Grande Disco, “Con Un Piccolo Aiuto Dagli Amici”, E Che Amici! Mitch Woods – Friends Along The Way

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Mitch Woods – Friends Along The Way – Entertainment On

Mitch Woods, pianista e cantante di blues e boogie-woogie, da oltre trent’anni ci delizia con i suoi Rocket 88, band con cui rivisita classici della musica americana e composizioni proprie, con uno stile che lui stesso ha definito con felice espressione “rock-a-boogie”, e la cui summa è forse il CD uscito alla fine del 2015 Jammin’ On The High Cs Live, dove il nostro, nel corso della Legendary Blues Cruise, indulgeva nell’arte della collaborazione con altri artisti, diciamo della jam per brevità, che è una delle sue principali peculiarità http://discoclub.myblog.it/2016/01/06/nuovo-musicisti-crociera-mitch-woods-jammin-on-the-high-cs-live/ . In quella occasione Woods era affiancato da fior di musicisti, Billy Branch, Tommy Castro, Popa Chubby, Coco Montoya, Lucky Peterson, Victor Wainwright, membri sparsi dei Roomful Of Blues e Dwayne Dopsie, ma per questo nuovo album Friends Along The Way l’asticella viene ulteriormente alzata e alcuni degli “amici” coinvolti in questa nuova fatica sono veramente nomi altisonanti: c’è solo una piccola precisazione da fare, il disco, inciso in diversi studi e lungo gli anni, è principalmente acustico, non c’è il suo gruppo e neppure una sezione ritmica, a parte la batteria in tre brani, e un paio dei friends che appaiono nel CD nel frattempo ci hanno lasciato da tempo.

Certo i nomi coinvolti sono veramente notevoli: Van Morrison e Taj Mahal, impegnati in terzetto con Woods in ben tre brani, prima in una splendida Take This Hammer di Leadbelly, con Van The Man voce solista e Mitch e Taj che lo accompagnano a piano e chitarra acustica, mentre lo stesso Morrison agita un tamburello, comunque veramente versione intensa e di gran classe. Pure la successiva C.C Rider, con i rotolanti tasti del piano di Woods che sono il collante della musica, non scherza, Taj Mahal e Van Morrison si dividono gli spazi vocali equamente e la musica fluisce maestosa. Più avanti nel disco troviamo la terza collaborazione, Midnight Hour Blues, altro tuffo nelle 12 battute per un classico di Leroy Carr, dove Morrison è ancora la voce solista e suona pure l’armonica, mentre Mahal è alla National steel, con il consueto egregio lavoro di Woods al piano (stranamente alla fine del CD c’è una versione “radio” del primo brano, che tradotto significa semplicemente che è più corta). Già questi tre brani basterebbero, ma pure il resto dell’album non scherza: Keep A Dollar In Your Pocket, è un divertente boogie blues con Elvin Bishop, anche alla solista, e Woods che si dividono la parte vocale, mentre Larry Vann siede dietro la batteria; notevole Singin’ The Blues, una deliziosa ballata cantata splendidamente da Ruthie Foster, che ne è anche l’autrice, come pure la classica Mother in Law Blues, cantata in modo intenso da John Hammond, che si produce anche da par suo alla national steel con bottleneck.

Cryin For My Baby è un brano scritto dallo stesso Woods, che la canta ed è l’occasione per gustarsi l’armonica di Charlie Musselwhite, un blues lento dove anche il lavoro pianistico di Mitch è di prima categoria; Nasty Boogie, un vecchio pezzo scatenato di Champion Jack Dupree, vede il buon Mitch duettare con Joe Louis Walker, impegnato anche alla chitarra, mentre in Empty Bed offre il suo piano come sottofondo per la voce ancora affascinante e vissuta di Maria Muldaur. Blues Mobile è un pimpante brano scritto dallo stesso Kenny Neal, che ne è anche l’interprete, oltre a suonare l’armonica e la chitarra, in uno dei rari brani elettrici con Vann alla batteria, The Blues è un pezzo scritto da Taj Mahal, che però lo cede ad una delle leggende di New Orleans, il grande Cyril Neville, che la declama da par suo, sui florilegi del piano di Woods, che si ripete anche nella vorticosa Saturday Night Boogie Woogie Man, di nuovo con Bishop alla slide, prima del ritorno ancora di Musselwhite con la sua Blues Gave Me A Ride, lenta e maestosa. Chicago Express è una delle registrazioni più vecchie, con James Cotton all’armonica, per una train song splendida, prima di lasciare il proscenio ad un altro dei “maestri, John Lee Hooker, con la sua super classica Never Get Out Of These Blues Alive, al solito intensa e quasi ieratica nel suo dipanarsi. In chiusura, oltre all’altro pezzo con Morrison e Mahal, troviamo un duello di pianoforti, insieme a Marcia Ball, in una ondeggiante In the Night, un pezzo di Professor Longhair che chiude in gloria questa bella avventura musicale. Sono solo tre parole, ma sentite; no, non sole, cuore e amore, direi più “gran bel disco”!

