Ogni tanto mi rituffo nelle mie vesti virtuali di “Numero Uno” (anche del Blog), in questo caso per la mia classifica di fine anno, molto ampia ed articolata, e vi annuncio sin d’ora che ci sarà anche una appendice corposa, che mi riservo in qualità di Boss, ma soprattutto perché scorrendo le uscite del 2019 mi sono accorto che sarebbero rimasti fuori dalla lista molti titoli meritevoli, già individuati, che però avrebbero reso questo Post quasi un romanzo. Per cui andiamo con il Best Of in versione “normale”, il resto a seguire. Non sono in stretto ordine di preferenza, esclusi i primi sette o otto.
Bruno Conti Il Meglio Del 2019
Top 15
Van Morrison – Three Chords & The Truth
Janiva Magness – Sings John Fogerty Change In The Weather
Christy Moore – Magic Nights
Mavis Staples – We Get By
Gov’t Mule – Bring On The Night Live At Capitol Theatre
Marc Cohn And Blind Boys Of Alabama – Work To Do
Mike Zito & Friends – Rock ‘n’ Roll – A Tribute To Chuck Berry
Reese Wynans And Friends – Sweet Release
John Mayall – Nobdoy Told Me
Jack Ingram – Ridin’ High Again
Chris Knight – Almost Daylight
Over The Rhine – Love And Revelation
Allison Moorer – Blood
Delbert McClinton – Tall, Dark & Handsome
Insieme e alla pari, alla faccia di chi ne ha parlato male!
Bruce Springsteen – Western Stars + Western Stars: Songs From The Film
Le Migliori Ristampe Nel senso più ampio del termine.
Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children The Fillmore East Concerts
Bob Dylan The Rolling Thunder Revue – The 1975 Live Recordings
Fleetwood Mac – Before The Beginning
Rory Gallagher – Blues
Allman Brothers Band – Fillmore West ’71
Van Morrison – The Healing Game 3 CD
The Band – The Band 50th Anniversary Edition 2 CD
Richard Thompson – Across A Crowded Room Live At Barrymore’s 1985
Steve Miller Band – Welcome To The Vault
Rolling Stones – Bridges To Buenos Aires
Jorma Kaukonen & Jack Casady – Before We Were Them
E’ uscito all’inizio dell’anno e molti se lo sono dimenticato, ma merita.
Bob Dylan – Travelin’ Thru The Bootleg Series Vol. 15 1967-1969
L’altro cofanetto di quest’anno di Bob Dylan (e Johnny Cash).
Gregg Allman – Laid Back
Carole King – Live At Montreux 1973 CD/DVD
Marvin Gaye – What’s Going On Live
Pretty Things – The Final Bow CD/DVD/10″
Recensione nei prossimi giorni: ospiti nel concerto Van Morrison e David Gilmour.
Sturgill Simpson – Sound And Fury Ovvero, il disco più brutto dell’anno! Intendiamoci, ce ne sono a decine, a centinaia, di più brutti, ma da “uno dei nostri” non me lo aspettavo.
Per ora è tutto, ma nei prossimi giorni, come promesso all’inizio del Post, una corposa appendice con il Resto Del Meglio.
Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children The Fillmore East Concerts – 5 CD Sony Legacy Boxset
La storia di questi quattro concerti è una delle più travagliate del percorso musicale di Jimi Hendrix. I Band Of Gypsys sono in un certo senso la prosecuzione dei Gypsy Sun and Rainbows, la band che Jimi aveva assemblato per partecipare al Festival di Woodstock, dopo lo scioglimento degli Experience, reso effettivo nei primi mesi del 1969. Nel gruppo che suonò a Woodstock c’era il vecchio amico Billy Cox al basso: una amicizia nata durante il servizio militare e poi coltivata anche con saltuarie collaborazioni musicali, che approdano, dopo Woodstock, nell’idea di formare un nuovo ensemble, i Band Of Gypsys, che avrebbe permesso a Hendrix di coltivare anche la sua passione per la musica “nera” senza abbandonare l’idea di sperimentare, sempre presente nella sua visione della musica, e quindi viene approcciato Buddy Miles, già batterista degli Electric Flag e leader di un proprio gruppo Buddy Miles Express, che nel 1968 aveva pubblicato un disco Expressway To Your Skull, che nelle note di copertina riportava un breve poema di Jimi, che poi produsse il disco successivo Electric Church, in entrambi gli album Miles era anche il cantante.
Quindi sia affinità elettive, tutti e tre erano neri, che musicali, l’amore per il soul, il funky, ma anche il rock, come anche di amicizia: un altro fattore importante nella nascita di questa nuova formazione era anche il fatto che Jimi Hendrix doveva un disco alla Capitol per quel contratto incautamente firmato ad inizio carriera, e quindi decise di organizzare una serie di concerti al Fillmore East di New York, registrarli e poi estrarre dai risultati un disco dal vivo da presentare alla Capitol per soddisfare le clausole del contratto. Cosa che venne fatta, ma essendo Hendrix un grande perfezionista, il tutto venne organizzato in pompa magna, anche per presentare una serie di nuove canzoni che stava creando in quel periodo, oltre a tre canzoni previste per Buddy, e alcune cover e vecchi cavalli di battaglia rivisti nella nuova ottica black della formazione, il tutto venne forgiato in una lunga serie di prove che durarono dalle 12 alle 18 ore ogni giorno nella settimana che precedette i concerti.
Quindi il 31 dicembre 1969 e il 1° gennaio del 1970 si tennero quattro concerti al Fillmore East di New York, da cui venne estrapolato un LP singolo con 6 canzoni, pubblicato il 25 marzo del 1970, quando la band si era peraltro già sciolta, anche a seguito del concerto del 28 gennaio al Madison Square Garden, quando Hendrix litigò con una donna nel pubblico e il gruppo dopo due sole canzoni lasciò il palco. Comunque di questi concerti nel corso degli anni sono uscite varie edizioni: il primo Band Of Gypsys aveva 6 canzoni (9 nella edizione in CD), Band Of Gypsys 2 altre sei, Live At the Fillmore East il doppio CD pubblicato nel 1999, un totale di 16 brani, e infine Machine Gun The Fillmore East First Show, uscito nel 2016, ne riportava 11. Questo nuovo cofanetto Songs For Groovy Children contiene un totale di 43 pezzi, nella sequenza originale dei 4 concerti, con 26 tracce “inedite”; alcune apparse nella versione video, altre eliminate da precedenti versioni, e rimixate per la nuova edizione da Eddie Kramer, l’ingegnere del suono del disco originale, altre ancora da cui erano state tolte nell’editing le presentazioni oppure versioni più lunghe e ancora altre già apparse in box e ristampe varie più recenti, e infine 7 brani mai pubblicati prima in nessun formato. Forse è la ristampa migliore delle tantissime uscite nel corso degli anni a cura della Famiglia Hendrix, e comunque la testimonianza di un artista ancora al culmine del suo periodo più ispirato, colto in uno degli aspetti che preferiva, quello dei concerti dal vivo. Vediamo il contenuto, ricordando che nella recensione del CD di Machine Gun del 2016 così scrivevo: “Però quel First Show nel titolo fa presupporre che nel tempo ci saranno sicuramente dei seguiti, prima che fra qualche anno esca un cofanetto The Complete Fillmore Shows che conterrà l’integrale delle due serate, garantito!” Meglio di Nostradamus o facile profeta?
Il primo CD riporta esattamente le 11 canzoni appunto del primo concerto del 31 dicembre: all’epoca tutte mai pubblicate prima in nessuno disco di Jimi Hendrix: Power Of Soul è subito una esplosione di funky-rock-soul spaziale con Jimi impegnato ad estrarre dal wah-wah le sue solite sonorità impossibili, mentre le parti vocali sono affidate alla accoppiata Hendrix e Buddy Miles, che ha anche un gran daffare alla batteria, mentre Cox con il suo stile impeccabile al basso tiene ancorato il ritmo, ottima anche la guizzante Lover Man, ancora con wah-wah a manetta, poi le cose si fanno serie con una lunga e potentissima Hear My Train A Comin’, ovvero il blues secondo Hendrix, inarrivabile ed inarrestabile con la sua chitarra sempre impegnata in traiettorie quasi impossibili per gli altri axemen dell’epoca: l’assolo, manco a dirlo è formidabile. Changes il primo brano di Buddy Miles, è la futura Them Changes (celebre anche nella versione dal vivo con Santana del 1972), introduce il funky-rock più carnale ed immediato del batterista vicino alla soul music, ma ovviamente con Hendrix in formazione che imperversa con la sua Fender tra un verso e l’altro e poi parte per la tangente, comunque mai scontato.
