A Furia Di Pillole Il Blues Diventa Sempre Più Rock. Blues Pills – Holy Moly

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Blues Pills – Holy Moly – Nuclear Blast

Riassunto delle puntate precedenti: li avevamo lasciati alla fine del 2017, con la pubblicazione di un CD/DVD dal vivo Lady In Gold Live In Paris https://discoclub.myblog.it/2017/12/12/pillole-sempre-piu-robuste-per-la-cura-del-rock-blues-pills-lady-in-gold-live-in-paris/  che in pratica era il resoconto dei concerti del tour del 2016 per promuovere appunto Lady In Gold, il secondo disco di studio del Blues Pills, dopo l’omonimo esordio del 2014, preceduto e seguito da una pletora di Mini CD, EP, e anche DVD, sia in studio che dal vivo, visto che la band di Elin Larsson, la carismatica leader e frontwoman del gruppo è in pista ormai dal 2011, quando Cory Berry alla batteria e Zack Anderson al basso avevano incrociato le loro strade con la Larsson che viveva In California. Poi a fine anno si trasferiscono in Svezia, a Orebro, dove li raggiunge il giovanissimo chitarrista francese Dorrian Soriaux, che con gli altri condivideva la passione per un robusto rock-blues (Cream, Led Zeppelin, Free) con venature psichedeliche (la predilezione di Soriaux per i Fleetwood Mac di Peter Green, come dargli torto e di Erin per Janis Joplin).

Nel frattempo Berry viene sostituito da André Kvarnström alla batteria, già dal 2014, e a fine 2018 Soriaux lascia amichevolmente gli altri, con Anderson che passa alla chitarra, sostituito al basso da un altro svedese Kristoffer Schander. Con la nuova formazione il quartetto è entrato in studio per il terzo album, con l’aiuto dell’ingegnere del suono Andrew Scheps (Red Hot Chili Peppers, Iggy Pop, Black Sabbath, Rival Sons), tutta gente dal suono “pesante, ed in effetti il sound dei Blues Pills, disco dopo disco, si è fatto sempre più duretto. Cosa che conferma pure Holy Moly, previsto in uscita a giugno, ma poi spostato ad agosto inoltrato per le note vicende Covid: undici brani dove non si prendono prigionieri, la Larsson è sempre una figlioccia illegittima di Janis e delle sue varie discepole (Beth Hart, Dana Fuchs, Lynn Carey Mama Lion, Colleen Rennison), ma dovendo “combattere” con il suono decisamente più aggressivo dei suoi pard, la vocalità viene ancora più sbattuta in primo piano, come dimostra la riffatissima Proud Woman, con chitarre e sezione ritmica che ci danno dentro di brutto, anche se Anderson è un chitarrista meno virtuosistico di Soriaux, come dimostra la tirata Low Road, una sorta di psych heavy rock, con wah-wah a manetta e chitarre distorte, di buona fattura comunque.

Dreaming My Life Away, tra Sabbath e Zeppelin, non concede requie, anche se l’approccio 70’s hard rock non dispiace e Anderson si disbriga con un buon assolo, mentre Erin è sempre impegnatissima a domare i suoi compagni, dedicandosi ad una heavy ballad come California, dove qualche piccolo afflato melodico non manca nella vocalità pur sempre esagerata della Larsson, che ha comunque una gran voce, in grado a tratti di infiammare lascoltatore; Rhythm In The Blood è un’altra “pillola” infiammata, ma il sound mi pare pasticciato e velleitario, con Dust che tenta la strada dell’hard blues, minaccioso e sospeso, sempre violento e carico, con il suono troppo lavorato fino a coprire la voce di Elin, per amanti di certo doom rock. Kiss My Past Goodbye, il terzo singolo, rimane ancora in questo alternative rock, “moderno” ma poco ispirato, voce filtrata, drumming potente e suoni carichi, ma mi pare non troppe idee.

Wish I’d Known finalmente sembra recuperare quelle ballate sognanti in cui lo spirito degli amati Fleetwood Mac si riaffaccia, sonorità più raffinate e una bella interpretazione vocale della Larsson risollevano lo spirito del disco, e anche l’incalzante Bye Bye Birdie, pur nella sua veemenza, rimanda al sound dei Blues Pills dei dischi precedenti, con un discreto solo di Zack, che però non è chitarrista di grande tecnica. In Song For A Mourning Dove, il brano più lungo, appare anche un pianoforte, l’atmosfera della ballata si fa più rarefatta e raccolta e si apprezza maggiormente la voce della Larsson, inserita in un ambito psych strumentale in leggero crescendo, dove anche la solista di Anderson fa la sua porca figura. In chiusura del CD, a risollevare comunque il livello qualitativo complessivo di questo Holy Moly, un’altra ballata come Longest Lasting Friend, solo voce e chitarra elettrica. Disco di transizione? Ai fans della band l’ardua sentenza.

