Capitolo 4: Gli Archivi di “Jimmy” Non Finiscono Mai! Jimmy LaFave – Trails West Lounge

jimmy lafave trail 4

Jimmy LaFave – Trail Four – Music Road Records/Ird

Dopo lo splendido The Night Tribe (sicuramente uno dei dischi più belli di quest’anno) http://discoclub.myblog.it/2015/05/18/sempre-buona-musica-dalle-parti-austin-jimmy-lafave-the-night-tribe/ , ritorna  Jimmy LaFave con il quarto capitolo dei suoi “Basement Tapes” personali (una sorta di bootleg series per fan, contenenti inediti e materiale radiofonico live). La “compagnia di giro” che accompagnava il buon Jimmy in queste performances era composta da Kevin Carroll alle chitarre, Herb Belofsky alla batteria, Stewart Cochran alle tastiere, Randy Glines al basso, Gary Primich all’armonica, Darcie Deaville al violino, e (occasionalmente) Gurf Morlix alla lap-steel, tutti splendidi musicisti in grado di dare alle canzoni (in buona parte covers), un gusto raffinato e professionale.

I “sentieri musicali”, in questo quarto capitolo, partono con una accorata Walking To New Orleans, pescata dal repertorio del grande Fats Domino (la trovate in qualsiasi raccolta), subito seguita da una delle più belle ballate del “nostro”, la pianistica When It Starts To Rain (Austin Skyline), per poi omaggiare J.J.Cale con il blues di Call Me The Breeze (Naturally) https://www.youtube.com/watch?v=cVPGPSn1lKk , setacciare come al solito l’amato repertorio “dylaniano” con le note She Belongs To Me, I’ll Remember You (meravigliosa), Chimes Of Freedom, e anche una It Takes A Lot To LaughIt Takes A Train To Cry rivoltata come un calzino e rifatta in versione blues https://www.youtube.com/watch?v=72l1dUuCDGM . I “sentieri” proseguono alla grande con Rocket In My Pocket dei grandi Little Feat di Lowell George (era in Times Loves A Hero), con una performance di Stewart Cochran al pianoforte che non fa rimpiangere il grande Bill Payne https://www.youtube.com/watch?v=YDGXZBLX5c4 , riproporre ancora una volta il “blues da saloon” di Route 66 Revisited, andando poi a recuperare dal repertorio di Townes Van Zandt una magnifica rilettura di Snowin’ On Raton (cercatela su At My Window), andando poi a chiudere con un brano poco conosciuto come Hideaway Girl (Cimarron Manifesto), e la canzone che chiude sempre i suoi concerti, una sempre sontuosa Worn Out American Dream (dal capolavoro Buffalo Return To The Plain), una ballata in perfetto stile Jimmy LaFave.

Mi auguro che questi ultimi lavori, The Night Tribe e anche questo Trail Four, facciano (ri)scoprire  un autore un po’ troppo colpevolmente sottovalutato,  a giudizio di chi scrive, e che gli archivi di  uno “dei figli prediletti del Texas” non siano ancora stati svuotati del tutto!

Tino Montanari

Il Miglior Disco Dal Vivo Di Tom? Tom Petty & The Heartbreakers – Southern Accents In The Sunshine State

tom petty southern accents live

Tom Petty & The Heartbreakers – Southern Accents In The Sunshine State – Gossip 2CD

Per principio di solito tendo a bypassare i sempre più molteplici CD tratti da trasmissioni radiofoniche dell’epoca, in primo luogo perché faccio già fatica a star dietro alle uscite “ufficiali”, in secondo perché la fregatura (leggasi qualità di registrazione insufficiente) è sempre dietro l’angolo, ed in ultima battuta perché questi prodotti è giusto chiamarli con il loro nome: bootleg. L’unica eccezione l’ho fatta per questo live di Tom Petty con i suoi Heartbreakers messo fuori dalla Gossip (???), che documenta la registrazione completa del suo homecoming concert del 1993 a Gainesville, Florida, per la semplice ragione che considero il biondo rocker ed i suoi compari la migliore rock’n’roll band sul pianeta assieme ai Rolling Stones ed a Bruce Springsteen & The E Street Band ma, a differenza delle Pietre e del Boss (che ultimamente hanno aperto gli archivi dei concerti), sono sempre stati un po’ avari sul fronte delle uscite ufficiali dal vivo (a parte il cofanetto pubblicato qualche anno fa, che infatti è uno dei classici dischi da isola deserta). Facendo ricerche online, ho letto poi che la qualità del suono di questo Southern Accents In The Sunshine State era considerata tra l’ottimo e l’eccellente, e con mio grande godimento posso confermare che esistono album dal vivo “regolari” che suonano molto peggio di questo.

Nel 1993 Tom era in un periodo di grazia: veniva da due album di grande successo (Full Moon Fever e Into The Great Wide Open, il suo periodo Jeff Lynne), la sua intesa sul palco con la band era ormai a prova di bomba (oltre ai veterani Mike Campbell e Benmont Tench, c’erano ancora Stan Lynch alla batteria prima di lasciare per darsi…all’oblio, e Howie Epstein, prima che la droga se lo portasse via per sempre) e, grazie anche alla sua militanza nei Traveling Wilburys, la sua popolarità era alle stelle. Venendo a questo doppio CD, e già detto del suono ottimo, sottolineerei prima di una rapida disamina del contenuto la spettacolarità della scaletta, che comprende il meglio degli ultimi due album, vari classici del passato, qualche brano “oscuro”, un paio di interessanti covers e due brani offerti in anteprima.

L’inizio tramortirebbe una mandria di tori: si passa dalla potente Love Is A Long Road, brano oggi un po’ dimenticato ma perfetto per aprire un concerto, alla splendida Into The Great Wide Open (Petty canta benissimo), alla byrdsiana Listen To Her Heart, fino alla grandissima I Won’t Back Down, nella quale tutto il pubblico canta insieme a Tom (e pure io dal mio divano). Anche Free Fallin’ è un perfetto singalong, mentre con le seguenti Psychotic Reaction (un oscuro brano anni sessanta dei Count Five) e Ben’s Boogie, Petty riposa per un po’ le corde vocali, in quanto la prima vede Lynch come cantante solista (con Tom all’armonica) e la seconda è una trascinante improvvisazione strumentale guidata dalle evoluzioni pianistiche di Tench. Tom si riprende il centro del palco con la lunga Don’t Come Around Here No More, da sempre uno degli highlights dei suoi show (ed una vetrina per la bravura di Campbell, sentite il finale), per poi presentare due brani all’epoca nuovi (erano gli inediti del Greatest Hits in uscita in quei giorni): la gradevole Something In The Air (altro brano oscurissimo di una band ancor più sconosciuta, i Thunderclap Newman) e la strepitosa Mary Jane’s Last Dance, grandissima canzone che vede, in quasi nove minuti, Tom e Mike duellare mirabilmente alle chitarre, un pezzo che andrebbe fatto sentire a chiunque sostenga che il rock è morto. Chiudono il primo CD due deliziose canzoni proposte con un inedito arrangiamento acustico, Kings Highway e A Face In The Crowd (ed il pubblico è sempre più caldo).