Izabella è uno dei brani di Hendrix contro la guerra, futuro singolo per la Reprise nell’aprile 1970, classico brano rock del canone hendrixiano, mentre Machine Gun, canzone che nasce come appendice delle improvvisazioni sullo Star Spangled Banner a Woodstock, diventa uno dei classici assoluti di Jimi, con la chitarra in modalità wah-wah che parte subito per l’iperspazio sostenuta dalle scariche ferine della batteria di Buddy Miles, anche questa con un testo di protesta contro la guerra del Vietnam, brano che veniva già eseguito dall’estate 1969, per la prima volta a Berkeley, presente in tutti i quattro set delle due giornate, con la canzone che si dipana in un crescendo inarrestabile, quasi lavico, della magica solista del mancino di Seattle.
Stop, scritta da Ragovoy e Shuman, era apparsa per la prima volta in un disco di Howard Tate (uno dei grandi “incompresi” della soul music) in un disco del 1967, veicolo ideale per l’accoppiata Buddy Miles e uno stranamente infervorato Hendrix che in un call and response vigoroso la prendono di petto con una veemenza che l’originale di Tate non aveva, mentre Parliament/Funkadelic,Eddie Hazel, Isley Brothers futuri e molti altri prendono nota. Ezy Rider uscirà solo l’anno dopo nel postumo The Cry of Love, un altro brano dall’andatura vorticosa, con un eccellente lavoro anche di Miles alla batteria e la furiosa scarica di chitarra di un ispiratissimo Jimi, alla faccia di alcune critiche dell’epoca che non parlarono particolarmente bene del LP (uscito però solo con sei brani), anche se poi nel corso degli anni è stato giustamente considerato uno dei migliori concerti live all-time. Come ribadisce il primo slow blues della serata, una sinuosa e raffinatissima cover del brano di Elmore James Bleeding Heart, che Hendrix aveva già inciso nell’era pre-Experience con Curtis Knight, e poi eseguita nel concerto alla Royal Albert del febbraio 1969, e registrata in alcune versioni di studio pubblicate in diversi CD postumi; anche Earth Blues rimarrà inedita per moltissimi anni, prima di venire pubblicata negli anni 2000, un gagliardo brano tra R&B e rock psichedelico nella migliore tradizione delle canzoni di Hendrix, che chiude il primo set con Burning Desire, altro brano inedito che avrebbe dovuto forse apparire nel disco di studio mai completato dei Band Of Gypsys, Jimi saluta, ringrazia e augura Buon Anno al pubblico presente con questa ulteriore perla del suo songbook, quasi 10 minuti di un brano che ricorda molto il suono degli Experience dei primi due dischi, vibrante e sempre pronto a trasformarsi in jam furiose e ricche di continui cambi di tempo ed improvvisazioni da lasciare senza fiato.
Per il secondo set, quello destinato a portarli nel nuovo anno, ci sono molte aggiunte al menu della serata: si parte con il conto alla rovescia del pubblico, e poi con una versione di Auld Lang Syne, il celebre brano che si eseguiva nelle festività, fatto ovviamente alla Jimi Hendrix, poi arriva subito Who Knows, un altro dei brani nuovi, forse il più tipizzante di quella fusione tra soul e rock, destinato ad aprire la prima facciata del vinile del 1970, con il tipico interscambio vocale tra i due e un ritmo scandito che lo rende quasi irresistibile nel suo dipanarsi, grazie al lavoro eccellente del basso di Cox che alza la quota funky alle stelle, mentre Hendrix maltratta la sua Telecaster come solo lui sapeva fare in un flusso solista di grande intensità, poi ribadito in una tiratissima Fire, uno dei riff più devastanti della storia del rock, e grande empatia tra Miles, Cox e Hendrix che timbra un altro assolo di quelli da sballo, segue Ezy Rider e poi una versione eccelsa di Machine Gun, se non sbaglio l’unico brano, insieme a Changes, presente in tutti i quattro set delle due serate, quasi 14 minuti devastanti che rendono ancora più acido e sperimentale il pezzo, e che precede una versione colossale e pantagruelica di Stone Free, riconosciuta dal pubblico alla prima nota, parte forte subito e poi accelera in maniera quasi parossistica, prima di entrare nei regni della pura improvvisazione con una lunghissima sezione strumentale che prevede anche assoli di basso e batteria, forse appena prolissa a tratti, ma è sempre un bel sentire. Poi arriva una nuova versione di ThemChanges, come la presenta Jimi, più lunga e con gli elementi soul più evidenti, anche se Hendrix si prende i giusti spazi da par suo; Message To Love è un altro dei brani nuovi che andrà sull’album in uscita a marzo, altro brano dal riff circolare molto marcato, non particolarmente memorabile, decisamente migliore la seconda versione di Stop, ancora più grintosa di quella del primo set e a chiudere la nottata una veemente ed impetuosa Foxey Lady, sempre uno dei brani più amati ed eseguiti dal mancino.
Nel terzo set, datato 1° gennaio 1970, dopo la presentazione dei protagonisti, si riparte con una eccellente Who Knows sempre scandita dal favoloso groove del basso di Billy Cox e poi lasciata all’estro di Jimi, sempre inesauribile nelle sue continue improvvisazioni alla chitarra, con wah-wah in grande spolvero e la band saldamente legata, come conferma un’altra versione formidabile di Machine Gun, che è un poco la Voodoo Chile della serata con la sua atmosfera tesa e quasi inquietante. Changes e Power Of Soul precedono Stepping Stone, un altro brano presentato per la prima volta nel corso del concerto e poi uscito come singolo ad aprile, un’altra delle tipiche canzoni ascendenti del canone hendrixiano, veloce e frenetica, benché non tra le sue migliori. Tornano anche Foxey Lady più psichedelica che mai, Stop, Earth Blues e Burning Desire, che chiude il terzo set. Per nel quarto e ultimo set, il più lungo con i suoi 13 brani, Jimi Hendrix regala al pubblico presente molti dei suoi cavalli di battaglia: si parte con Stone Free, più breve ma decisamente più fremente di quella del giorno prima, poi quasi tutte le canzoni vengono presentate in versioni più lunghe ed improvvisate, da una solidissima Power Of Soul a Changes che si allunga ad ogni nuova apparizione nei concerti, una Message To Love più convinta, stranamente la sola Machine Gun appare in una versione più breve, “appena” 11 minuti e 52 secondi, comunque sempre viscerali e quasi disperati nella loro efficacia. Anche Lover Man, dedicata al pubblico femminile presente, fa il suo debutto, altro brano breve e compatto, che precede Steal Away, altra canzone “inedita” del soulman Jimmy Hughes, affidata alla voce di Buddy Miles, si trasforma in un blues lento ed appassionato che precede Earth Blues, altra canzone molto eseguita nei quattro concerti:
Poi partono i bis e qui iniziano i fuochi di artificio (ma nel corso dei concerti Jimi aveva anche inserito brevi citazioni di Third Stone From the Sun e The Wind Cries Mary, a voi scoprirle): in sequenza appaiono Voodoo Child (Slight Return) quella vera, presentata come il loro inno nazionale, una orgia di wah-wah impazziti, magnifica come al solito, We Gotta Live Together, è l’ultimo brano inedito affidato alla voce di Buddy Miles, che ne è anche l’autore e cerca il singalong del pubblico presente, in questo ulteriore esempio del psychedelic soul che avrebbe dovuto essere la cifra stilistica della band, se avesse proseguito nella propria avventura. Altro riff memorabile, che ci riporta ai fasti dell’inizio di carriera di Hendrix a Monterey, è una poderosa Wild Thing, come non potevano neppure mancare il primo singolo Hey Joe, altra canzone epocale e per finire in gloria, una impetuosa Purple Haze, con il suo verso che illustra in poche parole una intera carriera “Excuse me while I kiss the sky”.
Cofanetto magnifico, una delle più belle ristampe in un anno ricco di uscite importanti.