P.S. E’ disponibile anche una versione di Holy Moly doppia, con allegato l’EP di 4 brani Bliss, già uscito nel 2012, ma che non era di facile reperibilità.

Bruno Conti

Sconosciuta La Popolazione, La “Creatura Misteriosa”, Ma Anche Il Disco! Mississippi Bigfoot – Population Unknown

MISSISSIPPI-BIGFOOT-POPULATION-UNKNOWN

Mississippi Bigfoot – Population Unknown – Silver Tongue 

Questi non li conoscevo proprio, ma girando in internet ogni tanto ti imbatti in un nome che ti colpisce, approfondisci e scopri che meritano https://www.youtube.com/watch?v=6BZV6Ls-VuQ . E’ il caso di questi Mississippi Bigfoot, una band “nuova”, nata nel maggio del 2015, anche se guardando le foto dei principali protagonisti del disco non sembrano proprio di primo pelo: la cantante si chiama Christina Vierra, viene da Boston, è sotto contratto per la Warner, e recentemente è stata utilizzata come “la voce” di Janis Joplin nel prossimo film biografico che uscirà per la Sony Pictures. Anche se, lo confesso, la prima volta che ho ascoltato il disco, non conoscendoli, mi sono detto; “ma che strana voce ha questo cantante?”, effetto straniante durato lo spazio di pochi istanti, ma che indica le peculiarità di una cantante sicuramente “strana” nel suo approccio vocale. Ashley Bishop, uno dei chitarristi, viene da Memphis, Tennessee, dove, ai famosi Ardent Studios, è stato registrato questo Population Unknown, e nella sua biografia si legge che ha suonato con i “famosi” Blind Mississippi Morris, Earl The Pearl e Big Gerry (chi cacchio sono?) e che si autodefinisce il Guardiano di Beale Street. Doug McMinn, anche da lui da Memphis, guida la sua blues band da una trentina di anni, suona l’armonica, la chitarra e canta, ma nella band è alla batteria e quando serve all’armonica, mentre Cade Moore, detto Mississippi Mud, viene da Clarksdale, dovrebbe essere il bassista e ha suonato con Cedric Burnside e Pinetop Perkins: questi li conosco! La chitarra solista la suona John Holiday e in alcuni video che si trovano in rete, spesso sono anche in sette sul palco https://www.youtube.com/watch?v=NxFcFy57mPU .

Tutto abbastanza confuso ma il risultato finale pare comunque eccitante. Tra blues elettrico vibrante, heavy rock anni settanta (Led Zeppelin e ZZ Top, che hanno registrato puree loro ai vecchi Ardent Studios) e anni sessanta (la già citata Janis Joplin, ma qualcuno ha intravisto anche somiglianze con Mavis Staples, non chi scrive) non ci si annoia certo con questi Mississippi Bigfoot https://www.youtube.com/watch?v=OwscH6_5TgA  . Da una Burn That Woman Down che con la sua slide tangenziale si insinua nelle radici del blues-rock con influenze sudiste, attraverso la voce vissuta di Christina Vierra, che a tratti ricorda quella del vecchio Paul Rodgers nei primi Free, per poi esplodere in un finale parossistico tra Janis e Plant, passando per il downhill blues di una elettroacustica Mighty River che risale il Mississippi verso le radici del blues, e ancora il R&R misto a blues della scatenata Wag The Dog, dove l’armonica si aggiunge alle evoluzioni delle chitarre e della voce della Vierra. Per non parlare di una funky No Flesh In The Outerspace dove chitarre in modalità wah-wah e con strane sonorità ci riportano nuovamente al vecchio rock anni ’70, anche grazie alla potente voce della brava Christina, fino a lasciarsi andare in una serie di soli che profumano di vecchio rock classico.

La sferragliante Who’s Gonna Run This Town, tutta riff e grooves ci riporta dalle parti dei vecchi Zeppelin con un tocco hendrixiano, con Clarksdale guidata da una voce maschile duettante con quella della Vierra e da una armonica che ci riporta sulle rive del Mississippi. La lunga ballata pianistica You Did illustra il lato più delicato e vicino alla soul music della band, che non dispiace per nulla anche in questa veste più intima, grazie alla voce espressiva della bravissima Christina Vierra, la quale nel finale si scatena in un modo che mi ha ricordato la migliore Beth Hart. The Hunter a tempo di boogie e vicina al sound degli ZZ Top, è proprio il vecchio classico di Booker T. Jones che facevano anche i primi Free, Albert King e mille altri, qui in versione ad alta carica jopliniana. Si chiude con la corale e minacciosa Tree Knockin’ altro ottimo esempio di southern blues-rock di marca texana. Bravi, son bravi, spargiamo la voce https://www.youtube.com/watch?v=UwLSVt3Vsq4 , anche se il disco fiisico non è per nulla facile da reperire, per usare un eufemismo, se no, per una volta, ma non prendete l’abitudine, bisogna andare di download.

Bruno Conti