Bruno Conti

E Anche Uno Degli Ultimi Grandi Del Blues Ci Ha Lasciato! E’ Morto James Cotton, Aveva 81 Anni.

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Se ne è andato ieri anche James Henry Cotton da Tunica, Mississippi, aveva 81 anni. E’ morto per i postumi di una polmonite al centro medico di Austin, Texas. E’ stato uno degli ultimi grandi del Blues, a lungo con Muddy Waters, ma anche con una carriera solista ricca di ottimi esempi. Non a caso il suo penultimo album si chiamava Giant. Visto che a maggio del 2013 era uscito il suo ultimo disco in assoluto Cotton Mouth Man, ho pensato di ripubblicare (con qualche piccolo ritocco) quanto avevo scritto per l’occasione, in tributo alla sua memoria, che Riposi In Pace anche lui.

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Il lungo titolo del Post nel-frattempo-la-alligator-continua-a-non-sbagliare-un-disco  è un composito tra un album di Luca Carboni e un film della Wertmuller, ma il contenuto è inequivocabilmente 100% Cotton, come riportava il titolo di uno dei suoi dischi migliori. Il vecchio leone del Mississippi può anche avere perso la voce per i problemi di salute legati ad un cancro alla gola contratto alla fine degli anni ’90, e l’ultima esecuzione vocale “seria” risale al 2000, ma come armonicista è nella categoria Giant, come ci ricordava anche il suo penultimo disco, e primo per la Alligator, del 2010.

James Cotton è stato sicuramente una delle ultime “leggende del blues”: nativo di Tunica, Mississippi, è stato però una delle colonne portanti del blues di Chicago dall’inizio degli anni ’50, prima con Howlin’ Wolf e poi, in alternanza con Little Walter, ma anche da solo, l’armonicista della band di Muddy Waters, nel periodo migliore di McKinley Morganfield, all’incirca fino a metà anni ’60. Tra il 1966 e il ’67 ha iniziato la sua carriera solista, mantenendo comunque una fittissima agenda di impegni (anche un ritorno con Waters per Hard Again) che gli permette di contare la bellezza di 914 credits nella lista delle collaborazioni su AllMusic (non saranno tutti veri perché non sempre il portale musicale è precisissimo ma rimane un numero ragguardevole)!

E sapete una cosa, secondo me, questo Cotton Mouth Man si inserisce nella Top 5 dei suoi migliori lavori all time. Tom Hambrige, il batterista, autore e produttore (anche di questo CD), che negli ultimi anni ha lavorato proficuamente con Joe Louis Walker, George Thorogood e Buddy Guy, confermandosi una sorta di Willie Dixon bianco, ha realizzato un piccolo capolavoro con questo album. Concepito come una sorta di concept album sulla vita di Cotton, questo escamotage permette di incorporare nella musica, che è tutta scritta ex novo, anche molti riff e fraseggi dai classici del blues, senza rischiare la denuncia per plagio. Lo stesso Cotton, Richard Fleming, Gary Nicholson e Delbert McClinton hanno collaborato come co-autori, ma il cuore dell’album risiede nell’opera di Hambridge. L’armonica di James, ancora in grandissima forma al suo strumento, ha un ruolo fondamentale, così come la presenza di un vero who’s who della musica tra gli ospiti che si alternano nel disco.