Il secondo dischetto comincia sempre acustico, con una sorprendente versione, ricca di feeling, del classico dei Byrds Ballad Of Easy Rider (perfetta per la vocalità di Petty), seguita da due cover (elettriche) della celebre Take Out Some Insurance di Jimmy Reed, dove gli Spezzacuori bluesano come se non sapessero fare altro, ed una pimpante Thirteen Days di JJ Cale. Ed ecco un altro brano-manifesto di Petty, quella Southern Accents che, nel 1985, diede il titolo ad uno dei dischi più controversi di Tom (ma la canzone è magnifica), con a ruota la divertente Yer So Bad, con un altro ritornello killer; a seguire abbiamo due canzoni inedite, che a tutt’oggi non hanno una versione in studio: Drivin’ Down To Georgia e Lost Without You (assieme a Something In The Air presenti proprio in questa versione anche nella Live Anthology), due pezzi discreti ma Tom sa fare di meglio. Ed ecco che si preparano i fuochi d’artificio finali: Refugee non ha bisogno di presentazioni, è forse la signature song di Petty per antonomasia insieme ad American Girl, ma anche Runnin’ Down A Dream fa la sua porca figura (e Campbell arrota alla grande), mentre Learning To Fly, full band a differenza degli ultimi anni in cui Tom la fa acustica, è forse ancora meglio dell’originale (e ce ne vuole). Finale pirotecnico con una trascinante Rainy Day Women # 12 & 35 (dopo Byrds e Cale, non poteva mancare Bob Dylan per completare l’omaggio alle influenze di Tom), subito seguita dalla già citata American Girl, più che una canzone una vera e propria celebrazione.

Congedo acustico e solitario con la poco nota Alright For Now: Live Anthology a parte (in cui peraltro tre brani di questo concerto appaiono), come scrivo nel titolo del post questo Southern Accents In The Sunshine State è semplicemente il miglior album dal vivo sul mercato, DVD compresi, di Tom Petty, al punto da farmi quasi dimenticare che è un bootleg.

Marco Verdi

Power Rock Trio Vecchia Maniera! Pat Travers – Feelin’ Right The Polydor Albums 1975-1984

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Pat Travers – Feelin’ Right/The Polydor Albums 1975-1984 – Universal

Il canadese Pat Travers è sempre stato considerato uno dei migliori rappresentanti del power rock trio dagli estimatori del genere heavy, mentre da altri, per la legge del contrappasso, un caciarone metallaro non particolarmente raffinato, forse esagerando, in entrambi i casi. Gli album migliori sono sicuramente quelli degli anni ’70, primi ’80, quindi una parte di questi contenuti nel nox, ma nel cofanetto da 4 CD sono stati commessi alcuni errori, voluti e non. Intanto partiamo dal sottotitolo The Polydor Albums 1975-1984: mi chiedo come sia possibile, visto che il primo omonimo album Pat Travers, fu registrato nell’aprile del 1976 e pubblicato lo stesso anno e qualcuno me lo aveva fatto notare subito, già prima dell’uscita. Indagando ulteriormente, ma questo è probabilmente voluto, per rispettare la durata dei singoli dischetti, gli album, inseriti in ordine cronologico, due per ogni CD, all’inizio non rispettano la sequenza, con il terzo album Putting It Straight che appare come secondo, e viceversa per Makin’ Magic, peraltro entrambi del 1977, e quindi trattasi di peccato veniale. Ma la mancanza nel cofanetto di Crash And Burn, l’album del 1980 che fu quello di maggior successo della Pat Travers Band, l’unico ad entrare nei Top 20 delle classifiche USA, è più inspiegabile.

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Dal lato positivo l’ottimo lavoro di remastering degli album effettuato agli Abbey Road Studios di Londra da Andy Pearce (noto ingegnere del suono, famoso per il suo lavoro sugli album di Pretty Things, Deep Purple, Black Sabbath, E L & P, Thin Lizzy, Gentle Giant e moltissimi altri) che ha avuto accesso alle fonti originali anziché dover utilizzare i vinili, come era stato per precedenti uscite in CD. Se aggiungiamo che il quadruplo box costa veramente poco, si tratta di un acquisto quasi obbligato, anche se non indispensabile per tutti. Pat Travers nel frattempo continua imperterrito a fare album, gli ultimi sono, un Live At The Iridium NYC e Retro Rocket (segnalato come uno dei migliori dell’ultimo periodo), entrambi usciti nel 2015, ma, come detto,  il periodo migliore è, più o meno, quello che coincide con gli otto album originali contenuti nel cofanetto. Il primo disco, registrato a Londra, quando il chitarrista canadese, scoperto dal grande Ronnie Hawkins, ottenne un contratto dalla Polydor inglese che gli affiancò il bassista Peter Cowling, un veterano della scena rock, che sarebbe rimasto con lui fino al 1984 e il batterista Roy Dyke, in grado di esprimere sia potenza quanto versatilità (sentitevi l’ottimo lavoro nella cover di Magnolia di JJ Cale, illuminata pure da sprazzi di classe di Travers alle chitarre https://www.youtube.com/watch?v=lqVEATLLLOI ). Eccellenti anche due classici del R&R e del blues come Mabellene (senza la y, chissà perché) e Boom Boom (Out Goes The Lights), con Makes No Difference, dai marcati accenti southern rock https://www.youtube.com/watch?v=Wdo5qvhook0 , rimarrà un evergreen del buon Pat, come pure Feelin’ Right, la title track del box https://www.youtube.com/watch?v=w2oqx2xRfSs .

