Metallari Loro? Ma Per Piacere! Thin Lizzy – Rock Legends

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Thin Lizzy – Rock Legends – Universal 6CD/DVD Box Set

Nel mondo della musica internazionale una cosa che non ho mai potuto soffrire molto è la generalizzazione, specie in quel settore che oggi viene denominato per brevità “classic rock” ma che negli anni 70 e 80 era tutto “hard rock” o peggio ancora “heavy metal”, riunendo sotto lo stesso cappello band diverse come Black Sabbath, Blue Oyster Cult, Judas Priest e Iron Maiden, tanto per fare qualche nome. Un altro gruppo che ha sofferto di questo problema sono stati i Thin Lizzy, band originaria di Dublino che heavy metal non lo è mai stata, e pure sull’hard rock avrei qualcosa da ridire specie per la prima parte della carriera, mentre effettivamente negli anni dal 1976 al 1982 qualcosa di più duro nel loro sound c’era, specie nelle infuocate esibizioni dal vivo. Il loro carismatico leader, cantante e (grande) bassista Philip Lynott (già era raro avere una rock band dall’Irlanda all’epoca, più ancora con un frontman di colore) aveva infatti influenze disparate, tra le quali anche il compatriota Van Morrison (che però faceva parte dell’Irlanda “britannica”) per quanto riguardava lo stile compositivo, mentre il suono in seguito avrebbe affondato le sue radici addirittura nel rock americano di Bruce Springsteen e Bob Seger (anzi, per certi versi i Lizzy suonavano springsteeniani ancora prima del Boss) e nel funk-rock dei Little Feat.

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Una grande band quindi, alla quale la generalizzazione di cui dicevo prima non ha fatto certo del bene, e che nelle sue varie configurazioni ha sempre avuto fior di chitarristi, come Gary Moore (già con Lynott negli Skid Row – non quelli americani di Sebastian Bach – e poi nei Lizzy in tre diversi momenti), il fondatore Eric Bell, già con gli ultimi Them con Morrison nella line-up, il futuro collaboratore dei Pink Floyd (ma non solo) Snowy White, John Sykes, nome che gli appassionati di hard rock anni 80 conoscono benissimo essendo poi entrato a far parte di Tygers Of Pan Tang e Whitesnake, ed anche per un breve periodo Midge Ure, che diventerà famoso negli eighties come leader del gruppo synth-pop degli Ultravox. I Thin Lizzy sono stati quindi una splendida realtà del panorama rock internazionale con album di notevole livello come Jailbreak, Johnny The Fox, Black Rose e lo strepitoso Live And Dangerous (registrato appunto dal vivo), fino a quando Lynott non ha sciolto la compagnia nel 1984 per dare il via ad una carriera solista che non è mai decollata a causa della sua prematura scomparsa avvenuta nel 1986 a seguito di complicazioni dovute all’uso prolungato di sostanze proibite: in anni recenti la vecchia sigla è stata riattivata dall’altro chitarrista storico del gruppo, Scott Gorham, solo per qualche tour, mentre i nuovi album in studio sono stati pubblicati con il nome di Black Star Riders, band che non ha molto da spartire con i Lizzy storici.

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Per celebrare i 50 anni del gruppo di Dublino la Universal invece della solita antologia di cui il mercato è già saturo, ha da poco pubblicato uno splendido cofanetto dal titolo invero un po’ generico di Rock Legends, uno di quei rari casi in cui un box set può accontentare sia i neofiti che i fans. Infatti il manufatto (tra l’altro piuttosto oversize, con all’interno uno splendido libro che mette insieme tutti i tour programs del gruppo ed un altro con i crediti dei musicisti brano per brano) riunisce in sei CD ben 99 pezzi di cui 74 inediti assoluti, tra demo, versioni alternate e brani dal vivo, più un DVD invero abbastanza avaro (solo quattro canzoni registrate nello show televisivo di Rod Stewart A Night On The Town  https://www.youtube.com/watch?v=INiYaZKmeTo più un documentario di un’ora intitolato Bad Reputation, comunque non inedito). Dunque una collezione da leccarsi baffi e barba: peccato che il box, prodotto in quantità limitata, sia già praticamente introvabile, almeno a prezzo di listino (che comunque supera di slancio i cento euro), ma a breve, per chi se lo era perso, sarà disponibile una nuova tiratura limitata.

