Era Già Un Gran Bel Disco All’Epoca, Nella Nuova Edizione Deluxe “Ritardata” Uscita Per Il 20° Anniversario E’ Ancora Meglio! Van Morrison – The Healing Game

van morrison the healing game

Van Morrison – The Healing Game – 3 CD Deluxe – Exile/Sony Legacy

Il nostro amico Van Morrison (perché qui nel Blog come sapete lo amiamo particolarmente) sta vivendo in questa decade degli anni 2000 una sorta di seconda, terza, quarta o quinta giovinezza, vedete voi: perché, a ben vedere, da quando è iniziata la sua lunga e strepitosa carriera dalla metà dei lontani anni ’60, il musicista di Belfast, in ogni decade, ha avuto dei picchi creativi e qualitativi che se non sempre hanno potuto rivaleggiare con la produzione del primo periodo, per certi versi inarrivabile, comunque sono stati ricchi di pubblicazioni epocali. Dal 1968 al 1974 è uscito un filotto di dischi, da Astral Weeks Veedon Fleece, passando per Moondance, His Band And The Street Choir, Tupelo Honey, Saint Dominic’s Preview, Hard Nose The Highway e il doppio live It’s Too Late To Stop Now, che ha pochi uguali nella storia della nostra musica; ma poi, pur mantenendo sempre un livello qualitativo costantemente elevato, periodicamente ha saputo cavare dal cilindro album fantastici: penso a Common One e No Guru, No Method, No Teacher negli anni ’80, ma anche Irish Heartbeat con i Chieftains, Hymns To The Silence, Days Like This e questo The Healing Game negli anni ’90, oltre al disco dal vivo A Night In San Francisco. Forse solo nella prima decade degli anni 2000 non ci ha regalato dischi memorabili per quanto sempre rispettabili, anche se la rivisitazione di Astral Weeks Live At The Hollywood Bowl era un signor disco, ma negli ultimi anni è stato particolarmente prolifico, andando a ritroso, con il terzetto degli ultimi album dedicati al jazz e al blues, il bellissimo Keep Me Singing del 2016, inframezzati dal DVD dal vivo Van Morrison In Concert https://discoclub.myblog.it/2018/03/30/from-belfast-northern-ireland-il-van-morrison-pasquale-van-morrison-in-concert/e da tutta una serie di ristampe potenziate della sua discografia passata, eccezionale in particolare quella di It’s Too Late To Stop Now Volumes II,III, IV & DVD https://discoclub.myblog.it/2016/06/14/sempre-stato-difficile-fermarlo-nuova-versione-espansa-piu-dei-live-piu-belli-sempre-van-morrison-its-too-late-to-stop-now-ii-iii-iv-dvd/

Proprio a causa di questo florilegio di pubblicazioni, l’uscita di questa edizione tripla potenziata di The Healing Game, che doveva avvenire nel 2017, in occasione del 20° Anniversario, è stata rinviata più volte, ma oggi finalmente la abbiamo tra le mani, e valeva l’attesa. Il disco in effetti era giù uscito in una edizione rimasterizzata singola nel 2008, ma poi a causa delle vicissitudini relative al suo vecchio catalogo, che nel passaggio dalla Universal alla Sony ha visto andare fuori produzione diversi dei vecchi dischi, da qualche anno non era più disponibile. Comunque questa nuova edizione espansa ci permette di gustare molto materiale raro ed inedito che era stato inciso in quel periodo, tra il 1996 e il 1999, particolarmente fecondo di registrazioni, oltre a darci la possibilità di riascoltare l’album originale, dove spiccano alcuni brani veramente notevoli, forse non tra i migliori in assoluto di Van Morrison, ma in ogni caso di tutto rispetto. Come risalta all’ascolto dell’album anche la qualità dei collaboratori dell’irlandese in quegli anni, con delle punte di merito per il rientrante Pee Wee Ellis al sax, l’ottimo Alec Dankworth al contrabbasso, Georgie Fame all’organo e alle armonie vocali e i vocalist aggiunti Katie Kissoon Brian Kennedy (quest’ultimo non amato da tutti, lo ammetto), ma tutta la band impiegata è formidabile. Vediamo quindi i contenuti di ogni singolo CD.

