Ci Mancava: (Anche) Dal Vivo E’ Sempre Formidabile! Richard Thompson Band – Live At Rockpalast

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Richard Thompson Band – Live At Rockpalast – WDR/MIG 3CD/2DVD

Come probabilmente saprete Rockpalast è il nome di una famosa trasmissione televisiva tedesca, che iniziò a programmare negli anni settanta e continua ancora oggi, occupandosi di mandare in onda i concerti di alcuni tra i migliori musicisti mondiali: negli anni sono stati pubblicati diversi CD e DVD tratti da quelle serate, tra cui ricordo Ian Hunter, Lee Clayton, Willy DeVille, i Rockpile, Paul Butterfield, John Cipollina, Joe Jackson, George Thorogood e moltissimi altri. Oggi questa benemerita serie decide di omaggiare uno dei più grandi di tutti, cioè Richard Thompson, e lo fa in maniera sontuosa, con una sorta di mini-box contenente ben tre CD e due DVD, controbilanciando in un colpo solo i tre recenti album acustici del musicista britannico. Le serate interessate da questo cofanetto sono quelle di un concerto completo tenutosi nel Dicembre del 1983 alla Markthalle di Amburgo (che occupa i primi due CD ed il primo DVD) ed una parte dello show del Gennaio 1984 al Midem di Cannes (quindi eccezionalmente fuori dai confini teutonici). La tournée in questione è quella a supporto di Hand Of Kindness, secondo album solista di Richard dopo Henry The Human Fly (in mezzo c’erano stati i sei lavori con la moglie Linda) ed uno dei suoi più riusciti in assoluto, anche se stiamo parlando di un artista che non ha mai sbagliato un disco in vita sua. Per questo tour Richard aveva in un certo senso riformato i Fairport Convention di Full House, tranne Dave Swarbrick (giova infatti ricordare che lo storico gruppo folk-rock inglese in quel periodo non era in attività, ma avrebbe ricominciato solo due anni dopo): infatti troviamo assieme a Thompson Simon Nicol, che suona una stranissima chitarra a forma di scatola di Cornflakes, Dave Pegg al basso e Dave Mattacks alla batteria, anche se poi di canzoni dei Fairport non ne verrà suonata nemmeno una.

A completare la lineup, tre elementi determinanti come Pete Zorn e Pete Thomas, entrambi al sassofono, e soprattutto il formidabile fisarmonicista Alan Dunn, che con il suo strumento dona un irresistibile sapore di Louisiana a quasi tutti i pezzi. E poi naturalmente c’è Richard, uno dei migliori songwriters di sempre, ma anche un performer eccezionale, più che valido come cantante e strepitoso come chitarrista, anche se tutto ciò non lo scopriamo certo oggi. Chiaramente (sto parlando del concerto di Amburgo) la parte del leone la fa Hand Of Kindness, con ben sette brani su otto totali: si parte con The Wrong Heartbeat, un pezzo decisamente saltellante e diretto al quale la fisa dona un sapore cajun, seguita dalla quasi bluesata A Poisoned Heart And A Twisted Memory (un blues sui generis, con un songwriting di qualità superiore) e l’irresistibile Tear Stained Letter, dal gran ritmo ed ancora più di un’attinenza con sonorità zydeco (ed anche i sax fanno i numeri), per non parlare della strepitosa performance del nostro alla chitarra, che dà vita ad un finale entusiasmante. Poi abbiamo la bellissima title track, uno degli highlights della serata, cadenzata, coinvolgente e ricca di spunti chitarristici notevoli, la lenta How I Wanted To, una ballata ricca di pathos, la velocissima Two Left Feet, puro cajun al 100%, a cui è difficile resistere, e lo squisito folk elettrificato di Both Ends Burning. E’ molto ben rappresentato anche l’album Shoot Out The Lights (all’epoca ancora recente), l’ultimo ed anche il migliore di quelli incisi con l’ormai ex moglie, un vero capolavoro del rock internazionale e non solo degli anni ottanta: troviamo infatti una title track potente come raramente ho sentito, una Don’t Renege On Our Love solida e chitarristica, la sempre splendida Wall Of Death, una delle più belle del songbook di Richard e qui presente in versione davvero spettacolare, la guizzante Man In Need, favolosa, e la vibrante Back Street Slide.

