Sono Passati Venticinque Anni (E Qualche Mese)! Rosie Vela – Zazu Anniversary Edition

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Rosie Vela – Zazu 25th Anniversary Edition – Cherry Red Records

Questo era uno dei tanti dischi usciti negli scorsi mesi che per varie ragioni non stati segnalati nel Blog nonostante tutte le buoni ragioni e la volontà di farlo. Non è uno dei dischi “fondamentali” della storia del rock (o del pop) ma ha una storia alle sue spalle che lo rende quantomeno interessante. Quindi stimolato da un commento apparso un paio di giorni fa nel Blog mi accingo a parlare di questa opera prima e unica di Rosie Vela da Galveston, Texas ma cresciuta a Little Rock, Arkansas.

Questo Zazu ha una lunga storia alle spalle (che però renderemo breve e concisa): Rosie Vela frequenta nella prima metà degli anni ’70 l’università dell’Arkansas dove conosce Jimmy Roberts un giovane di talento che condivide con lei la passione per la musica. I due iniziano a frequentarsi, sboccia l’amore e decidono di sposarsi alla fine del 1973. Per i casi (brutti) della vita a lui viene diagnosticato un cancro, i due si sposano lo stesso nel Febbraio del 1974 ma sei mesi dopo Jimmy Roberts muore.

A questo punto Rosie decide di dare un deciso cambio alla sua vita per dimenticare questa disgrazia e si trasferisce a New York dove, aiutata dal suo aspetto, diventa una delle modelle americane più famose e finisce anche sulla copertina di Vogue…

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Prova anche la strada del cinema con una piccola parte nel megaflop i Cancelli del Cielo di Michael Cimino, peraltro bellissimo, ma la musica è la sua vera passione e con i notevoli guadagni derivati dalla sua professione, e gli studi di piano della sua gioventù, si costruisce uno studio di registrazione casalingo nel suo appartamento e comincia a lavorare su un album. Avevo detto breve e concisa, lo so, ma non fa per me!

I suoi demos girano le varie case discografiche e viene messa sotto contratto dalla A&M che la affida al produttore Gary Katz. Già sentito nominare? Esatto è proprio lui, quello dei dischi degli Steely Dan e quindi si spiega la connessione con Donald Fagen e Walter Becker. Si era detto che era la fidanzata dell’uno o dell’altro o più inconfessabili Bunga Bunga (che non conosco) ma pare che l’incontro, prima con Becker, avvenga negli studi Village Recorder di Los Angeles dove Walter si trovava a passare per salutare un vecchio amico. Sente una voce interessante, si unisce alle tastiere, ma poi dice che conosce un tastierista più bravo di lui che potrebbe essere interessato. Con Katz prepara un demo che viene spedito a New York a Fagen, con il quale non si sentiva da sei anni, dallo scioglimento degli Steely Dan. A Fagen piace, tutti si trasferiscono ai Sound Ideas di New York, vengono convocati anche Rick Derringer e Jim Keltner e nascono i 9 pezzi che compongono questo Zazu.

Che è un disco figlio degli anni in cui nasce: suono molto sintetico anni ’80, è stato definito synth-pop, lei ha una bella voce, soprattutto nei toni medio-bassi, pensate ad una sorta di Annie Lennox meno dotata vocalmente, anche il genere si avvicina, ma con la raffinatezza del sound del duo Becker-Fagen aggiunta, l’effetto finale è simile, piacevole ma non memorabile, come quello degli Steely Dan più “leggeri” e pop. Il disco ha buone critiche ma non vende e il secondo disco, registrato e pronto, non verrà mai pubblicato (e non viene utilizzato per la ristampa di questo Zazu, magari per l’edizione del 50°, quando non ci saremo più e forse nemmeno i dischi, ma si sa che le case discografiche sono geniali in questo). Lei ha continuato a lavorare nel cinema, televisione e musica (con gli ELO di Jeff Lynne con cui ha avuto una relazione) ma la storia sembrava finita lì, poi questa ristampa che però è passata abbastanza sotto silenzio.

Per avere un’idea di cosa parliamo ho inserito qualche video nel Post, giudicate voi se vale la pena di investigare ulteriormente.