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Diciamo che all’epoca della sua uscita nel 1997 segnalò un momentaneo allontanamento dallo stile più jazzato, ispirato da Mose Allison, per quanto sempre mediato dallo stile unico di Morrison, per uno dei suoi periodici ritorni al celtic soul spirituale dei dischi migliori e più ispirati: Rough God Goes Riding, con una armonica quasi dylaniana che la percorre, è una ballata che ha un afflato che miscela folk, soul e gospel, grazie al cantato di Van che lascia andare in libertà la sua splendida voce come solo lui sa fare, ben sostenuto dalle armonie vocali di Katie Kissoon e con Pee Wee Ellis che lavora di fino e con gran classe al sax, mentre Robin Aspland con il suo eccellente lavoro di raccordo al piano contribuisce alla riuscita della canzone. Ottima anche Fire In The Belly, sempre oltre i sei minuti di durata, uno dei tipici brani dell’irlandese, sognante ma con una solidità sonora sempre ispirata dalla amata soul music che pervade magicamente la struttura della canzone e con Brian Kennedy e Fame che aiutano Van nel classico call and response dei suoi pezzi più vibranti, con Ellis nuovamente ispirato al sax soprano: deliziosa anche This Weight con il rotondo contrabbasso di Dankworth a fare da contrappunto agli incroci vocali di Morrison, Fame e Kennedy, sempre ottimamente sostenuti dal sax di Pee Wee, che in Waiting Game, altra ballata mirabile, lascia spazio all’armonica di Van Man che per l’occasione duetta nuovamente con la dolce voce della Kissoon, mentre The Piper At The Gates Of Dawn pur nella sua brevità è un mezzo capolavoro, un pezzo mistico di impianto folk, con Morrison all’acustica, Peter O’Hanlon al dobro, Phil Coulter al piano e Paddy Moloney dei Chieftains a uileann pipes e whistle, una meraviglia. Ancora l’armonica introduce The Burning Ground, un brano dalla andatura decisamente più incalzante, che conferma ancora l’ispirazione che ha sostenuto il nostro nella creazione di tutto l’album, delizioso anche il talking tra Morrison, Ellis e Kennedy nella parte centrale, che poi riparte con rinnovata energia nell’interscambio tra voci, Van Morrison e la Kissoon, e gli strumenti a fiato.

It Once Was My Life, con Leo Green Matt Holland (che oltre che al sax e alla tromba, sono per l’occasione anche le voci di supporto in aggiunta a Kennedy e Fame) ondeggia in modo incantevole tra R&B, gospel e piccoli tocchi latineggianti adorabili, sempre sostenuti dalla potente voce del rosso di Belfast. Sometimes We Cry, con una lunga introduzione affidata al contrabbasso di Dankworth, è un’altra canzone superba, tra le migliori del disco, accorata e toccante, con Pee Wee Ellis ancora decisivo al sax soprano e Van The Man che ci regala una ennesima interpretazione vocale da manuale; If You Love Me vira verso una sorta di doo-wop morrisoniano, con la Kissoon adorabile e perfetta nel contrappunto alla voce roboante di Van che poi rilascia un altro intervento incantevole all’armonica. Come chiusura dell’album originale troviamo la title track The Healing Game, questa volta introdotta dalle scivolanti note dell’organo di Georgie Fame che sottolineano una ennesima superba interpretazione di Van Morrison (ma che lo dico a fare?), che poi lascia spazio al sax, questa volta baritono, di Pee Wee Ellis, prima di lanciarsi in una travolgente cavalcata vocale finale con Holland e Green che lo spingono verso i suoi vertici assoluti. Le bonus del primo CD riguardano i singoli che erano usciti all’epoca come compendio all’album: Look What The Good People Done, un piacevole brano tra blues e jazz, At The End Of The Day, un altro brano ispirato dalla vena celtic soul che contraddistingue l’album e caratterizzato dal suono del dobro, la single version di The Healing Game, differente nell’arrangiamento e più breve di quella del disco, meno solenne e più “sbarazzina” si ascolta comunque sempre con grande piacere. Mentre in chiusura sono poste due nuove versioni di classici del songbook del Morrison: Full Force Gale ’96 (single version), in origine su Into The Music del 1979, e St. Dominic’s Preview, dall’album omonimo del 1972, entrambe decisamente belle, anche se non superano gli splendi originali, pure se si apprezza la bravura della band di Van in quello scorcio di anni ’90.

