Dopo Jono Manson, Torna Un Altro Songwriter Amico Dell’Italia. Bocephus King – The Infinite And The Autogrill, Vol. 1

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Bocephus King – The Infinite And The Autogrill, Vol. 1 – Appaloosa/IRD CD

Bocephus King, musicista canadese di Vancouver (all’anagrafe James Perry), alla fine degli anni novanta sembrava una delle “next big things” del cantautorato mondiale. Dopo l’esordio nel 1996 con Joco Music (da lui poco amato), King pubblicò infatti nel 1998 e nel 2000 due tra i più riusciti lavori di quegli anni, A Small Good Thing e The Blue Sickness, due album che rivelavano un musicista geniale e creativo, con influenze che andavano da Bob Dylan a Van Morrison passando per Tom Waits e Bruce Springsteen, ma anche Townes Van Zandt e Willie Nelson (la splendida Ballad Of The Barbarous Nights, che chiudeva alla grande The Blue Sickness, sembrava proprio un valzerone del countryman texano). Negli anni seguenti il nostro si perse un po’, complice un comportamento un po’ naif e “freak” e soprattutto un lungo silenzio tra All Children Believe In Heaven del 2003 e l’ottimo Willie Dixon God Damn! del 2011 (secondo chi scrive il suo ultimo lavoro di un certo spessore). Nello stesso periodo King ha cominciato a frequentare il nostro paese (da lui sempre amato in quanto grande appassionato di arte, poesia e cinema d’autore), partecipando a più riprese agli annuali Buscadero Day e soprattutto a svariate edizioni del Premio Tenco, ricevendo anche più di un riconoscimento.

Senza dimenticare l’amicizia con Andrea Parodi, che lo porterà a produrre i primi due album del musicista di Cantù, e la decisione di intitolare la bellissima antologia uscita nel 2015 Amarcord, in omaggio a Federico Fellini. Ora, a cinque anni di distanza dal discreto The Illusion Of Permanence e quattro dal doppio CD di cover Saint Eunice, Bocephus pubblica quello che si può considerare il suo disco più “italiano” di sempre: intanto esce per la nostrana Appaloosa (sua etichetta già da qualche anno), poi è prodotto proprio insieme all’amico Parodi, ed infine l’emblematico titolo The Infinite And The Autogrill (con quel Vol. 1 che fa presagire un seguito) che rivela la sua ammirazione per le opere di Giacomo Leopardi e per le canzoni di Francesco Guccini (e proprio Autogrill del cantautore di Pavana è stata interpretata in uno dei passati Premi Tenco da King), entrambi tra l’altro raffigurati sul disegno in copertina. E l’album, inciso tra Vancouver e Meda (comune della Brianza) è davvero riuscito, forse il migliore del nostro da Willie Dixon God Damn!, un lavoro di un artista finalmente ispirato e “sul pezzo” come non accadeva da diverso tempo. King non si perde in inutili svolazzi artistici ma ci consegna un disco solido, ben suonato e con una miscela creativa e stimolante di rock, folk, Americana ed un pizzico di soul.

Tra i musicisti che lo accompagnano troviamo nomi di caratura internazionale come la violinista Scarlet Rivera, il rocker James Maddock e Vini “Mad Dog” Lopez, mitico primo batterista della E Street Band, oltre a realtà nostrane come lo stesso Parodi ed il chitarrista Alex “Kid” Gariazzo (Treves Blues Band). L’iniziale One More Troubadour, dalla lunga introduzione acustica, è un folk-rock cupo ed intenso, con un backgroung elettrico, uno sviluppo melodico discorsivo che ricorda certe ballatone di Tom Petty ed un suggestivo uso di violino e violoncello. Something Beautiful è una deliziosa e solare ballata blue-eyed soul chiaramente ispirata alle opere dei primi anni settanta di Van The Man, con quell’aria californiana ed un gusto pop dietro ad ogni nota; inizialmente pensavo che Buscadero fosse dedicata al mensile musicale che nel 1998 mise per primo il nostro in copertina, ma invece è un racconto western con un testo che mescola antico e moderno citando Toro Seduto, Buffalo Bill, Annie Oakley, Akira Kurosawa e Sergio Leone (il Buscadero è il cinturone nel quale i pistoleri del vecchio West infilavano le pallottole), e musicalmente è un mix strano ma coinvolgente tra folk, western, rock, Messico ed un pizzico di Oriente, un brano debordante dallo stile curiosamente simile a quello del nostro Vinicio Capossela. The Other Side Of The Wind è splendida, una sontuosa rock ballad notturna tra Waits e Springsteen, con le chitarre acustiche ed elettriche a guidare il motivo insieme ad un bel pianoforte e la steel che accarezza sullo sfondo, una canzone che differisce nettamente da John Huston, che vede Bocephus alle prese con una frenetica e sbilenca rock’n’roll song dallo stile quasi ska, con un refrain diretto al quale partecipano vocalmente anche Parodi, Maddock e Lopez.

Identity, in cui spunta anche un sitar, è una ballata fluida e decisamente intrigante, con una melodia accattivante che colpisce al primo ascolto, mentre Life Is Sweet è una incantevole folk song bucolica dal retrogusto old time dato dall’uso dei fiati in puro Dixieland style. Ho volutamente lasciato alla fine le uniche due cover del disco, che uniscono ancora di più King all’Italia dato che sto parlando di due versioni in inglese di classici della musica nostrana (e nessuno dei due è Autogrill): la prima è una splendida rilettura di Lugano Addio di Ivan Graziani intitolata Farewell Lugano, che diventa un terso e limpido folk-rock alla George Harrison con Bocephus doppiato dalla voce di Claudia Buzzetti, uno dei momenti migliori del CD. Creuza De Ma era già una grande canzone nell’interpretazione originale di Fabrizio De André, ed il passaggio dal dialetto genovese all’inglese non ne scalfisce per nulla la bellezza, con il nostro che accelera leggermente il tempo ma mantiene intatta la struttura melodica. Dopo Jono Manson ecco quindi un altro songwriter d’oltreoceano con il cuore in Italia: The Infinite And The Autogrill, Vol. 1 non sarà bello come https://discoclub.myblog.it/2020/02/12/il-miglior-lavoro-di-sempre-del-nostro-amico-ormai-mezzo-italiano-jono-manson-silver-moon/ ma di certo è uno dei migliori di Bocephus King, e mi sento perciò di consigliarlo senza remore.

Marco Verdi