C’è un’unica concessione di Thompson al suo passato discografico: Night Comes In era uno dei pezzi centrali di Pour Down Like Silver, e qui il nostro ne offre una rilettura straordinaria, fluida ed intensa, di ben undici minuti, con un assolo di chitarra semplicemente inarrivabile. Dulcis in fundo, troviamo ben sette cover: lo strepitoso folk-rock strumentale Amarylus, una vera goduria, il travolgente traditional Alberta con i due sax e la fisa di Dunn (che qui è anche voce solista) grandissimi protagonisti, l’insolita Pennsylvania 6-5000 di Glenn Miller, raffinata e jazzata, un godibilissimo divertissement che Richard dedica a sua madre; il gran finale è strepitoso, con quattro brani a tutto rock’n’roll uno in fila all’altro: il traditional Danny Boy, You Can’t Sit Down (Phil Upchurch, The Dovells) e l’uno-due finale da k.o. con due classici di Jerry Lee Lewis, Great Balls Of Fire e Highschool Hop (più noto come High School Confidential), entrambi suonati ai duecento all’ora. Basterebbe ed avanzerebbe questo concerto, ma è a questo punto molto gradita l’inclusione anche della serata di Cannes che, come ho già accennato è incompleta; c’è anche un cambio nella lineup, con la sezione ritmica di Pegg e Mattacks rimpiazzata da Rory McFarlane al basso e Gerry Conway (anch’egli futuro Fairport) ai tamburi. La scaletta è identica a quella tedesca, anche se si interrompe alla quattordicesima canzone omettendo le ultime sei, e le versioni sono tutte leggermente più brevi di quelle di Amburgo a parte Night Comes In che è più corta di tre minuti abbondanti, ma la qualità della performance è assolutamente analoga (un po’ meno quella della registrazione, specie da Wall Of Death in poi), con una menzione speciale per Tear Stained Letter e Hand Of Kindness che sono forse perfino miglori.

Decisamente un ottimo momento per i fans di Richard Thompson.

Marco Verdi

Non Male Per Uno Morto Da 35 Anni! Bob Dylan – Fallen Angels

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Bob Dylan – Fallen Angels – Columbia/Sony CD

Il titolo del post si riferisce ad una clamorosa gaffe di Raffaella Carrà, che nel corso del suo programma The Voice, commentando la performance di Like A Rolling Stone da parte di un concorrente, ha asserito che Bob Dylan è morto da ormai 35 anni, confondendolo certamente con Bob Marley (e durante la consegna del meritato Tapiro da parte di Striscia La Notizia ha detto che con tutti quei Bob (!) si è confusa…certo perché esistono anche Bob Geldof, Bob Weir, Bob Hope, Bob Sinclar, Bobby Solo e Bob Aggiustatutto, povera Raffa bisogna capirla).

Tornando alle cose serie, Bob Dylan è vivo e vegeto ed anche piuttosto attivo discograficamente, se a distanza di poco più di un anno dall’apprezzato Shadows In The Night http://discoclub.myblog.it/2015/02/01/leggendeci-si-intende-bob-dylan-shadows-the-night/ , esce con un nuovo lavoro (il 20 Maggio per l’esattezza) intitolato Fallen Angels, che come già saprete prosegue il discorso del CD precedente, cioè la rilettura da parte dell’ex menestrello di alcuni standard della musica americana, tutti con il comune denominatore di essere stati interpretati anche da Frank Sinatra (tranne una piccola eccezione che vedremo tra poco). Così come il suo predecessore, anche Fallen Angels è stato inciso nei Capitol Studios di Los Angeles (pare addirittura che i brani provengano dalle stesse sessions, anche se non è sicuro) e vede Bob, in veste anche di produttore con il solito pseudonimo Jack Frost, accompagnato dalla sua touring band, formata da Charlie Sexton, Donnie Herron, Tony Garnier, Stu Kimball e George Receli. E l’approccio non è cambiato: Bob ed i suoi pards affrontano questi brani immortali con il consueto mood jazzato, notturno e discreto, preferendo alle orchestrazioni tipiche di questo genere di canzoni il metodo “per sottrazione”, rivestendo la voce particolare di Dylan versione crooner (che affronta i pezzi con un rigore formale inusuale per lui) con un accompagnamento in sordina, quasi a volume abbassato, proprio con lo scopo di omaggiare le melodie di questi evergreen.