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Come confermano gli extra contenuti nel secondo CD, intitolato Sessions & Collaborations. The Healing Game, quasi otto minuti, è quasi più bella della versione uscita sul CD, anzi togliamo il quasi, diciamo un bel pareggio, meno “acrobazie” vocali, una interpretazione più asciutta a livello di arrangiamento, che comunque lascia spazio alla strabordante vocalità del nostro. Stesso discorso per Fire In The Belly, in una versione più intima e discorsiva. Didn’t He Ramble, all’epoca inedita e poi pubblicata nel disco del 2011 con Chris Barber e Dr. John, è un classico traditional R’n’B dal taglio jazz, stesso discorso anche per la versione jazz di The Healing Game, molto sofisticata, mentre la versione alternativa full length di Sometimes We Cry, oltre gli otto minuti, è un compendio mirabile a quella pubblicata sull’album. Poi arrivano le chicche: Mule Skinner Blues, in versione swing jazz, la troviamo anche in chiusura del CD in una travolgente versione a tutto skiffle con Lonnie Donegan. A Kiss To Build A Dream On, anche questa inedita, era un brano dal repertorio di Louis Armstrong, una ballata jazz trasognata ed elegante.

Don’t Look Back The Healing Game, entrambe splendide, erano sul disco di John Lee Hooker del 1997, e la prima ha anche vinto il Grammy come “Best Pop Collaborations With Vocals”, non saranno inedite ma si ascoltano comunque con grande piacere. E anche il quintetto di brani registrato con uno dei maestri del R&R come Carl Perkins non scherza: Sittin’ On Top Of The World era già uscito in un tributo alla Sun Records del 2001, ma gli altri quattro, Boppin’ The Blues, Matchbox, My Angel e All By Myself sono inediti, tutti e cinque i pezzi sono incantevoli, eseguiti con garbo, classe e grande vigore, e i due si divertono veramente alla grande e se fosse uscito un album intero di queste collaborazioni non sarebbe stato per niente male.

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Van Morrison ha suonato moltissime volte al Festival Jazz di Montreux, un paio di concerti memorabili, quelli del 1980 e del 1974, sono stati raccolti e pubblicati in un DVD uscito nel 2009, mentre questa esibizione registrata il 17 luglio del 1997 è completamente inedita. Si tratta del concerto quasi completo, manca solo una canzone, Satisfied, dalla tracklist originale: stranamente per Van The Man ci sono ben sette brani tratti dall’album che era appena uscito, mescolati a pochi super classici del suo repertorio,  anzi direi uno solo, Tupelo Honey in medley con Why Must I Always Explain, ma con alcune sorprese, per esempio le cover di A Fool For You, una canzone di Ray Charles, e dal repertorio di Tony Bennett Who Can I Turn To (When Nobody Needs Me), oltre a Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin), di Sly Stone, presente nel medley finale. Comunque la lista completa dei brani è questa:

1. Rough God Goes Riding
2. Foreign Window
3. Tore Down A La Rimbaud
4. Vanlose Stairway/Trans-Euro Train
5. Fool For You
6. Sometimes We Cry
7. It Was Once My Life
8. I’m Not Feeling It Anymore
9. This Weight
10. Who Can I Turn To (When Nobody Needs Me)
11. Fire In The Belly
12. Tupelo Honey/Why Must I Explain
13. The Healing Game
14. See Me Through/Soldier Of Fortune/Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin)/Burning Ground

Un concerto solido e di ottima qualità che completa degnamente questa edizione Deluxe di uno degli album migliori del Van Morrison del secondo periodo, qualcuno lo ha definito, magari esagerando, “Van’s mid-career masterpiece”, ma in questa nuova veste espansa risulta comunque un disco estremamente godibile, fateci un pensierino!