E’ innegabile che I dischi migliori del chitarrista inglese siano stati quelli pubblicati a nome Danny Bryant’s RedeyeBand, per intenderci quelli della prima decade degli anni 2000, quando il padre Ken era il bassista della formazione: questo non è per dire che gli album successivi siano brutti, tutt’altro, però il nostro amico aveva un poco perso il bandolo del suono, come avevo detto in una recensione di qualche tempo fa era passato dal blues-rock degli inizi al rock-blues tendente all’hard rock degli anni ’10 https://discoclub.myblog.it/2014/11/24/robusto-spessore-chitarristico-i-sensi-danny-bryant-temperature-rising/ , più o meno in concomitanza dell’inizio della collaborazione con il produttore e tastierista Richard Hammerton, che spesso (non sempre) nelle canzoni aveva portato un suono più patinato, di maniera, con l’utilizzo massiccio delle tastiere, synth incluso.. Per l’occasione di questo Means Of Escape, disco n° 11, Bryant ha deciso di tornare a prodursi in proprio, si è cercato un bravo ingegnere del suono e poi ha spedito i nastri per il mixaggio a Eddie Spear (uno che ha lavorato con Brandi Carlile, Anderson East, Old Crow Medicine Show, Chris Stapleton), ed infine il tutto è stato masterizzato agli Abbey Road Studios di Londra.
L’album poi è stato registrato praticamente in presa diretta : il risultato è uno dei suoi migliori dischi in assoluto, e tra le migliori uscite dell’anno in ambito blues e dintorni. Un CD che ricorda molto le pubblicazioni recenti del suo amico e mentore Walter Trout: voce vissuta, grintosa e dolente a tratti, la sua fedele Fender Stratocaster spesso e volentieri in azione in modo splendido, ora roboante e potente come nell’iniziale Tired Of Trying, ispirata proprio dall’amico Walter, e dove ci sono chiari rimandi anche all’amato Jimi Hendrix, con fiumi di note che escono dalla solista e una sezione ritmica cadenzata e veemente che ben lo asseconda, ora lancinante e più “classica https://www.youtube.com/watch?v=S52T_tWqTN4 ”, come nello splendido slow blues con fiati e piano e organo di una intensa Too Far Gone, dove la chitarra si libra lirica grazie ad un timbro “grasso” e corposo.. La title track con un testo per certi versi autobiografico, per essere sinceri ricorda alquanto il celebre riff e la melodia di All Along The Watchtower, ma si poteva scegliere peggio, visto che poi il risultato è veramente coinvolgente e trascinante, con l’organo di Stevie Watts ancora a spalleggiare con classe la solista di Bryant che volteggia inarrestabile; Nine Lives è un altro brano energico, dalle parti del Texas blues di Stevie Ray Vaughan, con l’organo Hammond di Watts nella parte che fu di Reese Wynanshttps://www.youtube.com/watch?v=0wxp-88nMg0 .
Skin And Bone è un ricordo accorato e sentito della figura del padre, morto nel 2018 dopo una lunga malattia, “Pelle e ossa” descrive in modo crudo ma efficace la situazione che si trova ad affrontare chi deve assistere una persona cara che ci sta lasciando (e che personalmente comprendo), solo voce, chitarra acustica e alcuni “tocchi” laceranti della elettrica, ma tanta partecipazione emotiva; in Warning Signs (In Her Eyes) tornano i fiati per un’altra cavalcata nel blues elettrico che profuma e ricorda lo stile del Muddy Waters degli anni d’oro, non un brano specifico ma tanti rimandi alle riletture delle band del British Blues. Where The River Ends l’aveva già incisa per il suo secondo album del 2003 Shadows Passed, ma non era rimasto soddisfatto del risultato, la nuova versione di questa ballata in effetti centra il suo scopo che è quello di ricordare la scomparsa della figlia di un vecchio amico, con la chitarra che convoglia disperazione ed intense emozioni in un assolo di rara bellezza https://www.youtube.com/watch?v=A2bQt_4adGM .Hurting Time ci presenta il suo debutto discografico alla slide, un altro blues fiatistico dove le 12 battute classiche sono protagoniste assolute, e per chiudere un album eccellente ecco Mya, un’ulteriore ballata, questa volta strumentale, incentrata sull’uso di piano elettrico e organo su cui si innesta una ennesima dimostrazione della tecnica e del feeling di questo superbo chitarrista che rilascia un lunghissimo e torrenziale assolo veramente “da urlo”.
Katarina Pejak, Ina Forsman, Ally Venable – Blues Caravan 2019 – CD+DVD Ruf Records
La “carovana del blues” della Ruf è una tradizione annuale che si perpetua ormai dal lontano 2005: ogni anno l’etichetta tedesca raduna tre artisti diversi scelti dal proprio roster e li spedisce on the road in tour, per rinverdire e riproporre quelle che sul finire anni ’60, primi ’70 si chiamavano soul revue. Fatte le debite proporzioni, e su scala molto più ridotta, pensate al Joe Cocker di Mad Dog, Ike & Tina Turner, o le stesse sortite degli artisti Stax in Europa, giusto per dare una idea. Poi la Ruf sceglie una data della tournée, di solito in Germania (in questo caso siamo al Café Hahn di Coblenza il 15 febbraio del 2019) e la registra e la filma per pubblicare poi una confezione CD + DVD, che riporta quanto è avvenuto in quella specifica serata. Nelle edizioni passate di solito non c’era molta differenza tra audio e video, un paio di brani, ma questa volta il DVD ha ben otto tracce in più rispetto al CD. Per chi recensisce invece, avendo a disposizione la versione “povera” audio, ci si accontenta: le protagoniste del Blues Caravan 2019 sono tre giovani ed avvenenti donzelle, la cantante finlandese Ina Forsman, forse la più talentuosa del terzetto, in possesso di una voce notevole e con due eccellenti album per la Ruf, specie il primo omonimo del 2016, lo stesso anno in cui aveva già partecipato al Blues Caravan https://discoclub.myblog.it/2017/03/05/ancora-una-volta-lunione-fa-la-forza-ina-forsman-tasha-taylor-layla-zoe-blues-caravan-2016-blue-sisters-in-concert/ , la serba Katarina Pejak , che suona anche le tastiere oltre a cantare, e la texana Ally Venable, la più giovane con i suoi 20 anni, che è anche la chitarrista.
Completano la formazione il bassista Roger Inniss e il batterista della Venable Elijah Owings. Le varie musiciste si alternano alla guida e al canto con tre canzoni a testa (cinque nel DVD) e poi uniscono le forze in alcuni brani: il tutto, al solito, è molto piacevole e ben suonato. L’iniziale e corale They Say I’m Different mette subito in luce la voce potente della Forsman in un brano blues con ampie venature R&B e soui, con la chitarra della Venable che inchioda un assolo veramente pungente, e le altre due che “rispondono” ad Ina in un call and response di buona fattura ,con citazioni all’interno del branodi Muddy Waters, Nina Simone, Stevie Ray Vaughan, Aretha Franklin, Ray Charles e Jimi Hendrix; She’s Coming After You cantata dalla Pejak mette in mostra il suo stile più raffinato e jazzato, poi ribadito in Roads That Cross la dolce e ammiccante title track del suo debutto per la Ruf, brani che evidenziano anche il suo talento di pianista, unito a d una voce piacevole ma non dirompente come quella della Forsman. Turtle Blues è una cover pianistica del celebre brano di Janis Joplin, mentre con Texas Honey parte la sezione del concerto dedicata a Ally Venable, la più rockeggiante del trio nel proprio approccio, anche lei voce non memorabile ma ottimo talento chitarristico, come conferma in una serie di assoli fiammeggianti, anche nel boogie tiratissimo di Nowhere To Hide dove va di slide alla grande https://www.youtube.com/watch?v=ZIethtLDlxQ , oppure nella gagliarda Broken dove la Pejak offre un ottimo supporto all’organo.
Poi tocca alla Forsman con una sinuosa All Good, un brano errebì con qualche rimando anche a Amy Winehouse, e a seguire un intenso blues lento come Miss Mistreated, ancora con l’organo insinuante della Pejak che supporta la voce potente della cantante finlandese, che conclude la sua porzione con la mossa e brillante Genius. La parte corale prevede una bella versione di Love Me Like A Man, un bellissimo blues scritto da Chris Smither, ancora con la slide in evidenza https://www.youtube.com/watch?v=4QNPB87Nsks , I’m A Good Woman un gagliardo brano soul di Barbara Lynn, una divertente e coinvolgente Sixteen Tons di Merle Travis e una brillante versione di The House Is Rockin’ di Stevie Ray Vaughan, rallentata ad arte nella prima parte e poi con finale a tutta velocità con le tre ragazze scatenate.
