Sempre A Proposito Di Voci Femminili Intriganti. Haley Heynderickx – I Need To Start A Garden

haley heynderickx

Haley Heynderickx – I Need To Start A Garden – Mama Bird Recording Co.

Ho sempre avuto una particolare predilezione per le voci femminili: siano quelle poderose del rock, o quelle intense e fenomenali delle dive del soul, ma anche in ambito folk e pop-rock,  dalla grande Joni Mitchell a Laura Nyro, Carole King, Sandy Denny o Joan Armatrading,  ma pure gente dalla vita e dalla carriera sfortunata, come Judee Sill o Karen Dalton, Carolyn Hester. Nelle generazioni successive mi hanno affascinato le canadesi Jane Siberry e Mary Margaret O’Hara, per cui quando ho letto paragoni con Haley Heynderickx, rispetto alla O’Hara (ma anche con Angel Olsen, tra le contemporanee e Vashti Bunyan, che probabilmente Haley conosce, essendo della stessa generazione, le altre non so), mi sono detto che era il caso di estrarre il manuale Guido Angeli/San Tommaso e provare, per eventualmente credere.

Dopo avervi stordito di nomi, potrei aggiungere anche  una Suzanne Vega più sognante ed umbratile, che d’acchito mi ricorda nella prima canzone, la breve e scarna No Face, solo la voce e la chitarra acustica arpeggiata della filippino-americana Heynderickx (inserita nella scena locale di Portland, una delle più vivaci negli States): testi surreali e poetici, come nella particolare The Bug Collector, che parla di visioni di strani insetti che sono metafore per persone e situazioni della vita reale e non immaginata, seppur vividamente dall’autrice, e qui la musica si fa più complessa, il fingerpicking è più intricato, può ricordare anche la prima Laura Marling (non l’avevamo ancora citata?), poi entra il contrabbasso di Tim Sweeney a scandire il tempo, ci sono i tocchi sonori del produttore Zak Kimball, un trombone con la sordina suonato da Denzell Mendoza, le percussioni di Phillip Rogers, che saranno poi i musicisti presenti anche negli altri sei brani di questo album, solo circa 30 minuti di musica, ma assemblati con certosina pazienza nei Nomah Studio di Kimball, grazie ad un autofinanziamento che ha portato Haley quasi alla bancarotta.

Ma il disco c’è, è bello, comincia a delinearsi, è alt-folk se volete chiamarlo così, ma non solo: Jo,  parte ancora soffusa,  una elettrica accarezzata e la voce della Heynderickx , che comincia ad assumere tonalità quasi leggiadre, grazie al suo vibrato fragile e  forte al contempo, poi entrano il basso e la batteria, la canzone si fa affascinante, ma quando uno sta per dire – toh,  Mary Margaret O’Hara – è già finita, bella però. E Worth It, il brano più lungo con i suoi quasi otto minuti, è ancora più bella, partenza con la solita chitarra elettrica arpeggiata, ma la voce comincia ad essere ancora più ricercata e appassionata, con vocalizzi quasi spericolati, mentre la sezione ritmica vira a tratti verso un rock intenso e i continui cambi di tempo tengono avvinto l’ascoltatore alle derive folk-rock del brano, dove le acrobazie vocali che hanno portato ai paragoni con la O’Hara assumono un senso, grazie anche alla seconda voce della bassista Lily Breshears che rende l’insieme ancora più “spaziale” https://www.youtube.com/watch?v=jnJURSfVoMg . Fosse tutto così l’album sarebbe un capolavoro, ma il disco grida forte “talento al lavoro”, come conferma l’avvolgente ed affascinante Show You A Body, dove il piano della Breshears aggiunge impronte  jazz ad una ballata notturna e complessa, fin troppo concisa nella sua durata, tutto è studiato e realizzato con certosina abilità.

Molto bella anche Untitled God Song con il suo strano approccio con una divinità al femminile e lo stile musicale che di nuovo incorpora l’uso del trombone, e una voluttuosa slide tangenziale nel suo soffuso e delicato folk-rock, dove la voce non domina ma accompagna gli strumenti, e in Oom Sha La la, il brano che contiene il verso “I Need To Start A Garden” che dà il titolo all’album, si incrocia un tema musicale che ricorda a tratti i Velvet Underground e un pigro pop-doo-wop, per  accelerare in un finale in cui la voce assume tonalità quasi isteriche.  A chiudere il tutto di nuovo il delicato folk acustico della cristallina Drinking Song dove si apprezza di nuovo la vocalità inconsueta di Haley Heynderickx, che non sarà Mary Margaret O’Hara ma sicuramente è una delle nuovi voci più interessanti della scena alternativa (e non) e merita di essere conosciuta con questo bel disco.

Bruno Conti