pat travers rockpalast-1976-VOL1

https://www.youtube.com/watch?v=bvec0ZVGBnk

In Makin’ Magic arrivano il futuro Iron Maiden Nicko McBrain alla batteria   e si aggiunge Peter Solley alle tastiere, con Brian Robertson dei Thin Lizzy, ospite alla seconda solista in una potente rivisitazione di Statesboro Blues https://www.youtube.com/watch?v=BV4LmA_pwE8 , tra i futuri classici anche Stevie e Rock’n’Roll Suzie. Niente cover in Putting It Straight, registrato a Toronto, ma da notare la presenza dell’altro Thin Lizzy Scott Gorham per un’altra piccola gemma con doppia lead guitar (in futuro formula immancabile della Pat Travers Band) in Speakesy, l’ottimo lavoro al Moog del Rainbow Tony Carey in Off Beat Ride e perfino un assolo di sax in Dedication, senza snaturare troppo il rock-blues di Travers. Heat In The Street, il primo ad essere registrato negli States, presenta il nuovo batterista Tommy Aldridge (tra i tanti con Black Oak Arkansas e Whitesnake) e l’ingresso in pianta stabile del secondo chitarrista Pat Thrall, e la coppia fa faville in Hammerhead https://www.youtube.com/watch?v=Thdov1AtVnw  e One For Me And One For You (non quella dei La Bionda, c’è un And in più) E in tutto il disco Live! Go For What You Know, uno dei classici dischi hard rock dal vivo degli anni ’70, duro e roccioso, un po’ tamarro anche, ma era l’epoca, con le versioni di Boom Boom (Out Goes The Lights), non quella di John Lee Hooker https://www.youtube.com/watch?v=qi4_6kS5gto  e Makes No Difference, dove le chitarre sono micidiali (ma pure nel resto del disco). Detto di Crash And Burn, missing in action nel box, il successivo Radio Active sancisce definitivamente l’ingresso nel sound anni ’80, con tastiere a go-go, un batterista di nome Sandy Gennaro, e canzoni non memorabili, si salva in parte grazie all’ottimo lavoro dei due solisti, ma Black Pearl, il penultimo con Cowling e senza Thrall, che se ne è andato nel frattempo, ha un suono AOR terribile e la versione rock delle Quinta di Beethoven (?!?), ribattezzata The Fifth, ve la raccomando https://www.youtube.com/watch?v=9hJO0gaRyds ! Un filo meglio Hot Shot, l’ultimo degli anni ’80, prima di una pausa che durerà fino al 1990, con una sfilza di batteristi all’opera, tra cui Don Brewer dei Grand Funk, ma niente che rimarrà negli annali del rock. Quindi ricapitolando, sempre se amate il vostro rock molto heavy, bene i primi cinque album, trascurabili gli altri tre, ma un’occasione per (ri)scoprire uno dei chitarristi di culto di quell’epoca!

Bruno Conti

Un Altro Arzillo 70enne! Robin Trower – Something’s About To Change

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Robin Trower – Something’s About To Change – V12 Records/Cadiz/Ird

Robin Trower è da sempre giustamente considerato uno dei migliori epigoni hendrixiani, ma anche per lui il tempo passa (quest’anno, proprio il 9 marzo, giorno di uscita dell’album, ha compiuto 70 anni) e la formula, nonostante la promessa del titolo che Something’s About To Change, rimane più o meno quella e alla lunga comincia a mostrare la corda. Intendiamoci, Trower è sempre un fior di chitarrista, tra i più bravi ed eclettici in ambito blues-rock o rock-blues, come preferite, uno degli “originali” e il suo sound ha sempre quella particolare aura sognante che in dischi come Bridge Of Sighs o Twice Removed From Yesterday, e in generale tutta la produzione anni ’70, anche grazie alla presenza di James Dewar, bassista, ma soprattutto cantante dalla voce maschia e profonda, rimane uno degli output più interessanti di quell’epoca ricca di grandi chitarristi di valore, nei migliori anni del rock inglese. Ma Dewar non c’è più dal 1983 e Robin ha provato, nel corso degli anni, riuscendoci in parte, a sostituirlo, per esempio con Jack Bruce, insieme a cui ha registrato tre album più un live, l’ultimo dei quali Seven Moons Live appunto, nel 2009.

 

Per il resto però, da qualche anno in qua, Robin Trower ha assunto anche il ruolo di cantante e bisogna dire che spesso, per usare un eufemismo, fa rimpiangere i suoi predecessori illustri, dal grande Gary Brooker, nei Paramounts e nei Procol Harum, ai citati Dewar e Bruce; ora, nel nuovo album, anche questo pubblicato a livello indipendente dalla propria etichetta, il musicista inglese ha assunto pure il ruolo di bassista, facendosi affiancare da Chris Taggart, buon batterista di settore, già presente nel precedente Roots And Branches, dove Trower andava ad esplorare anche il passato, con varie cover interessanti, e la presenza, all’organo di Luke Smith, musicisti non  in grado di mascherare il fatto che  il materiale, tutto scritto da Trower, sia spesso (leggi quasi sempre) non all’altezza dei brani delle epoche più fertili. Ogni tanto il vecchio leone dà ancora la sua zampata, soprattutto in quelle particolari blues ballads dalle atmosfere sognanti e spaziali, da sempre suo marchio di fabbrica, per esempio Dreams That Shone Like Diamonds, quasi alla JJ Cale nel suo applicare la formula della sottrazione di volumi e violenza chitarristica, a favore di poche note ma ben piazzate e con un sound limpido e ben delineato https://www.youtube.com/watch?v=jTHtBIWAA_8 .

robin trower 1 robin trower 2

Altrove il vecchio amore per Hendrix è ancora presente, come nella energica title-track iniziale, con il suo rock-blues sincopato e percorso da violente scariche della solista, o nel mid-tempo che vorrebbe essere sognante, ma suona un filo risaputo, di Fallen, dove il lavoro, comunque eccellente, della solista, non è sufficiente a coprire il cantato quasi alla camomilla di Trower. A questo punto meglio affidarsi al vecchio blues, che non tradisce mai, come nello slow, Good Morning Midnight, dove il nostro ci regala un bel solo di ottimo spessore tecnico, ma forse poco brilante nel feeling e nella passione. Lo stile è quello solito, Strange Love è un altro lento, ma il cantar parlando di Robin a lungo andare può essere veramente irritante https://www.youtube.com/watch?v=VqhWAVx1Jb0 e non so se i seguaci di questa musica si potranno accontentare solo del suo lavoro alla chitarra, per quanto impeccabile, qualche riff più mosso in The One Saving Grace, ma il wah-wah, che era un altro dei suoi tratti caratteristici è latitante e molte delle canzoni sinceramente non le ricordo neppure. Giudizio di stima, ma mi sa che la prossima volta dovrà cambiare veramente qualcosa, il chitarrista va bene, magari il cantante!