Jeff Chaz nasce una cinquantina di anni fa in quel di Lake Charles, Louisiana e poi vive i primi anni della sua vita nella piccola cittadina di Creole, dove leggenda metropolitana vuole (o forse è la verità) che il padre che faceva il medico, per spostarsi per visitare i suoi pazienti usasse una piroga e si facesse spesso pagare in natura, con anatre e altri prodotti commestibili. Già la provenienza da quella zona, ricca humus per la musica di qualità, ce lo fa apprezzare, se poi aggiungiamo che, passando anche per la California, la sua gavetta l’ha svolta a Memphis, tra Beale Street e le vie limitrofe, per poi tornare in Louisiana dove si è guadagnato l’appellativo di Bourbon Street Bluesman, lo apprezziamo ancora di più. Il nostro amico è un chitarrista, ma in passato si è adattato a suonare tromba e trombone pur di poter far parte della band di Albert King e ha collaborato anche con Jerry Lee Lewis e Cab Calloway,, creando le basi per la sua musica che partendo dal blues, si arricchisce di elementi soul e del cosiddetto New Orleans Gumbo, per poter infine approdare a quello stile in power trio elettrico che caratterizza il nuovo No Paint, pubblicato dalla JCP (che non sta per Jeff Chaz Production ma per Just Cleveland’s Past), la propria etichetta personale presso la quale erano già usciti sette album che avevano in passato incorporato anche soul fiatistico e piccole derive jazz.
Per l’occasione, come detto, si è dedicato al blues in trio, con l’aiuto di Augie Joachim al basso e Ric Jones alla batteria, che sotto la produzione dello stesso Jeff al Radionic Studio di Jefferson, sempre in Louisiana, hanno registrato le 10 tracce di questo No Paint. La voce ha alcuni elementi negroidi temprati nel sound della soul music scuola Stax, come dimostra subito l’iniziale Turn Back The Hands Of Time, una cover di un brano di Tyrone Davis, con un suono “strano” e secco dove la chitarra pungente di Chaz è comunque molto presente https://www.youtube.com/watch?v=GnvwHIDzs1w . The Stars Are Out è il classico blues lento e tirato, dall’andatura cadenzata, con Jeff che tenta alcuni arditi falsetti prima di lasciare spazio ad un eccellente assolo dove dimostra tutta la sua perizia tecnica nel lavoro di vibrati e timbrica della solista, addirittura con qualche richiamo zappiano, mentre We Ain’t Shackin’ No More è un ritmato shuffle ancora tra blues e R&B, con la fluidissima chitarra sempre in evidenza. You Gotta Show Me è un veloce e brillante Chicago blues dal ritmo incalzante sempre giocato sulle continue folate della solista; Lowdown Dirty Blues mette le cose in chiaro fin dal titolo, un lento intenso e tirato, con la solista in modalità libera, quasi alla Roy Buchanan, e la voce vibrante.
Life Is Like Coffee è un brano più mosso, un rock-blues con retrogusti sudisti di ottimo impatto, con Blues Buffet che sembra un Texas blues di quelli prediletti da Stevie Ray Vaughan, con la chitarra ancora in grado di impazzare alla grande. Little Sips è in chiara modalità power trio, un brano dove spunta anche qualche elemento hendrixiano e il nostro che è sempre impegnato a fondo a strapazzare la sua solista, in grado di proporre un lavoro di grande veemenza emozionale https://www.youtube.com/watch?v=R14fSzRu_Ao , prima di tornare al blues lento di una travolgente She’s The Sweeetest Thing, che come altri brani di questo CD dimostra che la lezione imparata nei lunghi anni con Albert King non è stata dimenticata dal chitarrista della Louisiana, al limite integrata appunto con sonorità tra Buchanan e SRV. In chiusura Deet Deet Deet, uno strumentale preso a velocità supersoniche che dimostra ancora una volta la grande perizia tecnica di questo musicista, che per l’occasione ha accantonato quasi del tutto le sonorità della sua Louisiana a favore di un suono più sanguigno e sporco. Molto bravo però.
Jimi Hendrix – Songs For Groovy Children: The Fillmore East Concerts – 5 CD Box Set Sony Legacy – 22-11-2019
Lo scorso anno, naturalmente sempre più o meno nel periodo natalizio, era stato pubblicato https://discoclub.myblog.it/2018/12/03/correva-lanno-1968-2-jimi-hendrix-experience-electric-ladyland-deluxe-edition-50th-anniversary-box/ , l’anno prossimo che cadrà il cinquantesimo anniversario della morte di Jimi Hendrix non oso pensare a cosa penserà la famiglia per l’evento (spero comunque in qualcosa di interessante), ma per il momento occupiamoci di questo cofanetto di 5 CD che raccoglie l’integrale dei quattro concerti che Hendrix tenne con i Band Of Gypsys a cavallo tra il 31 dicembre 1969 e il 1° gennaio del 1970, due set per ogni giorno, per un totale 43 canzoni eseguite, tra cui almeno due dozzine mai pubblicate prima nelle varie edizioni discografiche che si sono succedute nel corso degli anni: leggete che cosa scrivevo nella mia recensione del 2016 a Machine Gun: The Fillmore East First Show 12/31/1969 ” Però quel First Show nel titolo fa presupporre che nel tempo ci saranno sicuramente dei seguiti, prima che fra qualche anno esca un cofanetto The Complete Fillmore Shows che conterrà l’integrale delle due serate, garantito!”. Sono stato quindi facile profeta, ma facciamo una breve cronistoria delle varie edizioni: nel marzo del 1970 esce il vinile di Band Of Gypsys con sole 6 canzoni, poi ampliato a nove per la prima edizione in CD del 1991, nel frattempo nel 1986 era uscito un vinile Band Of Gypsys 2 con altri 6 pezzi, curato da Alan Douglas, nel 1999 viene pubblicato Live At The Fillmore East, un doppio CD con 16 brani, sempre estratti dai quattro concerti e infine nel 2016 quel Machine Gun citato poc’anzi.
Ma la storia di questi concerti leggendari inizia molto prima nel tempo: infatti nel 1965 Hendrix, allora sconosciuto, firma un contratto con la PPX per la pubblicazione di un album di studio e poi per tre anni di esclusiva dei suoi servigi discografici(vicenda che si concluse molti anni dopo, con la pubblicazione di un album di cui vi ho parlato in questo Post https://discoclub.myblog.it/2015/04/04/puoi-usare-il-nome-il-cognome-si-curtis-knight-the-squires-featuring-jimi-hendrix-you-cant-use-my-name/ ), ma nel frattempo si era fatta viva anche la Capitol che avrebbe avuto diritto alla distribuzione di un album (in deroga al contratto con la Polydor/Track in Inghilterra e la Warner negli USA) e per evitare ulteriori beghe legali Jimi decise di consegnare un album dal vivo, forse meno laborioso da essere realizzato di uno di studio. Ma essendo Jimi Hendrix, il più grande chitarrista del mondo, decise di organizzare due serate al Fillmore East di New York per un totale di 4 concerti, tutti registrati con apparecchiature professionali, il massimo che consentiva la tecnica dell’epoca, da cui vennero estratti i miserrimi 6 pezzi che costituirono Band Of Gypsys. La band con Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria era comunque formidabile e nel corso delle perfromances vennero eseguiti, come detto, ben 43 brani in totale, tra cui cui moltissime chicche, canzoni rare, cover e molto altro.
Vediamo le cose più interessanti che saranno presenti nel box in uscita il prossimo 22 novembre: Intanto Izabella, Ezy Ryder e Burning Desire, erano canzoni ancora inedite; altri brani mai eseguiti prima (credo, controllerò per la recensione al momento dell’uscita) c’erano anche Earth Blues e Stepping Stone. Non mancano versioni straordinarie di Machine Gun, Foxey Lady, Voodoo Child (Slight Return),Wild Thing,Hey Joe e Purple Haze, oltre ad alcune chicche assolute, queste mai uscite, a parte forse nei bootleg, di Stop di Howard Tate e Steal Away di Jimmy Hughes, due grandi brani soul, oltre ad una rara Bleeding Heart di Elmore James, in una delle tipiche fiammeggianti versioni del mancino di Seattle. Il tutto sarà corredato da un libretto fotografico con scatti d’epoca di Amalie Rothschild, Jan Blom e Marc Franklin, mentre nelle note ci sarà anche un breve saggio dell’autore e filmmaker Nelson George, oltre alle reminiscenze di Billy Cox. Per la parte tecnica all’opera Eddie Kramer e John McDermott Come al solito qui sotto potete leggere la lista completa dei brani contenuti nel cofanetto.