Bruno Conti

Rieccolo Finalmente! Non Uno, Non Due, Non Tre, Ma Ben Quattro Nuovi Album Per Guthrie Thomas.

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Guthrie Thomas – Medicine Man – Moon And Back Records

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Guthrie Thomas – Way Back When    ”     ”      ”       “

Quando ho scoperto sul suo sito che erano usciti quattro CD quattro nuovi tutti di un colpo di Guthrie Thomas non ci potevo credere, poi li ho ordinati (li sto aspettando e quindi non li ho ancora ascoltati a parte i teaser, e non vi so dire nulla di preciso).

Di tanto di tanto andavo a curiosare sul suo sito appunto nella speranza che uscisse qualcosa di nuovo ma era dai tempi di Poet, Painter, Medicine Man del 2001 che nulla succedeva. Tra l’altro quel titolo riassumeva anche tre delle sue tante professioni. Ma confesso che io l’ho sempre amato come musicista, Cantautore (con la C maiuscola), uno dei più “grandi” tra quelli di culto degli anni ’70 (e ’80 e anche ’90, perché no). I suoi primi dischi, Guthrie Thomas I del 1975 e Lies And Alibis del 1976 sono tra i pochissimi vinili che ancora posseggo (mai trovati in CD anche se ho letto nel suo ottimo sito GuthrieThomasMain.html che ne esisterebbe una edizione giapponese che li raccoglie entrambi), due dischi molto belli, la quintessenza del cantautore, tra rock, country, folk paragonato di volta in volta a John Prine, John Stewart, Townes Van Zandt, Cat Stevens, Gordon Lightfoot, Harry Chapin, Neil Diamond, Bob Dylan persino, anche lui uno dei “nuovi Dylan!.

In quei due dischi del 1975-1976 suonano musicisti come (ho sfoderato i vinili, anche se mi lo sono fatti “copiare” su CD, sono miei quindi posso farlo): Robert Wachtel (che sarebbe Waddy), Dan Dugmore, Jim Keltner, David Foster e Mark Dawson, per citarne alcuni del primo e nel secondo, il più bello, quello con Sweet Virginia (una canzone di una bellezza totale) dedicato alla compagna di allora (e a sua volta musicista) Ginny Vick, suonano, oltre a quelli citati per il primo disco, John Hartford, David Paich, Ringo Starr e Marc Edelsen oltre allo stesso Guthrie Thomas che è un ottimo chitarrista acustico e, soprattutto, scrive delle bellissime canzoni e le canta da par suo con una voce calda e vibrante.

Nel sito trovate anche la sua discografia e molti dei dischi pubblicati dalla Taxim negli anni ’80 e ’90 sono comunque eccellenti. Siamo di fronte ad un altro dei prototipi del “Beautiful Loser” ma lui a differenza di Townes Van Zandt o Tom Jans è ancora in pista, vi dirò poi con che risultati.

Nel sito, Medicine Man e Mirror Images sono presentati come i due album tutti di canzoni nuove mentre Old Horses e Way Back When sono delle raccolte di materiale vario, in linea di massima “raro”, anche tratto dagli album Capitol. In Way Back When, per esempio, ci sono Sweet Viriginia, Carry On, Captain Jack, I’ve Got To Go e molte altre perle per conoscere un grande cantautore, tanto per gradire…

Quindi ci risentiamo per parlarne fra non molto, nel frattempo non dimenticate che la ricerca della “buona musica” prosegue!

Bruno Conti

Provare Per Credere! Eric Clapton – “Clapton”

 

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Eric Clapton – “Clapton” – Reprise/Warner Music 28-09-2010

Detto fatto, eccomi qui, l’ho ascoltato un paio di volte e applicando il metodo San Tommaso dopo averlo provato devo dire che “credo”!

Non è il capolavoro assoluto che si poteva desumere da alcune anticipazioni ma in confronto a Back Home e Reptile non c’è gara. Clapton ha ormai superato quella fase degli anni ’80 in cui per poter rimanere sotto contratto con la Warner (e non rischiare di fare la fine dei colleghi Van Morrison e Joni Mitchell bruscamente messi alla porta) si era adattato allo “stile sonoro” impersonificato dall’amico Phil Collins e realizzando dischi come Behind The Sun e Journeyman si era ritagliato uno spazio nelle classifiche di quegli anni ma non nei cuori dei suoi ammiratori più fedeli.

