Una Grande Folksinger Muove I Primi Passi, Ecco La Recensione Del Box. Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967

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Joni Mitchell – Archives Volume 1: The Early Years 1963-1967 – 5CD Box Set Rhino

Se volete andare a rileggervi quanto detto in sede di presentazione del cofanetto, che ovviamente rimane valido, lo trovate a questo link https://discoclub.myblog.it/2020/09/24/apre-gli-archivi-anche-laltra-grande-icona-della-musica-canadese-joni-mitchell-archives-volume-1-the-early-years-1963-1967/ , dove ho scritto le mie considerazioni generali mentre oggi ci occupiamo, come promesso, in modo approfondito dei contenuti del box, che ho avuto modo di ascoltare con attenzione dal giorno della sua pubblicazione avvenuta il 30 ottobre.

Il contenuto è stato, giustamente, pubblicato in base alla sequenza cronologica delle registrazioni, anche su suggerimento di Neil Young alla Mitchell, quindi partiamo con il primo dischetto.

CD1]
Radio Station CFQC AM, Saskatoon, Saskatchewan, Canada (ca. 1963), nove brani provenienti da quella che si ritiene la più vecchia registrazione esistente negli archivi, quando si esibiva ancora come Joan Anderson,  nella città dove abitava allora con la sua famiglia, in un repertorio prettamente tradizionale, a parte due pezzi, come testimoniano le canzoni di questa sorta di provino per una radio locale: la voce a venti anni è già cristallina e formata, con un bellissimo vibrato mutuato dalle grande voci della musica folklorica anglo-scoto-irlandese e dalle sue derivazioni americane, che però poi in seguito non avrebbe amato molto, e dalle quali non fu a sua volta molto amata, ed ecco così scorrere House Of The Rising Sun, John Hardy, il classico di MerleTravis Dark As A Dungeon, la sognanteTell Old Bill, la mossa Nancy Whiskey, Anathea con alcune ardite vocalizzazioni che anticipano le future svolte della sua carriera, per quanto sempre tenute in un ambito rigorosamente tradizionale, accompagnata solo da un ukulele a quattro corde, il suo primo strumento, a parte il pianoforte della gioventù, ad aun certo punto abbandonato, come ricorda nella amabile conversazione con il giornalista e regista Cameron Crowe, contenuta nel libretto che correda il box.

Tornando a quella prima apparizione pubblica troviamo anche, a completare questa registrazione miracolosamente ritrovata di recente, Copper Kettle di Albert Frederick Beddoe, e altri due standard del folk come Fare Thee Well (Dink’s Song) e Molly Malone. Verso la fine del 1964, poco prima di scoprire di essere incinta, Joni si esibisce nel primo importante concerto lontano da casa di fronte ad un pubblico, del quale troviamo sempre nel primo CD i due set completi, che vertono ancora su un repertorio tradizionale, anche se ci sono un paio di brani di Woody Guthrie e uno di Sydney Carter, mentre la Mitchell, come racconta sempre lei stessa, inizia ad inserire nel contesto delle sue esibizioni alcune presentazioni che fanno da raccordo alla sequenza delle canzoni e che seguono anche una ideale traccia logica tra l’una e l’altra e non sono solo pezzi eseguiti senza nessun nesso logico.

Live at the Half Beat: Yorkville, Toronto, Canada (October 21, 1964)
Lei è ancora Joni Anderson, ma appare sempre più sicura della sua vocalità, la registrazione cattura anche i rumori di fondo del piccolo locale, rumori di piatti e bicchieri, ma la qualità sonora è di nuovo eccellente:una brillante Nancy Whiskey, che il pubblico apprezza,  precede The Crow On The Cradle, una canzone contro la guerra che Joni presenta come un brano del repertorio di Ewan MacColl, ma che nel libretto viene attribuita giustamente a Carter e che comunque è sempre quella di cui esiste anche una memorabile versione di Jackson Browne.

Pastures Of Plenty è proprio quella di Woody Guthrie che Joni presenta come uno dei suoi autori preferiti, e che illustra una sempre maggiore destrezza strumentale, anche se nella registrazione appare un leggero fastidioso rumore di fondo, eccellente anche la lunga e solenne Every Night When The Sun Goes In, preceduta da una breve introduzione arriva anche Sail Away, un altro traditional che al suo interno ha anche elementi caraibici di calypso e nel quale la nostra amica timidamente incita il pubblico a cantare con lei nel ritornello, mi pare con poco successo.