Il risultato finale è ancora egregio, anche se personalmente preferisco di poco Shadows In The Night, forse per un maggior effetto sorpresa, ma anche per una più variegata gamma stilistica: infatti i brani di Fallen Angels vengono trattati tutti più o meno allo stesso modo, con arrangiamenti molto low-profile e con poche variazioni ritmiche, e forse c’è anche da considerare la possibilità che il meglio fosse confluito nel primo volume e che il secondo sia stato pianificato soltanto in seguito (dopotutto nella sua lunga carriera poche volte Bob ha pubblicato dei sequel, a memoria mi viene in mente la trilogia religiosa Slow Train ComingSaved Shot Of Love ed i due album acustici di classici folk e blues Good As I Been To You e World Gone Wrong). Comunque, considerando quanta porcheria gira nel modo musicale, avercene di dischi così. Ecco di seguito una breve disamina di otto dei dodici brani di Fallen Angels, in quanto quattro di essi erano già usciti un mese fa su un CD singolo per il mercato giapponese (ed in tutto il mondo in vinile per il Record Store Day), e quindi vi rimando al mio post dedicato http://discoclub.myblog.it/2016/04/08/gustoso-antipasto-attesa-maggio-della-portata-principale-bob-sinatra-scusate-dylan-melancholy-mood/ : tra parentesi ho deciso di non mettere gli autori dei brani (ben tre di essi portano la firma del grande Johnny Mercer), ma mi limiterò ad indicare alcune versioni tra le più note oltre a quelle di Sinatra.

Young At Heart (Perry Como, Tony Bennett, Bing Crosby, ma anche Shawn Colvin e Tom Waits) vede la steel di Herron come strumento dominante, il classico accompagnamento quasi in punta di piedi e Bob che canta in maniera fluida e discorsiva; Maybe You’ll Be There (The Four Aces, Gordon Jenkins, Gene Pitney, Diana Krall) è lenta e languida, aperta da un malinconico violino e con la voce quasi carezzevole di Dylan a prendere per mano l’ascoltatore, mentre Polka Dots And Moonbeams (Gil Evans, Sarah Vaughn, John Denver) è meno laconica nei suoni, ha un mood molto jazzato ed un bellissimo assolo di chitarra acustica nell’intro, subito doppiato dalla steel: Bob arriva dopo più di un minuto e mezzo, e la sua voce è quasi uno strumento aggiunto. All The Way (Billie Holiday, Neil Sedaka, Bobby Darin ma anche la nostra Mina), ancora raffinata e di gran classe, è una delle scelte migliori, un brano da assaporare in tarda serata, sul divano preferito e sorseggiando un cognac d’annata. Skylark (l’unica eccezione di cui dicevo prima, ancora Bing Crosby, Glenn Miller, Aretha Franklin ma niente Old Blue Eyes), ha una bella chitarrina pizzicata, il violino, batteria spazzolata ed il nostro che procede senza sbavature, magari cantasse con questa precisione anche i pezzi suoi; Nevertheless (Count Basie, Frankie Laine, Dean Martin, Liza Minnelli, Harry Nilsson, Rod Stewart e mille altri) non cambia ritmo, la canzone è bella ma qui Dylan è quasi sonnolento nel porgerla, anche se la band lo segue senza battere ciglio come al solito. On A Little Street In Singapore (ancora Miller, Dave Brubeck, Manhattan Transfer e pochi altri, forse il brano più oscuro della raccolta) è appena un po’ più mossa, ma tra tutte a mio parere è quella che meno si adatta alla vocalità di Bob, mentre con It Had To Be You (Ruth Etting, Ginger Rogers) si ritorna su atmosfere notturne, la voce è quasi lasciata da sola all’inizio, poi entra la band con la solita discrezione ed il pezzo è condotto in porto senza problemi.

Di Melancholy Mood, All Or Nothing At All, That Old Black Magic e Come Rain Or Come Shine vi ho già detto il mese scorso. Ancora un lavoro raffinato e di classe per Bob “Sinatra” Dylan, ma adesso, e credo di parlare a nome di molti, vorrei un bel disco di canzoni nuove, e possibilmente rock.

Marco Verdi