Bruno Conti

Sono 70 Anche Per Lui. Si Potevano Festeggiare Meglio, Ma Non E’ Detto! Eric Clapton – Forever Man

eric clapton forever man

Eric Clapton – Forever Man – 3CD – 2CD – 2 LP – Reprise/Warner 28-04-2015

Il 30 Marzo anche il vecchio “Enrico Manolenta” compie 70 anni! E per l’occasione la Reprise, una delle etichette per cui ha inciso Eric Clapton, pubblicherà una compilation retrospettiva dedicata al materiale che il chitarrista inglese ha inciso per il gruppo Warner (che come è noto non è proprio il migliore della sua carriera, ma ha comunque delle punte di nota). Purtroppo non si è colta l’occasione per pubblicare un cofanetto antologico che raccogliesse il meglio di tutta la sua carriera, quindi multilabel, e magari ricco di inediti, ma mai dire mai, c’è sempre tempo – infatti si parla da tempo anche della ristampa potenziata di No Reason To Cry, il disco uscito nel 1976 a cui parteciparono Bob Dylan, Van Morrison e la Band, curata da Bill Levenson  e di un non meglio identificato Slowhand Box Live, dedicato ai 50 anni di carriera concertistica, dagli Yardbirds ai prossimi concerti alla Royal Albert Hall, mi sembra di essere Biscardi quando parlo di questi “sgub” – e comunque in passato di box ne sono già usciti parecchi. L’operazione ha tutta l’aria di essere stata organizzata in fretta e furia, visto che l’uscita è prevista per il 28 aprile, quasi un mese dopo il compleannno di Clapton, ma magari mi sbaglio visto che è pubblicizzata anche sul suo sito, con varie edizioni Bundle, come le chiamano loro, di quelle composite e costose, con magliette, litografie, tazze e quant’altro. In un certo senso forse è meglio che non ci siano inediti, considerando che spesso quei pochi pezzi aggiunti sono croce e delizia per fans e collezionisti, costretti ad acquistare confezioni spesso costose per un minimo di materiale extra, ma non sembrerebbe questo il caso, leggendo le tracklists delle varie edizioni, quella doppia e quella tripla, con un CD di materiale dal vivo:

FOREVER MAN TRACK LISTINGS

3CD and Digital Download Edition
CD1 – Studio
01.  Gotta Get Over
02.  I’ve Got A Rock ‘N’ Roll Heart
03.  Run Back To Your Side
04.  Tears In Heaven
05.  Call Me The Breeze
06.  Forever Man
07.  Believe In Life
08.  Bad Love
09.  My Father’s Eyes
10.  Anyway The Wind Blows – with J.J. Cale
11.  Travelin’ Alone
12.  Change The World
13.  Behind The Mask
14.  It’s In The Way That You Use It
15.  Pretending
16.  Riding With The King – with B.B. King
17.  Circus
18.  Revolution
CD2 – Live
01.  Badge
02.  Sunshine Of Your Love
03.  White Room
04.  Wonderful Tonight
05.  Worried Life Blues
06.  Cocaine
07.  Layla (Unplugged)
08.  Nobody Knows You When You’re Down & Out (Unplugged)
09.  Walkin’ Blues (Unplugged)
10.  Them Changes – with Steve Winwood
11.  Presence Of The Lord – with Steve Winwood
12.  Hoochie Coochie Man
13.  Goin’ Down Slow
14.  Over The Rainbow
CD3 – Blues
01.  Before You Accuse Me
02.  Last Fair Deal Gone Down
03.  Hold On, I’m Comin’ – with B.B. King
04.  Terraplane Blues
05.  It Hurts Me Too
06.  Little Queen Of Spades
07.  Third Degree
08.  Motherless Child
09.  Sportin’ Life Blues – with J.J. Cale
10.  Ramblin’ On My Mind
11.  Stop Breakin’ Down Blues
12.  Everybody Oughta Make A Change
13.  Sweet Home Chicago
14.  If I Had Possession Over Judgement Day
15.  Hard Times Blues
16.  Got You On My mind
17.  I’m Tore Down
18.  Milkcow’s Calf Blues
19.  Key To The Highway – with B.B. King
2CD and Digital Download Edition
CD1
01.  Gotta Get Over
02.  I’ve Got A Rock ‘N’ Roll Heart                            
03.  Anyway The Wind Blows – with J.J. Cale                    
04.  My Father’s Eyes                                          
05.  Motherless Child                                          
06.  Pretending                                                
07.  Little Queen Of Spades                                    
08.  Bad Love                                                  
09.  Behind The Mask
10.  Tears In Heaven
11.  Change The World
12.  Call Me The Breeze
13.  Forever Man
14.  Riding With The King – with B.B. King
15.  It’s In The Way That You Use It                           
16.  Circus
17.  Got You On My Mind
18.  Travelin’ Alone
19.  Revolution
CD2 – Blues
01.  Before You Accuse Me
02.  Last Fair Deal Gone Down
03.  Hold On, I’m Comin’ – with B.B. King
04.  Terraplane Blues
05.  It Hurts Me Too
06.  Little Queen Of Spades
07.  Third Degree
08.  Motherless Child
09.  Sportin’ Life Blues – with J.J. Cale
10.  Ramblin’ On My Mind
11.  Stop Breakin’ Down Blues
12.  Everybody Oughta Make A Change
13.  Sweet Home Chicago
14.  If I Had Possession Over Judgement Day
15.  Hard Times Blues
16.  Got You On My mind
17.  I’m Tore Down
18.  Milkcow’s Calf Blues
19.  Key To The Highway – with B.B. King

Quindi tanti auguri a Eric Clapton per il suo compleanno, che verrà festeggiato anche con un tour mondiale (forse tour è troppo, saranno due date al Madison Square Garden e sette alla Royal Albert Hall nel mese di maggio), ma, per fortuna, non sarò tra i fruitori di questo disco fondamentalmente inutile (mi chiedo sempre chi li concepisce)!

Per ingannare l’attesa.

Bruno Conti

Tosto L’Amore, Ma Anche La Chitarra! Tinsley Ellis – Tough Love

tinsley ellis tough love

Tinsley Ellis – Tough Love – Heartfixer Music

Tinsley Ellis, da Atlanta, Georgia, ormai va per la sessantina anche lui (li compirà nel 2017), e quindi è ormai un veterano, ma è anche una delle rare certezze per gli appassionati del blues rock elettrico più vibrante e virtuosistico. Raramente (forse mai) sbaglia un disco, nei suoi CD si va sul sicuro che la qualità sarà sempre elevata: anche Tough Love, il nuovo album, che segue a circa un anno di distanza l’ottimo Midnight Blue http://discoclub.myblog.it/2014/01/18/degli-ultimi-veri-guitar-heroes-tinsley-ellis-midnight-blue/  è una conferma del suo stato di grazia perenne e della sua bravura. Ancora una volta con l’immancabile Kevin McKendree alle tastiere (ormai con lui da una decina d’anni, anche come tecnico e ingegnere del suono, in quel di Nashville) e Lynn Williams alla batteria, entrambi nella formazione classica di Delbert McClinton, per l’occasione Steve Mackey (da non confondere con l’omonimo bassista e produttore del giro Pulp) sostituisce Ted Pecchio al basso, completando quindi la lista dei collaboratori di McClinton, ulteriore garanzia di qualità. Ellis è un musicista alla Clapton o alla Mark Knopfler, cioè uno che fa un tipo di musica che prende spunto dal blues ma poi diventa rock classico anni ’70, belle canzoni, tutte firmate dal nostro, uno stile chitarristico inappuntabile, da vero virtuoso, ma senza esagerazioni, quindi anche con tocchi soul e R&B, ampie dosi di musica del Sud, ogni tanto quello spirito laidback che aveva il compianto JJ Cale, una bella voce, che non guasta e una facilità di esecuzione quasi disarmante nella sua semplicità.