Nel secondo set del concerto troviamo di nuovo una brillante John Hardy e Dark As A Dungeon, seguite dal traditional Maids When You’re Young Never Wed An Old Man, preceduta da una breve ed ironica esortazione di Joni alle giovani fanciulle; altro brano della tradizione è The Dowie Dens Of Yarrow, un brano scozzese cantato a cappella, mentre in chiusura la Mitchell esegue un altro brano di Woody Guthrie, la splendida Deportee (Plane Crash At Los Gatos), esecuzione impeccabile di una canzone poi entrata nel repertorio di tantissimi cantanti e gruppi.

Gli ultimi tre brani del primo CD provengono da una registrazione casalinga nell’abitazione dei genitori, a Saskatoon nel Saskatchewan, nel febbraio del 1965, a pochi giorni dalla nascita della figlia Kelly Dale Anderson, che fu data in adozione, visto che il padre se ne lavo le mani. Le tre canzoni sono The Long Black Rifle, Ten Thousand Miles e Seven Daffodils, tutte affascinanti e che testimoniamo la costante crescita artistica della nostra amica.

CD2)

Sempre nel 1965, ad aprile, incontra Charles Scott “Chuck” Mitchell, un nativo di New York che diventerà il suo primo marito e che la incoraggia ad intraprendere la carriera musicale suonando nelle coffee houses, e alla fine del mese, i due si avviano per gli Stati Uniti, il primo viaggio negli USA per Joni, che nel frattempo comincia a scrivere le sue canzoni, sempre spronata da Chuck che vede le sue potenzialità. Le prime tre registrazioni del secondo CD vengono da un’altra registrazione privata per il compleanno della mamma, messe su nastro a Detroit, Michigan.

Myrtle Anderson Birthday Tape: Detroit, MI (1965)

Ed ecco la prima apparizione di Urge For Going, poi apparsa come lato B di un singolo e nella compilation Hits. A seguire la deliziosa I Was Born To Take The Highway e la leggiadra Here Today Gone Tomorrow, rimaste inedite finora. Nel giugno del 1965 si sposa con Chuck, ma nel frattempo incontra il collega Eric Andersen, che le insegna quella particolare accordatura in open G tuning (sol maggiore) che rimarrà un suo marchio di fabbrica negli anni, in quanto poi Joni la farà propria in modo unico. Con questa nuova tecnica registra un demo da presentare a Jac Holzman, il boss della Elektra, che però non la mette sotto contratto. Oggi possiamo ascoltare anche noi quei cinque brani…

Jac Holzman Demo: Detroit, MI (August 24, 1965)

Tra i quali spicca secondo Cameron Crowe la bellissima Day After Day, ma anche le altre quattro sono interessanti ed inedite a livello ufficiale: What Will You Give Me, l’intricata Let It Be Me, la danzante The Student Song, e la sospesa Like The Lonely Swallow, che già indicano la strada che verrà intrapresa negli album a venire. Ancora come Joan Anderson partecipa il 4 ottobre del 1965, sempre con due canzoni nuove, alla trasmissione televisiva Let’s Sing Out della emittente CTV Winnipeg, registrata alla University Of Manitoba: si tratta di Favorite Colour e di Me And My Uncle, dove appare anche un bassista sconosciuto, molto interessanti entrambe.

Sempre registrato a Detroit in un demo casalingo di inizio ’66, ecco Sad Winds Blowin’, altro interessante brano che non avrebbe sfigurato nei suoi primi album. Al 24 ottobre del 1966 partecipa di nuovo alla trasmissione Let’s Sing Out, come Joni Mitchell questa volta, da London, Ontario: Just Like Me e Night In The City, di cui esistono anche le immagini e, come ricorda il presentatore, oltre che già molto brava, appare anche bellissima.

L’ultima parte del 2° CD è dedicata ai 6 brani, più alcune introduzioni, estratti dalla esibizione

Live at the 2nd Fret: Philadelphia, PA (November 1966)
apparsa già in diversi bootleg, ecco la lista completa

“Brandy Eyes”
Intro to “Urge For Going”
“Urge For Going”
Intro to “What’s The Story Mr. Blue”
“What’s The Story Mr. Blue”
“Eastern Rain”
Intro to “The Circle Game”
“The Circle Game”
Intro to “Night In The City”
“Night In The City”

Questa, non nascondiamocelo, è già Joni Mitchell, fatta e finita, eccellente esibizione dal vivo.