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Il primo CD è anche quello senza inediti in quanto è una sorta di greatest hits ma fatto esclusivamente con i singoli, nelle versioni appunto adattate per i 45 giri ed alcuni remixati, una chicca anche per i collezionisti. Un ripasso quindi di alcuni dei pezzi più noti del gruppo, come la strepitosa cover del traditional Whiskey In The Jar (il loro primo successo, ed anche quello salito più in alto in classifica https://www.youtube.com/watch?v=wyQ-tScuzwM ), The Rocker, le classiche The Boys Are Back In Town https://www.youtube.com/watch?v=hQo1HIcSVtg  e Jailbreak ed altri brani popolari del calibro di Don’t Believe A Word, Dancing In The Moonlight, Waiting For An Alibi https://www.youtube.com/watch?v=F9xT8p6L8Sc , Do Anything You Want To, Chinatown e Killer On The Loose. Ma anche canzoni come Randolph’s Tango (a proposito del primo Springsteen) https://www.youtube.com/watch?v=0Pwv0s7HHSk , il trascinante rock’n’roll con fiati Little Darling, la deliziosa Philomena, dedicata da Lynott a sua madre, la ruspante cover di Rosalie, uno dei pezzi meno noti di Bob Seger (presente in due versioni: quella del 1975 e dal vivo nel 1978 https://www.youtube.com/watch?v=cSo9CC2wKVI ), la splendida Wild One, altri due rock’n’roll di ottimo livello come Trouble Boys e Hollywood, fino al singolo finale del 1983 The Sun Goes Down.

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Il secondo dischetto, intitolato The Early Years, prende in esame appunto i primi passi di Philip e soci per la Decca dal 1970 (si erano formati l’anno prima) al gennaio del 1974, ed a parte il primissimo singolo The Farmer (ed il suo lato B I Need You, che però appare in CD per la prima volta) https://www.youtube.com/watch?v=3gTLni91vpc  è tutto materiale inedito. Oltre ad una manciata di missaggi alternativi il nucleo del dischetto è formato da due sessions radiofoniche alla RTE Radio Eireann (entrambe senza pubblico), rispettivamente del ’73 e ’74: come highlights abbiamo il roboante boogie 1969 Rock, con grandissimo lavoro di Bell alla solista https://www.youtube.com/watch?v=Jhcs2J75YVo , il tostissimo rock-blues Suicide, con lo stesso Bell che si sposta alla slide ma con medesimi risultati (all’epoca i nostri erano una sorta di power trio, non avevano ancora le “twin guitars”, ed è anche per questo che le dodici battute sono molto presenti in questo CD https://www.youtube.com/watch?v=UXG-xw3dOZU ), lo strepitoso blues afterhours Broken Dreams, di nuovo con Eric che offre una grande prestazione. Abbiamo anche il medley Eddie’s Blues/Blue Shadows, favolosa jam con ospite alla sei corde il grande bluesman Eddie Campbell https://www.youtube.com/watch?v=U7ADOyYuAfM , la sanguigna cover di Ghetto Woman di B.B. King, con Gary Moore protagonista https://www.youtube.com/watch?v=Q3QDdFLG84U . Il grande chitarrista dice la sua anche negli ultimi tre pezzi, la pulsante e rocknrollistica Things Ain’t Working Out Down At The Farm, una robusta rilettura del classico di Don Nix Going Down https://www.youtube.com/watch?v=2GIPDs6sLmU  e la formidabile Slow Blues, in cui il buon Gary offre una performance superba https://www.youtube.com/watch?v=FQ2uq2zo5sM .

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Il periodo più famoso dei nostri, quello alla Mercury, è l’argomento dei tre CD successivi, con una full immersion nel loro catalogo con tutte versioni inedite in gran parte demo, ma suonate come se fossero canzoni fatte e finite ed in molti casi ancora più ruspanti e dirette delle originali: nei primi due dischetti il connubio chitarristico è tra Gorham e Brian Robertson, mentre il terzo inizia con Moore, prosegue con White e termina con Sykes (tutti al posto di Robertson, Gorham è sempre presente). 45 canzoni in tutto, e per non fare una recensione a puntate mi “limito” a citare le coinvolgenti versioni strumentali di Rock And Roll With You e Cadillac, l’ottima rock ballad Banshee, con la parte vocale ancora da perfezionare ma quella chitarristica già sublime, lo squisito funk-rock-blues dal sapore quasi southern Nightlife, le “americane” Freedom Song e Kings Vengeance, la sempre strepitosa Suicide (sentite le chitarre) e l’altrettanto bella Cowboy Song, dai marcati echi springsteeniani https://www.youtube.com/watch?v=wmQjkHLzkqU . Il demo di The Boys Are Back In Town è perfino più potente e diretto della versione originale (e forse pure meglio) https://www.youtube.com/watch?v=rQMui7wrMto . Running Back è un godurioso rock’n’roll, Romeo And The Lonely Girl ricorda ancora il primo Boss (anche nel titolo) https://www.youtube.com/watch?v=BBEePBySEC4 , Emerald è una rock song travolgente e con parti di chitarra strepitose.