[CD1] 1. Power of Soul 2. Lover Man 3. Hear My Train a Comin’ 4. Changes 5. Izabella 6. Machine Gun 7. Stop 8. Ezy Ryder 9. Bleeding Heart 10. Earth Blues 11. Burning Desire
[CD2] 1. Auld Lang Syne 2. Who Knows 3. Fire 4. Ezy Ryder 5. Machine Gun 6. Stone Free 7. Changes 8. Message to Love 9. Stop 10. Foxey Lady
[CD3] 1. Who Knows 2. Machine Gun 3. Changes 4. Power of Soul 5. Stepping Stone 6. Foxey Lady 7. Stop 8. Earth Blues 9. Burning Desire
[CD4] 1. Stone Free 2. Power of Soul 3. Changes 4. Message To Love 5. Machine Gun 6. Lover Man 7. Steal Away 8. Earth Blues
[CD5] 1. Voodoo Child (Slight Return) 2. We Gotta Live Together 3. Wild Thing 4. Hey Joe 5. Purple Haze
VV:AA: Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – Rhino/Warner 38CD/BluRay Box Set
Terza ed ultima parte.
Day 3/CD 24-37.
CD24/25 – Jefferson Airplane. Il terzo giorno inizia col botto, ovvero con il gruppo che forse incarna più di tutti la Summer Of Love. A distanza di 50 anni il sestetto Slick-Kantner-Balin-Kaukonen-Casady-Dryden (e con la non trascurabile presenza di Nicky Hopkins alle tastiere) suona però datatissimo, ma è una cosa che pensavo anche negli anni ottanta. Restano comunque una band coi controfiocchi, che esegue un set solido con molte grandi canzoni suonate come Dio comanda (Somebody To Love, White Rabbit, Volunteers, Wooden Ships, ma anche The Ballad Of You & Me & Pooneil e la cover di The Other Side Of Life di Fred Neil si difendono): peccato che il tempo non sia stato galantuomo con queste sonorità. Discorso a parte per i due pezzi a carattere rock-blues nei quali Kaukonen assume il ruolo di leader (Uncle Sam Blues, bluesaccio elettrico e cadenzato, e la splendida e potente Come Back Baby), anticipando in un certo senso l’avventura degli Hot Tuna.
CD26/27 – Joe Cocker. Così come Santana anche il cantante di Sheffield era relativamente sconosciuto (aveva da poco pubblicato il primo album), e nello stesso modo la sua performance entrò nel mito, indirizzando nel verso giusto la sua carriera futura: gran parte del merito va sicuramente al pezzo che chiude lo show, una cover totalmente stravolta ma legggendaria della beatlesiana With A Little Help From My Friends, con Joe letteralmente posseduto, quasi trasfigurato. Ma anche prima il nostro ha intrattenuto la platea da consumato soul-rocker, accompagnato al meglio dalla Grease Band (che prima dell’ingresso di Cocker ha riscaldato l’ambiente con due brani strumentali): Joe propone una serie di standard (non è mai stato un songwriter, anche se le qui presenti Something’s Coming On e Something To Say portano la sua firma) eseguiti in maniera sanguigna e diretta, ed un accompagnamento perfetto da parte della Grease Band. Ben tre brani di Dylan (Dear Landlord, bellissima, Just Like A Woman e I Shall Be Released), due di Ray Charles (Let’s Go Get Stoned ed una monumentale I Don’t Need No Doctor) ed una notevole Feelin’ Alright dei Traffic, con un grande Chris Stainton al piano elettrico.
CD28 – Country Joe & The Fish. Torna Country Joe McDonald in compagnia del chitarrista Barry “The Fish” Melton ed altri tre elementi per un set elettrico molto diverso da quello acustico del primo giorno. Sonorità principlamente tra rock e psichedelia (anche qui forse un po’ datate), come si evince dall’apertura di Rock & Soul Music, le potenti Love e Not So Sweet Martha Lorraine, in cui dominano chitarra ed organo (Mark Kapner) ed un suono molto simile a quello dei Doors. Lo show, piuttosto lungo, si segnala anche per lo sconfinamento in altri stili, come la gradevole pop song Sing Sing Sing, il folk-rock sotto steroidi Summer Dresses, la lenta e fluida Maria o la magnifica Crystal Blues, un bluesaccio elettrico degno dei grandi del genere, fino alla ripresa full band finale di I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag.
CD29 – Ten Years After. Non poteva mancare il gruppo guidato da Alvin Lee, tra le band più popolari dell’epoca. Un concerto molto blues, con eccellenti riletture di brani di Willie Dixon (Spoonful), Sonny Boy Williamson (Good Morning Little Schoolgirl, con due false partenze dovute a problemi con gli strumenti, ed una straordinaria Help Me), o la suadente I Can’t Keep From Crying Sometimes, intrigante remake di un brano scritto da Al Kooper (con accenno a Sunshine Of Your Love dei Cream). Gli unici due pezzi originali sono Hobbit, scritta dal batterista Ric Lee (in pratica un lungo drum solo) e la sempre strepitosa I’m Going Home, in cui Alvin si conferma il “chitarrista più veloce del West”.
CD30 – The Band. A mio parere la chicca assoluta del box, dato che per 50 anni non era mai uscita neppure una canzone dal set del gruppo canadese. Ed il quintetto di Robbie Robertson non delude le aspettative, producendo un concerto in cui fa uscire al meglio il suo tipico sound da rock band pastorale del profondo Sud; solo tre brani originali (l’iniziale Chest Fever, la meno nota We Can Talk ed il capolavoro The Weight), un paio di pezzi di derivazione soul (Don’t Do It e Loving You Is Sweeter Than Ever), altrettanti standard (Long Black Veil e Ain’t No More Cane, entrambe splendide) e ben quattro canzoni di Dylan (Tears Of Rage, emozionante, This Wheel’s On Fire, Don’t Ya Tell Henry e I Shall Be Released, che diventa quindi l’unico brano ripreso nei tre giorni da tre acts diversi). Gran concerto, e d’altronde i nostri, oltre ad essere di casa a Woodstock, erano nel loro miglior periodo di sempre.
CD31 – Johnny Winter. Il texano albino si presenta alla testa di un power trio ed infiamma la platea con una performance ad altissimo tasso elettrico: subito in palla con due rock-blues tonici e vigorosi del calibro di Mama, Talk To Your Daughter e Leland Mississippi Blues (che servono come riscaldamento), il nostro poi piazza due prestazioni mostruose con il boogie Mean Town Blues e You Done Lost Your Good Thing Now (quest’ultima di B.B. King) di 10 e 15 minuti rispettivamente, due brani in cui dire che fa i numeri con la chitarra è persino riduttivo. Nelle seguenti tre canzoni, tra le quali spicca una dirompente Tobacco Road (John D. Loudermilk), Johnny è raggiunto sul palco dal fratello tastierista Edgar; chiusura con una formidabile e potentissima Johnny B. Goode di Chuck Berry, rock’n’roll come se non ci fosse domani.
CD32 – Blood, Sweat & Tears. Pur senza Al Kooper, che aveva già lasciato i compagni, il gruppo qua guidato da David Clayton-Thomas e Steve Katz suona un set potente, caldo e colorato, un vero esempio di rock band con fiati in leggero anticipo sui Chicago. Pochi i brani originali (I Love You More Than You’ll Ever Know, dal periodo con Kooper, Spinning Wheel e Sometimes In Winter), e soprattutto cover dalla provenienza disparata ma col marchio di fabbrica dei nostri: ottima la ballad di Randy NewmanJust One Smile, e di pari livello sono le riletture di Smiling Phases (Traffic), God Bless The Child (Billie Holiday, molto intensa) e And When I Die (Laura Nyro). Un set creativo e stimolante, tra rock, jazz, swing, soul ed errebi.
CD 33 – Crosby, Stills & Nash (& Young). Altro dischetto tra i più attesi, si apre con la performance acustica del trio, che come dice Stephen Stills è appena alla sua seconda apparizione pubblica e quindi un po’ teso. Sette brani che mettono in evidenza le splendide armonie vocali dei tre, con menzioni speciali per Suite: Judy Blue Eyes, Helplessly Hoping e Marrakesh Express, mentre David Crosby ci delizia con la tenue Guinnevere. Poi arriva Neil Young che prosegue la parte “unplugged” con due ottime Mr. Soul e I’m Wonderin’, seguito ancora da Stills con You Don’t Have To Cry. Poi i quattro chiamano sul palco Greg Reeves al basso e Dallas Taylor alla batteria e ci danno dentro con cinque canzoni elettriche e decisamente rock, che anticipano di due anni le magnifiche evoluzioni di Four Way Street. Dopo l’orecchiabile Pre-Road Downs di Graham Nash abbiamo le celebri Long Time Gone e Wooden Ships di Crosby (due esecuzioni superbe), la meno nota Bluebird Revisited di Stills e Sea Of Madness, un inedito assoluto di Young che il canadese non riprenderà mai come solista (particolare importante: la Sea Of Madness apparsa all’epoca sul triplo album originale di Woodstock era stata registrata più avanti al Fillmore East, mentre in questo box appare per la prima volta quella del Festival). Finale ancora acustico con una brevissima Find The Cost Of Freedom e ritorno all’elettrico per la guizzante 49 Bye-Byes.
