Il Blues Secondo Van Morrison, Classico E Raffinato. Roll With The Punches E’ Il Nuovo Album

van morrison roll with the punches

Van Morrison – Roll With The Punches – Exile/Caroline/Universal

Per il mese di settembre, in un primo tempo, era stata annunciata la ristampa potenziata, in versione triplo CD, di The Healing Game, l’album di Van Morrison che quest’anno avrebbe festeggiato il 20° Anniversario dall’uscita: il disco ora ha una nuova data di uscita prevista per il 15 febbraio 2018, quindi il ventennale va a farsi benedire, ma si sa che queste date sono spesso solo degli optional per le case discografiche, specie se l’artista, come il rosso irlandese, ha due contratti con diverse etichette, la Caroline, e quindi il gruppo Universal, per i dischi nuovi (ed è già il secondo di seguito che esce con loro, un record per il Van degli ultimi anni, che sarà ribadito a breve), e la Sony Legacy per le ristampe del vecchio catalogo. Comunque verso l’inizio dell’estate è stata annunciata l’uscita di un nuovo album, Roll With The Punches, a cui, nel corso delle procedure, è stata anche cambiata la foto di copertina, in quanto nella prima versione era obiettivamente piuttosto pacchiana. Cosa che invece non è il contenuto del disco, classico e raffinato come dico nel titolo, dedicato al Blues, inteso nel senso più ampio del termine, quindi anche R&B, soul, R&R e un filo di gospel, il tutto attraverso l’ottica unica di Morrison, che per l’occasione scrive anche cinque nuovi brani, sintonizzati su questa lunghezza di onda sonora, con un chiaro omaggio ai suoi ascolti giovanili, agli artisti e alle canzoni che lo hanno influenzato nella parte iniziale della sua carriera, e che ancora oggi spesso sono l’oggetto delle sue ricerche sonore. Come è abbastanza noto i dischi del nostro amico, per definizione, appartengono al “genere Van Morrison”, o se proprio vogliamo affibbiargli una etichetta, diciamo celtic soul:music, quindi, secondo i detrattori, “purtroppo” tutti uguali tra loro, e per gli ammiratori, “per fortuna” tutti uguali tra loro. Ovviamente sto estremizzando parecchio, ma il succo è un po’ quello, infatti parlando dei suoi CD, non si parla di un album bello, ma di un Van Morrison bello, e quello dello scorso anno http://discoclub.myblog.it/2016/10/02/male-esordiente-irlandese-van-morrison-keep-me-singing/, era molto bello, uno dei suoi migliori da parecchio tempo a questa parte, forse proprio dai tempi di The Healing Game.

Come sapete il sottoscritto è un grande estimatore dell’opera di Van The Man, ma credo anche di essere obiettivo, e quindi direi che questo Roll With The Punches è “solo” un bel disco, non un grande disco, con alcune canzoni decisamente sopra la media, e cantato come sempre da una delle più belle voci dell’orbe terracqueo, a 72 anni ancora limpida e potente come se il tempo per lui non passasse (anche se come sapete, secondo una mia teoria già esposta in passato, da bambino Van Morrison ha ingoiato un microfono, e quindi è avvantaggiato rispetto ai suoi concorrenti). Facezie a parte, il disco è anche suonato in modo impeccabile, e questa volta il nostro amico utilizza, oltre alla sua band attuale, anche parecchi ospiti (in modo in parte diverso rispetto all’album dei duetti http://discoclub.myblog.it/2015/03/21/vivo-van-morrison-duets-re-working-the-catalogue-la-recensione/ , dove ogni tanto i partner scelti non erano alla sua altezza). Il nome più importante è sicuramente quello di Jeff Beck, un vecchio amico con cui ha suonato in parecchie jam, e componente della “santa trinità” dei chitarristi rock inglesi, con Clapton e Page, che appare in cinque brani. Nel disco, come ospiti ci sono altre tre “vecchie glorie” del british blues, Chris Farlowe, Georgie Fame Paul Jones, oltre al più giovane (nasceva più o meno quando l’irlandese iniziava la sua attività musicale) Jason Rebello, pianista di impronta jazz, sempre inglese. Mentre nella band abituale di Van Morrison troviamo Paul Moran all’organo, Stuart McIlroy al piano, Dave Keary alla chitarra, Laurence Cottie al basso, Mez Clough alla batteria, oltre alle due eccellenti coriste Dana Masters Sumudu Jayatilaka, e qualche altro strumentista che appare saltuariamente, ma questa volta, salvo due o tre eccezioni, niente fiati. Dieci cover e cinque brani nuovi di impronta prevalentemente blues, ma grazie alla verve vocale di questo signore comunque nettamente superiori alla produzione media nell’ambito delle 12 battute.