Tinsley Ellistinsley ellis 1

Il classico groove di Seven Years, la blues ballad che apre le danze, può ricordare i migliori esempi dello stile di Robert Cray, unito al solismo dei citati Clapton e Knopfler, con l’ottima band che crea un sottofondo piacevolissimo per le evoluzioni della solista e il cantato sicuro e vivace di Ellis https://www.youtube.com/watch?v=_qbyxR6GJUo , Midnight Ride, sposta il tiro verso un blues-rock più tirato, con gli ottimi organo e piano di McKendree (come faceva ai bei tempi Bobby Whitlock) a seguire le traiettorie sempre ricche di feeling della chitarra, che inanella un assolo dietro l’altro ottenendo un sound molto claptoniano, non dissimile da quello che Eric aveva negli anni in cui a produrlo, ai Criteria Studios di Miami, era il grande Tom Dowd (che ha lavorato anche con Tinsley Ellishttps://www.youtube.com/watch?v=WMmvQXC_eWc . Give It Away è una bella ballata di stampo acustico, con Tinsley che si produce alla slide per un brano dolce ed avvolgente, quasi pastorale, mentre Hard Work si avvicina a quel sound alla JJ Cale che vi ricordavo, McKendree si sposta al piano elettrico, Ellis opera alla slide elettrica sempre con ottimi risultati ed il risultato è un blues elettrico laidback prediletto dal buon JJ (e per proprietà transitiva da Knopfler e Clapton). Niente male anche All In the Name Of Love, altro brano dall’atmosfera sudista, più Memphis che Nashville, ma sempre Tennessee è, con quel sentimento soul/R&B che non manca mai di ammaliare, anche grazie alle tastiere avvolgenti di McKendree e ad una piccola sezioni fiati, Jim Hoke, sax e Steve Herrman, tromba, che alza la quota blue-eyed soul del brano.

Should I Have Lied è il classico slow blues, di quelli che non possono mancare in un album di Tinsley Ellis, atmosfera alla BB King (anche nell’uso appassionato della voce), con la chitarra che pennella una serie di soli, mirabili nella loro capacità di estrarre l’essenza del blues dalle corde della solista, con tonnellate di feeling https://www.youtube.com/watch?v=McSJdtOp2Zw . Leave Me è decisamente più rock, ma sempre con l’incedere classico che ricorda il miglior blues bianco dei tempi che furono, con il solito, ma mai scontato, interplay quasi telepatico tra chitarra e tastiere e anche The King Must Die, con la voce vissuta del nostro amico a raccontare vecchie storie di blues, unite all’appeal del miglior rock, con la solista ancora una volta a disegnare linee sentite mille volte, ma sempre affascinanti se eseguite da chi conosce a menadito l’argomento. Per Everything Tinsley Ellis sfodera pure l’armonica, strumento che usa di rado, ma di cui è comunque buon praticante, il risultato è un blues classico, con le dodici battute che sono le protagoniste assolute; la conclusione è affidata a In From The Cold, una canzone dove i musicisti mescolano le carte, Kevin McKendree aggiunge Mellotron e timpani, Ellis oltre che alla chitarra si cimenta anche al Wurlitzer, e il risultato è un brano quasi pinkfloydiano https://www.youtube.com/watch?v=IUwRIyi9I00 , con le atmosfere sospese care a Gilmour, pure grande appassionato di blues, qui sfidato a colpi di chitarra da un ispirato Ellis, che conferma ancora una volta la bontà della sua musica.

Bruno Conti

I Migliori Dischi Del 2014: Una Postilla. Buscadero E Addetti(O) Al Lavoro

buscader gennaio2015

Visto che ci scrivo mi sembra doveroso aggiungere alle liste dei migliori dischi del 2014 anche quella pubblicata sul numero di Gennaio del Buscadero. La mia personale l’avete già letta un mesetto fa, questa è quella che risulta dai voti dei redattori:

DISCO DELL’ANNO:

lucinda williams down where

LUCINDA WILLIAMS – Down Where The Spirit Meets The Bone
(20 voti)

jackson browne standing in the breach

JACKSON BROWNE – Standing In The Breach (12 voti)

leonard cohen popular problems front

LEONARD COHEN – Popular Problems (10 voti)

johne mellencamp plain spoken

JOHN MELLENCAMP – Plain Spoken (9 voti)

john hiatt terms of my surrender

JOHN HIATT – Terms of My Surrender (9 voti)

JOE HENRY – Invisible Hour (8 voti)

ROSANNE CASH – The River & The Thread (7 voti)

BOB SEGER – Ride Out (7 voti)

DAVID CROSBY – Croz (7 voti)

BOB DYLAN & THE BAND – Basement Tapes Complete (7 voti)

ERIC CLAPTON & Friends – The Breeze (7 voti)

W. JOHNSON & R. DALTREY – Going Back Home (7 voti)

ROBERT PLANT – Lullaby And …..The Ceaseless Roar (7 voti)

Come vedete molte delle scelte coincidono con quelle del Blog, come postilla della postilla vi propongo un punto di vista differente, ossia le scelte di un addetto ai lavori, Claudio Magnani della Universal, naturalmente in versione Deluxe potenziata (essendo nel campo discografico)  e personalizzata, con tanto di countdown, rispetto a quella apparsa sul Buscadero:

2014:

joe henry invisible hour

15. JOE HENRY / INVISIBLE HOUR

frazey ford indian ocean

Molto bello, concordo…

14. FRAZEY FORD / INDIAN OCEAN

sam amidon lily-o

13. SAM AMIDON / LILY-O Anche questo è un bel disco https://www.youtube.com/watch?v=Fw2X9dMtDmc

over the rhine blood oranges

12.OVER THE RHINE / BLOOD ORANGES IN THE SNOW “Natalizio”, ma come quello dei Blue Rodeo, per tutte le stagioni https://www.youtube.com/watch?v=s7SkZ2FBeAY

11. DELINES / COLFAX

tinariwen inside

10. TINARIWEN / INSIDE-OUTSIDE

peter rowan dharma blues

9. PETER ROWAN / DHARMA BLUES  https://www.youtube.com/watch?v=IWIszSa5fA8

8. SUN KILL MOON / BENJI

7. HISS GOLDEN MESSENGER / LATENESS OF DANCERS

medeski scofield

6. MEDESKI SCOFIELD MARTIN WOOD / JUICE

5. BECK / MORNING PHASE

4. NATALIE MERCHANT

3. LUCINDA WILLIAMS / DOWN WHERE THE SPIRIT MEETS THE BONE

garrett lebeau rise

2. GARRETT LEBEAU / RISE TO THE GRIND Gioiello sopraffino. Red Young. Roscoe Beck. J.J. “two plates” Johnson. Notturno. Bluesy. Laidback. Minimale: dove gli altri aggiungono, Garrett Lebeau toglie…