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Un cenno va anche all’orecchiabile Fool’s Gold, la suggestiva ballata Borderline, davvero bella, l’irresistibile Johnny, con altro assolo torcibudella https://www.youtube.com/watch?v=cqxHPK7QLp8 , la dura ma godibile Killer Without A Cause, la pulsante Are You Ready, puro “hard’n’roll”, lo splendido medley di arie tradizionali irlandesi Roisin Dubh (grandissimo Moore) https://www.youtube.com/watch?v=Tx2Q8El13B0 , le ottime e rockeggianti We Will Be Strong e Sweetheart, il boogie alla ZZ Top I’m Gonna Leave This Town, il rockabilly sotto steroidi Kill ed il blues cadenzato In The Delta, con Huey Lewis all’armonica https://www.youtube.com/watch?v=Uv-3do9RI1k . Il sesto ed ultimo CD presenta quindici brani live, sempre inediti, registrati durante il Chinatown Tour del 1980, con selezioni provenienti da due serate all’Hammersmith Odeon di Londra ed a Tralee (località irlandese); la formazione dei Lizzy in questa tournée comprendeva, oltre a Lynott, Gorham e White, Darren Wharton alle tastiere e Brian Downey alla batteria. Ed il CD è semplicemente esaltante nonostante un uso per fortuna molto parco dei synth, con i nostri che forniscono una prestazione esplosiva con versioni al fulmicotone di Are You Ready, Waiting For An Alibi https://www.youtube.com/watch?v=MhyOgB4cdwI , Jailbreak, The Boys Are Back In Town ed una sempre fantastica Suicide https://www.youtube.com/watch?v=JO6V_VwjrEw , ma non sono da meno le coinvolgenti Do Anything You Want To Do, Dear Miss Lonely Hearts, Chinatown e l’elegante ballata Still In Love With You, corredata da un notevole assolo https://www.youtube.com/watch?v=3Iq9n2YDECQ .

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Gran finale con due potenti e superlative riletture di Rosalie e Whiskey In The Jar, quest’ultima con l’apparizione a sorpresa di Bell sul palco. Se non conoscete a fondo i Thin Lizzy, o se anche per voi erano un gruppo di metallari, questo Rock Legends potrà rappresentare una rivelazione…ammesso che riusciate ancora a trovarlo.

Marco Verdi

Peccato Sia Difficile Da Trovare! Marc Broussard – S.O.S. II: Save Our Soul – Soul On A Mission

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Marc Broussard – S.O.S. II: Save Our Soul – Soul On A Mission – G-Man Records         

Marc Broussard è un bianco con la voce e il cuore da nero, viene da Carencro, Louisiana, e nonostante abbia solo 34 anni, ha già alle spalle una consistente carriera solista, con ben otto album di studio (compreso questo) pubblicati in una quindicina di anni: anche lui ha fatto tutta la trafila, partito “indipendente” nel 2002, poi ha inciso per la Island, la Vanguard e la Atlantic, salvo poi approdare di nuovo alla autodistribuzione con la propria etichetta G-Man Records, per la quale pubblica questo S.O.S. 2 Save Our Soul, un disco di cover di brani soul celebri, che, manco a dirlo, nonostante i fini nobili, il 50% dei proventi viene devoluto in beneficenza per poveri e senza tetto, non è di facile reperibilità, per usare un eufemismo, e per noi europei anche costoso (potete scaricarlo o comprarlo qui http://shop.bandwear.com/collections/marc-broussard-shop, occhio alle tasse) Comunque il disco rimane molto bello e vale la pena di provare a cercarlo: l’apertura è affidata ad una splendida e fedelissima versione di Cry To Me, il super classico di Solomon Burke, dove si apprezza la bellissima voce di Broussard, ricca di mille nuances, ma anche il sound vintage e di grande fascino applicato nell’arrangiamento del brano, direi che siamo sui livelli dello splendido disco di Jimmy Barnes di qualche mese fa, il magico Soul Searchin’, http://discoclub.myblog.it/2016/07/10/supplemento-della-domenica-favoloso-vero-soul-australiano-jimmy-barnes-soul-searchin/