CD3)

Che pochi mesi dopo, il 12 marzo del 1967, sempre a Flladelfia appare al

Folklore Radio Broadcast,

cantando due delle canzoni che diverranno a breve dei capolavori assoluti: Both Sides Now, su Clouds del 1969, e The Circle Game su Ladies Of The Canyon del 1970, due brani di uno splendori assoluto, anche in queste registrazioni inedite, entrambe con brevi interviste e presentazioni radiofoniche.

Nel frattempo, nei primi mesi del 1967, Joni divorzia da Chuck Mtchell, del quale comunque manterrà sempre il cognome, ma prima di trasferirsi a New York registra una seconda apparizione al Second Fret di Philadelphia il 17 marzo e pochi giorni dopo, il 19, tiene anche un secondo breve set nel Folklore Radio Broadcast, sempre da Filadelfia. in entrambe le occasioni, oltre ad eseguire anteprime di altri brani che più avanti appariranno negli album ufficiali, presenta altre canzoni che poi rimarranno a lungo inedite.

Ed ecco quindi scorrere la deliziosa Morning Morgantown, poi su Ladies Of The Canyon, Born To Take The Highway, già apparsa nel nastro per il compleanno della mamma, oltre a Song To A Seagull, la title track del primo album del 1968, Winter Lady, una intima love song che poi rimarrà inedita, la prima versione live di Both Sides Now, dal 2° e 3° set registrati al Second Fret, il primo non appare nel CD. Mentre dal broadcast arrivano le inedite Eastern Rain, con elementi orientaleggianti e blues e un complesso lavoro della chitarra acustica, di cui è sempre più padrona, già presentata a novembre, ma qui più compiuta, e anche Blue On Blue, inframmezzate da dialoghi con Gene Shay, il conduttore della trasmissione, con il quale ha un ottimo rapporto.

Per completare il terzo CD troviamo

“A Record Of My Changes” – Michael’s Birthday Tapes un altro nastro casalingo, registrato a maggio del 1967 nel North Carolina, un nastro dove fanno il loro debutto altri 5 brani, più una improvvisazione di Joni: qualità delle canzoni sempre eccellente, quella sonora un po’ meno, nastro frusciato, ma comunque decisamente buono, troviamo la malinconica Gemini Twin, Strawflower Me dove la Mitchell tenta una vocalità più profonda e ricercata, l’armoniosa A Melody In Your Name, in entrambe la canzoni mi sembra di cogliere delle affinità con il primo Tim Buckley folk, e ancora Tin Angel oscura e brumosa, e la fluida I Dont Know Where I Stand, con un bel fingerpicking e una melodia sognante, seguita da una breve improvvisazione per voce e chitarra, senza testo. L’ultimo brano del CD viene dalla apparizione finale al Folklore Radio Broadcast del 28 maggio 1967, una delle rarissime cover, ovvero una versione di un brano del collega canadese Neil Young, di cui esegue Sugar Mountain, che presenta come una grande canzone: siamo d’accordo.

CD4)

Ad aprire il CD troviamo un altro demo, questa volta registrato a New York nel giugno del 1967, dove Joni presenta alcune canzoni che poi entreranno nel suo repertorio, e altre ancora inedite: I Had A King dal primo album, la bellissima Free Darling, che rimarrà inedita, ma ha tutti crismi delle tipiche scansioni delle migliori composizioni della Mitchell, stesso discorso per la lunga Conversation, con la voce che sale e scende nel suo tipico stile vocale, Morning Morgantown, la “strana” Dr. Junk, sottotitolo The Dentist Man, che però anticipa alcune soluzioni sonore che poi verranno riprese negli anni ’70, Gift Of The Magi, che nella conversazione tra Cameron Crowe e Joni viene indicato come uno dei brani che avrebbe meritato di essere recuperato in qualcuno degli album ufficiali, cosa invece avvenuta per l’euforica Chelsea Morning poi apparsa nel 1969 su Clouds e per la leggiadra e fiabesca Michael From Mountains poi pubblicata su Song To A Seagull, ma non per un altro brano delizioso come Cara’s Castle, che avrebbe meritato una miglior fine, mentre la conclusiva Jeremy rimarrà solo un frammento incompleto, per quanto intrigante.