*NDB Tutto vero, però il disco è del 2013 https://www.youtube.com/watch?v=Y2LNw4wo1W0

eric clapton & friends call me the breeze

1. ERIC CLAPTON & FRIENDS / THE BREEZE, A TRIBUTE TO J.J. CALE

 

ARCHIVES:

sun ra in the orbit

5. SUN RA AND HIS ARKESTRA / IN THE ORBIT OF RA

velvet underground the velvet underground

4. VELVET UNDERGROUND / VELVET UNDERGROUND (3)

3. BOB DYLAN / BASEMENT TAPES

2. ALLMAN BROTHERS BAND / THE 1971 FILLMORE EAST RECORDINGS

captain beefheart sun zoom spark

1. CAPTAIN BEEFHEART / SUN ZOOM SPARK  https://www.youtube.com/watch?v=ss0Vcb_4K6A

Ed una nuova sezione…

CLASSICI RIASCOLTATI AMPIAMENTE NEL 2014:

5. IAN DURY & THE BLOCKHEADS / MR. LOVE PANTS (1997)

4. RICKIE LEE JONES / IT’S LIKE THIS (2000)

3. PAOLO FRESU & URI CAINE / THINGS (2006)

2. FABRIZIO DE ANDRE’ / ANIME SALVE (1996)

1. DAVID SYLVIAN / DEAD BEES ON CAKE (1999)

Cool runnings…

Claudio

P.s. Sembra strano, ma lavora davvero per una casa discografica, ovviamente è inteso come un complimento e quindi anche qui troverete alcuni “suggerimenti” per scoprire altri dischi interessanti!

Bruno Conti

Come Il Buon Vino, Invecchiando Migliora Sempre Più! Lucinda Williams – Down Where The Spirit Meets The Bone

lucinda williams down where

Lucinda Williams – Down Where The Spirit Meets The Bone – 2 CD Highway 20 Records

Il titolo del Post, detto tra l’altro da uno che è astemio, ma è un modo di dire efficace e che rende bene l’idea, potrebbe far pensare che nel passato Lucinda Williams non abbia già pubblicato una serie di album strepitosi: dall’omonimo del 1988, ristampato in tempi recenti in versione doppia a Sweet Old World del 1992, il bellissimo Car Wheels On A Gravel Road del 1998, Essence del 2003, il doppio dal vivo al Fillmore e il recente, 2011, Blessed, l’ultimo per la Lost Highway, ma più o meno tutti gli album sono di ottima qualità. E a ben guardare, solo undici album in tutto, in 35 anni di carriera. Questo Down Where The Spirit Meets The Bone è quindi il dodicesimo, il primo pubblicato su una etichetta indipendente e che certifica la buona salute artistica della Williams che si aggiunge ad una lista di artisti maturi, “invecchiati”, che continuano a fare ottimi album: dal capostipite Bob Dylan passando per Mellencamp, Petty, Richard Thompson, John Hiatt, Fogerty, Clapton, Willie Nelson (ma ce ne sono parecchi altri) che spesso piazzano la zampata del vecchio leone, di Bob Seger sentiremo fra poco, mentre Springsteen ultimamente riesce a regalarci solo qualche canzone memorabile, a parte i “soliti” concerti incredibili, forse per una produzione troppo copiosa rispetto al passato. Di Van Morrison sembrano essersi perse la tracce, ma in fondo Born To Sing: No Plan B è uscito nel 2012. Poi ci sono settantenni come Ian Hunter, Billy Joe Shaver, Tony Joe White, Tom Jones, Kris Kristofferson, che non mollano, e ottantenni come Leonard Cohen o Jerry Lee Lewis, che pubblicherà un nuovo disco, di cui si dice un gran bene, a fine mese, che sembrano avere trovato l’elisir di eterna giovinezza.

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Tutto questo per dire che dischi belli da parte di artisti stagionati non sono più una rarità come un tempo, quando i 30 anni sembravano un limite invalicabile e Pete Townshend proclamava di voler morire prima di diventare vecchio. Però questo Down Where The Spirit Meets The Bone, con la sua bella copertina, dove una lama si conficca a spaccare un cuore, si candida ad essere uno dei dischi migliori del 2014 e tra i migliori doppi album di sempre. Venti canzoni, di cui una cover. una bellissima Magnolia dal repertorio di JJ Cale, un’ora e quarantacinque minuti di musica, quindi un “vero” doppio CD, tantissimi musicisti impiegati, con ben sette diversi chitarristi, ovviamente non tutti insieme, che alzano la quota rock del disco che spesso, come è caratteristica della Williams, qui più che altrove, ci regala sontuose sarabande chitarristiche (se qualcuno ha detto o pensato Neil Young, ha ragione). La voce è quella che è, particolare, dolente, forse un po’ monocorde, so che c’è gente che non la ama, ma allo stesso tempo, ultimamente, quando si vuole fare un complimento a qualche nuova cantautrice, si dice che ricorda Lucinda Williams, ormai un punto di riferimento nella canzone d’autore americana. Uno dei chitarristi, Greg Leisz, è anche tra i produttori del disco, insieme a Tom Overby e alla stessa Lucinda, ma non mancano agli addetti abituali al reparto 6 corde della sua band, Val McCallum (anche con Jackson Browne, altro “vecchietto” che prima non ho citato, in uscita con il nuovo disco) e Doug Pettibone, a cui si aggiungono, a seconda dei brani, Bill Frisell, Stuart Mathis dei Wallflowers, Jonathan Wilson e Tony Joe White.

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Per non parlare di Pete Thomas e Davey Faragher, ovvero gli Imposters di Costello, l’ottimo tastierista Patrick Warren e l’immarcescibile ex-Faces Ian McLagan, oltre a parecchi altri bassisti e batteristi e i fiati in un brano. E i risultati si sentono. Anche se il CD si apre con Compassion, che potrebbe essere il motto del disco, solo voce e chitarra, un poema del babbo di Lucinda, Miller Williams, che contiene i versi che danno il titolo all’album, “you do not know what wars are going on/ Down there where the spirit meets the bone.”, cantati con voce spezzata e, appunto, compassionevole. Questo è l’indirizzo diciamo poetico, testuale se volete, del disco, ma poi musicalmente è tutta un’altra cosa. La Williams ha definito il suo genere “country soul” ma il rock è sempre ben presente in questo album: Protection è un blues-rock a doppia-tripla trazione chitarristica, un po’ Tom Petty e un po’ Dire Straits prima maniera, con Lucinda che canta con voce sicura e stranamente assertiva https://www.youtube.com/watch?v=FBmP-0XtXWM , con Gia Ciambotti che offre supporto vocale e le chitarre che cominciano a tirare alle grande. Eccellente anche Burning Bridges dall’andatura più raffinata, con le tastiere che dividono la scena con le immancabili chitarre che ti assaltano dalle casse dello stereo con una ammirevole precisione di suoni e la voce che nel finale si anima di una inconsueta rabbia https://www.youtube.com/watch?v=crvPkFwlG7w . East Side Of Town, una canzone su quelli che vivono ai margini della città e della società, è un tipico esempio del country soul della Williams, un bel piano elettrico, due chitarre più “lavorate”, ma sempre liriche nella loro libertà di improvvisare e una bella melodia che ti entra in testa. West Memphis dedicata al famoso caso di malagiustizia americana (ce l’hanno anche loro!) dei West Memphis Three, è un incisivo swamp blues con la chitarra e l’armonica di Tony Joe White che si aggiungono al lavoro della band https://www.youtube.com/watch?v=5yXbwJefTxQ .