Poi, negli anni 2000, libero dalle ansie da classifica ha deciso di dedicarsi a un recupero del suo passato: prima la reunion dei Cream, poi il tributo a Robert Johnson, i dischi di duetti con B.B.King e JJ Cale, prima la tournée e poi il disco e il Dvd con l’amico Stevie Winwood ritrovato in uno di quei Crossroads Festival dove ogni tre anni può indulgere in virtuosismi chitarristici con uno stuolo di amici suoi e dello strumento per antonomasia del blues, del rock e di qualsiasi altro genere vi venga mente,

Placati i suoi e nostri desideri di sentirlo suonare come Dio comanda, gli mancava un bel disco di quelli che si è soliti definire roots (ma le sue radici), tipo gli ultimi di Robert Plant per intenderci (anche se più roots di un disco di brani di Robert Johnson è dura). Allora non essendo T-Bone Burnett disponibile (scherzo, non so se l’abbia contattatto, non credo perchè ormai sta diventando come il prezzemolo, è ovunque, con ottimi risultati per l’amor di Dio, e comunque non credo che avesse il tempo materiale per farlo) ha deciso di fare in proprio.

Presentato come il primo disco che contiene materiale originale dai tempi di Back Home in effetti ha solo un brano nuovo firmato da Eric Clapton, Run back to Tour Side, curiosamente quello dove la chitarra viaggia di più, il più blues-rock del disco, quello che ricorda di più lo Slowhand degli anni ’70 con Doyle Bramhall che lo spalleggia alla seconda solista slide e il suo gruppo, con gli ottimi Jim Keltner alla batteria, Willie Weeks al basso e Walt Richmond alle tastiere gira a pieno regime con risultati eccellenti, non male anche i classici coretti di voci femminili.

Per il resto sono tutte cover con l’eccezione del brano firmato da Doyle Bramahll con Justin Stanley e la moglie Nikka Costa, Diamonds Made From The Rain, una bella ballata cantata in coppia con la sua ex Sheryl Crow il potenziale singolo, un brano lento nello stile tipico di Clapton che ci delizia anche con un paio di gustosi assoli (il suo marchio di fabbrica) mentre l’organo e una sezione di archi lo rendono molto raffinato, comunque una bella canzone che sfugge certe caramellosità del passato e il sound tamarro di alcuni dischi.

Dunque le cover: qui si spazia attraverso tutto lo scibile umano e anche oltre. Si va dallo shuffle dell’iniziale Travelin’ Alone dove Keltner si inventa uno strano ritmo strascicato e il buon Enrico trattiene la sua chitarra entro i limiti di un blues molto canonico senza concessioni al rock, watch?v=lODvwaqxiV4,  si passa poi a Rocking chair un classico firmato da Hoagy Carmichael molto jazzy dove si fa aiutare, in punta di plettro, da Derek Trucks e JJ Cale, e proprio di quest’ultimo ricorda lo stile pigro e indolente.

JJ Cale che è anche l’autore di Rivers Run Deep e che è inconfondibilmente sua, ma Clapton come sempre quando interpreta Cale ci aggiunge una maggiore energia e degli elementi di coloritura, in questo caso una sezione di archi della London Session Orchestra, un organo insinuante suonato da Richmond e la batteria più grintosa, oltre al suo timbro chitarristico più “grasso”. Arrangiamento delizioso. Judgement day non è quella di Robert Johnson, si tratta di un brano scritto da Snooky Pryor, un blues molto “classico” con il collega Kim Wilson all’armonica che aggiunge una patina di vissuto molto autentica confermata dall’arrangiamento doo-wop delle armonie vocali, un tocco di classe.

