Ottima Musica: Sempre Della Serie Non Solo Blues! Ian Siegal – All The Rage

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Ian Siegal – All The Rage – Nugene Records

Ian Siegal e Jimbo Mathus sono una coppia bene assortita: dopo il Live acustico del 2016 Wayward Sons https://discoclub.myblog.it/2016/05/04/coppia-bene-assortita-ian-siegal-jimbo-mathus-wayward-sons/  che seguiva un altro disco dal vivo, elettrico, del 2015, entrambi registrati in Olanda, questa volta torna in studio per proporre un album tutto composto da nuovi brani, sempre registrato nei Paesi Bassi, ad Amsterdam, visto che la sua band è composta da musicisti locali, Dusty Ciggaar (chitarre), Danny Van’t Hoff (basso), e Rafael Schwiddessen (batteria), mentre Mathus questa volta si “limita” a produrre, suona qualche strumento qui e là, e firma due brani con Siegal. Il titolo dell’album è ambivalente, in quanto in inglese All The Rage vuole dire sia “di gran moda” come pure “tutta la rabbia”, che è quella che sta infiammando il mondo dall’elezione di Trump  e dall’avvento di tutti i partiti di destra e populisti che si sono insediati in molti paesi europei, oltre alle tensioni che strisciano nel Medio e Lontano Oriente e ovunque sul pianeta.

Visto che il blues è sempre stato un genere che ha toccato questi temi, politici e sociali, Ian Siegal li ha inseriti anche nelle sue canzoni, due firmate con la coppia  Isa Azier e Mischa den Haring, mantenendo quel suo particolare stile musicale che inserisce anche elementi di Americana, country e roots music, su una base comunque decisamente blues e dove la sua chitarra è sempre un elemento importante nell’economia dei brani. L’apertura è affidata a Eagle-Vulture, uno dei suoi tipici brani di stampo blues-rock, grintosi e tirati, con la sua voce vissuta e rauca che urla la sua rabbia su una ritmica mossa e complessa, mentre la chitarra comincia a tessere le sue trame vibranti anche nella modalità slide che è uno degli stili prediletti dal musicista di Portsmouth. Bella partenza, subito ribadita in Jacob’s Ladder, uno dei pezzi scritti con i musicisti olandesi, un blues del Delta, elettrico e vibrante e che ricorda le sue collaborazioni con i fratelli Dickinson e altri musicisti dell’area del Mississippi, ma anche qualche elemento Waitsiano; ottima pure The S*it Hit uno slow blues duro e puro, dove Siegal imperversa con la sua solista in modalità bottleneck e Mathus aggiunge un pianino insinuante alle procedure, mentre il nostro Ian canta con rabbia e cattiveria. Won’t Be Your Shotgun Rider è uno dei brani dove gli elementi  roots sono più evidenti, una bella ballata ariosa e distesa ,ingentilita dalla voce femminile di Merel Moelker, e che ricorda il  miglior country-rock anni ’70, con Siegal al dobro, seguita da Ain’t You Great che introduce anche elementi latini, messicani e un pizzico di desert rock nella musica, mentre il testo è amaro e quasi apocalittico.

My Flame è un country-blues, solo voce e chitarra acustica in fingerpicking nella parte iniziale, poi entrano il piano, la ritmica discreta, una lap steel e il brano assume l’andamento delle ballate romantiche del Tom Waits anni ’70, anche grazie alla voce grave di Siegal, molto bella; One-Eyed King, firmata di nuovo dal trio, è stata definita dal suo autore una sorta di “murder” ballad”, e ci sta, anche se poi l’esecuzione vira di nuovo verso il rock-blues intenso ed atmosferico dei brani migliori del nostro, con la sua chitarra twangy in azione.  If I Live è un altro blues scarno ed amaro, con un giro musicale quasi ciclico e ripetitivo, con organo, mandolino e altri strumenti suonati da Jimbo Mathus aggiunti al menu sonoro, e Sweet Souvenir è uno splendido gospel-soul-blues di grande fascino, con cori avvolgenti e una interpretazione che fa molto deep soul , Muscle Shoals style o da quelle parti, con un paio di inserti chitarristici da manuale, non a caso gli ultimi due brani sono quelli firmati con Mathus e risentono chiaramente delle radici musicali sudiste del musicista americano. Per concludere rimane Sailor Town, una canzone firmata con il cantautore Hook Herrera, un brano che profuma nuovamente di R&B, blues e musica nera in generale, ritmata e leggera, ma di eccellente qualità, come d’altronde tutto l’album, che conferma quindi  ancora una volta l’eccellenza della musica di Ian Siegal.