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Cold Day In Hell è la prima ballata del disco, una dondolante costruzione tra soul e rock, tipica della migliore musica della cantante di Lake Charles, tra cori gospel, un organo magico, probabilmente di McLagan e le solite chitarre deliziose. Anche Foolishness ha un bel groove da brano rock classico, con il ritmo che cresce e ti acchiappa, la slide di Leisz che si insinua sotto pelle e duetta con gli altri solisti, non vi so dire chi sono in questo particolare brano, ma in fondo non è poi così importante, vista la bravura di tutti i chitarristi impiegati in questo disco https://www.youtube.com/watch?v=pPTHqZcK5Xo . Senza stare a citare tutte le canzoni, se no la recensione diventa lunghissima, più del solito, vorrei ricordare ancora, nel primo disco, il valzerone country-rock di Wrong Number e il bellissimo duetto con Jakob Dylan (in rappresentanza della famiglia) nella dolcissima litania country-folk di It’s Gonna Rain, una ulteriore piccola meraviglia. Nel secondo disco il classico blues gagliardo di una Something Wicked This Way Comes che mi sembra citi pure il riff di Wang Dang Doodle https://www.youtube.com/watch?v=B9lZrfz2tB0 , ancora con i chitarristi pronti a incattivirsi appena la Williams lascia loro libertà, le raffinate chitarre quasi twangy di Big Mess cantata con grande precisione e partecipazione dalla Williams, le ariose melodie di Walk On, il sontuoso deep soul di Temporary Nature (Of Any Precious Thing), altra compassionevole ruminazione sullo stato dello cose, con organo hammond e piano che si dividono la scena con le chitarre.

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E ancora le dueling guitars della vigorosa Everything But The Truth, tipico esempio del miglior rock californiano, il delizioso country di This Old heartache con la magica lap steel di Leisz ancora in evidenza. Le prelibatezze sudiste di One More Day, dove si gustano anche i fiati. Lo so le ho dette quasi tutte lo stesso, ma sono talmente belle che non se ne può fare a meno. Manca giusto la lunghissima cover di Magnolia di JJ Cale, la cui scomparsa ha colpito evidentemente al cuore i suoi colleghi: quasi dieci i minuti dedicati ad una delle rare ballate del repertorio di Cale, peraltro bellissima, qui resa in un lento crescendo che rende piena giustizia al fascino della canzone. Bello, bello, bello, tante chitarre, tante belle canzoni e una delle musiciste più brave sulla faccia della terra attualmente. Ricorda molto Lucinda Williams!

Bruno Conti

Rock, Blues E Soul, Una Miscela Perfetta! Seth Walker – Sky Still Blue

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Seth Walker – Sky Still Blue – Royal Potato Family

Quando ascolti un album come questo Sky Still Blue ti verrebbe da dire “non solo Blues”, ma poi riflettendo, in effetti è blues, o quantomeno una musica chiaramente influenzata dalle classiche 12 battute https://www.youtube.com/watch?v=P9eZLvPNJaU . Anche se risulta mediata dalle esperienze musicali e di vita di Seth Walker, uno che in una carriera che ormai si estende su quasi due decadi e otto album (con questo) pubblicati, ha portato la sua musica dalla natia North Carolina al Texas, Austin, dove è vissuto per oltre dieci anni, poi a Nashville e infine a New Orleans, dove vive da un paio di anni e questo disco è stato registrato. Walker ha uno stile, sia vocale che chitarristico, molto laconico, mi verrebbe da dire una sorta di JJ Cale in trasferta in Louisiana, con questa resa sonora molto laidback, però ricca di nuances jazzate, à la Mosè Allison, se fosse stato un chitarrista, ma anche Charles Brown e Ray Charles, per volare alti e visto che siamo da quelle parti.

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La classe ovviamente non è quella ma Walker si difende alla grande, aggiungendo una quota funky della Crescent City, un pizzico di soul e gospel, grazie alla presenza delle McCrary Sisters, e, con l’aiuto di Oliver Wood, dei Wood Brothers, che produce, suona la seconda chitarra e si è portato il fratello Chris (Medeski, Martin & Wood) con il suo contrabbasso, oltre a una cinquina di canzoni, firma questo disco, molto raffinato e da centellinare negli ascolti, Sicuramente contribuiscono alla riuscita di questo bel dischetto anche Gary Nicholson, presente come autore in un paio di brani e che aveva prodotto il precedente Time Can’ t Change, oltre a partecipare anche a Leap Of Faith, entrambi gli album registrati in quel di Nashville https://www.youtube.com/watch?v=e3VYeq2czK8 , e che meritano, se volete approfondire, la vostra attenzione. Delbert McClinton, che ha partecipato all’ultimo album citato, quello del 2009, è un fan e ne ha cantato le lodi, le riviste americane, di settore e non, giustamente lo portano in palmo di mano, e Seth Walker in questo disco fa di tutto per meritarsi tutti i complimenti ricevuti.

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Lo fa senza sforzo apparente, con un lavoro che mette a frutto tanti anni di carriera e dove confluiscono le influenze citate prima, a cui si aggiungono le sue passioni per T-Bone Walker e Stevie Ray Vaughan, due musicisti che stanno agli antipodi.  Walker non è un cantante formidabile, ma assai interessante, la chitarra viaggia sempre su traiettorie inconsuete, tra jazz, blues e certo blue-eyed soul dalle fragranze delicate, anche gli altri musicisti utilizzati sono perfetti nei loro compiti, dalla sua road band, Steve McKey, basso e Derrick Phillips alla batteria, oltre a Jano Ritz che nei Wood Brothers suona la batteria, ma qui si inventa tastierista deluxe, a organo, piano e piano elettrico. E poi le undici canzoni sono veramente belle: che siano lo swampy blues, molto New Orleans, della deliziosa Easy Come, Easy Go, con la voce di supporto di Brigitte De Meyer, il titillante pianino di Ritz e la chitarra insinuante e magica dello stesso Walker, oppure il blues sanguigno (che non manca nell’album e nella precedente produzione del nostro amico) della potente Trouble (Don’t Want No), che ci fa capire perché il primo brano nel repertorio di inizio carriera di Seth era Cold Shot di SRV https://www.youtube.com/watch?v=XlMoAZ7mczE .