Bruno Conti

Gradevole, Ma Solo Per Collezionisti Incalliti. Bill Wyman’s Rhythm Kings – Studio Time

bill wyman's rhythm kings - studio time

Bill Wyman’s Rhythm Kings- Studio Time – Edsel Records

Bill Wyman ufficialmente ha lasciato gli Stones nel gennaio 1993, ma la sua ultima partecipazione è stata negli Steel Wheels/Urban Jungle Tours del 1989/90. Durante la sua permanenza della band aveva pubblicato diversi album come solista, il primo Monkey Grip nel 1974: e ad essere sinceri erano tutti abbastanza “bruttarelli”, diciamo non memorabili. Forse la sua migliore avventura parallela era stata con Willie And The Poor Boys (insieme a Mickey Gee, Andy Fairweather-Low, Geraint Watkins, e Charlie Watts), autori di un buon album nel 1985. Da lì probabilmente era germogliata l’idea per i Rhythm Kings, che discograficamente esordiscono solo nel 1997, ma come dimostra questo Studio Time già registravano brani fin dal 1987. In effetti la loro discografia conta su cinque album in studio e due dal vivo, più DVD, antologie di rarità, quattro cofanetti con una valanga di inediti, a cui ora si aggiunge questo Studio Time, l’ultimo della serie, che raccoglie quindici outtakes registrate in diverse sessioni tra il 1987 e il 2002. Dischi nuovi non ne escono da anni (Back To Basics è del 2015 e non aveva proprio entusiasmato, come dargli torto, l’amico Marco https://discoclub.myblog.it/2015/07/11/speriamo-che-del-prossimo-disco-passino-altri-33-anni-bill-wyman-back-to-basics/) e Wyman, che va per gli 82 anni, ha diradato moltissimo (per usare un eufemismo) le sue apparizioni Live, ma a livello CD quindi, soprattutto dei Rhythm Kings. ne escono sempre a raffica, difficilmente memorabili, con la loro elegante ed onesta miscela di R&R, R&B, Blues, country e Jazz morbido.

Apre Beds Are Burning, un vecchio classico dei Midnight Oil, inciso nel 1998, cantato da Beverley Skeete, una simil Tina Turner, e dallo stesso Wyman (si fa per dire), mentre Gary Brooker al piano e Georgie Fame all’organo, oltre a Terry Taylor alla chitarra, che era nei Tucky Buzzard, prodotti ai tempi proprio da Bill, cercano di dare brio al pezzo. I due insieme hanno scritto Open The Door, che viene dal 2003, un pezzo rock più grintoso, cantato da Mike Sanchez, con Chris Stainton al piano, e sempre una piccola sezione fiati a vivacizzare il tutto. You’re The One, viene dalla session del 1987, è il vecchio brano di Jimmy Rogers, un classico blues cantato da Geoff Grange che suona anche l’armonica, mentre nella band si notano Andy Fairweather Low e Nicky Hopkins. Going Up the Country, registrata nel 2003, è proprio la vecchia canzone dei Canned Heat, rifatta in versione carta carbone con Faiweather Low a riprodurre il falsetto di Al Wilson e Nick Payne al flauto; Long Comma Viper è un oscuro brano di Dan Hicks & His Hot Licks, che nella versione cantata da Georgie Fame nel 1999, mantiene la sua verve western swing, con tanto di steel suonata da Taylor, con My Wife Can’t Cook, targata 2002, che vira verso un piacevole R&B, altro brano poco noto di tale Lonnie Russ del 1962, ma si sa che Wyman è un profondo cultore di quel repertorio, Mike Sanchez canta decisamente bene e la band rolla di gusto.

I’m Shorty è un altro blues, annata 1999, firmato da Willie Dixon, cantato da Frank Mead, altra figura minore del rock inglese, mentre Got Love If You Want It di Slim Harpo, ha rimandi agli Stones, con Grange, Fairweather Low e Taylor che vanno alla grande, in questa outtake del 1987. Shoes è un morbido pezzo R&B del “tardo” Don Covay, 1998, con Beverley Skeeete che si fa onore, e Dr. Watson Mr. Holmes, mai sentita prima, è un divertente pezzo jive cantato da Georgie Fame nel 2000, difficilmente entrerà negli annali della musica. E pure la versione di These Kind Of Blues, cantata da Terry Taylor, dubito avrà questo onore, come pure la scanzonata Blue Light Boogie di Louis Jordan, cantata dalla Skeete. Skiing Blues, solo Fame, voce e organo, è una ballata notturna, ma che c’entrano i Rhythm Kings? Più impegnati nella swingata Santa Baby, annata 2000, con Martin Taylor e Tommy Emmanuel alle chitarre e in Jazz Walk, un brano originale dello stesso Wyman, ancora 2002 e nuovamente con Fame che la canta. Gradevole, serve per completare la collezione.

Bruno Conti