How Deep Is The Ocean è un altro brano che fa risalire la sua origine agli anni ’30 (Clapton aveva detto in alcune interviste che in questo disco voleva inserire tutti i suoi amori musicali giovanili, quindi oltre al blues la grande musica americana, non era un amante del pop nella sua gioventù londinese): il brano firmato da Irving Berlin, cantato con voce melliflua da Clapton si avvale di un altro arrangiamento raffinatissimo, ancora gli archi, il piano di Richmond e un assolo di chitarra elettrica che allora non veniva ancora usata, nel finale Wynton Marsalis aggiunge un assolo di tromba cristallino in puro stile Armstrong, la batteria spazzolata e il contrabbasso aggiungono autenticità al suono. Chi li avrebbe mai detto? Ma il buon Enrico l’aveva detto varie volte e nell’unplugged c’erano dei segnali in tal senso.

My Very Good Friend The Milkman è ancora più autentica, puro New Orleans style, ma quello delle origini, è stato un successo di Fats Waller e quindi doppia razione di pianisti, con Clapton deliziato che introduce da smaliziato crooner prima Walt Richmond e poi Allen Toussaint, con la sezione di ottoni formata da Wynton Marsalis e Trombone Shorty che si dividono amabilmente i compiti, direi perfetta.

Torna Kim Wilson per un altro omaggio ad uno dei grandi dell’armonica, Little Walter, Can’t Hold Out Much Longer è blues Claptoniano di quello quintessenziale che parte dagli Yardbirds e Mayall per arrivare ai giorni nostri passando per Muddy Waters ed il blues tutto.

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Clapton e Cale duettano ancora in un’altra piccola perla chiamata That’s No Way To Get Along scritta da un altro bluesman oscuro (per i non appassionati) Robert Wilkins: se agli altri viceversa risulta familiare, fans degli Stones in particolare, è perché sotto il nome di Prodigal Son faceva la sua bella figura su Beggars banquet, Doyle Bramhall II sale al proscenio con una bella serie di assoli alla slide mentre Clapton e Cale si “limitano” ad accompagnare. Nel finale scappano anche dei fiati in libertà.

Everything Will Be Alright segna la quarta ed ultima apparizione di JJ Cale, l’arrangiamento con una sezione di archi e fiati è molto corposo e vivacizza il solito stile laidback dell’autore, all’organo c’è Paul Carrack. Di Diamonds Made From Rain che è il singolo tratto dall’album abbiamo detto, comunque confermo, molto bella!

Visto che il primo è venuto bene Clapton ci propone un altro brano del 1935 di Fats Waller, When Somebody Thinks You’re Wonderful, qui l’effetto New Orleans è ancora più marcato, con Marsalis, Richmond e Toussaint che danno il meglio di sé in un brano swingante e delizioso.

Per Hard Times Blues un blues scritto da quell’oscuro bluesman di nome Lane Hardin di cui non esistono foto note, Clapton sfodera addirittura il mandolino che affianca alla sua chitarra e alla slide di Bramhall per un sentito omaggio al Blues dei tempi della Grande Depressione. Se la parola Blues ricorre più volte in questo paragrafo è del tutto voluto!

Di Run back to your side abbiamo detto: aggiungo che secondo alcuni in questo brano c’è anche Derek Trucks che nella lista di musicisti fornita dalla casa discografica non appare, ma potrebbe essere visto che sicuramente in tre brani non c’è Jim Keltner sostituito alla batteria da Abe Laboriel Jr (quello del gruppo di Paul McCartney, la personcina per intenderci) in due brani e da Herman Labeaux nel New Orleans style di When somebody…Secondo altri ci sarebbe pure Stevie Winwood ma non credo, con tutti i tastieristi presenti.

Conclude le operazioni Autumn Leaves che sarebbe l’adattamento americano fatto da Johnny Mercer di Les Feuilles Mortes. Certo che non avrei mai creduto di sentire Eric Clapton cantare, e pure bene, Le Foglie Morte. Strano ma vero e da sentire i due assoli, prima alla acustica e poi all’elettrica, raffinattissimi, d’altronde la classe non è acqua! Il brano è stato scritto l’anno in cui Clapton nasceva, coincidenza?

Contrariamente a quanto annunciato esiste una versione Deluxe con CD oro 24 carati, libretto di 16 pagine, litografia, foto, acquistabile solo sul sito di Clapton alla modica cifra di 40 dollari più spese di spedizione. Non manca la classica bonus track You Better Watch Yourself. Ma non è tutto chi acquista il CD per il download su iTunes trova un’altra bonus track, diversa, I Was Fooled, Che palle, aggiungo io!

