Hill Country Punk Blues, Ma Da Portland, Oregon. Hillstomp – Monster Receiver

hillstomp monster receiver

Hillstomp – Monster Receiver – Fluff & Gravy Records               

Nonostante il nome possa far pensare che vengano dalle colline del Mississippi, gli Hillstomp sono in effetti un duo che proviene da Portland, Oregon (non conosco molto bene l’orografia della zona, ma più che colline, lì intorno ci sono delle montagne, ma per giustificare il nome una collinetta la possiamo sempre trovare): i due sono Henry “Hill” Kammerer, vocals and strings recitano le note del CD, quindi chitarre varie, elettriche ed acustiche, banjo, e John Johnson, percussioni, molto primitive e harmony vocals, che si professano grandi fans di R.L. Burnside (e a Portland, forse per un segno del destino, una delle strade principali si chiama Burnside Street), di cui riprendono a grandi linee gli insegnamenti, grazie ad uno stile che fonde sia il blues ruvido, grezzo e furioso del musicista nero, come certo punk e alternative rock, ma anche accenni di hillbilly e country molto sporco, tanto da essere definiti punk blues.

In effetti nei  loro 17 anni di carriera e nei cinque dischi precedenti, questo Moster Receiver è il sesto, il gruppo ha sempre avuto un approccio molto ruspante alla musica: canzoni brevi, prese spesso a velocità supersoniche, con rare oasi dove rallentano i ritmi, un suono volutamente inquieto e primordiale, ma anche una certa perizia tecnica, da artigiani della musica, appresa in lunghi anni on the road. Per l’occasione di questo album si sono concessi anche un produttore, John Shepski, e un ingegnere del suono, John Askew, ex dei Richmond Fontaine, coi quali condividono  etichetta e studi di registrazione. Il suono ogni tanto beneficia di qualche aggiunta, un violino qui, una pedal steel là, delle armonie vocali, un basso, ma i due insieme fanno comunque un bel “casino”. Hagler apre le danze con un groove che sembra quello dei Creedence di Willy And The Poor Boys, campagnolo e insistente, poi accelera ulteriormente, la batteria inizia a picchiare, la chitarra si infiamma, rallenta e riparte per un finale travolgente; The Way Home parte con il banjo di Kammerer che potrebbe ingannare sulle intenzioni dei due, Johnson traffica con le sue percussioni artigianali e il tutto potrebbe passare per un alternative country/hillbilly quasi tradizionale, mentre Angels con la sua chitarra elettrica riverberata in modalità slide, lavorata finemente, evoca atmosfere sospese da blues collinare primevo, la seconda voce di Amora Pooley Johnson (moglie?) che armonizza con quella di Kammerer, in possesso di una voce interessante ed espressiva https://www.youtube.com/watch?v=vKcNY6zMUC8 .

Comes A Storm è quasi una dichiarazione di intenti, si parte tranquilli, ma il tempo si fa frenetico e fremente, Johnson al basso rende il suono più rotondo ed incalzante, e il buon Henry strapazza la sua elettrica con vigore; Snake Eagle Blues, con slide ingrifata e percussioni in libertà, voce distorta e una grinta proprio da punk blues https://www.youtube.com/watch?v=BfYM6-okf7Y , lascia a Dayton, Ohio il compito di illustrare il lato più gentile della loro musica, con la pedal steel di Erik Clampitt che evoca scenari country di grande fascino e con una bella melodia che scorre liscia e quasi solare, prima di innestare nuovamente le sonorità più sporche e bluesate di Goddamn Heart, in cui è protagonista anche l’armonica volutamente incattivita di David Lipkind ( del gruppo I Can Lick Any Son of a Bitch in the House, un nome, un programma). Per l’hillbilly country sbilenco del traditional Chuck Old Hen, si aggiunge al banjo di Kammerer anche il violino di Anna Tivel e primitive percussioni che illustrano un suono volutamente “povero” https://www.youtube.com/watch?v=4z6ri1w1EHo . L’elettricità più palpitante dell’hill country blues da juke joints ritorna nella vibrante Pale White Rider, che potrebbe ricordare i primi Black Keys o il loro mentore RL Burnside, Lay Down Satan galoppa di nuovo a ritmi febbrili, con le voci di Kammerer e della Pooley Johnson che si intrecciano in un vivido gospel di stampo laico. Anna Tivel ritorna con il suo violino per una delicata e quasi leggiadra I’ll Be Around https://www.youtube.com/watch?v=hoC74N4GzZg  che chiude in modo fine e quasi garbato un album che si potrebbe addirittura definire “raffinato”.

Bruno Conti