CD34 – The Butterfield Blues Band. Pur senza Mike Bloomfield (ma con Howard “Buzzy” Feiten che si destreggia comunque abilmente alla sei corde) la BBB regala al pubblico un robusto set di blues al 100%, con Paul Butterfield in buona forma sia alla voce che soprattutto all’armonica, ed un gruppo notevole alle spalle (oltre a Feiten, segnalerei il bassista Rod Hicks, le tastiere di Ted Harris ed il sax della futura star David Sanborn). Belle versioni di classici come una sulfurea Born Under A Bad Sign di Albert King, una lenta e raffinata Driftin’ And Driftin’ di John Lee Hooker, quasi afterhours, fino al finale con una Everything’s Gonna Be Alright di Little Walter decisamente tonica e grintosa. Ma ci sono anche ottimi brani originali come la vigorosa No Amount Of Loving e la fiatistica Morning Sunrise, tra blues e jazz.
CD35 – Sha Na Na. La presenza a Woodstock di questo gruppo che portava avanti una sorta di revival del rock’n’roll e doo-wop degli anni cinquanta è sempre stata un mistero. Non perché non fossero bravi (anche se sparirono presto dalla circolazione), ma perché secondo me erano fuori posto in una manifestazione simile, ed ancora più incomprensibile la scelta di metterli appena prima del momento forse più atteso. Il loro breve set, che recupera brani anche poco noti della golden age del rock’n’roll (di gruppi come The Silhouettes, The Dell Vikings, The Monotones o Danny & The Juniors, anche se c’è spazio anche per una divertita (Marie’s The Name) Of His Latest Flame, portata al successo sia da Del Shannon che da Elvis) è comunque piacevole, divertente ed in alcuni momenti persino trascinante, ma, ripeto, abbastanza fuori contesto.
CD36/37 – Jimi Hendrix. Ed ecco il gran finale del Festival, che verrà ricordato per uno di quei momenti che hanno scritto la storia del rock, cioè quando all’alba del quarto giorno, davanti ad un pubblico stravolto, il mancino di Seattle ha tirato fuori dalla sua chitarra una versione allucinata, potente, psichedelica e distorta dell’inno americano The Star-Spangled Banner. Il resto dell’esibizione di Jimi (qui a capo di un sestetto battezzato per l’occasione The Gypsy Sun And Rainbows, che comprende comunque i fedeli Billy Cox e Mitch Mitchell) è sempre stata giudicata ottima ma forse non all’altezza di altre leggendarie (tipo quella a Monterey). Io la giudico eccellente, a partire da una strepitosa Voodoo Child di 13 minuti ed a seguire con bellissime versioni di Spanish Castle Magic, Foxy Lady e Purple Haze, una Fire sanguigna e diretta ed una delle migliori rese di sempre della bluesata Red House. Finale con due strepitose improvvisazioni strumentali con Jimi che fa cose non umane alla chitarra (Woodstock Improvisation e Villanova Junction) e con la sempre spettacolare Hey Joe.
CD38 – Appendix. Dischetto per completisti, che comprende tutti gli “stage announcements” pre e post concerto, oltre a tutto ciò di non musicale che è avvenuto durante i tre giorni. Dubito che qualcuno lo ascolterà mai.
Spero di non avervi tediato, ma secondo me valeva la pena rivivere quei tre giorni di Agosto 1969 che, volenti o nolenti, hanno rivoluzionato il mondo della musica contemporanea e hanno in un certo senso chiuso la stagione della Summer Of Love, preparando l’ingresso negli anni settanta nei quali il rock diventerà sempre di più un business perdendo la sua innocenza. So che quest’anno sono già uscite importanti riedizioni (il box della Rolling Thunder Revue) ed altre sono in arrivo (Abbey Road), ma credo che nessuno si offenderà se eleggo fin d’ora questo mastodontico cofanetto “ristampa del 2019”.
Woodstock – Back To The Garden: The Definitive 50th Anniversary Archive – 38 CD + 1 Blu-ray – Rhino Tiratura Limitata E Numerata 1969 Copie!! – 02-08-2019
Quest’anno è il 50° Anniversario Dei Famosi “3 Giorni Di Pace E Musica” che si tennero in quel di Woodstock dal 15 al 18 agosto del 1969 (in effetti quattro perché alcune esibizioni, tra cui quella conclusiva di Jimi Hendrix, si tennero la mattina di lunedì 18 agosto, e per essere ancora più precisi il luogo esatto fu Bethel, una piccola località nei pressi di New York, vicina appunto alla cittadina di Woodstock). Come avrete letto o sentito era stata annunciata da Michael Lang, l’organizzatore della manifestazione originale, una edizione per festeggiare il 50° Anniversario Dell’Evento da tenersi a Watkins Glen tra il 16 ed il 18 agosto del 2019, ma poi il 29 aprile molti degli sponsors e degli investitori coinvolti nel finanziamento della produzione hanno annunciato che il Festival era stato cancellato. Ma Lang e gli altri organizzatori hanno cercato lungamente di tenere ugualmente lo spettacolo, ma poi all’inizio di agosto il “nuovo” Fesival è stato definitavamente cancellato. Tra i musicisti annunciati c’erano anche alcuni dei principali protagonisti della Woodstock originale: John Fogerty (deiCreedence Clearwater Revival), Carlos Santana (deiSantana), David Crosby (in rappresentanza diCrosby, Stills & Nash), Melanie, John Sebastian, Country Joe McDonald, 3 deiGrateful Deadsopravvissuti (comeDead & Company), iCanned Heat, e gli Hot Tuna (con due deiJefferson Airplaneoriginali). Alla fine però, come detto, non se ne è fatto nella, per cui occupiamoci della notizia certa.
La Rhino ha pubblicato il 2 agosto, con vendita solo sul proprio sito, questa mega versione “definitiva” che contiene le esibizioni complete di tutti gli artisti che si esibirono al Festival, quasi, perché mancano 2 brani di JImi Hendrix, la cui famiglia non ha dato l’autorizzazione alla pubblicazione, e uno degli Sha Na Na, per problemi tecnici: un totale di 432 brani, 267 mai pubblicati prima, divisi su 38 CD, più il Blu-ray della Director’s Cut ampliata del film, un libro rilegato con la storia del Festival raccontata da Michael Lang, la replica del poster e dei programmi originali, le stampe delle foto di Henry Diltz e una tracolla per chitarra. Il tutto inserito in una confezione di legno compensato e tela con copertina serigrafata, in tiratura limitata e numerata, manco a dirlo, di 1969 copie. Questa edizione costava, per quei pochi che se la sono potuta permettere in giro per il mondo, la modica cifra di 799.98 dollari (per noi europei ed italiani, tradotto e maggiorato con l’aggiunta di spese di spedizione, spese doganali, tasse e quant’altro, voleva dire circa 1000 euro presumo, ed è andata comunque completamente esaurita, ebbene sì! La lista completa dei brani non è stata annunciata (comunque si trovava facilmente in rete), ma gli artisti presenti, in rigoroso ordine cronologico di apparizione sono i seguenti.
Richie Havens
Sweetwater
Bert Sommer
Tim Hardin
Ravi Shankar
Melanie
Arlo Guthrie
Joan Baez
Quill
Country Joe McDonald
Santana
John B. Sebastian
The Keef Hartley Band
The Incredible String Band
Canned Heat
Mountain
Grateful Dead
Creedence Clearwater Revival
Janis Joplin
Sly & The Family Stone
The Who
Jefferson Airplane
Joe Cocker
Country Joe & The Fish
Ten Years After
The Band
Johnny Winter
Blood, Sweat & Tears
Crosby, Stills & Nash
Crosby, Stills, Nash & Young
The Butterfield Blues Band
Sha Na Na
Jimi Hendrix
Per fortuna la Rhino per i più poveri ha pubblicato anche due versioni (tre con il vinile quintuplo) “normali” con degli estratti dalla edizione completa. In uscita il 28 giugno abbiamo quindi avuto un cofanetto da 10 CD, definito Experience, con 162 brani a rappresentare con almeno un pezzo, anche in questo caso per la prima volta, tutti i gruppi e i solisti che si esibirono nei tre giorni. Questa versione costa “solo” circa 125 dollari o euro, mentre quella da 3 CD, definita Collection, con 42 delle più belle canzoni estratte dall’integrale, intorno ai 20 euro; “stranamente” sempre senza Jimi Hendrix in quella tripla, mi è cascato subito l’occhio leggendo la lista dei contenuti, che comunque trovate qui sotto, prima quella da 10 CD.