La partenza è fulminante: su un groove trascinante ordito dalla coppia Hambridge-Tommy McDonald, la voce dell’ottimo Darrell Nulisch e l’armonica poderosa di Cotton, la chitarra di Joe Bonamassa confeziona uno dei migliori solo della sua carriera, conciso ma fulminante come poche volte, l’epitome perfetta del blues(rock). Dopo una breve introduzione di quella che fu la voce del nostro amico, riparte un train sonoro inarrestabile, non per nulla Midnight Train, dove si ricompone la coppia Gregg Allman voce (efficace ma non fantastico per l’occasione) e Chuck Leavell al piano Wurlitzer, ben sorretta da due delle colonne portanti della band dello stesso Cotton, il chitarrista Tom Holland e il bassista Noel Neal. Leavell rimane, al piano acustico, per un sentito omaggio a Waters, Mississippi Mud, uno slow blues che ci permette di apprezzare quello che è, quando vuole, uno dei più grandi cantanti del blues contemporaneo, Keb’ Mo’, eccellente in questo brano. Anche nell’altro resoconto della vita di Cotton nella Chicago anni ’50, He Was There, possiamo ascoltare la James Cotton Blues Band al completo in questo caso, con Jerry Porter che si reimpossessa (per un brano) del seggiolino della batteria a scapito di Hambridge, Nulisch alla voce solista, Holland alla chitarra e l’ospite Leavell al piano, un blues “duro e puro”.

Fantastica è la tiratissima Something For Me con un drive alla Allman Brothers dei tempi di Duane garantito da un assatanato Warren Haynes alla chitarra slide e voce e con Cotton che soffia nella sua armonica come se non avesse i 78 anni che ha! Wrapped Around My Heart con Chuck Leavell che passa all’organo per l’occasione e Rob McNelley alla solista è un gagliardo slow blues cantato alla grande da Ruthie Foster, il sound ricorda quello dei migliori brani dell’ultimo Robert Cray, ben tipizzati dal recente Nothin But Love, di cui questo Cotton Mouth Man si candida come successore per il miglior disco blues elettrico contemporaneo del 2013, e che voce ragazzi, la Ruthie! Ancora Darell Nulisch si difende con classe in una vigorosa Saint On Sunday, dove la chitarra di Rob McNelley (una delle sorprese del disco, è il solista della band di McClinton, ma suona anche in un miliardo di dischi country, di quelli buoni) e l’armonica di Cotton hanno modo di mettersi in evidenza e anche il datore di lavoro di McNelley, ovvero Delbert McClinton, si conferma uno dei migliori cantanti bianchi tuttora in circolazione nella sapida Hard Sometimes, mentre l’armonica di Cotton giganteggia sul tutto.

I ritmi latin blues in apertura di Young Bold Women alleggeriscono per un attimo il mood del disco e si alternano con atmosfere più tirate in una gustosa varietà. Bird Nest On The Ground è l’unica cover del disco, un Muddy Waters minore, come notorietà della canzone, ma non per l’intensità dell’esecuzione, sempre garantita dalla house band del disco, senza ospiti in questo caso, se si esclude Leavell al piano (peraltro presente in quasi tutti i brani, meno due). L’unico ospite che non lascia ma raddoppia è l’ottimo Keb’ Mo’, anche alla chitarra, in una soffusa e leggermente vellutata Wasn’t My Time To Go. Vigorosa viceversa la atmosfera da puro electric Chicago Blues che si respira in Blues Is Good For You, quasi un manifesto di intenti, mentre la conclusione, in tono minore, è affidata al duetto tra James Cotton, anche alla voce, spezzata e vissuta, oltre che all’armonica e Colin Linden alla Resonator Guitar in Bonnie Blue.

La data di uscita ufficiale sarebbe il 7 maggio ma per i misteri del mercato discografico è già in circolazione nelle nostre lande. Un ottimo disco di blues, da 4 stellette nei primi 5 brani, ma eccellente nella sua totalità, candidato già fin d’ora alle liste dei migliori di fine anno e degno epilogo, se così sarà, ma non è detto, della carriera di uno dei più grandi armonicisti della storia del Blues, degno erede del suo mentore Sonny Boy Williamson!

