Puro Pop Britannico Non Adulterato! Squeeze – Cradle To The Grave

squeeze cradle to the grave

Squeeze – Cradle To the Grave – Love Records/Virgin/Universal 

Come dissero efficacemente, non volendolo, i discografici americani, in un momento di profonda ed involontaria bigotteria, quando rinominarono il primo disco americano di Nick Lowe da Jesus Of Cool a Pure Pop For Now People, nel lignaggio dei musicisti inglesi, a partire dai Beatles e dai Kinks (ma ce ne sono altre decine), passando per i 10cc e gli ELO di Jeff Lynne, poi giù giù fino a Costello, Dave Edmunds, Nick Lowe ed i loro Rockpile, gli stessi Squeeze, c’è tutta una stirpe di musicisti che si sono dedicati alla difficile arte della creazione della perfetta musica pop. Chris Difford e Glenn Tilbrook, che sono da circa 40 anni depositari del marchio Squeeze, sono tra i più ostinati praticanti di detta arte: partiti sul finire dell’epopea “pub rock”, mentre si trasformava in punk-rock e poi in new wave, la band inglese, sin dal primo singolo Take I’m Yours e il primo EP del 1977, hanno creato una lunga serie di canzoni che era sempre alla ricerca di quella difficile forma. Attraverso tre diversi periodi, con scioglimenti e riformazioni del gruppo, più o meno ogni decade, con o senza Jools Holland, storico sodale e pianista originario della band, non presente nell’ultima incarnazione degli Squeeze, quella che li vede di nuovo sotto la vecchia ragione sociale dal 2007, ma che discograficamente aveva prodotto solo un disco nel 2010, Spot The Difference, dove avevano re-inciso i vecchi successi, finalmente approdano, dopo oltre cinque anni di preparazione, al primo album di materiale nuovo, questo Cradle To The Grave, che fa seguito a Domino, uscito nel lontano 1998 e che francamente era stato una mezza delusione.

Ovviamente nel pop degli Squeeze ricorrono tutte le anime del pop britannico ricordate sopra, e anche molte influenze musicali americane, ma il loro stile compositivo in coppia risente soprattutto della lezione di Lennon/McCartney, nel loro caso ancora più “perfezionata”, perché, almeno agli inizi, Difford, scriveva solo i testi e Tilbrook le musiche, poi negli anni hanno deciso di scrivere “words and music” by Difford & Tilbrook. Il  pop-rock dei due è stato sempre abbastanza orecchiabile e in fondo anche commerciale (non è il male assoluto), e questo nuovo album non fa nulla per cambiare l’approccio, ma c’è sempre quel guizzo di genialità, sia nelle musiche che nei testi, che li pone un gradino sopra gli altri e li rende comunque una istituzione della musica britannica: dodici nuove canzoni, circa 45 minuti di delizie di “puro pop”, da quello scanzonato e divertente dell’iniziale title-track, con tanto di ukulele, pianino da music hall, le solite armonie vocali (questa volta anche vagamente gospel), da sempre loro marchio di fabbrica e un’aria da fine dell’impero britannico, passando per i vaghi ritmi disco (ma giusto un tocco) di Nirvana, “nobilitata” da arrangiamenti di archi e da una chitarra-sitar che profuma di anni ’60, oltre a strati di tastiere sognanti e lo voci spesso sovrapposte dei due, Difford un tono più basso e Tilbrook più giovanile e spensierato https://www.youtube.com/watch?v=0fidOiAFXK0 .

Beautiful Game, sempre con i ricchi arrangiamenti e le melodie semplici delle loro migliori canzoni, Glenn che suona praticamente qualsiasi tipo di strumento, nel caso, oltre alle chitarre, anche un vecchio Mini Moog che arricchisce e caratterizza il tono del brano; in Happy Days, altra gioiosa costruzione di puro McCartney sound, Tilbrook ci regala un piccolo solo di chitarra che oscilla deliziosamente tra jazz e R&R per poi tornare nel finale al sitar guitar e ai coretti gospel reiterati https://www.youtube.com/watch?v=-lDZfjSBcy0 . Piacevolissime pop songs anche Open e Only 15, con armonie vocali e ricchi arrangiamenti che pescano dal songbook di Beatles e Beach Boys, ma anche da quel pop revivalistico di fine anni ’70. Top Of The Form, nei testi si rifà a Ray Davies e nella musica al loro vecchio produttore Elvis Costello, mentre Sunny è praticamente Eleanor Rigby parte due, solo archi e qualche tocco di Moog, per un brano che cita Hendrix nel testo ed è composito e letterario come molti parti della fantasia di Difford, autore assai raffinato https://www.youtube.com/watch?v=JKn4B2vBpo8 . Haywire, con la sua pedal steel aggiunta, miscela sonorità americane ed inglesi come usavano fare i vecchi Brinsley Schwarz https://www.youtube.com/watch?v=ue7nMMHYkwo  e Honeytrap, di nuovo con moog e chitarre acustiche che convivono pacificamente, è piacevole ma innocua, meglio allora l’avvolgente e beatlesiana Everything, un mid tempo malinconico, tipico di questa geniale band inglese, che poi conclude l’opera con Snap, Crackle And Pop, altra variegata e raffinata costruzione di pop stratificato, ricco nei particolari sonori, con il consueto ritornello cantabile e quelle armonie vocali immancabili. Probabilmente un album non imperdibile o memorabile, ma se amate certo pop-rock di qualità qui c’è parecchio materiale da gustare.

Bruno Conti