Emozionante anche la versione di Do Right Woman, che se non raggiunge i vertici di quella di Aretha Franklin poco ci manca, veramente deep soul senza tempo. Baby Workout è meno conosciuta, era un brano di quelli scatenati usciti dalla penna di Jackie Wilson, a tutto fiati e con deliziose armonie vocali, mentre Broussard mette la sua ugola in primo piano. E che dire di Twistin’ The Night Away di Sam Cooke? Uno dei capolavori assoluti di uno dei maestri assoluti della soul music, in una versione splendida. E se Sam Cooke era il “Maestro”, sicuramente Otis Redding è stato uno dei suoi migliori discepoli, come dimostra la splendida These Arms Of Mine, qui eseguita in una notevole versione a due voci, con Broussard che divide il microfono con un altro grande appassionato della materia, Huey Lewis. Non manca naturalmente neppure il repertorio Motown, What Becomes Of The Brokenhearted era una intensa ballata di Jimmy Ruffin, il fratello maggiore di David dei Temptations, altra versione di grande impatto emotivo, e deliziosa la cover di I Was Made To Love Her di Stevie Wonder, con tanto di armonica a bocca e Broussard che sfodera una tonalità che ricorda in modo impressionante quella di Wonder.

Altro duetto notevole è quello con JJ Grey per una potentissima In The Midnight Hour di Wilson Pickett, i due si sfidano a colpi di soul e chi ne gode è l’ascoltatore, avvolto da una calda “coperta” di sweet soul music. Non ti sei ancora ripreso che arriva subito anche Hold On I’m Comin’ altro magnifico esempio di musica dal catalogo Stax, con fiati e sezione ritmica che impazzano sotto la scintillante voce del nostro amico. It’s Your Thing arrivò in origine nel 1969, uno dei primi esempi dell’irresistibile funky degli Isley Brothers, e Broussard e i musicisti impegnati in questo Save Our Soul II gli rendono pienamente giustizia. Sarà anche musica fatta con la carta carbone, ma devono averne trovato un modello che si era nascosto in qualche macchina del tempo, la copia è quasi meglio dell’originale, o comunque difficilmente distinguibile, c’è ancora gente che è capace di scrivere con bella calligrafia. E a  dimostrarlo Fool For Your Love, scritta dallo stesso Marc Broussard, sembra in tutto e per tutto un qualche classico perduto di Sam Cooke. Broussard poi ci propone una versione intima e raccolta, acustica di Cry To Me, solo voce e un paio di chitarre (una del babbo Ted, vecchio chitarrista dei Muscle Shoals studios), ma tanto feeling.

Sunday Kind Of Love è uno dei capolavori assoluti di Etta James, una ballata incantevole, cantata con il cuore il mano, e Marc fa di tutto per catturare lo spirito dell’originale, direi riuscendoci in pieno. David Egan da Lafayette, Louisiana è stato un cantante ed autore di brani per Tab Benoit, Irma Thomas, Marcia Ball e Tracy Nelson, scomparso di recente, e Marc Broussard gli rende omaggio con Every Tear, in una penetrante ed intensa versione, di nuovo per voce e una solitaria chitarra elettrica, un distillato della soul music più profonda.

Bruno Conti

Forse L’Ultima Occasione Per Un “Cantante Vero”! Frankie Miller’s Double Take

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Frankie Miller – Frankie Miller’s Double Take – Universal CD – CD+DVD

Per chi non lo sapesse, e purtroppo temo siano in molti, soprattutto tra i più giovani, Frankie Miller è stato uno dei più grandi cantanti inglesi della storia del rock (e pure del soul, non solo quello blue eyed, ma in generale), un interprete ed autore assolutamente alla pari, anche superiore per certi versi, a gente come Rod Stewart o Paul Rodgers, ma anche andando a ritroso, Eric Burdon, Joe Cocker, Chris Farlowe, Steve Marriott, uno in grado di interpretare brani di Otis Redding e Marvin Gaye, infondendo nelle canzoni il fuoco dell’interprete sublime o del rocker selvaggio, ma anche autore di splendide canzoni, che se non hanno infiammato le classifiche nel suo periodo aureo, sono state apprezzate da tutti gli amanti della musica più genuina, grazie a una potenza vocale inaudita, un phrasing perfetto ed una grinta incredibile, soprattutto nei concerti dal vivo (andatevi a recuperare il triplo CD o doppio DVD del Rockpalast, è fenomenale), ma anche i dischi in studio, soprattutto i sette incisi tra il 1973e il 1980, e raccolti nello splendido cofanetto That’s Who: Complete Chrysalis Recordings 1973-1980, sono tra le migliori cose di sempre prodotte dal rock britannico (anzi scozzese, perché il nostro viene da Glasgow).

