibe, per non dire del call and response vocale con Sonny Charles nella cover di Tramp di Lowell Fulson, e anche una fantastica Come On (Let The Good Times Roll) che rende omaggio a Jimi Hendrix (ottime anche le quattro bonus della versione Deluxe). Comunque è tutto l’album che funziona, ci voleva tanto a farlo?

Già che c’era, per riprendere un usanza del passato Steve Miller incide anche insieme Let Your Hair Down – Roadrunner 2011 ***1/2, che viene pubblicato l’anno successivo, stessi musicisti e ancora una ottima selezione di brani rock e blues, di nuovo degni della sua reputazione: Snatch It Back And Hold It di Buddy Guy, con la grinta e la verve della versione originale, I Got Love If You Want It  di Slim Harpo fantastica e hendrixiana, Close Together di Jimmy Reed dai profumi R&R, Pretty Thing con il classico drive alla Bo Diddley, una Can’t Be Satisfied di Muddy Waters che è puro Chicago Blues, Sweet Home Chicago à la Butterfield Blues Band, un altro scatenato R&R come The Walk.

Comunque  tutte le altre canzoni (bonus delle Deluxe incluse) sono eccellenti, con Miller che suona la chitarra veramente alla grande: come nel disco precedente oltre a Miller cantano anche Norton Buffalo, Sonny Charles, Kenny Lee Lewis, il tastierista Joseph Wooten e il bassista Billy Peterson.

Se volete, oltre al Live del 1983, tra i dischi dal vivo si possono segnalare anche The Joker (Live) ***1/2 uscito nel 2014 nel 40° anniversario del disco originale https://discoclub.myblog.it/2015/11/15/40-anniversario-piccolo-classico-del-rock-steve-miller-band-the-joker-live-concert/ , per l’etichetta personale di Miller, la Sailor, distribuita dalla inglese Edsel che è la stessa che ha ripubblicato anche molti dei vecchi album della Steve Miller Band in CD, spesso con l’aggiunta di bonus tracks; dello stesso anno anche Live at the Carousel Ballroom , San Francisco, April 1968 ***1/2 della Keyhole, anche se la qualità sonora non è eccelsa, interessante pure tra i live radiofonici Giants Stadium, East Rutherford N.J. 25-06-78 **** della Echoes, per certi versi superiore al disco dal vivo ufficiale del 1982/83, fin troppo striminzito, molto meglio questo radiofonico https://discoclub.myblog.it/2015/04/11/stadium-rock-depoca-steve-miller-giants-stadium-east-rutherford-n-j-25-06-78/ .

E’ tutto. Senza dimenticare il quadruplo Welcome To The Vault  Capitol 2019****, 3 CD + DVD, di cui avete già letto sul Blog la recensione completa https://discoclub.myblog.it/2019/10/29/cofanetti-autunno-inverno-4-uno-scrigno-di-tesori-finalmente-a-disposizione-di-tutti-steve-miller-band-welcome-to-the-vault/  e che è stato quello che ha scatenato la scintilla per questa retrospettiva dedicata all’artista di Milwaukee.

Bruno Conti