Il “Governatore” Dell’Isola Di Wight. Ashley Hutchings/Dylancentric – Official Bootleg

Ashley Hutchings Dylancentric

Dylancentric – Official Bootleg – Talking Elephant CD

Ashley Hutchings, una delle figure centrali del folk-rock inglese (e per questo soprannominato “The Guv’nor”, il Governatore), ha avuto una carriera piuttosto attiva tra band formate e poi lasciate, partecipazioni a dischi altrui e produzioni varie. Conosciuto principalmente per essere stato uno dei membri fondatori dei Fairport Convention, Hutchings ha poi formato altre band di una certa importanza come Steeleye Span e Albion Band (che è stato il gruppo nel quale ha prestato servizio più a lungo) e più di recente i Rainbow Chasers, ma è stato coinvolto in una miriade di altri progetti estemporanei (come il supergruppo The Bunch o il collettivo musicale Morris On), anche se curiosamente non ha mai pubblicato un vero e proprio disco da solista. Ashley tra le altre cose è sempre stato un grande fan di Bob Dylan, e lo scorso anno ha avuto l’idea di celebrare il cinquantesimo anniversario della partecipazione del cantautore americano all’Isle of Wight Festival proprio all’interno della medesima manifestazione che si è tenuta ad agosto nell’isola al largo della Manica, e per l’occasione ha formato un nuovo gruppo il cui nome non lascia spazio ad equivoci: Dylancentric.

Official Bootleg è il risultato di quel concerto, un sorprendente dischetto in cui Hutchings si fa accompagnare da musicisti amici anche di una certa notorietà (Ken Nicol, a lungo con lui nella Albion Band, Guy Fletcher, collaboratore storico di Mark Knopfler, Ruth Angell, componente dei Rainbow Chasers, il cantautore Blair Dunlop ed il sessionman e compositore di colonne sonore Jacob Stoney) ed offre una rivisitazione in puro stile folk-rock di alcune pagine del songbook dylaniano con arrangiamenti freschi e vitali ed una performance piena di feeling, privilegiando al 90% il repertorio degli anni sessanta. Un po’ come facevano gli ormai sciolti Dylan Project (sorta di spin-off dei Fairport con in più Steve Gibbons e PJ Wright), che però erano più sul versante rock-blues. Che non ci troviamo di fronte ad un gruppo di pensionati si capisce subito con l’iniziale Maggie’s Farm, proposta in una versione decisamente rock e per niente folk (a parte il violino alla fine), cantata con grinta da Hutchings e con un’ottima copertura da parte del sestetto, con menzione particolare per il piano di Stoney e la slide di Nicol: una rivisitazione nello stesso spirito dell’originale.

Deliziosa Girl From The North Country, riproposta in una veste di chiaro stampo folk per voce (Dunlop, ma in totale nel disco sono in quattro che cantano), chitarra acustica, mandolino e violino: toccante è dir poco; Wings non c’entra con Dylan essendo un classico della Albion Band, un folk-rock molto evocativo e coinvolgente contraddistinto da una performance energica ed un arrangiamento elettroacustico. Masters Of War è riletta in maniera essenziale (voce, chitarra acustica e violino, con un accenno di chitarra elettrica nel finale), e la cover mantiene il suo tono drammatico anche dovuto al fatto che, purtroppo, il testo è attuale oggi come lo era nel 1963. One Of Us Must Know (Sooner Or Later) è una scelta non scontata, e la cover è rilassata e fluida ma nello stesso tempo suonata con vigore e cantata da Dunlop con voce espressiva, un brano di grande qualità che ci mostra (ma ce n’era bisogno?) la bravura di Dylan anche come tessitore di melodie splendide.

Mr. Tambourine Man non è rock come l’avevano fatta i Byrds ma pura e cristallina, una voce (la Angell), un paio di chitarre ed un mandolino a ricamare sullo sfondo, versione intima ed emozionante con tanto di ritornello corale, mentre anche la countryeggiante (in origine) I’ll Be Your Baby Tonight subisce il trattamento folk di Hutchings e compagni e diventa una squisita ballata dall’atmosfera conviviale, con assoli da parte di ogni componente del gruppo. Ed ecco l’eccezione, cioè l’unico pezzo non dei sixties: Not Dark Yet è una delle migliori canzoni mai scritte sull’età che avanza, e questa rilettura lenta e malinconica (con uno splendido assolo chitarristico) è di grande effetto; una limpida e folkeggiante rilettura di Lay Down Your Weary Tune, già incisa in passato da Ashley coi Fairport, chiude un dischetto bello e piacevole quanto inatteso. File under: pure folk-rock.

