Per Rimanere In Famiglia: Musica Fatta Con Amore E Passione! Bruce Robison – Bruce Robison & The Back Porch Band

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Bruce Robison – Bruce Robison & The Back Porch Band – Motel Time CD

 Ritorna a pubblicare un disco da solista il texano Bruce Robison, fratello del più famoso Charlie (*NDB. E come da titolo del post c’è pure la sorella Robyn Ludwick di cui avete letto nel Blog recentemente http://discoclub.myblog.it/2017/07/24/torna-una-delle-regine-della-moderna-texas-music-robyn-ludwick-this-tall-to-ride/ ), a ben otto anni dal suo precedente lavoro, His Greatest (che a dispetto del titolo non era un’antologia, ma una serie di brani scritti da Bruce per altri artisti e da lui interpretati per la prima volta), anche se nel mezzo abbiamo avuto due album incisi in coppia con la moglie Kelly Willis. E per il suo ritorno Bruce decide di tornare indietro nel tempo, cioè a quando si registrava in analogico e non in digitale, a volte perfino in presa diretta: Bruce Robison & The Back Porch Band è quindi un lavoro fatto con passione, un atto d’amore verso la musica country più pura e suonata al 90% con strumenti acustici. La copertina potrebbe far pensare ad un trio, ma in realtà il gruppo è più esteso, e comprende, oltre a Robison alla chitarra, Macy Muse alla steel, il bravissimo Chip Dolan al piano, Brian Beken al violino e Conrad Choucroun alla batteria, oltre ad alcuni ospiti tra cui Andrew Pressman al basso, Geoff Queen alle chitarre ed ovviamente la moglie Kelly alle armonie vocali. Un piccolo disco, nove canzoni per 33 minuti di musica, che non contribuirà di certo a rilanciare la carriera del nostro in termini commerciali, ma di certo saprà accontentare i suoi estimatori ed i seguaci della country music più pura. Come abbiamo visto dalla formazione, il gruppo è una “back porch band” per modo di dire, in quanto la sezione ritmica è ben presente e c’è una certa ricchezza strumentale, ma l’approccio è quasi del tutto acustico, intimo ed incontaminato; e poi Bruce è uno che le canzoni le sa scrivere, e dulcis in fundo abbiamo anche qualche cover scelta con cura (e almeno in un caso sorprendente).

L’apertura spetta a Rock And Roll Honky Tonk Ramblin’ Man, un delizioso country’n’roll suonato unplugged, dal ritmo sostenuto ed ottimi interventi di dobro e violino, un inizio coinvolgente. Long Time Comin’ è una tenue folk ballad scritta a quattro mani con Micky Braun (Micky And The Motorcars), dalla bella melodia e pochi strumenti ad accarezzare la voce del nostro; Paid My Dues, scritta ancora da Braun questa volta con Jason Eady, è un godibilissimo honky-tonk alla Jerry Jeff Walker, cantato in duetto con Jack Ingram, puro country just for fun (ottimo il pianoforte), mentre Lake Of Fire è una limpida slow tune dal mood malinconico e con il solito languido violino in evidenza. Squeezebox è proprio il brano degli Who, un pezzo che Bruce ha definito “una bella country song suonata da un gruppo di ragazzi inglesi”, ed in effetti a sentirla rifatta con questo scintillante arrangiamento molto Texas country sembra strano che abbia un passato rock’n’roll: splendida versione, di sicuro l’highlight dell’intero album; The Years, di Damon Bramblett, è un altro brano lento ed intenso, come anche Long Shore, sorta di dolcissima ninna nanna cantata a due voci con la Willis, delicata e toccante. Il CD si chiude con la bucolica Sweet Dreams (non è il classico di Don Gibson, ma un originale di Bruce), cristallino e terso honky-tonk, e con la cover di Still Doin’ Time (In A Honky Tonk Prison), un vecchio pezzo di George Jones, ballata classica suonata in maniera rigorosa. Buona musica fatta per il piacere di farla: questo è Bruce Robison & The Back Porch Band.