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Nel disco troviamo anche lo slow blues, virato gospel, quasi una magica ballata, di Grab Ahold, con le armonie vocali delle sorelle McCrary e un breve inserto di scat voce-chitarra https://www.youtube.com/watch?v=ihLg49jPdkY . Per non parlare (ma invece parliamone, perché no?) di una Another Way, tra funky moderato, quasi blue-eyed soul, alla Steely Dan, con un bel pianino elettrico a duettare con la chitarra  e lo strano R&B “valzerato” (ma esiste?) e acustico di Tomorrow, sempre raffinatissimo. All That I’m Askin’ alza la quota funky, aggiunge la tromba di Ephraim Owens, mette in evidenza il contrabbasso di Wood e ci aiuta a tuffarci nei meandri di New Orleans, con un sound comunque decisamente jazzato.

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High Wire, che cita il titolo dell’album nel testo, è una ballata da after hours che scorre sulle note dell’organo e della voce più laidback che mai di Walker, che si cimenta anche in un breve solo all’acustica. Ancora una meravigliosa e vellutata ballata, For A Moment There,  questa volta ricca di soul e con il contrappunto ancora delle bravissime McCrary Sisters, seguita dall’unica cover del disco, un Van McCoy di epoca pre-disco, Either Way I Lose, che diventa blues notturno, quasi minaccioso, con un notevole lavoro alla solista di Seth Walker. Chitarra ancora molto presente nel blues-gospel dell’intensa Jesus (Make My Bed), cantata benissimo e con grande partecipazione https://www.youtube.com/watch?v=YKG_-hnuo5w , come pure la dolcissima Way Too Far, che conclude in gloria questo piccolo gioiellino: veramente bravo!

Bruno Conti     

“Bollino Blu” Di Garanzia Per Joe Camilleri! Black Sorrows – Certified Blue

black sorrows certified blue

Black Sorrows – Cerified Blue – Head Records

Il loro ultimo lavoro il triplo CD Crooked Little Thoughtshttp://discoclub.myblog.it/2013/03/26/piccoli-pensieri-ma-grande-musica-dalla-lontana-australia-t/ ), è stato uno dei dischi più belli dello scorso anno (ma anche uno dei più difficili da rintracciare, vista la scarsa reperibilità, disponibile solo sul mercato Australiano), quindi potete immaginare il piacere con il quale ho accolto il postino, quando mi ha consegnato in questi giorni un pacchettino contenente il nuovo disco dei Black Sorrows, Certified Blue. Il gruppo capitanato da Joe Camilleri (cantante, autore, sassofonista, produttore), da circa un trentennio a questa parte è indiscutibilmente una delle migliori band australiane (e non solo), giunta con questo Certified Blue (se non ho sbagliato il conto. *NDB Confermo, anche sul loro sito http://www.theblacksorrows.com.au/ !) al diciassettesimo album, e il buon Joe, come sempre, la fa da padrone, essendo autore di tutte le canzoni, aiutato nella stesura dei testi dal compagno di lunga data Nick Smith (salvo un breve esilio in Better Time https://www.youtube.com/watch?v=dgRPaQoawIs ): in totale per quindici brani alla ricerca delle ispirazioni più varie. Registrato nei Woodstock Studios di Melbourne, con l’attuale line-up composta oltre che dal leader Camilleri, voce, chitarra, sassofono, mandolino e dobro, da Claude Carranza alle chitarre acustiche e elettriche, John McAll piano, organo e tastiere, Angus Burchall alla batteria e percussioni, Mark Gray al basso e la moglie di Joe, Atlanta Coogan, alle armonie vocali, e come ospiti eccellenti musicisti locali tra cui Ed Bates, Stuart Fraser, Patrick McMullin, Haydn Meccitt, Jason Vorherr, Tim Wilson, Eric Budd, e il non trascurabile apporto (geniale) di due ensemble musicali, il Silo String Quartet e i Voodoo Sheiks, che danno anche una impronta orchestrale al lavoro (nel progetto sono stati coinvolti un totale di 25 musicisti, praticamente una piccola orchestra).

black sorrows 1

Il disco inizia con la delicata Roaring Town (una canzone che può ricordare il compianto J.J. Cale), tutta giocata sul morbido tocco di chitarra di Joe, mentre la title track Certified Blue https://www.youtube.com/watch?v=NVYdZ9I71Ls  e Can’t Give Up On You alzano il ritmo https://www.youtube.com/watch?v=UJ4_iUQaEhI , con largo uso di fiati, si passa poi alle abituali ballate che vengono dal cuore, brani come Wake Me Up In Paradise (in stile Burt Bacharach), Lovers Waltz e Big Heartache , ai ritmi “dixieland” di Save Me, e al moderno “swing” di Return Of The Voodoo Sheiks https://www.youtube.com/watch?v=oZVMhxdu0D8 . Righteous Blues ricorda certe atmosfere soffuse care al mai troppo lodato Garland Jeffreys,  Man Of Straw e The Devil Came Knockin’ On Sunday, hanno il gusto del bel tempo andato; non dimentichiamo neppure il “boogie” di Until I Make You Mine. in duetto con la moglie Atlanta, pagando poi dazio con Dear Lord e Call Me A Fool https://www.youtube.com/watch?v=fOmW3o6h8VY  allo “zio” Van Morrison, per andare a chiudere con il brano finale Gates Of Hell, dove la band si cimenta in una “allegra sarabanda” di suoni e generi, marchio di fabbrica dei Black Sorrows.

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Quest’anno la Band festeggia il 30° anniversario, e Joe Camilleri il 50° di carriera musicale (con 45 album alle spalle e circa 150 concerti all’anno), essendosi meritatamente guadagnato la reputazione di un musicista che lavora ancora sodo e sa connettersi con il suo pubblico https://www.youtube.com/watch?v=8xE7zSxLjt0 , che percepisce la sua passione per la musica e per il suonare dal vivo, con quel senso di avventura che continua ad assecondarlo.

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Se nei vostri gusti musicali cercate il rock, con influenze blues, soul, country, gospel, swing, honky-tonk, un pizzico di ska, le ballate lente e soffuse che alternano sapientemente il suono acustico a quello elettrico, il tutto cantato da una voce bellissima, con Certified Blue avete trovato tutto questo, anche se poi, come detto, la reperibilità dei CD è un po’ difficoltosa (ma vale assolutamente la pena di cercarli): una band storica del rock australiano che la stampa specializzata italiana (ad esclusione della rivista Buscadero e di questo Blog http://discoclub.myblog.it/2010/10/03/il-camilleri-d-oltreoeceano-black-sorrows-4-days-in-sing-sin/ ) ha quasi sempre snobbato, ma se volete siete ancora in tempo per rimediare, se invece siete già dei fans non aggiungo altro!

Tino Montanari