Disc One
Richie Havens
1. Hello!
2. “From The Prison>Get Together>From The Prison”
3. “High Flying Bird”
4. “With A Little Help From My Friends”
5. “Handsome Johnny”
6. “Freedom”
7. It seems there are a few cars blocking the road – John Morris
Sweetwater
8. “Look Out”
9. “Day Song”
10. “Two Worlds”
Bert Sommer
11. “Jennifer”
12. “And When It’s Over”
13. “America”
14. “Smile”
15. Let’s see how bright it can be – John Morris
Tim Hardin
16. “How Can We Hang On To A Dream”
17. “If I Were A Carpenter”
18. “Reason To Believe”
19. “Misty Roses”
20. We’re a pretty big city right now– John Morris
Disc Two
1. Somebody, somewhere is giving out some flat blue acid – John Morris
Ravi Shankar
2. “Raga Manj Kmahaj”
Melanie
3. “Momma Momma”
4. “Beautiful People”
5. “Mr. Tambourine Man”
6. “Birthday Of The Sun”
7. It’s a free concert from now on – John Morris
Arlo Guthrie
8. “Coming Into Los Angeles”
9. Lotta freaks!
10. “Wheel Of Fortune”
11. “Walking Down The Line”
12. “Every Hand In The Land”
13. Let’s just make the festival, not the other stuff – John Morris
Joan Baez
14. “The Last Thing On My Mind”
15. “I Shall Be Released”
16. He already had a very, very good hunger strike going
17. “Joe Hill”
18. “Drug Store Truck Drivin’ Man” – featuring Jeffrey Shurtleff
19. That brings us fairly close to the dawn – John Morris
20. I guess the reason we’re here is music – John Morris
Quill
21. “They Live The Life”
22. “That’s How I Eat”
Disc Three
1. Can those of you in the back hear well? – Chip Monck
Country Joe McDonald
2. “Janis”
3. “Donovan’s Reef”
4. “The “Fish” Cheer/I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag”
5. Those wishing to be lost, those wishing to be found – Chip Monck
Santana
6. “Savor”
7. “Jingo”
8. “Persuasion”
9. “Soul Sacrifice”
10. An exciting set is understandable – Chip Monck
John B. Sebastian
11. “How Have You Been”
12. “Rainbows All Over Your Blues”
13. “I Had A Dream”
14. “Darling Be Home Soon”
The Keef Hartley Band
15. Halfbreed Medley: “Sinning For You>Leaving Trunk>Just To Cry>Sinning For You”
16. Bring Jerry’s nitroglycerin pills to the Indian Pavilion – Chip Monck
Disc Four
1. Go to Mr. Lang’s office right away – Chip Monck
The Incredible String Band
2. “Invocation”
3. “The Letter”
4. “Gather ‘Round”
5. “When You Find Out Who You Are”
6. If things aren’t going well for you or whatever – Chip Monck & Hugh Romney
Canned Heat
7. “Going Up The Country”
8. “Woodstock Boogie”
9. Can we have a little juice on this other microphone, please? – Bob Hite & Chip Monck
10. “On The Road Again”
11. It’s your own trip – Chip Monck
Disc Five
1. We’ll take care of that right away – Chip Monck
Mountain
2. “Theme For An Imaginary Western”
3. “Long Red”
4. “Who Am I But You And The Sun (For Yasgur’s Farm)”
5. “Southbound Train”
6. Open your eyes wide – Chip Monck & Joshua White
7. So many people have been able to participate in such a debacle – Ken Babbs
Grateful Dead
8. “Mama Tried”
9. It’s a sinister plot! – Ken Babbs, Country Joe McDonald, et al
10. “Dark Star”
11. “High Time”
12. You’re carrying Janis’s wah-wah pedals – John Morris
Creedence Clearwater Revival
13. “Green River”
14. “Bad Moon Rising”
15. “I Put A Spell On You”
16. It’s going to be a very long evening – Chip Monck
Disc Six
Janis Joplin
1. “To Love Somebody”
2. “Kozmic Blues”
3. “Piece Of My Heart”
4. Music’s for grooving, man
5. “Ball And Chain”
6. Just in case you should get any ideas about leaving – Chip Monck
Sly & The Family Stone
7. Medley: “Everyday People>Dance To The Music>Music Lover>I Want To Take You Higher”
8. Are you supposed to be up there rapping? No, man. – Abbie Hoffman & stagehand
The Who
9. “I Can’t Explain”
10. “Pinball Wizard”
11. I can dig it – Abbie Hoffman & Pete Townshend
12. “We’re Not Gonna Take It”
13. “Shakin’ All Over”
14. “My Generation”
15. Welcome this new day – Chip Monck
Disc Seven
Jefferson Airplane
1. “The Other Side Of This Life”
2. “Somebody To Love”
3. Let’s play it out of tune – Grace Slick
4. “3/5 Of A Mile In 10 Seconds”
5. “Won’t You Try/Saturday Afternoon”
6. We got a whole lot of orange and it was fine – Grace Slick
7. “Plastic Fantastic Lover”
8. “Volunteers”
9. If you’re too tired to chew, pass it on – Hugh Romney
10. The roads are fairly clear now – John Morris
11. This is the largest group of people ever assembled in one place – Max Yasgur
Joe Cocker
12. “Dear Landlord”
13. “Feelin’ Alright”
14. “Let’s Go Get Stoned”
15. “Hitchcock Railway”
16. “With A Little Help From My Friends”
17. Isn’t the rain beautiful? – John Morris, Barry Melton, rainstorm & audience
Disc Eight
Country Joe & The Fish
1. “Rock And Soul Music”
2. “Love”
3. “Silver And Gold”
4. “Rock And Soul Music” (Reprise)
Ten Years After
5. “Help Me”
6. “I’m Going Home”
7. Come down and say hello to us – Chip Monck
The Band
8. “Chest Fever”
9. “Tears Of Rage”
10. “This Wheel’s On Fire”
11. “I Shall Be Released”
12. “The Weight”
13. We’ve just had a slight change in running order – Chip Monck
Disc Nine
1. It’s really a drag – Chip Monck
Johnny Winter
2. “Leland Mississippi Blues”
3. “Mean Town Blues”
4. “Johnny B. Goode”
5. It just doesn’t seem to be necessary – Chip Monck
Blood, Sweat & Tears
6. “More And More”
7. “Spinning Wheel”
8. “Smiling Phases”
9. “You’ve Made Me So Very Happy”
Crosby, Stills & Nash
10. Tell ‘em who we are, man
11. “Suite: Judy Blue Eyes”
12. “Blackbird”
13. “Marrakesh Express”
Crosby, Stills, Nash & Young
14. “Sea Of Madness”
15. “Wooden Ships”
16. Bummer!
17. “49 Bye-Byes”
Disc Ten
The Butterfield Blues Band
1. “No Amount Of Loving”
2. “Love March”
3. “Everything’s Gonna Be Alright”
Sha Na Na
4. Test – Chip Monck & Sha Na Na
5. “Get A Job”
6. “Come Go With Me”
7. “Silhouettes”
8. “At The Hop”
9. “Duke Of Earl”
10. “Get A Job” (Reprise)
11. Thank you for making all this possible – Chip Monck
Jimi Hendrix
12. “Hear My Train A Comin’”
13. “Izabella”
14. “The Star Spangled Banner>Purple Haze”
15. Good wishes, good day, and a good life – Chip Monck
E poi, quella da 3 CD:
Disc One
1. “Handsome Johnny” – Richie Havens
2. “Freedom (Motherless Child)” – Richie Havens
3. Everybody’s ground getting comfortable? – John Morris
4. “Reason To Believe” – Tim Hardin
5. It’s deadly serious, man – John Morris
6. “Coming Into Los Angeles” – Arlo Guthrie
7. Lotta Freaks! – Arlo Guthrie
8. “Drug Store Truck Drivin’ Man” – Joan Baez With Jeffrey Shurtleff
9. Please come down – Chip Monck
10. “The “Fish” Cheer/I-Feel-Like-I’m-Fixin’-To-Die Rag” – Country Joe McDonald
11. “Jingo” – Santana
12. “Soul Sacrifice” – Santana
13. Helen Savage, please call your father – Chip Monck
14. “Darling Be Home Soon” – John B. Sebastian
15. It’s not poison! – Hugh Romney
16. “Going Up The Country” – Canned Heat
17. “On The Road Again” – Canned Heat
Disc Two
1. Country common sense! – Chip Monck, Country Joe Mcdonald, Ken Babbs
Questo signore nasce a Baltimore nel Maryland nel 1958, quindi I 60 anni li ha passati anche lui: ha vissuto anche in Europa per un periodo e dalla metà degli anni ’80 la sua residenza è a Los Angeles in California. Un curriculum forgiato soprattutto attraverso la permanenza, come secondo chitarrista, nella Zac Harmon Band, poi dagli anni 2000 ha creato un proprio trio la Dennis Jones Band, classico power trio, o meglio forse non classico, visto che sono tre musicisti di colore, comunque suono potente ispirato da Jimi Hendrix era Band Of Gypsyse Srevie Ray Vaughan, oltre che dai grandi nomi del blues, soprattutto quelli dello stile urbano, elettrico. Cinque dischi in studio, e ora questo WE3 Live, registrato alla Brewer Creek Brewery di Wilbaux, Montana, non esattamente una delle mecche della musica live. Comunque il risultato è eccellente, 13 brani originali di Jones e una cover di Born Under A Bad Sign, di un altro Jones, Booker T, e di William Bell, un classico per Albert King (che la registrò anche con Stevie Ray Vaughan), ma anche per i Cream.