Da qui in avanti troviamo i tre set completi registrati il 27 ottobre del 1967 alla

Canterbury House Ann Arbor, Michigan

dove una Joni Mitchell ormai divenuta una perfetta performer delizia il pubblico con le sue canzoni e anche con presentazioni sempre illuminanti, a tratti timide, sulla sua personalità. Nel quarto CD il primo set, con il pubblico che ascolta rapito una splendida Conversation, poi in una sequenza di brani noti ed inediti troviamo Come To The Sunshine, Chelsea Morning, Gift Of The Magi, la rara Play Little David, il traditional accapella The Dowie Dens Of Yarrow, I Had A King, Free Darling, Cactus Tree, poi inserita nel primo album.

CD5)

Prosegue il concerto con il secondo set, ancora ricco di brani rari come Little Green, bellissima, Marcie, ispirata dal suo primo viaggio a Londra, la soave e spensierata Ballerina Valerie, The Circle Game, una delle sue canzoni più belle, che però ad Ann Arbor ancora non conoscono, anche se lei prova a farli cantare, Michael From Mountains, Go Tell The Drummer Man, sconosciuta ovunque, ma un altro brano che avrebbe meritato maggior fortuna e a chiudere il secondo set I Don’t Know Where I Stand, una canzone dedicata al padre, con relativa lunga introduzione.

Nel terzo set A Melody In Your Name, altra piccola meraviglia della cantante canadese, cantata con voce stentorea, come pure Carnival In Kenora, un altro dei brani che Cameron Crowe indica tra i suoi preferiti tra quelli inediti contenuti nel box, in effetti splendida, e molto bella pure Songs To Aging Children Come, poi troviamo Dr. Junk, dedicata al suo amico dentista, con citazione del riff di Hey Bo Diddley, la dolcissima Morning Morgantown, la eccellente Night In The City e gran finale con Both Sides Now Urge For Going, una più bella dell’altra. Come dice lei stessa, ridendo, alla fine della conversazione con Crowe, I Was A Folksinger”! E non aveva ancora pubblicato nulla, ma qui troviamo tutto.

Grande cofanetto da avere assolutamente: attendiamo con ansia i prossimi della serie.

Bruno Conti

La Versione Deluxe Di Un Album Leggendario…Ma Si Poteva Fare Meglio! The Doors – The Doors

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The Doors – The Doors – Elektra/Rhino 3CD/LP Box Set

Strano destino quello dei Doors, storico gruppo californiano molto famoso anche dalle nostre parti: popolarissimi sia nel loro periodo di attività sia dopo (ed ancora oggi), principalmente grazie, oltre ad una manciata di canzoni entrate a far parte dei classici, all’immagine da “bello e maledetto” tramandata ai posteri del loro leader Jim Morrison (cosa ingigantita dalla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1971 all’età di 27 anni), oggi sono molto poco citati come influenza dalle band contemporanee, a differenza, per citare un gruppo che operava nello stesso periodo, dei Velvet Underground, che in attività vendette pochissimo ma in seguito ha raggiunto una statura tale al punto da far affermare a Brian Eno che “pochi comprarono i loro dischi quando vennero pubblicati, ma tutti coloro che lo fecero poi formarono una band”. Questo penso sia dovuto al fatto che il sound dei Doors oggi possa risultare un po’ datato (ma a mio parere meno di quello dei Jefferson Airplane, altra grande band di quell’epoca oggi spesso dimenticata), anche se le orecchie più attente hanno sempre riconosciuto l’importanza del quartetto di Venice Beach ed anche il loro sound innovativo, che obiettivamente in quegli anni non li faceva assomigliare a nessun altro. Gran parte del merito va (andava) sicuramente a Ray Manzarek, vero leader musicale del gruppo, che con il suo organo Vox Continental (che dal vivo veniva accoppiato ad un Rhodes Piano Bass sopperendo così all’assenza di un bassista) ha da sempre caratterizzato il sound del gruppo, fungendo sia da strumento solista che ritmico: questo non vuol però dire che sia Robby Krieger, gran chitarrista dal tocco raffinato ed influenzato dal jazz e dalla musica indiana, sia John Densmore, ottimo batterista anch’egli di formazione jazz (e classica), fossero inferiori, e pure Morrison non era solo “un figo” come diremmo oggi, ma aveva una presenza magnetica sul palco, una voce notevole e soprattutto un cultura smisurata, che ritrovavamo nei testi delle canzoni (scritti per la maggior parte da lui), talvolta un vero e proprio campionario di riferimenti letterari, sotto l’influenza (oltre che delle droghe di cui era un vorace consumatore) di poeti, scrittori e filosofi del calibro di William Blake, Arthur Rimbaud, Jack Kerouac e Friedrich Nietzsche, solo per citarne alcuni.