Tra le sue collaborazioni sono famose quelle con Phil Lynott dei Thin Lizzy per Still In Love With You e quelle dal vivo con Rory Gallagher, un altro genuino e istintivo come lui  https://www.youtube.com/watch?v=OUAM66Oc-ck. Un paio di brani nei top 10 inglesi, alcune canzoni in film e serie televisive, i suoi pezzi sono stati incisi anche da Ray Charles, Rod Stewart, Etta James, Johnny Cash, Roy Orbison e i Traveling Wilburys, qualche apprezzata esperienza come attore, poi i suoi brani hanno cominciato ad avere successo in ambito country, ma dal 1985 non riusciva più ad incidere un album nuovo. Nel 1994 si era trasferito a New York per formare un nuovo gruppo, con Joe Walsh alla chitarra, Nicky Hopkins al piano e Ian Wallace alla batteria, quando improvvisamente una notte, il 25 agosto del 1994, la luce si è spenta, Miller ha avuto una emorragia cerebrale per cui ha rischiato di morire, è rimasto molti mesi in coma, ma caparbiamente, anche se dicevano che non avrebbe più camminato e recuperato l’uso delle sue funzioni vitali, ha ripreso la vita per i capelli, e anche se non ha più potuto cantare e scrivere canzoni, come racconta l’ottimo documentario della BBC Stubborn Kinda Fella https://www.youtube.com/watch?v=DI24jV1AxwE , comunque si è impegnato per riavere quello che era possibile.

E ora, dopo molti anni e molti tributi, tramite l’interessamento di Rod Stewart, suo grande ammiratore, che lo ha definito l’unico cantante bianco “in grado di portare una lacrima al mio occhio”, e che ha contattato il produttore australiano David Mackay chiedendogli se era a conoscenza di materiale inedito di Frankie Miller, il quale a sua volta lo ha chiesto alla moglie di Miller Annette, sempre rimasta al suo fianco in questi anni difficili, che gli ha spedito due sacchettoni pieni di demos, dal quale sono emersi i diciannove pezzi che compongono questo Frankie Miller’s Double Take. Come direbbe Fantozzi, paventavo “una cagata pazzesca” e invece l’album, che ho sentito ripetutamente in streaming prima dell’uscita e di nuovo in questi giorni, è decisamente buono, non un capolavoro, ma assolutamente degno delle glorie passate di Frankie. Canzoni interpretate nell’album sotto forma di duetto con ospiti illustri: dal rock iniziale di Blackmail, con l’amico Joe Walsh alle chitarre, anche slide, passando per Where Do The Guilty Go, che sembra una canzone perduta del Elton John anni ’70, con Steve Cropper alla chitarra. Way Past Midnight, un poderoso rock’n’soul faitistico con Huey Lewis, True Love, una bella ballata con Bonnie Tyler, seconda voce meno “pomposa! del solito, perché comunque la protagonista assoluta del disco è la voce di Miller, forte e potente come sempre, e il contorno musicale creato è assolutamente all’altezza. In Kiss Her For Me, il duetto con Rod Stewart, è difficile distinguere le voci dei due, stesso timbro, stesso phrasing, ottima canzone, Gold Shoes, il pezzo con Francis Rossi, sembra uno di quelli belli degli Status Quo, deliziosa anche la canzone con Kiki Dee e Jose Antonio Rodriguez (?), e persino Kid Rock fa un figurone in Jezebel Jones, un pezzo che ricorda moltissimo Bob Seger (che ha ammesso le influenze di Miller nella sua musica).

Grande tiro in When It’s Rockin’, il duetto con Steve Dickson, che rievoca le vecchie glorie dei Full House, la sua band dell’epoca, tra fiati e slide a manetta. Frankie Miller e Delbert McClinton sono due gemelli separati alla nascita nella tirata Beginner At The Blues, e Kim Carnes ha lampi del vecchio splendore nella ballata To Be With You Again; Willie Nelson aggiunge la sua classe e un assolo di Trigger nello splendido country-soul che risponde al nome di I Want To Spend My Life With You. Se il disco si fosse limitato a queste dodici canzoni sarebbe stato un album da tre stellette e mezzo, delle altre sette aggiunte, con vecchie glorie perlopiù bollite, si salvano ancora i duetti con Paul Carrack e quello con Lenny Zakatek, della band inglese funky anni ’70 Gonzalez, oltre alla conclusiva I Do, in solitaria e un’altra ballata The Ghost, con Tomoyasu Hotel (?!?), che a tratti sembra Purple Rain di Prince. A dispetto delle premesse, un vero disco per un cantante “vero”.

Bruno Conti