Nonostante tutto ciò l’allievo Clapton è promosso (a parte la pettinatura), un bel 7,5!

Bruno Conti

Sorelle. Wendy and Bonnie – Genesis

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L’anno scorso (era il 31 dicembre 2009) vi parlavo di Sorelle e Gemelle, e nell’ambito del rapporto fraterno più in particolare delle First Aid Kit, queste due sorprendenti sorelle norvegesi dell’età di 16 e 19 anni che stanno per pubblicare il loro primo album il 25 gennaio…Dilettanti!

Per la serie nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma (che citazioni!), ma anche per associazione di idee e per una sorta di Catena di Sant’Antonio virtuale mi sono venute in mente Wendy And Bonnie, che hanno pubblicato il loro primo album Genesis nel lontano 1969, alle rispettive tenere età di 13 e a16 anni (capite il significato del Dilettanti di poco fa). Non ci sarebbe niente di strano in un’epoca di Nikke Costa, Zecchini d’Oro e trasmissioni varie della Clerici e Gerry Scotti infarcite di FFFenomeni (con tre f) in erba, sono pure vecchie.

Ma il fatto sorprendente è che questo disco è veramente molto bello, niente di trascendentale ma quei dischi cult che ti fanno venire voglia di alzarti la mattina e sparartelo sul tuo impianto.

Non è una storia nuova, girando in internet si trova “facilmente”, ma come si usa dire repetita juvant e quindi, per i ritardari, ecco qua. Correva l’anno 1968 e in quel di San Francisco le sorelle Wendy & Bonnie Flower (hanno pure un cognome in sintonia con i tempi e i luoghi che vivevano), vengono “scoperte” dal percussionista Jazz Cal Tjader che era il padrino delle due ragazze nonché co-proprietario di una minuscola etichetta, la Skye, con il produttore Gary McFarland e il chitarrista Gabor Szabo (quello di Santana!, avete capito).

Per farla breve entrano in sala d’incisione per registrare questo album Genesis, ma a poco tempo dalla pubblicazione l’etichetta fallisce e il disco entra nelle nebbie del tempo. Fine della storia? Per niente! Intanto nell’album suonano fior di musicisti: dal chitarrista Larry Carlton al batterista Jim Keltner passando per il tastierista Mike Melvoin (esatto! Il babbo di Wendy, quella di Wendy & Lisa, avete presente, Prince, per la serie i corsi e ricorsi della storia, Giambattista Vico, mi pare, seconda citazione), oltre ai vecchi marpioni citati prima.

Ottime critiche allora e ottime critiche oggi perchè il disco ha continuato la sua storia fino ai giorni odierni; una prima ristampa per la Sundazed nel 2001 e, addirittura, una versione deluxe in doppio cd o triplo vinile nel 2008. La musica contenuta nei vari formati è figlia dei suoi tempi: vogliamo chiamarla psichedelia gentile, acid folk, flower power, folk-jazz-brasilian rock californiano (sto incominciando a incartarmi!), in fondo si tratta di due belle voci femminili che armonizzano fra loro, su un tappeto di chitarre acustiche, come è evidente dai vari demos e versioni alternative contenute tra le bonus tracks delle versione deluxe. Tra questi inediti brillano due cover dei Beatles, Eleanor Rigby e We can work it out, deliziose (quindi Beatles completisti, ocio), mentre nel disco “ufficiale” come non citare la pop-bossanova di The Paisley Window Pane, ma anche il Doors meets Mamas and Papas di Let yourself Go Another Time, irresistibile, il folk sognante di By the sea o l’atmosfera alla 5th Dimension di You Keep Hanging on my mind, con un ottimo assolo di Larry Carlton, ma anche il rock alla Jefferson Airplane con camomilla di It’s What’s Really Happening. In definitiva, come direbbero i teleimbonitori, venghino venghino siori è tutta roba buona.

La storia, naturalmente, ha un lieto fine, Wendy Flower (che era rimasta nel mondo della musica producendo dischi per l’infanzia e che vedete effigiata ad inizio post), come la contemporanea Vashty Bunyan è stata ri-scoperta dalla critica e dal pubblico inglese e ha partecipato al prestigioso Meltdown Festival.

Bruno Conti