Prendiamo la prima canzone, la title track Roll With The Punches, uno dei brani nuovi, una vibrante blues song, un Chicago Blues potente e sanguigno, con Keary molto efficace alla slide e  il duo McIlroy e Moran alla tastiere che sottolinea il cantato intenso di Morrison: Transformation all’inizio mi pareva identica a People Get Ready di Curtis Mayfield (orrore, un quasi plagio), ma è un attimo e poi diventa un’altra classica soul ballad tipica dell’irlandese, serena e fluida, con le due voci femminili e Chris Farlowe che danno una mano nell’arrangiamento, mentre un misuratissimo Jeff Beck, lavora di finezza per l’occasione, trattenendo i suoi istinti più “esagerati”. Un bel uno-due di apertura, seguìto dalla prima cover dell’album, I Can Tell, un pezzo dal repertorio di Bo Diddley, ma che nella scansione sonora ricorda pure lo stile di un altro dei “maestri” di Van Morrison, il grande John Lee Hooker, con il suo riff insistito e ripetuto, che sta a mezza strada tra R&R e R&B anni ’50, sempre con piano e organo che si dividono con le chitarre gli spazi, fino a che arriva Jeff Beck e mette d’accordo tutti, mentre Farlowe e le coriste sono sempre in moto sullo sfondo in modalità call and response e anche Morrison mette in azione la sua armonica. Due canzoni celeberrime sono poi proposte in un medley di grande intensità, Stormy Monday di T-Bone Walker, con la voce duettante di Chris Farlowe, questa volta alla pari con Van, e Lonely Avenue, un pezzo di Doc Pomus, che cantava Ray Charles, una delle grandi passioni di Morrison, ancora con un Jeff Beck in grande spolvero, nell’inconsueta veste più misurata utilizzata in questo album (ma se suona sempre), e anche il nostro amico si scatena nuovamente all’armonica. Goin’ To Chicago, scritta da Count Basie & Jimmy Rushing è più jazzata, eseguita in quartetto, con Georgie Fame, seconda voce e organo hammond, lo stesso Van armonica e chitarra elettrica, Chris Hill al contrabbasso e James Powell alla batteria, per un brano più notturno e felpato, che potrebbe essere il preludio del nuovo disco di Van. Un altro direte voi? Ebbene sì, a dicembre dovrebbe uscire un altro disco nuovo di Morrison, dedicato agli standards jazz, che dovrebbe chiamarsi Versatileve lo anticipo qui, poi ve lo confermerò più avanti, ma dovrebbe essere quasi certo.

Tornando al disco, Fame (omaggio a Georgie?), è un altro pezzo originale, per l’occasione in duetto con Paul Jones (Manfred Mann Blues Band), all’armonica, oltre che voce duettante, un altro blues duro e puro molto classico; e pure Too Much Trouble, ancora proveniente dalla penna dell’irlandese, e che lo vede impiegato anche al sax, è Morrison tipico, con Moran alla tromba e Cottie al trombone, nell’unico brano fiatistico che si inserisce nel filone swingante à la Moondance. con un ottimo Rebello al piano. Uno dei pezzi forti dell’album è sicuramente la rilettura intensa e sentita del capolavoro di Sam Cooke, Bring It On Home To Me, una delle più belle canzoni della storia della musica nera (e non solo), veicolo ideale per la magnifica voce senza tempo di Van, che già ne aveva incisa una versione splendida nell’indimenticabile doppio dal vivo del 1974 It’s Too Late To Stop Now, superiore a quella attuale per me, che però si avvale di uno strepitoso Jeff Beck alla solista che quasi pareggia quella dell’epoca, grande musica in entrambi i casi (quindi doppio video). Ordinary People è l’ultimo degli originali firmato da Van, un altro buon blues, se mi passate il termine, molto hookeriano, dall’andatura falsamente pigra ed ondeggiante, con Keary Beck che si stuzzicano alle chitarre, mentre Farlowe fa lo stesso con il “capo”, e McIlroy fa scorrere le dita veloci sulla tastiera e alla fine chi gode è l’ascoltatore, come dice il famoso detto adattato per l’occasione “sarà solo blues ma ci piace”! How Far From The God di Sister Rosetta Tharpe, con il piano barrelhouse di Mcilroy in evidenza, ha un empito quasi R&R, con piccoli sussulti gospeli, nel suo dipanarsi e Morrison scurisce la sua voce ulteriormente, per Teardrops From My Eyes, un brano che facevano Louis Jordan, Louis Prima e Ray Charles, molto più felpata e dal sound errebì vecchia scuola, con Georgie Fame di nuovo all’organo e il buon Van che sfodera un ficcante assolo di sax, mentre le coriste si agitano sempre sullo sfondo. Automobile di Sam “Lightnin’ Hopkins è un intenso blues lento elettrico, con armonica, chitarra (lo stesso Morrison) e piano, a guidare le danze. Benediction è uno dei classici brani di Mose Allison, altro grande pallino ed amico dell’irlandese, con Rebello eccellente al piano e Moran all’organo e ancora il sax del nostro, che impiega Keary e Clough come voci “basse” di supporto, insieme alle due ragazze, per un brano dalla struttura squisita. Mean Old World era un celebre brano dell’armonicista Little Walter, un altro slow blues in cui Morrison non può esimersi dal soffiare nello strumento. e in chiusura rimane la divertente e mossa Ride On Josephine, l’altro pezzo dal repertorio di Bo Diddley, con drive e riff che erano quelli tipici di Ellas McDaniel.

Una ennesima buona prova quindi di Van Morrison, che ne conferma la ritrovata vena, insieme alla sua immancabile e proverbiale verve vocale. E’ uscito oggi, venerdì 22 settembre.

Bruno Conti