Bruno Conti

Una Coppia Bene Assortita! Ian Siegal & Jimbo Mathus – Wayward Sons

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Ian Siegal & Jimbo Mathus – Wayward Sons – Nugene Records

La Nugene Records è una piccola etichetta che ha nel suo rispettabile roster di artisti alcuni nomi legati al blues contemporaneo, tra i più noti Matt Schofield, che nel frattempo è passato alla Provogue, Simon McBride e soprattutto Ian Siegal. L’artista britannico è un habitué delle collaborazioni: prima con gli Young Sons in The Skinny, un disco prodotto da Luther Dickinson, con la partecipazione di Alvin Youngblood Hart e alcuni componenti delle famiglie Kimbrough e Burnside, poi in Candy Store Kid si aggiungevano anche Cody Dickinson e Lightnin’ Malcolm, diventando i Mississippi Mudbloods http://discoclub.myblog.it/2012/11/13/un-inglese-alle-radici-del-blues-di-nuovo-ian-siegal-the-mis/ , infine nel 2014, per il live The Picnic Sessions, viene coinvolto anche Jimbo Mathus. Nel frattempo Siegal, che non è uno poco prolifico, anzi, ha pubblicato altri due album dal vivo, uno in solitaria Man & Guitar, l’altro One Night In Amsterdam, un live elettrico con band al seguito, veramente potente.

Chi vi scrive lo preferisce nella versione elettrica e tirata, ma devo ammettere che il nostro amico è bravo anche nel formato acustico. Se poi in duo, come nel caso di questo Wayward Sons, ancora meglio. Anche Jimbo Mathus non sta mai fermo, oltre alle saltuarie reunion con gli Squirrel Nut Zippers, la collaborazione con i musicisti prima citati, nella South Memphis String Band,  pubblica molti album solisti, sempre ricchi di ospiti e collaboratori, spesso più di uno all’anno, ma su invito dell’amico Siegal, si è recato, nell’autunno del 2014, nella piccola città olandese di Hoogland, al Café De Noot, per una serata particolare, tra folk, country e blues. Il risultato dei due “Figli Ribelli” è un album dove i brani di entrambi convivono con cover di Townes Van Zandt, molti pezzi tradizionali e qualche blues. Che è la musica principale adottata: ma ci sono anche echi dylaniani, come nella iniziale In The Garden, dove la chitarra di Siegal e il mandolino e l’armonica di Mathus (che nel disco suona anche kazoo e seconda chitarra) si amalgamo alla perfezione, e armonizza, con la sua voce più rauca e vissuta, quasi da country e folk singer, sfoggiata per l’occasione, da Siegal. I due ci regalano aneddoti e presentazioni, tra il colto ed il divertito, prima, dopo e durante, quasi ogni brano. Come nel caso dell’intro alla bellissima Heavenly Houseboat Blues del citato Van Zandt, che già era apparsa a sorpresa nelle Picnic Sessions.

Nel disco non mancano tratti gospel e da songwriters, e il tutto scorre piacevole e coinvolgente, come in una collaborazione tra spiriti affini: Jesse James ha naturalmente accenti country, mentre la classica Mary Don’t You Weep, è un gospel blues, dove di nuovo mandolino, armonica e le voci dei due scorrono piacevolmente. Anche Casey Jones è un brano che tutti conosciamo, è il treno sonoro è proprio quello di un viaggio, discorsivo e intenso come la canzone richiede e pure Crazy Old Soldier ha le stimmate della grande ballata d’autore, con la voce partecipe delle disavventure del protagonista. A tratti si va nel folk puro, ma sempre ricco di tratti blues, come in Old Earl, per poi sfociare nel blues arcano di Ludella, quando Ian Siegal sfodera la sua slide e la sua voce da consumato blues singer. Scorrono anche pezzi celeberrimi come Stack’o’lee, una corale, anche se sono solo in due, Goodnight Irene, l’antico blues di nuovo ricco di spiritualità ( e di slide) I’ll Fly Away e per concludere il tutto, una bella versione di Dirty Old Town, il brano di Ewan MacColl che è ormai diventato una standard della canzone popolare “moderna”. Per chi ama dischi raccolti, ma al tempo stesso espansivi e ricchi di quella difficile arte della collaborazione che solo gli artisti di valore sanno praticare.

Bruno Conti