I Doors furono scoperti del presidente della Elektra, Jac Holzman, che li vide esibirsi nei club di Los Angeles, principalmente il London Fog ed il Whiskey-A-Go-Go, e li segnalò al produttore Paul A. Rothchild (figura di vitale importanza per il gruppo insieme al tecnico del suono Bruce Botnick), il quale li portò in sala di incisione e, dopo soli sei giorni, ne uscì con l’album di debutto omonimo dei nostri, un disco che ancora oggi è considerato una pietra miliare del rock dell’epoca (e non solo), ed uno di quelli da possedere assolutamente in una collezione che si rispetti. Gran parte del merito va sicuramente a tre fra i brani più celebri della band, a cominciare dall’aggressiva e potente Break On Through (To The Other Side), posta in apertura, per continuare con la straordinaria Light My Fire, vera e propria signature song del gruppo (e non importa che sia uno di quei pezzi che si conoscono a memoria, ancora oggi le parti di organo e chitarra sono tra le più belle mai incise in assoluto), ed infine con la lunga ed ipnotica The End, delirio letterario di quasi dodici minuti ispirato a Morrison dalla lettura dell’Edipo Re di Sofocle, un brano che ha avuto un utilizzo geniale dodici anni dopo da parte di Francis Ford Coppola per due scene chiave del capolavoro Apocalypse Now. Ma non è che il resto del disco fosse di basso livello, dalla sinuosa Soul Kitchen, all’emozionante The Crystal Ship, nella quale Manzarek si sposta al pianoforte rilasciando un assolo strepitoso (e Morrison si conferma un vocalist dalla straordinaria duttilità), a Twentieth Century Fox, un riempitivo di gran lusso. Completavano il disco la diretta ed orecchiabile I Looked At You (con il basso suonato da Larry Knetchel), l’ipnotica End Of The Night, la bella Take It As It Comes, dal ritmo sostenuto e motivo diretto (peccato duri poco) e due covers, e se la quasi cabarettistica Alabama Song (traduzione inglese di un brano di Bertold Brecht e Kurt Weill) è un esperimento bizzarro, la versione personalizzata del classico blues Back Door Man (scritta da Willie Dixon e resa nota da Howlin’ Wolf) è tra le cose migliori dell’album.

Quest’anno cade il cinquantesimo anniversario di The Doors, e la Rhino ne ha approfittato per pubblicare una versione deluxe in triplo CD (con accluso anche il vinile) di questo disco storico, ma qualcosa non torna. Ok per la decisione di inserire nel primo dischetto un nuovo mix in stereo con le canzoni proposte alla velocità originale in cui furono suonate (pare infatti che il disco uscito all’epoca fosse leggermente rallentato, e questa versione è presente sia nel secondo CD, mixata in mono, sia nell’LP, anche se bisogna stare con le orecchie davvero dritte per accorgersi delle differenze), ma non capisco la scelta di non accludere nessuna bonus track, visto che ciò era stato fatto in edizioni precedenti a questa (ci sono due canzoni non entrate a far parte del disco originale, Moonlight Drive e Indian Summer, e pare che esistano anche versioni alternate molto interessanti di altre canzoni dell’album, tra cui The End). E veniamo al terzo CD, ed anche qui continuano le decisioni incomprensibili: infatti troviamo otto canzoni tratte da un concerto al Matrix di San Francisco (le prime sette di The Doors nello stesso ordine più The End), peccato che questo concerto fosse già stato pubblicato nel 2008 in doppio CD, e quindi in versione completa (prendendo in esame due diverse serate); va bene che qui sono stati usati per la prima volta i nastri originali di Peter Abrams (proprietario del Matrix), ma non è che la qualità di incisione sia migliorata poi di molto, diciamo che siamo sui livelli di un buon bootleg. Morrison fornisce un’interpretazione selvaggia (e qua e là un po’ sopra le righe) di tutti gli otto pezzi, e gli altri tre dimostrano di essere una notevole live band, ma il concerto rimane nettamente incompleto (il doppio del 2008 contava ben sedici brani in più). Quindi questo cofanetto è da considerarsi indispensabile per un neofita (o per chi come me non possiede il Live At Matrix originale, ed avendo già altri album dal vivo della band mi bastano anche otto canzoni), ma non offre nulla di succulento ai fans del gruppo.

Speriamo che nella (probabile) deluxe edition di Strange Days (il secondo album dei Doors, uscito anch’esso nel 1967) ci si impegni un po’ di più per includere qualche extra interessante.

Marco Verdi