Marco Verdi

Nonostante I Continui Riferimenti Al Suono Di “Quella Band”, Un Bel Disco! John Illsley – Long Shadows

john illsley long shadows

John Illsley – Long Shadows – Creek Records CD

Confesso che per me John Illsley è stato per anni “solo” il bassista dei Dire Straits (hai detto niente, uno degli acts più popolari di sempre), tra l’altro l’unico membro del gruppo, a parte il leader Mark Knopfler, ad essere presente su ogni disco ed in ogni tour della celebrata band inglese. Un paio di dischi solisti negli anni ottanta, passati perlopiù inosservati, e due album agli inizi del nuovo secolo insieme al cantautore irlandese Greg Pearle. Poi nel 2010 mi sono imbattuto quasi per caso in Streets Of Heaven (forse incuriosito da una recensione positiva letta da qualche parte), primo vero lavoro da solista di John dai tempi di Glass (1988), e ne sono rimasto talmente folgorato da metterlo addirittura nella mia top ten dell’anno. Un disco bellissimo, suonato alla grande e con una serie di canzoni superlative, che avevano un unico difetto (ma che per me difetto non era): suonavano in tutto e per tutto come brani inediti del gruppo grazie al quale Illsley era diventato famoso, le stesse atmosfere laidback, una chitarra dal timbro decisamente “knopfleriano”, ed anche la voce sussurrata di John che ricordava molto quella del suo ex boss; per dirne una,  l’opening track Toe The Line da sola era meglio di tutto il materiale incluso in On Every Street, l’ultimo deludente album di studio dei Dire Straits. Nel 2014 Illsley ha pubblicato il discreto Testing The Water, nettamente inferiore al precedente, nonostante la presenza di Knopfler in qualche brano, e lo scorso anno è uscito il godibile Live In London, un album dal vivo ben fatto che però scontava l’effetto cover band quando John intonava i pezzi degli Straits, canzoni che non gli appartengono se non perché ci ha suonato.

E’ quindi con interesse che mi sono avvicinato al nuovo Long Shadows, e devo dire che ne sono rimasto soddisfatto: il CD, otto canzoni per 35 minuti di musica, è molto meglio di Testing The Water ed appena un gradino sotto a Streets Of Heaven, e presenta una serie di ottime canzoni (tutte di John) al solito ottimamente suonate e cantate con buon piglio dal nostro, che come voce non è eccezionale ma molto meglio di tanti altri sidemen che si mettono a fare i solisti (chi ha detto Bill Wyman?), con un timbro che ricorda abbastanza quello di Knopfler ma ha anche dei punti in comune con Leonard Cohen, anche se il canadese ha una tonalità più profonda. Certo, il disco presenta sempre il solito “difetto”, cioè di suonare più Dire Straits di quanto non facciano gli album solisti di Knopfler, ma, ripeto, se le canzoni ci sono per me non è assolutamente un problema. Gran parte del merito (o della responsabilità, a seconda dei punti di vista) del suono va al polistrumentista nonché produttore Guy Fletcher, membro degli Straits dal 1984 e compagno di lungo corso del Knopfler solista, uno quindi che in questi suoni ci sguazza; nel disco troviamo anche fior di musicisti (oltre a John che suona la chitarra acustica oltre naturalmente al basso e Fletcher alle tastiere), come l’ex Pretenders e Paul McCartney band Robbie McIntosh alla solista, Phil Palmer ancora alla sei corde (uno che ha suonato davvero con tutti, da Bob Dylan, Eric Clapton, Roger Daltrey, fino ai nostri Lucio Battisti, Pino Daniele e…Paola E Chiara!), Steve Smith al piano e Paul Beavis alla batteria, ed una serie di backing vocalists utili a sostenere la voce non certo potente del leader.

Il CD a dire il vero comincia in maniera particolare, con uno strumentale intitolato Morning, per piano, chitarra acustica arpeggiata e quartetto d’archi, un inizio imprevisto ma poi se vogliamo neanche tanto strano se pensiamo a brani come Private Investigations (l’uso della chitarra lo ricorda vagamente); con In The Darkness si entra nel vivo, un suggestivo uptempo molto raffinato anche se derivativo (indovinate da che cosa), la voce knopfleriana di John intona una melodia decisamente orecchiabile, sostenuta a dovere dal big sound creato dal gruppo, compreso un assolo chitarristico denso di riverberi. L’inizio di Comes Around Again è puro Straits sound, dall’accompagnamento vellutato alla chitarrina evocativa, ma poi la canzone prende una direzione quasi da western song, ancora caratterizzata da una melodia fluida ed un ottimo ritornello corale, mentre There’s Something About You è una ballata soffusa e di gran classe, con una strumentazione rarefatta che ha quasi dei punti in comune con il suono di Daniel Lanois, mentre la melodia è più dalle parti di Cohen: decisamente il brano meno dipendente dall’ex gruppo di Illsley. Ship Of Fools (i Grateful Dead non c’entrano, la canzone è originale come tutte le altre) è ancora una raffinatissima ballad (la classe non manca al nostro) che sconfina addirittura nello stile del Knopfler solista, soprattutto per il sapore leggermente folk (e qui vedo lo zampino di Fletcher), ma il motivo ed il refrain sono di primissima qualità, come anche la coda strumentale; Lay Me Down sembra quasi una outtake da Brothers In Arms, un delizioso e vivace motivo con un tocco country, di quelli che fanno muovere da subito il piedino. L’album si chiude in crescendo con la splendida Long Shadow, una rock song trascinante e dal ritmo acceso, bella slide ed altro chorus diretto e fruibile, e con Close To The Edge, brano d’atmosfera suonato alla perfezione e con la chitarra che ricorda indovinate chi, ma il brano sta in piedi sulle sue gambe, ed anzi si propone come uno dei più riusciti.

Se, come me, avete sempre considerato John Illsley soltanto un ottimo bassista, accaparratevi Long Shadows (ma anche Streets Of Heaven) e forse comincerete a cambiare opinione. E poco importa se penserete di avere fra le mani un disco dei Dire Straits cantato da un altro.

Marco Verdi