Il problema usuale e principale di questi album, per chi non vive negli USA (ma anche lì non devono essere proprio facili da trovare) è purtroppo la reperibilità, ma ormai lo sappiamo, Jones ha anticipato di parecchio questa tendenza sempre più imperante nel mercato indipendente, dandosi alla auto distribuzione sin dagli inizi della carriera solista. Il pubblico presente al concerto non sembra molto numeroso, ma appare entusiasta e soddisfatto da quanto ascolta: Dennis Jones ha anche una bella voce, grintosa e con sfumature ricche di soul, i suoi due soci, Sam Correa al basso e Raymond Johnson alla batteria, formano una sezione ritmica di tutto rispetto; il disco è inciso molto bene, con un suono nitido e ben delineato, e poi c’è il solismo dirompente della Stratocaster del nostro amico, che mescola impeto ed eccellente tecnica, come è subito evidente fin dalla iniziale Blue Over You, dove le mani di Jones volano sul manico della sua chitarra in modo fluente ed incalzante. In When I Die, un bello shuffle, il timbro vocale ricorda quello di un altro grande “colored” del rock-blues come Phil Lynott dei Thin Lizzy, la chitarra è molto SRV, mentre la lunga Passion For The Blues cita nel testo coloro che lo hanno influenzato negli anni, Robert Johnson, Muddy Waters, Etta James, Johnny Winter, Stevie Ray Vaughan, in una sorta di passaggio di consegne ideale, con la chitarra sempre in grande evidenza, visto che Jones è sì un virtuoso dello strumento, ma non della categoria “esagerati” https://www.youtube.com/watch?v=VtKoUdb2LZI .
Stray Bullet, come l’iniziale Blue Over You è una canzone che verte sulle delusioni d’amore, uno degli argomenti tipici nel blues (e non solo), c’è qualche rimando al Jimi più vicino al R&B, e quindi anche a Robert Cray, nel sound sognante della solista, con la vorticosa Hot Sauce che va a tempo di boogie e cita il riff di Third Stone From the Sun nell’assolo. Don’t Worry About Me è un altro “bluesaccio” ruvido, temprato nel funky e nell’errebì, seguito da Super Deluxe altro shuffle che è un veicolo per il fluido solismo del chitarrista, sempre sulla lunghezza d’onda del grande Jimi; Enjoy The Ride è di nuovo più funky e sensuale, mentre You Don’t Know A Thing About Love ha più di un retrogusto latineggiante, sempre misto a quel soul’n’blues raffinato tipico di molti pezzi di Jones, ma poi esplode nel solito assolo energico. Kill The Pain, nel gioco continuo di citazioni all’interno dei brani, parte con Black Velvet di Alannah Myles e poi ritorna di continuo al suono dell’immancabile Hendrix, fonte continua di ispirazione, Big Black Cat, sempre con la chitarra in overdive, un ritmo intricato e qualche citazione jazzy è un altro ottimo esempio della classe e della tecnica del nostro amico, che ritorna al funky-blues per Devil’s Nightmare, prima di regalarci un altro ottimo shuffle blues nella travolgente I’m Good. In chiusura la citata Born Under A Bad Sign che più che alla versione dei Cream rende omaggio, anche con wah-wah innestato, all’Hendrix febbrile e sfrenato di Voodoo Chile, grande brano comunque e molto bravo questo Dennis Jones.
Robin Trower – Coming Closer To The Day – Mascot/Provogue
Torna Robin Trower, il grande chitarrista inglese, uno dei migliori rappresentanti di quello stile a cavallo tra rock e blues che da sempre è il suo marchio di fabbrica: per il disco n°23 di studio della sua lunga carriera, più una decina di live, un decina di compilations e cinque album con l’amico scomparso Jack Bruce (d’altronde Trower ha compiuto 74 anni in questi giorni e i suoi inizi, prima con i Paramounts e poi con i Procol Harum, risalgono a circa la metà anni ’60), Robin ha deciso di accasarsi con una nuova etichetta, la Mascot/Provogue, che ormai sta cercando di rastrellare in giro per il mondo il meglio di quanto prodotto in ambito rock/blues. Non che questo significhi sostanziali cambiamenti di stile nel suo approccio, la formula è quella solita del power trio (anche se Trower in questo nuovo Coming Closer To The Day, come aveva fatto nel precedente Time And Emotionhttps://discoclub.myblog.it/2017/05/29/passa-il-tempo-ma-le-emozioni-rimangono-anche-senza-i-vecchi-amici-robin-trower-time-and-emotion/ , suona anche le parti di basso, lasciando al batterista Chris Taggart la parte ritmica principale), liquido e sognante, con le influenze hendrixiane sempre ben presenti, e il lavoro pregevole della immancabile Fender Stratocaster che è il suo fiore all’occhiello da sempre.
Registrato lo scorso anno allo Studio 91 di Newbury, con l’aiuto dell’ingegnere del suono Sam Winfield, il disco presenta dodici nuove composizioni di Trower che riflettono filosoficamente sull’inesorabile scorrere del tempo, perché come ricorda lui stesso sin dal titolo dell’album “Ormai mi trovo più vicino alla fine che all’inizio, ma questo non mi spaventa…”. In effetti sin dalla iniziale Diving Bell, dall’incedere lento e maestoso, il nostro amico ribadisce quello stile unico che per certi versi ne ha fatto una sorta di erede del Jimi Hendrix più “spaziale” ed estatico, con il pedale del wah-wah subito impegnato ad estrarre dalla sua solista quelle note lunghe e ricche di feeling che sono da sempre il suo tratto più caratteristico. Truth Or Lies ha un gusto più mosso e vicino al R&B classico, anche se la voce “ringhiante” e pigra di Trower, come al solito, non è particolarmente memorabile, pure se la chitarra “rimedia” abbondantemente, come ribadisce la title-track Coming Closer To The Day, dove il lavoro della solista è variegato e ricco di inventiva, anche se forse nell’album complessivamente, al di là di qualche eccezione, non ci sono brani memorabili.
Una delle eccezioni è proprio lo splendido slow blues intenso e lancinante proposto nella notturna Ghosts, dove Robin lascia libero sfogo alla propria ispirazione “inimitabile”; Tide Of Confusion è il presunto singolo che ha preceduto l’album, un po’ più mossa e “commerciale” vagamente alla ZZ Top e con una voce femminile a contrappuntare quella di Trower. The Perfect Wrong è un altro rock-blues di quelli più cattivi, con un riff marcato e qualche parentela ai Dire Straits del periodo di mezzo, con il wah-wah mordente che è ancora una volta il punto di forza della canzone, Little Girl Blue è una ballata sospesa e assorta, raffinata e con un tocco jazzy, con Someone Of Great Renown più scandita e grintosa, ma come molti altri pezzi poco incisiva, al di là del lavoro chitarristico che è sempre al centro della costruzione melodica, mentre Lonesome Road, una riflessione sulla vita in giro per il mondo a suonate la propria musica, è nuovamente un blues lento dove viene fuori il classico suono hendrixiano del miglior Trower, ricco di maestria e tecnica sopraffina. E pure Tell Me è una ennesima (piccola) variazione sul tema, con Don’t Ever Change che lo denuncia anche nel titolo e nel suono, così come la conclusiva Take Me With You. Quindi solita musica, buona e suonata con classe, ma niente di nuovo all’orizzonte.