Marco Verdi

Il Ritorno Di Uno Dei Tanti Outsiders Americani, Di Quelli Veramente Bravi. Jason Eady – Jason Eady

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Jason Eady – Jason Eady – Old Guitar/Thirty Tigers CD

Qualche mese fa stavo riordinando la mia collezione di CD, e quando mi è capitato tra le mani Daylight And Dark, una delle sorprese più piacevoli del 2014, mi sono chiesto che fine avesse fatto il suo autore, il bravo cantautore del Mississippi Jason Eady. La risposta è arrivata di recente, allorquando è uscito il nuovo album di Jason (il precedente non era l’esordio, ce n’erano già quattro usciti prima, ma vi sfido a trovarli nuovi ed a prezzi umani), che il nostro ha deciso di intitolare semplicemente con il suo nome. E la semplicità è proprio la sua caratteristica principale, in quanto le sue canzoni sono costruite con pochi accordi, suonate con un numero limitato di strumenti, e quasi sempre acustici: ma la sua è una musica vera, autentica, un tipo di country che è distante anni luce da quello finto che passa nelle radio di settore, e per questo Jason non sarà mai un million seller, ma di sicuro i suoi album troveranno sempre spazio nelle collezioni di chi ama la musica pura. Jason Eady è forse ancora migliore di Daylight And Dark, e più maturo, e le canzoni sembrano scritte ed eseguite con piglio maggiormente sicuro: la produzione è ancora nelle mani di Kevin Welch, cantautore dell’Oklahoma ben noto su queste pagine, mentre tra i musicisti coinvolti troviamo il grande Lloyd Maines, che suona un gran numero di strumenti a corda, la bravissima violinista Tammy Rogers (membro degli SteelDrivers ma anche presente in molti album di Buddy e Julie Miller) e, come voce di supporto in un brano, nientemeno che Vince Gill (oltre alla moglie di Eady stesso, Courtney Patton, alle armonie vocali).

Jason, che ha anche una bella voce, ci delizia quindi per i 35 minuti scarsi del disco, con una serie di canzoni scritte ed eseguite in modo classico, puro country d’autore per chi vuole suoni veri, personali, non appariscenti ma di grande impatto emotivo: le sue influenze sono nobili (Willie Nelson, Merle Haggard, Joe Ely, Guy Clark), ma in definitiva non somiglia a nessuno di questi. Il CD si apre con Barabbas, una ballata molto intensa e decisamente ispirata, dalla musicalità profonda, con steel e dobro ad accarezzare la melodia e la voce espressiva di Jason a fare il resto. Drive è più ritmata, anche se gli strumenti restano acustici, al punto da farla sembrare un canto folk d’altri tempi, merito anche di un motivo dal sapore tradizionale; splendida Black Jesus, dotata di una melodia diretta e vincente, una country song pura come l’acqua e suonata in maniera deliziosa, mentre No Genie In This Bottle, una drinkin’ song con due strumenti in croce ma dal feeling notevole, è nobilitata dalla seconda voce di Gill e da un’atmosfera degna di John Prine.

Molto bella anche Why I Left Atlanta (ma di brani di livello basso non ce ne sono), altra country balad accattivante che ricorda certe sonorità “americane” dell’Elton John dei primi anni settanta, Rain è ancora un pezzo di stampo tradizionale, con banjo e violino protagonisti, ed un motivo folkeggiante che fa la differenza, Where I’ve Been è uno squisito brano delicato e gentile, decisamente toccante, che non fa che confermare la bravura di Eady nello scrivere canzoni semplici ma intense. Waiting To Shine, vivace, ritmata e godibile, precede Not Too Loud, languida e tersa ballata di grande spessore, e la conclusiva 40 Years, struggente e poetica, accompagnata solo da chitarra e violino ma dal pathos indiscutibile. Pensavo si fosse perso Jason Eady, ed invece eccolo di nuovo tra noi, e più in forma che mai.

Marco Verdi