Bruno Conti

Tornano Gli “Amici” Di Johnny Winter. Jay Willie Blues Band – Johnny’s Juke Joint

jay willie blues band johnny's juke joint

Jay Willie Blues Band – Johnny’s Juke Joint – Zoho Music 

Tornano Jay Willie e soci per una nuova cavalcata nei territori musicali che furono cari al grande Johnny Winter. Come ricorderete nella band milita anche Bobby T Torello, il vecchio batterista di Winter http://discoclub.myblog.it/2014/11/28/discepoli-winteriani-jay-willie-blues-band-rumblin-and-slidin/ , e come ricordano loro stessi nelle note avevano pensato di fare un album dedicato alla memoria del musicista texano, ma poi rendendosi conto che in fondo i loro dischi sono sempre stati degli omaggi al sound del vecchio Johnny, solo il titolo del CD e il brano I Love Everybody, che appariva su Second Winter del 1969, lo omaggiano direttamente. Il nucleo della band, oltre a Willie e Torello, comprende anche Bob Callahan, l’altro chitarrista e cantante, Steve Clarke al basso e Teddy Yakush al sax, ma anche l’armonicista Jason Ricci, che ormai è un membro onorario, come pure l’ottima vocalist Malorie Leogrande, una nuova cantante dalla voce pimpante ed espressiva che si gusta sin dall’iniziale piacevolissima rilettura del super classico di Sam The Sham & The Pharaohs Wooly Bully, in una versione molto bluesata dove si apprezza subito il talento di Ricci, un vero virtuoso dello strumento che, come ho ricordato in altre occasioni, ha un suono potente ed elettrico che ricorda quello di John Popper dei Blues Traveler.

You Got Me Dizzy una cover di Jimmy Reed, sempre con Leogrande e Ricci sugli scudi è blues classico https://www.youtube.com/watch?v=sRvAEZmVVXU , come pure One More Mile, un vecchio brano di James Cotton, ma scritto da Muddy Waters, che riceve un trattamento funky e gode nuovamente dell’eccellente lavoro all’armonica di Ricci https://www.youtube.com/watch?v=OD2HvP5EsDg , mentre Upside On The Ground è uno dei pezzi originali a firma Jay Willie, uno slow blues di grande intensità, cantato ancora con passione da Malorie che divide i meriti del brano con la solista del leader. Barefootin’ è proprio il vecchio classico R&B di Robert Parker, famoso anche nella versione di Wilson Pickett, esecuzione nella norma, senza infamia e senza lode, per quanto energica. Molto buono Hold To Watcha Got, un originale di Willie con uso di slide e wah-wah che ricorda assai lo stile winteriano e onesta la rilettura di un altro classico del soul, quella People Get Ready di Curtis Mayfield, che comunque lo giri rimane sempre un gran brano (di recente era anche nell’ultimo Leslie West).

Eccellente il pezzo di Winter ricordato prima, una I Love Everybody dove Malorie Leogrande fornisce la sua migliore prova vocale e il lavoro della slide di Jay Willie è degno del Maestro, grinta ed energia ben dosate. Non male anche I Got A Stomach Ache, una canzone di Buddy Guy & Junior Wells, cantata da Bobby Torello che la eseguì dal vivo con il duo al Checkerboard Lounge di Chicago, ancora una volta molto Winteriana, come è giusto che sia, visti i trascorsi del nostro, che lavora anche di fino alla batteria https://www.youtube.com/watch?v=uDfD7AtTneE . Nobdoy But You era un oscuro pezzo di Lil’ Bob and The Lollipops, un divertente funky soul con fiati anni ’60, cantato con brio dalla brava Malorie Leogrande e Succotash, altro brano minore dei tempi che furono era spesso l’occasione per una jam che apriva i concerti del trio Winter-Paris-Torello e qui il blues, venato di R&R, è il vero protagonista di questo strumentale dal forte impatto sonoro https://www.youtube.com/watch?v=2Un17FljDBo , Johnny Winter era un’altra cosa ma i nostri amici fanno di tutto per non farlo rimpiangere e il disco è molto buono nel complesso. Si chiude con un classico assoluto come Me And The Devil di Robert Johnson, solo Jay Willie, voce e chitarra, discreto e Jason Ricci, vero protagonista all’armonica.

Bruno Conti